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Risultati da 1 a 7 di 7

Discussione: Il Pozzo dei Giganti

  1. #1
    1° Agosto 1537
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    Predefinito Il Pozzo dei Giganti

    Su 'st' altro thread posteremo tutte le più valide analisi teoriche di fase de' filosofi di Sinistra e Libertà o esterni al cartello, come ad esempio Costanzo Preve e Gianfranco La Grassa.
    Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    ... però che, come su la cerchia tonda
    Montereggion di torri si corona,
    così la proda che ’l pozzo circonda
    torreggiavan di mezza la persona
    li orribili giganti, cui minaccia
    Giove del cielo ancora quando tuona...

    ...ché dove l'argomento della mente
    s'aggiunge al mal volere ed alla possa,
    nessun riparo vi può far la gente...

    Dante, Inferno, XXXI, 40-45 e 55-57.

    Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    E' d' uopo inaugurare il thread de' Giganti con le tesi di Nichi intitolate: "Un nuovo inizio, un altro partire"

    Pubblichiamo l'intervento introduttivo del seminario di Rifondazione per la Sinistra a Chianciano.

    “A distanza di pochi mesi noi torniamo a Chianciano, nel luogo in cui la storia di Rifondazione comunista è precipitata dentro un buco nero. Nel breve intervallo di tempo che ci separa dal luglio afoso del congresso del Prc, il mondo ha conosciuto straordinari cambiamenti, un vero passaggio d’epoca ha liquidato tante leggende e superstizioni ideologiche che hanno innervato il racconto egemonico della globalizzazione liberista, si è rotto il livido mappamondo che ruotava sull’asse della teocrazia finanziaria e della guerra infinita, sono esplose in forme spettacolari contraddizioni che dicono di una crisi strutturale del nostro ambiente sociale e del nostro ambiente naturale. Ma, a dispetto di questo vorticoso accumulo di punti di crisi e di accelerazioni della storia umana, tutti noi siamo rimasti come immobili, risucchiati nel gorgo della contesa intestina, prigionieri della deriva populistica e identitaria del nostro partito, sgomenti per la torsione vetero-comunista di una vicenda, quale quella di Rifondazione, che fin dall’inizio e fin dal suo stesso nome si era presentata ed era cresciuta come un cantiere di revisioni culturali e di innovazioni politiche. Siamo stati comunisti non per un bisogno di fedeltà al passato, ma per un bisogno di libertà del presente e del futuro. Siamo comunisti non per replicare, nei secoli dei secoli, una storia codificata, una liturgia monotona, una forma statica che contiene una verità rivelata: ma per liberarci dai fantasmi e dai feticci di un mondo che strumentalizza la vita, mercifica il lavoro, distrugge la socialità.

    Leggi tutto l'intervento sul blog www.nichivendola.it
    Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor

  4. #4
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    E dopo Nichi, un intervento del grande Gianfranco La Grassa sulla politica di fase:

    BRICOLAGE di Giellegi

    Difficile credere che le ultime, spinte, dichiarazioni antifasciste di Fini siano espresse in buona fede. Si può cambiare d’opinione anche radicalmente; ma solitamente, però, le persone serie lo fanno mediante una severa disamina autocritica ed una nuova analisi di dati percorsi storici e intellettuali. Ricordo che quando Lucio Colletti passò da marxista a liberale (e forse anche liberista), fu insultato e trattato da rinnegato dalla sinistra (che di rinnegamenti se ne intende). Tuttavia, egli scrisse tre o quattro libri per spiegare, filosoficamente e politicamente, i motivi per cui cambiò schieramento teorico e pratico. Al di là della simpatia o meno per il personaggio, e senza dare per scontato che non esistesse nemmeno un briciolo di opportunismo, resta il fatto che il suo capovolgimento di posizione fu spiegato in base a precise argomentazioni anche assai analitiche.
    Fini invece ha agito con le medesime modalità dei piciisti subito dopo il crollo del “socialismo reale”. Ha mutato opinioni esattamente come si cambia di vestito o di camicia; e per di più in un “opportuno” tornante storico, quando ha avuto la sensazione di poter occupare sempre più impor-tanti posizioni politiche: non anche ideali ma solo di “potere” (lasciamo stare di che razza di potere si tratti, e al servizio di chi). Dunque, tutti i dubbi sono leciti, anzi molto forti. Tuttavia, nemmeno questo è ciò che interessa di più, poiché riguarda in fondo la sua coscienza.
    E’ invece inaccettabile, dal mio punto di vista ovviamente, l’operazione compiuta a favore – solo oggettivamente? – di una certa interpretazione dell’antifascismo e, dunque, della Resistenza. I grandi “antifascisti” sono per Fini quelli più moderati – molti dei quali non lo furono che alla fine del fascismo; e comunque non fecero anni di galera, confino, lotta in montagna a contatto quotidiano con la morte, ecc. – cioè quelli liberali, di “Giustizia e Libertà”, e affini. Al di là del rispetto per figure come Piero Calamandrei e altri del genere, sia chiaro che il “nocciolo duro” della Resistenza, magari pure con errori (ma tali secondo l’ottica dei “vincitori”, e vincitori perché legati agli Usa nella divisione del mondo fatta a Yalta), è stato costituito dai comunisti. Si dà il caso che, forse sba-gliando (ma sempre dal punto di vista appena accennato), questa Resistenza voleva anche avere a-spetti di rivolgimento sociale.
    L’antifascismo odierno fa schifo proprio perché ha cancellato tale intenzione, riducendo la dura clandestinità sotto il regime (che era negli anni trenta popolare e appoggiato da molti antifascisti dell’ultima ora, i “padri spirituali” di quelli odierni), e poi la guerriglia partigiana, a semplice lotta per la liberazione dallo straniero – per essere occupati da un altro, il cui merito era di aver vinto e di renderci suoi servi – e per la “democrazia e libertà”, di cui vediamo sempre meglio il vero volto. Tuttavia, questi antifascisti da burletta ci vogliono far credere che siamo adesso in preda ad un altro fascismo: quello di Berlusconi, di cui diremo meglio più avanti. Qui interessa notare che questi au-tentici imbroglioni (di sinistra, ivi compresi i “rinnegati” del Pci negli anni ’90) si inchinano ora re-verenti di fronte a Fini che, almeno “ufficialmente” si è unito, direi quasi fuso, con il partito berlu-sconiano nel nuovo calderone detto Pdl. Tutti questi omaggi resi da ogni parte all’antifascismo che fa schifo (vera accozzaglia di “traditori” dell’autentica Resistenza e dei suoi aneliti sociali), sono il sintomo delle mene che i settori più reazionari delle nostre forze politiche – al servizio degli Usa e della nostra GFeID, l’industrial-finanza più arretrata e parassitaria – stanno conducendo per mante-nere un potere effettivamente antidemocratico, fondato su basse mediazioni di lobbies devastanti e roditrici della nostra ricchezza.
    Berlusconi è solo interessato a galleggiare su questa immane cloaca, se ne distanzia a volte non per convinzione e “altra strategia”, ma solo per tenere a bada la “banda di lupi” che lo vede comun-que come un ostacolo sulla strada del suo disegno apertamente reazionario e di reale forte autorita-rismo, perseguito con la politica di divisione dei settori più popolari, mettendoli gli uni contro gli altri, onde “derubarli” tutti insieme, approfittando adesso anche della paura della crisi, reale ma pure alimentata da “alcuni” per meglio approfittare del “si salvi chi può”.

    Brano tratto dal sito http://splinder.ripensaremarx.com
    Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor

  5. #5
    Fu fgc.adelfia
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    ho spostato l'intervento di nichi
    in un 3ad a parte.
    Qui come hai detto tu,pensieri filosofici

  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    Propongo a' naviganti questo pezzo del filosofo Costanzo Preve, perchè mi sembra una buona base di partenza per porre le fondamenta della rielaborazione teorica di Sinistra e Libertà.


    [...] Nel triennio 1989-1991, triennio che conclude il cosiddetto “secolo breve” (Eric Hobsbawm) avviene la dissoluzione della CASA MADRE del comunismo storico novecentesco realmente esistito. [...]
    Vi sono state molte cause e molte concause, e quindi la spiegazione di questa dissoluzione non può essere monocausale. E tuttavia una causa principale e dominante c’è, non ha nulla a che fare con una presunta “burocrazia” e neppure con l’erompere delle cosiddette “questioni nazionali” ed un fine neppure con il cosiddetto “ritardo tecnologico” (tre concause, ma anche, tre concause del tutto secondarie). Questa causa principale non riguarda né le forze produttive né l’ideologia, ma i buoni vecchi rapporti di produzione sociali. Si è trattato di una vittoriosa controrivoluzione di massa dei nuovi ceti medi sovietici, cresciuti sulla base della stessa modernizzazione industriale di origine staliniana in rivolta contro un dispotismo operaio egualitario e livellatore che essi ormai non sopportavano più. Il 1991 è stato la chiusura di un ciclo storico apertosi nel 1917 e durato quanto una vita umana media (74 anni). Non si è trattato della fine del
    comunismo in generale. Si è trattato della fine di un comunismo storicamente determinato, quello della dittatura politica della classe operaia salariata e proletaria, che per affermare stabilmente la sua egemonia deve necessariamente dotarsi di un appartato partitico-statuale dispotico, perché se non lo facesse la
    sua pittoresca incapacità di autogoverno politico e di autogestione economica avrebbe portato nel giro qualche mese o anno ad un inevitabile casino dissolutivo.
    Questo significa che il comunismo forse potrà ripartire in futuro, ma se lo farà sarà sicuramente su altre basi. E con questo fine di questa mia sommaria esplicitazione dei miei presupposti storiografici.
    In Italia il mastodonte PCI si sciolse nello stesso triennio 1989-91 più o meno con la stessa logica della casa madre. Come si spiega che invece partiti comunisti come quelli francese, greco e portoghese non lo fecero? La risposta è facile. I tre partiti comunisti sopra indicati erano l’espressione di tribù sociologiche popolari ed operaie minoritarie, integrate da piccoli gruppi di intellettuali fortemente ideologizzati. Erano quindi ideologicamente filo sovietici, ma non sociologicamente simil sovietici.
    Il PCI, invece, aveva una composizione esattamente rovesciata.
    Non era ideologicamente filo-sovietico, mentre era invece sociologicamente similsovietico. Per questo poté sciogliersi in tempo reale, diventando un mercenariato politico disponibile alle privatizzazioni neoliberali ed all’aggressione militare NATO e imperialista, coperta con l’ipocrita foglia di fico dei cosiddetti “diritti umani” (D’Alema nella guerra alla Jugoslavia del 1999).
    L’evoluzione metamorfica PCI-PDS-PS-PD non è spiegabile con motivazioni “morali” (trasformismo, opportunismo, etc. tutti “ismi” tautologici in cui il predicato è analiticamente contenuto nel soggetto), ma con ragioni severamente strutturali.
    Il passaggio da Togliatti a D’Alema non è frutto di “tradimento”,
    ma di severa causalità strutturale. Nata la cosa nel gennaio 1991
    restava però un ampio “residuo”, una nicchia identitaria ed un potenziale bacino elettorale, che bisognava guidare e controllare perché non potesse dar luogo a sbandate estremistiche o a partiti anti-sistema. Per evitare questo, e nello stesso tempo per occupare un bacino elettorale ed una nicchia identitario, nacque
    Rifondazione comunista. Come si vede, nacque male, perché lo sfruttamento di un bacino elettorale e di una nicchia identitario non può sostituire l’assenza di un progetto storico-politico, che a sua volta presuppone una lettura convincente del nuovo capitalismo. Un partito che nasce senza analisi del capitalismo e senza progetto politico conseguente è come un falso medico che si accinge ad operare un malato senza aver frequentato la facoltà di medicina ed ovviamente senza aver frequentato la successiva scuola di specializzazione.
    L’occupazione della nicchia ideologica identitaria e del bacino elettorale avvenne in tre tempi. Nel gennaio 1991 si formò un gruppo dirigente di vecchi politicanti manipolatori (Cossutta, Salvato, etc…). Nell’aprile 1991 si aggiunse la massoneria
    politica del vecchio gruppo politico del Manifesto (Magri, Castellina, Crucianelli, ecc.) Nel giugno 1991, infine, si aggiunsero i dirigenti del ceto politico rimasto disoccupato della vecchia Democrazia Proletaria ( Vinci, Russo Spena, lo stesso Paolo Ferrero). Nessuno di questi tre gruppi possedeva un minimo di capacità di analisi marxista della situazione storica mondiale in trapasso verso un mondo diverso dal precedente, uno straccio di proposta tattica e di visione strategica.
    L’anno seguente, 1992, ebbe luogo in Italia il noto colpo di stato giudiziario extraparlamentare surrealmente denominato “MANI PULITE”. Chiunque avesse posseduto uno straccio analisi marxista e non avesse scambiato Gramsci con Travaglio e l’anticapitalismo per l’antiberlusconismo avrebbe capito in “tempo reale” che la cosiddetta “corruzione” e lo scatenamento della furia plebea contro il cinghialone Craxi non erano che polverone per deficienti, in quanto si trattava invece di distruggere la vecchia classe politica proporzionalistica, keynesiana, statalistica della cosiddetta Prima Repubblica (1946-1992), per intronizzare al suo posto il mercenariato politico PCI-PDS-DS-PD, mercenariato rimasto senza
    committenza e quindi disposto a mettersi al servizio dei nuovi offerenti.
    Ma come nella trilogia fantascientifica di Asimov denominata FONDAZIONE l’apparizione di un Mutante (il Mule) sconvolge i piani dei dirigenti dell’universo, nello stesso modo i golpisti giudiziario-politici di Mani Pulite avevano distrutto il ceto politico democristiano-socialista, ma non avevano potuto far sparire
    magicamente le loro enormi basi elettorali. I golpisti non sono automaticamente sradicatori. Sparano ad altezza d’uomo, ma non hanno scavatrici per andare venti metri sotto terra. E così il miracolo Berlusconi fu il frutto di una pensata pubblicitario-imprenditoriale esemplare nella sua semplicità, e cioè raccogliere
    tutto il ceto politico disponibile al di là delle ridicole appartenenze ideologiche (Fini, Bossi, eccetera) e chiedere il voto delle gigantesche sacche sociologiche elettorali cui i manipulitisti golpisti avevano tolto le dirigenze.
    Qui sta la base del fenomeno Berlusconi, che ovviamente non ha nulla a che vedere con il fascismo. Ma la trogloditica classe politico-intellettuale italiana si era legittimata dopo il 1945 con la surreale ideologia dell’attualità dell’antifascismo in assenza completa di fascismo. E questo per una ragione parimenti strutturale. L’attualità dell’antifascismo in assenza completa di fascismo permetteva di mantenere indefinitamente una casella vuota (la casella del “fascista”, appunto), che si poteva sempre riempire ad infinitum (il fascista Scelba, il fascista Fanfani, il fascista Andreotti, il fascista Craxi, i fascisti delle brigate rosse, il fascista populista Bossi, il fascista Fini, ed infine il super fascista Berlusconi).
    L’ideologia identitaria dell’attualità dell’antifascismo in assenza completa di fascismo permettevano solo di tenere insieme in nome del minimo comun denominatore antifascista tutte le ideologie “radicali” italiane (operaismo, sindacalismo, femminismo, pacifismo, eccetera), ma anche e soprattutto tenere incatenata (sia pure a “guinzaglio lungo”) la rifondazione comunista al ruolo di
    guardia plebea vociante “aggiuntiva” al blocco del centro-sinistra
    ultracapitalistico ed ultraliberale (Dini prima e Prodi poi). Se Berlusconi, infatti, era una forma postmoderna e mediatica dell’eterno ripresentarsi del fascismo, bisognava sempre “a prescindere”fare un fronte “popolare” contro la Bestia Immonda. La storia terminava così nel 1935, e dopo non ce n’era più.
    Tutto il variopinto ceto politico di Rifondazione al di là delle pittoresche e rumorose divergenze tattiche, che richiedono la formazione di cordate politiche incessantemente tessute, ritessute e decomposte, ha sempre concordato sul minimo comun denominatore dell’antiberlusconismo. E Rifondazione è sempre e solo stata l’ala volante e la guardia plebea di questo antiberlusconismo.

    Tratto dal saggio "Brevi note sul Partito della Rifondazione Comunista" di Costanzo Preve, agosto 2008
    www.comunitarismo.it
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  7. #7
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    Predefinito Riferimento: Il Pozzo dei Giganti

    Uno spettro si aggira per il mondo

    Filippo Ghira





    Carlo Marx buonanima, sepolto nel cimitero londinese di Highgate, starà osservando con soddisfazione le rivolte di piazza che, con l’acuirsi della crisi economica, divampano ormai in tutto il mondo e in questi giorni a Londra dove si sta tenendo la riunione dei Paesi del G20. La previsione del filosofo di Treviri in buona sostanza era che l’accumulazione di capitale avrebbe raggiunto un tale livello di estensione da formare in tutto il mondo due schieramenti contrapposti. Il primo formato dai capitalisti industriali e finanzieri provvisti di enormi ricchezze, il secondo da una grande massa di diseredati, di poveri e di senza lavoro. Una situazione che non poteva durare a lungo e che avrebbe portato il proletariato industriale a ribellarsi contemporaneamente in ogni angolo del globo e attraverso una “spallata finale” rovesciare i rapporti di forza e di produzione ed instaurare il socialismo.
    Dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine del socialismo di Stato nei Paesi dell’Est, lo spettro che si aggirava per l’Europa, e in prospettiva per il mondo, sembrava essere stato messo in naftalina. Poi le contraddizioni del capitalismo lo hanno fatto riemergere dalla sua tomba. Contraddizioni che tali in fondo non sono perché il capitalismo per sua stessa essenza vive di una incontrollabile voracità. E per sfamarla, cioè per impossessarsi dei beni dell’economia reale, deve poter liberamente spostare i suoi capitali virtuali in tutto il mondo. Il tutto grazie alla benevolenza e alla collusione dei governi che, dopo essersi trasformati nell’agenzia d’affari delle multinazionali, e limitandosi a ridistribuire ogni tanto il reddito per salvare la faccia, hanno abdicato alla loro funzione storica di indirizzare le scelte di politica economica. La crisi finanziaria nata negli Stati Uniti l’anno scorso, e trasformatasi presto in crisi economica globale, è stata colta perfettamente nella sua vera natura dai poveri e dai disoccupati di tutto il mondo. Venire a sapere che un’azienda o una banca licenzia migliaia di dipendenti mentre premia con dei bonus i manager responsabili degli investimenti sbagliati o di ignobili speculazioni non può che fare venire il sangue agli occhi agli interessati. Se in Francia i dipendenti della Caterpillar hanno sequestrato per qualche ora alcuni manager, se il finanziere Pinault, proprietario di diversi marchi del lusso, ha rischiato il peggio con il suo taxi circondato da una folla inferocita, in Gran Bretagna c’è stato l’assalto alla casa privata dell’ex amministratore delegato della Royal Bank of Scotland.
    Un articolo di fondo comparso sul confindustriale “Sole 24 Ore” titolava: “Se la rabbia anti-manager fa più danni dei no global”. Una conferma che nei Palazzi del potere reale ci si rifiuta di comprendere quello che si sta verificando. E cioè che quella parte di popolazione maggiormente toccata dalla crisi non è più disposta a tollerare che i “felici pochi” della finanza continuino a diventare sempre più ricchi mentre tanti, troppo, non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese con stipendi, salari o pensioni di fame. I governi da parte loro non vogliono e non possono ammettere quello che è chiarissimo ai cittadini. E cioè che la crisi non è figlia della mancanza di concorrenza e quindi di un vero Libero Mercato ma semmai esattamente del contrario. L’assenza della politica ha infatti permesso che la legge della giungla potesse manifestarsi compiutamente. E in particolare anche gli ex comunisti approdati al liberismo, come tutti i neo convertiti, “sono diventati prigionieri di una dottrina assolutista”, come ha osservato l’economista francese Jean Paul Fitoussi.

    Tratto da www.rinascita.info
    Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor

 

 

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