LA STRATEGIA DEL "MA ANCHE". Walter Veltroni è un bravo comunicatore, capace e con stile moderno. Ha condotto bene questo inizio di campagna elettorale, ha curato perfettamente il package, ha fatto gli annunci giusti, ha dettato i titoli dei media. E’ lui ad aver fatto l’agenda setting. Lo spirito della strategia veltroniana sta tutto in quel “ma anche”, che ben rappresenta l’essenza del messaggio del leader del Partito Democratico. E’ una strategia che porta consensi, che piace, che serve a motivare i propri elettori. E funziona. Ma fino ad un certo punto. L’efficacia di una comunicazione così impostata sta nei limiti che si danno al suo contenuto: il ma anche va bene, ma non deve essere totale, cioè non deve comprendere il Polo Nord ma anche il Polo Sud. Deve essere ampio, ma limitato, chiuso in un contesto accettabile e soprattutto coerente. E Veltroni si è spinto oltre, verso il baratro della incoerenza del suo messaggio, trasformando ogni sua dichiarazione in qualcosa che viene percepito come “in sospeso, in attesa cioè di diventare completa con il “ma anche” mancante. Questa strategia, se spinta – come sta facendo Veltroni – verso confini infiniti, raggiunte anche momenti paradossali.

ESEMPIO: CATTOLICISSIMO MA ANCHE LAICISSIMO. Prendiamo sabato scorso, Veltroni rilascia due interviste. Una a Famiglia Cristiana, l’altra a El Paìs, quotidiano spagnolo socialista. Nella prima dichiara di essere “molto cattolico”, nella seconda si definisce “laico”, anzi per la precisione “laicissimo” e “ammirato dall’opera di Zapatero”. Ecco, questo è l’esempio di due dichiarazioni in netta antitesi l’una con l’altra: è questa la deriva del ma anche, una deriva che diventa negativa per la strategia di comunicazione adottata, perché ne azzera la potenziale efficacia.

IL MA ANCHE NELLE LISTE. Ma l’episodio più lampante della deriva del ma anche è tutto nelle liste dei candidati. Sei favorevole all’aborto? Votaci, c’è la Bonino. Sei contrario? Votaci, ci sono la Binetti e i teodem. Ma anche per l’aborto, ma anche no. Non puoi neanche proporti come innovatore, come il nuovo che lascia a casa i De Mita, quando poi imbarchi e candidi i Cusumano, cioè l’ex Udeur che tentò di salvare Prodi, saldando così un debito di riconoscenza che puzza di vecchia politica.
Non puoi venderti nemmeno come il giustiziere della politica clientelare, della politica degli amici degli amici, quando metti in lista la moglie di Fassino, la moglie di Bassolino, la segretaria di Fioroni, il segretario di Rosy Bindi, il portavoce di Franceschini, il braccio destro di Parisi e tutto lo staff di Prodi. Oppure quando candidi Sandra Zampa, l’amica di Flavia Prodi, moglie di Romano. Oppure non puoi passare per quello che pensiona Visco e la sua immagine elettoralmente poco appagante, quando poi candidi il suo consigliere Stefano Fassina.
Non puoi nemmeno fare l’eroe dell’antimafia, quando non candidi Giuseppe Lumia, stimato vicepresidente della Commissione Antimafia. Proprio perché, al suo posto, metti in lista Crisafulli, Papalia e Carra. Proprio Crisafulli, pizzicato a trattare di appalti con un boss mafioso. Perché poi passa l’idea che “la lotta alla mafia non è una priorità del Pd”, come dichiara proprio Lumia.
Annunci che non candidi i vecchi dinosauri della politica, ed è un bene, però poi ne candidi i figli: come per Daniela Cardinale, figlia di Salvatore.
Ma casi ancora più lampanti sono quelli dell’operaio della Thyssen ma anche il capo dei giovani industriali Colannino, ma anche Calearo, cioè il capo della Federmeccanica, bestia nera dei sindacati e sostenitore dello sciopero fiscale della Lega. Oppure la candidatura della giovane Madia, come simbolo del nuovo, e pulito, che avanza. Poi si scopre che normalmente andava a cena al Quirinale, in quanto fidanzata (ex) del figlio di Napolitano. Stesso discorso per altre candidature ad effetto, come quella della precaria, salvo poi scoprire il bluff: precaria non è, ha un contratto a tempo indeterminato. O quando annunci di candidare il simbolo dell’Italia che lavora:la turnista Franca Biondelli, salvo poi scoprire che si tratta di sindacalista e che non mette piede in una corsia d’ospedale da 6 anni.

E' LA FINE DEL MA ANCHE. [FONT='Tahoma','sans-serif']Insomma, il ma anche funziona, ma idealmente, solo sulla carta. Se spinto oltre, come sta facendo Veltroni, diventa esclusivamente controproducente. Il ma anche va bene quando si tratta di fare discorsi da discesa in campo, quando si tratta di fare solenni annunci di grande genericità, ma quando si deve scendere più sul concreto, quando bisogna fare delle scelte di campo, quando bisogna scegliere le persone, ecco, in questo caso il ma anche non funziona più e deve cedere il passo a ben altre strategie.
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