"Pasque di sangue"
il rilancio di Toaff
In parte corretto è di nuovo in libreria il saggio contestato MARIO BAUDINOMolti verbi all’indicativo sono passati al condizionale, ma non è questa la sostanza. Ariel Toaff ha ripubblicato per il Mulino il suo contestatissimo Pasque di sangue, da oggi in libreria con nuova copertina e una corposa postfazione. In essa lo studioso italo-israeliano figlio dell’ex rabbino capo di Roma, figura eminente dell’ebraismo e della storia italiana, rivendica le sue tesi e risponde alle accuse. La prima edizione ebbe appena il tempo di uscire, un anno fa, e subito fu ritirata su richiesta dell’autore, quando alle recensioni anche feroci dei suoi colleghi (Carlo Ginzburg fu il più duro) si unirono le prese di posizione delle associazioni ebraiche, italiane e americane, e degli sponsor statunitensi dell’università israeliana Bar Ilan, dove insegnava. Senza contare gli insulti, e le minacce di esagitati. Fu un vero diluvio, per un libro che venne ritenuto un insulto alla storia dell’ebraismo.
In Pasque di sangue Toaff, partendo da un processo tenutosi a Trento nel 1475 contro un gruppo di ebrei askenaziti accusati d’aver ucciso un bambino cristiano per celebrare col suo sangue i riti pasquali - e naturalmente condannati sulla base di confessioni estorte con la tortura - analizza il «mito del sangue» nel Medioevo: la credenza cioè, ampiamente diffusa tra i cristiani e anche tra gli ebrei di provenienza tedesca, che il sangue, soprattutto di persone giovani, fosse una sorta di toccasana. Era avversata dai rabbini, perché l’ebraismo proibisce di alimentarsi col sangue, ma tollerata perché inestirpabile. Toaff non afferma che gli imputati di Trento fossero colpevoli del «martirio di San Simonino», ossia di aver assassinato il bambino poi elevato agli altari in funzione antisemita. Ma sottolinea che i rituali dalla forte connotazione anti-cristiana (eseguiti però con sangue fornito da «donatori» venali e non da vittime) ricostruiti nel processo sono «tutt’altro che inverosimili».
L'omicidio, ribadisce, è «un mito e una calunnia», anche se qualcuno può aver effettivamente commesso crimini di questo tipo, per vendicarsi delle persecuzioni cristiane. «Del resto - ci dice da Bologna, dove sta trascorrendo un anno di congedo - c’è almeno un caso, riferito da una cronaca ebraica, di un ebreo pazzo che uccide una ragazzina cristiana e provoca ovviamente una terribile persecuzione contro l’intera comunità». Perché, allora, rinunciare al libro, e poi ripubblicarlo? Dov’è la correzione di rotta, se di correzione si tratta? «La chiave di lettura è sempre quella. Nella prima edizione, però, non era esplicitata, e ciò ha dato luogo a equivoci ».
Lo studioso non ha solo «lavorato» sui modi verbali, ma ha aggiunto documentazioni, recependo in qualche modo la critica avanzata da un pur benevolo Franco Cardini, che gli ha dedicato un libretto, Il caso Ariel Toaff, una riconsiderazione, uscito nell’aprile scorso da Medusa. «Ho sottolineato maggiormente che esisteva questa cultura comune a cristiani ed ebrei, specificando però come dall’uso di questo sangue - in polvere peraltro, che era un modo per aggirare la proibizione religiosa - all’omicidio rituale, ce ne passi». Nella prima edizione aveva commesso, ammette, un errore: «Quello di aver tentato un libro leggibile e discorsivo, con qualche punta di ironia, come nell’ultima pagina». Che è rimasta tale quale. Nessuna abiura, dunque. Ma allora perché non resistere un anno fa? Toaff ammette che all'inizio aveva pensato di rinunciare per sempre. «Però due fatti mi hanno convinto a insistere: intanto gli antisemiti e i nemici di Israele non hanno potuto “usarmi” per la loro propaganda, come molti temevano, e io stesso avevo cominciato a paventare. In secondo luogo si è creato un nuovo mito, davvero pericoloso, quello della lobby ebraica, potentissima, che mi aveva imbavagliato. Ho ritenuto di doverlo smentire».
Tornerà in Israele? «Sì, perché c’è la mia famiglia. Ma non più all’Università. Ci sono state troppe pressioni, soprattutto dagli Stati Uniti ma anche dall’Italia, che nonostante i tentativi dell’università a mia difesa faranno di me un professore in pensione. Riprenderò naturalmente le mie ricerche». Resta l’amarezza. «Altro che amaro. C’è stata una specie di caccia alle streghe. Su una rivista americana ho letto persino che nel mio libro si parlerebbe della profanazione dell’ostia. Però non si rafforza l’ebraismo dandone un’immagine oleografica. Anzi, il presentare gli ebrei come eterne vittime passive della storia è una forma di antisemitismo. Qualche volta hanno reagito, come potevano».
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