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    Exclamation ecco chi candida il PD, LEGGETE TUTTI!

    il link e' alla fine, diffondete, A TUTTI

    IL DIESSINO MIRELLO CRISAFULLI, DETTO “CAPPEDDAZZO”, E IL BACIO DEL BOSS BEVILACQUA
    L’idea che con la mafia si possa convivere, del resto, non è solo appannaggio degli esponenti della Casa delle Libertà. Trova anche numerosi estimatori nelle file dei DS siciliani. Persino ai livelli più alti. La cosa diventa evidente nel 2003 quando finisce in manette per la seconda volta Raffaele Bevilacqua, il boss della provincia di Enna. Pure lui, come ormai quasi tutti i capimafia di terza generazione, è un borghese: di professione fa l’avvocato e, nei primi anni Novanta – quando era ancora sottocapo della commissione provinciale di Cosa Nostra e reggente della famiglia mafiosa di Barrafranca – era stato iscritto alla DC (corrente andreottiana) venendo eletto consigliere provinciale.

    Allora il suo referente nell’onorata società era Piddu Madonia, che in quel periodo trascorreva la latitanza a Bagheria assieme al capo dei capi. Un rapporto quasi simbiotico il loro, tanto che Bevilacqua,nel 1991, partecipa persino a una riunione della commissione interprovinciale di Cosa Nostra organizzata a Enna alla quale erano presenti Riina, Provenzano e il catanese Nitto Santapaola. Un anno dopo viene però arrestato.
    Uscito di prigione, Bevilacqua sale di grado e diventa il mammasantissima di tutta la sua provincia.

    La sorpresa degli investigatori della squadra mobile di Enna è insomma grande quando, in un video registrato in un albergo, accanto al volto di Bevilacqua compare la faccia rotonda e simpatica dell’allora vicepresidente diessino dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), Wladimiro “Mirello” Crisafulli. Seduti uno di fronte all’altro nell’ufficio del direttore dell’Hotel Garden di Pergusa, i due appaiono distesi e sorridenti. Il politico chiede un posacenere, uno dei titolari dell’albergo porta anche una penna e un bloc-notes. «No, non mi serve la carta», risponde l’avvocato-boss, «tutto a mente, non si lasciano tracce».

    Inizia così, alle 13,45 del 19 dicembre 2001, il primo colloquio tra un capomafia e un leader istituzionale, interamente ripreso da una videocamera. Un documento straordinario, che apre una finestra sui rapporti diretti mafia-politica in Sicilia e che, nell’estate del 2003 quando diventa pubblico, crea divisioni e imbarazzo nei DS, proprio nel momento in cui il presidente della Regione Totò Cuffaro (UDC) finisce indagato per fatti di mafia e il suo vice, Giuseppe Castiglione (FI), viene condannato in primo grado a dieci mesi per tentativo di turbativa d’asta (sarà però assolto in appello).

    Il caso esplode a Enna, dove Crisafulli, cresciuto nel PCI, soprannominato “cappeddazzo” per i suoi cappelli a larghe falde, genuino, sanguigno, e schietto, ha costruito un solido sistema di potere, per sua stessa ammissione, borderline con il codice penale. «Il mio concetto di legalità», ha detto una volta Crisafulli a Francesco Forgione, deputato di Rifondazione, «è più elastico del tuo». [...] Bevilacqua è scortato da due guardaspalle, mentre il monitor segna le ore 13,40. Due minuti dopo le videocamere inquadrano Crisafulli col suo autista. Segue immancabile il bacio sulle guance tra il boss e il deputato (se lo avesse raccontato un pentito non ci avrebbe creduto nessuno). [...] Poi si comincia a parlare di politica. Il boss, che tradisce una certa deferenza nei confronti di Crisafulli, chiede e il parlamentare risponde. L’avvocato si lamenta di Piazza Armerina, un comune dell’Ennese, dove un rimpasto rischia di privilegiare candidati che non gli piacciono. «Spererei», dice, «che mi facessi contento questo gruppo. Se sono amici miei sono anche amici tuoi». Crisafulli ascolta. [...]

    Quindi discutono di appalti. [...]«Allora, per quei taglialegna», dice Bevilacqua, «avevi detto due». «Magari di più», risponde Crisafulli, «tre, quattro». Si riferiscono a un disboscamento affidato a una ditta calabrese, nel quale anche il boss Bevilacqua, titolare di un’impresa, vuole, a giudicare dal tenore delle richieste, inserire dei suoi raccomandati. E non solo in quello. [...] Si parla del campus universitario, centoventi miliardi di vecchie lire, da realizzare a Enna Bassa e di certi lavori nella “salita di Enna”. [...]

    Infine sul video scorrono dei fotogrammi destinati a riaprire il dibattito sul terzo livello, sui rapporti di forza tra mafia e politica. Chi comanda chi? Il summit Bevilacqua-Crisafulli offre una risposta inequivocabile: «A chi lo hai dato?», chiede il boss a proposito di un appalto. «Agli unici che lo possono fare», risponde Crisafulli, «i fratelli Gulino». [...] All’avvocato la cosa non va giù e se ne lamenta. Ma l’onorevole DS risponde con decisione: «Fatti i cazzi tuoi». [...]

    L’incontro si chiude alle 14,05, le microtelecamere della squadra mobile, piazzate all’Hotel Garden all’insaputa del direttore per sorprendere una banda di estorsori, hanno registrato un documento straordinario che spinge il direttivo regionale dei DS a censurate il compagno Mirello perché «frequentare boss è inammissibile», mentre quasi tutte le sezioni DS di Enna si stringono attorno a lui, chiedendogli di revocare l’autosospensione dalla carica di vicepresidente dell’ARS.



    Alla fine la Procura, il 19 febbraio 2004, chiede e poi ottiene dal GIP l’archiviazione perché quel colloquio non portò ad alcun beneficio a Cosa Nostra. Scrivono però i PM nella richiesta di archiviazione che è «dimostrata da parte del Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua, accettando il dialogo sulle proposte politiche dello stesso, ascoltando la sua istanza e rispondendo alle domande sulle possibili iniziative politico-amministrative, in particolare in materia di finanziamenti e appalti». Quell’incontro e gli altri che seguirono, nonché le numerose telefonate fra i due, costituiscono per la Procura «un complesso di contatti e disponibilità al dialogo di inquietante valenza: il solo fatto che un autorevole rappresentante politico incontri un personaggio del quale non poteva ignorare (ogni contraria ipotesi appare irrealistica) [...] la nota caratura nel
    contesto della illiceità mafiosa, è fatto troppo grave perché sia il caso di insistere [...]. La pubblicità dell’incontro [...] enfatizza in tutti i presenti al congresso l’idea di stabili contatti mafia-politica, con ovvio vantaggio per la prima».

    Ma tutto ciò non basta a provare il reato, perché «Crisafulli appare disponibile a esplorare con Bevilacqua l’area delle ipotesi strettamente politiche nel territorio e, in parte, ad addentrarsi nell’area grigia dell’affarismo politico-elettorale, ma in ambedue i casi senza fornire alcun apprezzabile apporto causale ai fini associativi [...]. Nell’ambito affaristico non risulta che le richieste di Bevilacqua siano state esaudite, e quindi l’ascolto e la discussione appaiono piuttosto finalizzate a mantenere aperto un canale di collegamento. Sinteticamente e globalmente considerata, la condotta di Crisafulli può apparire oggettivamente legittimante rispetto a Bevilacqua e quindi pericolosamente vicina al sottile confine della attività penalmente illecita [...]. Però si deve concludere che non vi sono sufficienti elementi di prova per sostenere che abbia arrecato significativa, rilevante utilità al Bevilacqua, al sodalizio criminoso di appartenenza dello stesso o all’intera Cosa Nostra». [...]

    Ce n’è abbastanza per chiudere tutto sul piano penale. Ma ce ne sarebbe a sufficienza almeno per stroncare la carriera politica di Crisafulli in nome della “questione morale” tanto cara a Enrico Berlinguer, oggi caduta in prescrizione. Soprattutto nel partito che fu di Pio La Torre, morto ammazzato da Cosa Nostra per aver rifiutato anche il minimo compromesso con i mafiosi. Mirello Crisafulli invece viene addirittura promosso. È un dalemiano di ferro e nel 2006 il partito della Quercia gli trova un posto sicuro nel collegio Sicilia-2 per la Camera dei Deputati. Quando Antonio Di Pietro critica l’incredibile decisione della Quercia, Luciano Violante gli replica che «non esiste alcun motivo di incompatibilità: Crisafulli è nelle stesse condizioni in cui si è trovato in passato Di Pietro, prima incriminato e poi assolto».

    E sorvola sul fatto che Crisafulli, al contrario di Di Pietro, intratteneva amichevoli rapporti con un capomafia. Violante, per la cronaca, sedeva nella stessa lista che ospitava il prode Mirello: numero 1 Rutelli, 2 Violante, 3 Piscitello, 4 Crisafulli. Il quale, grazie alla legge elettorale che consente ai partiti di “nominare” a tavolino i parlamentari, atterra senza sforzo a Montecitorio. Dalle stragi di mafia del 1992-93 sono ormai trascorsi quattordici anni. Anno dopo anno anche nei DS la tensione è caduta. La strategia della sommersione decisa da Bernardo Provenzano è risultata vincente. Su tutta la linea.

    2 – IL FORZISTA MORMINO E “L’AGNELLI DI PALERMO”
    .....il 23 gennaio 2002 in Parlamento viene depositata una proposta di legge sconcertante. I primi firmatari sono tre avvocati penalisti: il deputato di AN Sergio Cola, eletto a San Giuseppe Vesuviano, e difensore di alcuni presunti camorristi; il parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, un avvocato calabrese che annovera tra i propri assistiti ’ndranghetisti, massoni e imputati di tangenti; e il nuovo vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, il principe del foro di Palermo, Nino Mormino, eletto nelle file degli azzurri e subito diventato vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera.
    I tre vogliono in pratica capovolgere l’intero codice di procedura penale.

    Chiedono, tra l’altro, l’avviso di garanzia immediato, la possibilità di far scattare le manette solo nel caso di reati gravissimi e l’inutilizzabilità delle sentenze passate in giudicato. Se la legge passasse (ma le proteste la bloccheranno in tempo) tutti i processi e le indagini antimafia, e non solo quelle, diventerebbero impossibili. Gli indagati sarebbero subito informati delle inchieste a loro carico rendendo inutili intercettazioni, pedinamenti e l’utilizzo d’infiltrati. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non varrebbero più se non in presenza di riscontri «di diversa natura»: in aula anche davanti a più mafiosi che, separatamente tra loro, ne accusano un terzo di essere ritualmente combinato, o di aver ucciso qualcuno assieme a loro, il giudice dovrebbe assolvere a meno che non ci sia un elemento ulteriore a corroborare le loro parole.

    Ma l’onorata società, si sa, non stila documenti, non agisce sotto gli occhi di testimoni esterni. E non è tutto. C’è di peggio. Con la nuova legge anche l’esistenza stessa della mafia verrebbe messa in dubbio: in ogni dibattimento, senza tenere conto delle sentenze del passato, bisognerebbe dimostrare che in Sicilia opera un’organizzazione di tipo verticistico denominata Cosa Nostra.
    Difficile credere che i tre estensori della proposta non se ne siano resi conto. Impossibile pensare che la mafia non abbia gradito. E infatti Cosa Nostra approva. Anzi sponsorizza attivamente. O almeno così sosterrà Nino Giuffrè nei suoi interrogatori davanti ai PM di Palermo dove per tre giorni, tra settembre e novembre 2002, parlerà a lungo dell’onorevole Mormino, per anni suo difensore di fiducia.

    Che le elezioni del 2001 sarebbero state vinte dal Polo lo avevano capito tutti. Anche la mafia che, come sempre, aveva organizzato dei suoi personalissimi sondaggi elettorali. I boss di ogni paese, una volta consultati i parenti, gli amici, i negozianti e gli imprenditori da cui riscuotevano il pizzo, avevano riferito gli umori dell’elettorato ai loro capimandamento che poi ne avevano parlato direttamente con Bernardo Provenzano. “Il vecchio” aveva così stabilito di andare avanti sulla strada antica, quella del 1993. Voleva cavalcare l’onda e, in linea di massima, appoggiare il centrodestra.

    Tra i candidati da supportare, Binu il ragioniere ne individua uno su cui fa particolare affidamento. Dopo essersi confrontato con Pino Lipari, che essendo anche suo cliente ne ha saputo apprezzare l’abilità, decide di puntare sull’ex socialista Nino Mormino, [...]
    È Provenzano in persona a comunicare a Giuffrè la scelta, spiegando di aver pensato a Mormino, assieme a Lipari, perché era «una persona abbastanza preparata per risolvere determinati argomenti giuridici in Parlamento». Manuzza è entusiasta e oggi sostiene di aver ricevuto, tramite un intermediario che però non indica, un messaggio direttamente dall’avvocato: «State tranquilli. Io nel momento in cui sarò a Roma mi adopererò a fare i vostri interessi, a fare le cose giuste per venirvi incontro». [...]

    Zio Binu invita i suoi alla calma. Il sostegno a Mormino deve avvenire «dietro le quinte», la sua deve essere «una candidatura bella, bella. Muta, muta per evitare di danneggiarlo e di
    bruciarlo».
    [...]
    Il 28 marzo 2001, a meno di tre settimane dal voto, Pino, un cliente di Mormino (mai esattamente identificato), entra nel deposito di materiali edili di proprietà dei fratelli di Salvatore Rinella, il capomafia di Trabia in quel momento latitante. [...] Rinella è un uomo d’onore di prima grandezza. È stato condannato all’ergastolo per omicidio e traffico di droga, ma dal suo nascondiglio riesce a controllare ancora tutto: sindaci del paese, assessori, appalti [...].

    A Trabia, Rinella, ha lasciato ogni cosa in mano ai suoi più giovani fratelli Pietro e Diego. Sono loro che curano la raccolta delle tangenti ricevute dagli imprenditori e i rapporti con le altre cosche della zona. I due sono mafiosi fatti e finiti. Pietro è anche un killer: ha ucciso un buttafuori di una discoteca che tendeva ad allargarsi troppo andando, senza autorizzazione, a chiedere il pizzo ai negozianti.
    Il 28 marzo Pino, il cliente di Mormino, saluta dunque Diego e Pietro Rinella con calore.
    «Diego, amore mio come stai?».
    «Non ci possiamo lamentare, Pino. Siediti, quando ti vedo è sempre un piacere. Dimmi però, che abbiamo?».
    «Un messaggio dell’avvocato mio», dice l’uomo allungando a Diego l’elenco dei seggi elettorali del collegio in cui è candidato il suo legale. Poi aggiunge: «Vedi tu dove puoi [raccogliere voti]… per la Camera, contro Lumia quel bastardo [Giuseppe Lumia, l’ex presidente diessino della Commissione Parlamentare Antimafia]».
    «E qui il [candidato] è…», chiede il mafioso osservando la lista.
    «L’avvocato Nino Mormino alle camere e questi sono i comuni dove ci sono i seggi».
    «Vabbè, ora ci muoviamo, Pino».

    «Dei voti di Trabia, di quelli che votano a Termini, non ne fai scappare nemmeno uno».
    «E poi anche nei paesi, quelli che conosciamo…».
    «Nei paesi quelli che conoscete, io ti ho portato la lista apposta, ma per favore mettitela in tasca… prima che ti incontra quel bastardo, quel becco di Lumia e dice voti di mafia…».
    «No, minchia no…», esclama il fratello del boss latitante scoppiando in una lunga risata. E continua: «L’altra volta ci sono andato a trovarlo [verosimilmente si riferisce a Mormino], mi ha detto che doveva andare a Caltanissetta. Allora gli ho detto: “Sei con l’amico mio?”. [Mi ha risposto:] “A posto, lo sai che le cose vanno perfette”. [È] come se [ci] fossi andato io. Ho pure parlato con Tomasino, con altri cristiani [mafiosi]».
    «[Ma] lo sai che se sale Forza Italia, è l’uomo giusto al posto giusto…».
    «Certo, certo, che fai… scherzi?».
    «Lo sai questo dove va a finire?».
    «Certo…».
    «Lo sai o non lo sai?».
    «Commissione… commissione…».

    «Commissione Antimafia, al posto di Lumia… [Però] mosca e acqua in bocca».
    Diego Rinella quasi non ci vuole credere. Gli pare impossibile che in un posto così importante finisca «uno che a noi fa le cose buone», ma Pino è categorico: «Se Forza Italia va al governo come si aspetta e l’avvocato mio sale» sarà un bene per tutti. La cosa, oltretutto secondo lui, è scontata, visto che Mormino «ha agganci come si deve e manca un mese alle elezioni».
    Diego, proprio come ha suggerito Provenzano, dice: «Allora noi ci muoviamo. Però con riservatezza, come merita lui, con molta pacatezza, e tu Pino capisci [altrimenti] gli facciamo danno».

    Anche Pietro Rinella, che aveva seguito tutta la discussione in silenzio, fa a quel punto sentire la propria voce per ribadire il concetto: Cosa Nostra non deve esporsi troppo perché «non ci possiamo mettere contro» l’antimafia. «Però», chiarisce Diego, «i cristiani [...] quelli stretti stretti» saranno tutti contattati. E da loro si presenterà direttamente Salvatore Rinella, il capo-mafia all’epoca latitante: «[Da quelli] ci va mio fratello, ci va e ci dice: “Senti, senti” e loro ci votano…». «E basta», lo interrompe Pietro. [...]
    Davvero Mormino ha stretto un patto elettorale con la mafia? Davvero l’avvocato di Riina e Bagarella è stato mandato a Roma, come dice Giuffrè, «per portare avanti la barca di Cosa Nostra»?

    I pubblici ministeri di Palermo al termine di una richiesta di archiviazione, fatta poi propria dal GIP, lunga 166 pagine, sostengono di non aver potuto rispondere a queste domande. Dicono che glielo ha impedito la Costituzione: la legge delle leggi che vieta di perseguire «i membri del Parlamento per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni». Per questo affermano che, se anche l’appoggio della mafia al vicepresidente della Commissione Giustizia sembra emergere dagli atti come fuori discussione, non si può dire lo stesso del presunto patto politico-mafioso.

    Infatti: «la controprestazione di Mormino [nei confronti di Cosa Nostra] sarebbe dovuta consistere “esclusivamente” nel contribuire, una volta eletto, ad attenuare gli effetti della così detta “legislazione antimafia” mediante l’approvazione di nuove, più favorevoli leggi. Senonché, a ben vedere, per assolvere a questo specifico onere probatorio, non appare giuridicamente corretto ipotizzare che rientri tra i poteri dell’autorità giudiziaria quello di analizzare e sindacare le opinioni e le scelte di voto rispettivamente espresse ed effettuate da un parlamentare nell’ambito del suo alto mandato».

    E allora poco importa se le cronache raccontano come Mormino, nelle vesti di relatore, sia riuscito17 nel gennaio 2003 a far pure approvare dalla propria Commissione (ma solo da quella) anche un indulto di due anni (il cosiddetto “indultino”) allargato anche ai condannati per mafia ed escludendo solo quelli ai quali è stato riconosciuto il ruolo di capo. Non potendo andare «per ragioni giuridico-istituzionali» a caccia di riscontri «in ordine alle ipotesi di scambio politico-elettorale», la posizione di Mormino, secondo la Procura, va archiviata per insufficienza di prove.

    Restano, e dovrebbero essere materia di discussione della Commissione Parlamentare Antimafia, i fatti accertati durante l’inchiesta. Fatti politicamente inquietanti. Forza Italia e tutta la Casa delle Libertà, invece, esultano. [...] Poi Mormino viene riportato in Parlamento, dove oggi non siede solo nella Commissione Giustizia, ma è salito di grado diventando pure vicepresidente della Giunta delle Elezioni e del Comitato per i Procedimenti di Accusa.

    Eppure le 166 pagine della richiesta di archiviazione sono pesanti, anche perché leggendole si scopre che il deputato di Termini Imerese è un avvocato che «ha intrattenuto rapporti chiaramente esulanti i limiti della deontologia professionale» con un boss. E a dirlo non sono solo i pubblici ministeri. Lo ha ammesso lui stesso nel 1983, a Firenze, quando era stato interrogato nelle vesti di imputato di favoreggiamento nei confronti di un suo celebre cliente, il trafficante di droga e capo incontrastato del clan della Kalsa, Tommaso Spadaro, noto per essersi definito durante il maxiprocesso «l’Agnelli di Palermo», perché grazie al contrabbando dei tabacchi faceva lavorare centinaia di famiglie.

    Allora, i magistrati sospettavano che Mormino avesse dato una mano al padrino palermitano durante la latitanza aiutandolo a sottrarsi alle ricerche. Dall’ascolto di alcune telefonate intercettate emergeva la familiarità esistente tra l’avvocato e il proprio assistito: i due si davano del tu e il boss andava a trovarlo, sia a casa che in ufficio, anche nei giorni festivi. Altre conversazioni, scriveva il giudice istruttore fiorentino, «attenevano [invece] a tentativi di contattare terze persone tramite le quali avvicinare per vie traverse i membri del tribunale che dovevano decidere sulla confisca dei beni dei familiari dello Spadaro e ottenere con tali illecite pressioni una pronuncia favorevole a questi ultimi».

    Poi Mormino era stato interrogato. E il suo faccia a faccia con i magistrati non era stato una passeggiata. Inizialmente aveva affermato «di aver intrattenuto con Spadaro rapporti di natura esclusivamente professionale, di non aver ricevuto pressioni per avvicinare i membri di un collegio penale e che con il medesimo si dava del lei». Ma era una bugia e non appena gli erano state contestate le intercettazioni con il capomafia, anche Mormino l’aveva dovuto confermare.

    Teso e preoccupato, il futuro vicepresidente della Commissione Giustizia, aveva insomma cambiato versione arrivando persino ad ammettere di aver tenuto «un comportamento inopportuno dal punto di vista deontologico», visto che quando l’amico mafioso gli aveva chiesto di darsi da fare per trovare il modo di aggiustare il processo sulla confisca dei beni della famiglia Spadaro lui «aveva ritenuto di scegliere la via del rifiuto non perentorio». [...] Alla fine però Mormino a Firenze era stato prosciolto «per difetto di dolo».

    La prova che il legale avesse agito «con l’intenzione di favorire la latitanza» del boss non c’era. Gli incontri tra lui e «l’Agnelli di Palermo» anche se avvenuti a casa, persino alla mezzanotte di domenica, attenevano sempre i processi in cui il narcotrafficante era coinvolto, mentre le persone che, stando alle telefonate, dovevano in qualche modo essere contattate per ammorbidire la sentenza nei confronti dei suoi familiari avevano «escluso che il Mormino [avesse] in concreto svolto su di loro pressioni di qualsiasi genere per indurli a fare raccomandazioni a favore del suo assistito.
    tratto da
    "I complici - Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento" (Fazi Editore) di Peter Gomez e Lirio Abbate in libreria da venerdì 9 marzo.

    http://www.isolapossibile.it/article...d_article=2005

  2. #2
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    Veramente non ci fosse di peggio dall'altra parte ci sarebbe da mandarli in culo.

  3. #3
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    la mancanza di commenti denota il livello culturale e politico a cui e' arrivato il nostro Paese

  4. #4
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    king, se sei per bene e ami l'italia davvero, non votare e non fare votare PD, vogliono assassinare pure la Cgil, nelle conferenze di organizzazione a cui ho partecipato parlano gia' di fusione con cisl, sindacato unico, stanno distruggendo pezzo dpo pezzo cio' che di buono c'e' nel nostro paese, cinici e spietati, che guardano solo alla conservazione del potere...
    di altro e' rimasto poco e o stiamo perdendo, ingoiando tutto, BASTA

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da RossoDOC Visualizza Messaggio
    la mancanza di commenti denota il livello culturale e politico a cui e' arrivato il nostro Paese
    Stai calmino.

    E' un po' lunghetto e prima di commentare vorrei leggere. Comunque a occhio è molto interessante.

  6. #6
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    La foto del tuo avatar indica già un problema.. Tu sai già per chi votare e fai bene... Auguri..

    Chiedevo.. Ci sono delle sentenze da leggere?

  7. #7
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    ma ragioni solo per sentenze?

    ma hai letto?

    e' come dire ad esempio che al capone era una persona per bene perche' non c'erano sentenze?

    ma sei solo cinico o sei un bananas e non ci arrivi?

  8. #8
    vae victis
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    Citazione Originariamente Scritto da RossoDOC Visualizza Messaggio
    king, se sei per bene e ami l'italia davvero, non votare e non fare votare PD, vogliono assassinare pure la Cgil, nelle conferenze di organizzazione a cui ho partecipato parlano gia' di fusione con cisl, sindacato unico, stanno distruggendo pezzo dpo pezzo cio' che di buono c'e' nel nostro paese, cinici e spietati, che guardano solo alla conservazione del potere...
    di altro e' rimasto poco e o stiamo perdendo, ingoiando tutto, BASTA
    Io e la Cgil siamo agli antipodi.
    Quindi mi hai dato un motivo in più per votare! ..

  9. #9
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    king, non parlo da cgiellino, anche io sono in rotta ultimamente...

    ti parlo di moralita', ti facevo un esempio, e' la stessa classe dirigente, stai solo attento, pensaci.

    ciao

  10. #10
    vae victis
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    Citazione Originariamente Scritto da Saint-Just Visualizza Messaggio
    La foto del tuo avatar indica già un problema.. Tu sai già per chi votare e fai bene... Auguri..

    Chiedevo.. Ci sono delle sentenze da leggere?
    Quelli che leggi sono stralci della sentenza di archiviazione.

 

 
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    Ultimo Messaggio: 27-10-07, 19:34
  3. Leggete tutti....
    Di gerardo1961 nel forum SS Lazio
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 06-09-07, 19:43
  4. Leggete tutti!!!
    Di RibelleSano nel forum Fondoscala
    Risposte: 7
    Ultimo Messaggio: 10-10-06, 13:47
  5. LEGGETE: ecco dove troveranno i soldi!!!
    Di svicolone nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 29
    Ultimo Messaggio: 10-09-06, 13:40

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