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Poker di politici in Liechtenstein
Sono in tutto 157 le persone della lista di Vaduz Tensione alle stelle tra Agenzia e Guardia di Finanza
Il vice-ministro Visco
. Il leader morale di questi forzati del Parlamento è l'azzurro Marcello Dell'Utri, che ha una condanna passata in giudicato a due anni per frode fiscale e false fatture, mentre ha impugnato in appello una sentenza a nove anni per mafia. Intoccabile anche un altro eroe della prima Fininvest come Massimo Berruti, otto mesi definitivi per favoreggiamento nel processo per le tangenti alla Guardia di finanza. Riavranno il loro bravo posto in lista anche il democratico Enzo Carra (un anno e quattro mesi per false dichiarazioni al pm nel processo Enimont), l'azzurro Alfredo Vito (due anni patteggiati per corruzione), il berlusconiano Giorgio La Malfa (sei mesi per finanziamento illecito nella vicenda Enimont), il diessino Vincenzo Visco (abuso edilizio) l'azzurro Antonio Del Pennino (due mesi per Enimont, un anno e otto mesi per la metropolitana di Milano), l'eterno dc Paolo Cirino Pomicino (un anno e otto mesi per Enimont e e due mesi per i fondi neri Eni), i forzisti Gianpiero Cantoni Sono solo quattro i politici italiani che compaiono nella lista dei presunti evasori con il conto a Vaduz. E tra loro non c'è nessun big: solo seconde e terze file. Nel poker c'è almeno un esponente dell'Udc, ma non si tratta di Rocco Buttiglione, che ha fatto outing ammettendo di avere solo un piccolo deposito in Liechtenstein. L'ormai famoso elenco comprende sì 400 'voci', ma spesso corrispondono a sigle, fondazioni, prestanome e società riconducibili agli stessi soggetti: a conti fatti, sono solo 157 le persone fisiche su cui indagano gli ispettori dell'Agenzia delle entrate e i pm di Roma.
Il valore complessivo dei conti incriminati è di circa un miliardo e 200 milioni, e comprende ricchezze accumulate da piccoli e medi imprenditori del Centro-Nord: alcuni - ma si contano sulle dita di una mano - hanno un conto superiore ai cento milioni di euro. Pian piano la cortina fumogena che circonda la lista, comprata dai servizi segreti tedeschi e poi consegnata al fisco italiano dalle autorità inglesi, sta dunque svaporando.
Quello che tutti vogliono tenere segreto è invece il furioso scontro istituzionale che si sta consumando tra l'Agenzia presieduta da Massimo Romano e la Guardia di Finanza. Il caso Vaduz ha scoperchiato il vaso di Pandora. I rapporti si complicano già nel 2006, con l'arrivo all'Agenzia degli uomini di Visco. Appena reinsediati, Romano e il capo l'accertamento, Villiam Rossi, decidono infatti di riprendere in mano il fascicolo sulla maxi evasione-fiscale della società Bell nella storica scalata alla Telecom. Nel 2003 la Finanza di Milano aveva infatti aperto una verifica, rimasta però senza risultati: la Gdf riteneva di non avere prove sufficienti per dimostrare 'l'esterovestizione' della Bell. Cambiato il vertice dell'Agenzia riparte l'accertamento, che spinge i soci della Bell a chiudere la vertenza pagando al fisco 156 milioni di euro.
L'episodio è solo una cartina tornasole. L'arrivo di Visco modifica infatti i rapporti di forza tra militari ed ispettori civili: fondi e assunzioni vengono dirottati sull'Agenzia. Le scelte del diessino sono dovute anche al duello con il generale Roberto Speciale: i due non si tollerano, non si fidano. Secondo i vertici delle Fiamme gialle, però, l'atteggiamento di Visco non muta nemmeno quando Speciale è sostituito dal nuovo comandante Cosimo D'Arrigo. Lontano dai riflettori il braccio di ferro tra Agenzia e Gdf raggiunge il culmine all'inizio del 2008. Prima con il caso Mithos Arkè (una presunta centrale dell'evasione), poi con l'affaire-Liechtenstein. La prima operazione porta all'arresto di professionisti e al coinvolgimento di ex dipendenti (infedeli) dell'Agenzia. (06 marzo 2008)