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    Post Rif: I Pilastri Dell'Eurasia

    Dalla Geografia Sacra alla Geopolitica

    La geopolitica come scienza "intermedia"

    Le concezioni geopolitiche sono divenute da molto tempo i maggiori fattori delle politiche moderne. Esse si muovono tenendo conto di principi generali per analizzare facilmente la situazione di un particolare paese o regione. La geopolitica nella sua forma presente è senza dubbio una scienza di questo mondo, "profana", secolarizzata. Ma forse, tra tutte le scienze moderne, essa conserva in sé la maggiore connessione con la Tradizione e con le scienze tradizionali. René Guénon ha detto che la chimica moderna è l'esito della desacralizzazione di una scienza tradizionale - l'alchimia -- come la moderna fisica lo è della magia. Esattamente allo stesso modo uno potrebbe dire che la moderna geopolitica è il prodotto della laicizzazione e della desacralizzazione di un'altra scienza tradizionale - la geografia sacra. Ma poiché la geopolitica sostiene un ruolo speciale tra le scienze moderne, ed è spesso considerata come una "pseudo-scienza", la sua profanizzazione non è ancora così compiuta e irreversibile, come nel caso della chimica e della fisica. La connessione con la geografia sacra è qui visibile piuttosto distintamente. Perciò è possibile affermare che la geopolitica si trova in una posizione intermedia tra la scienza tradizionale (geografia sacra) e la scienza profana.


    Terra e mare

    I due concetti primari della geopolitica sono la terra e il mare. Proprio questi due elementi - Terra e Acqua - stanno alle radici di ogni rappresentazione qualitativa umana dello spazio terrestre. Tramite l'esperienza della terra e del mare, di terra e acqua, l'uomo entra in contatto con gli aspetti fondamentali della sua esistenza. La terra è stabilità, gravità, fissità, spazio in quanto tale. L'acqua è mobilità, leggerezza, dinamicità, tempo. Questi due elementi sono in essenza le manifestazioni più evidenti della natura materiale del mondo. Essi si trovano al di fuori dell'uomo: tutto è pesante e fluido. Essi si trovano inoltre all'interno di esso: corpo e sangue. (la stessa cosa succede pure a livello cellulare). L'universalità dell'esperienza di terra e acqua genera il concetto tradizionale di Firmamento, dal momento che la presenza delle Acque Superiori (origine della pioggia) nel cielo implica anche la presenza di un simmetrico e necessario elemento terra, territorio, la volta celeste. Ad ogni modo, Terra, Mare, Oceano, sono in essenza le maggiori categorie dell'esistenza terrestre, e per l'umanità è impossibile non vedere in esse alcuni attributi di base dell'universo. Come i due termini di base della geopolitica, essi conservano il loro significato sia per civiltà di tipo tradizionale che per forme esclusivamente moderne di stati, popoli e blocchi ideologici. A livello di fenomeni geopolitici globali, Terra e Mare hanno generato i termini: talassocrazia e tellurocrazia, rispettivamente "potere per mezzo del mare" e "potere per mezzo della terra". La forza di uno stato e di un impero è basata sullo sviluppo preferenziale di una di queste categorie. Gli imperi sono o "talassocratici" o "tellurocratici". Quelli implicano l'esistenza di un paese madre e di colonie, questi di una capitale e di province su una "terra comune". Nel caso della "talassocrazia" il suo territorio non è unificato nello spazio di una terra - cosa che crea un elemento di discontinuità. Il mare - qui stanno sia la forza che la debolezza del "potere talassocratico". La "tellurocrazia", viceversa, ha la qualità di una continuità territoriale. Ma le logiche geografiche e cosmologiche complicano subito lo
    schema apparentemente semplice di questa divisione: la coppia "terra-mare", per reciproca sovrapposizione dei suoi elementi, dà vita alle idee di "terra marittima" e di "acqua terrestre". La terra marittima è l'isola, la base dell'impero marittimo, il polo della talassocrazia. Acque terrestri o acque interne alla terra sono i fiumi, che predeterminano lo sviluppo di imperi terrestri. Proprio sul fiume si situa la città, che è la capitale, il polo della tellurocrazia. Questa simmetria è simbolica, economica e geografica nello stesso tempo. E' importante notare che lo status di Isola e Continente è definito non tanto sulla base della loro grandezza fisica, quanto sulla base della peculiare coscienza tipica della popolazione. Così la geopolitica degli Stati Uniti ha un carattere insulare, nonostante la dimensione dell'America del Nord, mentre l'insulare Giappone rappresenta geopoliticamente un esempio di mentalità continentale, etc. Un ulteriore dettaglio è rilevante: la talassocrazia storica è collegata all'Occidente e all'Oceano Atlantico, mentre la tellurocrazia all'Oriente ed al continente eurasiano. (L'esempio precedentemente citato del Giappone è spiegato, dalla più forte "attrattiva" dell'Eurasia). Talassocrazia e Atlantismo divennero sinonimi ben prima dell'espansione coloniale della Gran Bretagna o delle conquiste Portoghesi-Spagnole. Già sin dall'inizio delle ondate migratorie marittime, i popoli dell'Occidente e le loro culture iniziarono la loro Marcia ad Oriente dai centri localizzati sull'Atlantico. Anche il Mediterraneo crebbe da Gibilterra al Vicino Oriente, piuttosto che nell'altro senso. E al contrario, scavi nella Siberia Orientale e in Mongolia provano che esattamente qui vi furono i più antichi centri di civiltà - il che significa, che le terre centrali del continente furono la culla dell'umanità eurasiana.


    Simbolismo del paesaggio

    Oltre queste due categorie globali - Terra e Mare – la geopolitica opera anche con definizioni più particolari.
    Tra le realtà talassocratiche, vi è una differenziazione tra formazioni marine e oceaniche. Così, ad esempio, la civiltà marina del Mar Nero o del Mare Mediterraneo sono qualitativamente piuttosto diverse dalla civiltà degli oceani, così come le potenze insulari e i popoli che dimorano sulle rive dell'oceano aperto. Divisioni più particolari esistono anche tra le civiltà dei fiumi e quelle dei laghi, collegate ai continenti. Anche la tellurocrazia ha le sue forme particolari. Così è possibile distinguere una civiltà della Steppa e una civiltà della Foresta, una civiltà delle Montagne e una civiltà delle Pianure, una civiltà del Deserto e una civiltà del Ghiaccio. Le varietà di paesaggio nella geografia sacra sono intese come complessi simbolici collegati alla specificità dell'ideologia dello stato, religiosa ed etica dei differenti popoli. E anche nel caso in cui si tratti di una religione universalistica ed ecumenica, la sua concreta manifestazione nell'uno o l'altro popolo, razza o stato sarà egualmente soggetta ad adattarsi in base al contesto locale sacrogeografico. Il deserto e la steppa rappresentano il microcosmo geopolitico dei nomadi. Precisamente nei deserti e nelle steppe la tendenza tellurocratica raggiunge il suo culmine, dal momento che il fattore "acqua" è qui presente in misura minima. Gli imperi del Deserto e della Steppa dovrebbero logicamente essere la testa di ponte geopolitica della tellurocrazia. Come esempio dell'impero della Steppa, uno dovrebbe considerare quello di Gengis Khan, mentre un tipico esempio dell'impero del Deserto è il califfato arabo, sorto sotto la diretta influenza dei nomadi. Le montagne e le civiltà delle montagne rappresentano spesso l'arcaico, il frammentario. I paesi di montagna non solo non sono fonti di espansione; al contrario, vi sono concentrate le vittime dell'espansione geopolitica di altre forze tellurocratiche. Nessun impero ha il suo centro in regioni montane. Da qui il motivo così spesso ripetuto della geografia sacra: "le montagne sono popolate da demoni". D'altra parte, l'idea della conservazione sulle montagne di residui di antiche razze e civiltà è dimostrata dal fatto che i centri sacri della tradizione erano situati precisamente su montagne. E' anche possibile dire che nelle tellurocrazie una montagna corrisponde a del potere spirituale. La logica combinazione di entrambi i concetti - la montagna come immagine ieratica e la pianura come immagine regale - divenne il simbolismo della collina, una piccola o media altura. La collina è un simbolo della potenza imperiale che sorge al di sopra del livello secolare della steppa, ma non raggiunge il limite del potere supremo (come nel caso delle montagne). Una collina è un luogo dove può abitare un re, un conte, un imperatore, ma non un sacerdote. Tutte le capitali dei grandi imperi tellurocratici sono situati su una collina o su colline (spesso su sette colli - il numero dei pianeti; o su cinque - il numero degli elementi, compreso l'etere; e così via). La foresta nella geografia sacra è vicina alla montagna in un preciso senso. Il simbolismo dell'albero è correlato al simbolismo della montagna (sia questa che quello designano l'asse del mondo). Perciò nelle tellurocrazie anche la foresta assume una funzione marginale - essa è il "luogo dei sacerdoti" (druidi, maghi, eremiti), ma anche allo stesso tempo il "luogo dei demoni", residui arcaici di un passato scomparso. Neppure la zona della foresta può essere il centro di un impero terrestre. La tundra rappresenta l'analogo nordico della steppa e del deserto, sebbene il clima freddo la renda molto meno significativa dal punto di vista geopolitico. Questa perifericità raggiunge il suo culmine nei ghiacci che, similmente alle montagne, sono zone profondamente arcaiche. E' indicativo che la tradizione sciamanica eschimese comporti il partire da solo tra i ghiacci, dove per il futuro sciamano è aperto il mondo dell'al di là. Perciò, i ghiacci sono una zona ieratica, la soglia di un altro mondo. Da queste primarie e più generali caratteristiche della mappa geopolitica, è possibile definire le varie regioni del pianeta a seconda della loro qualità sacra. Questo metodo può anche essere applicato alle configurazioni locali del paesaggio a livello di singoli paesi o anche di singole località. E' anche possibile tracciare le affinità di ideologie e tradizioni dei popoli (apparentemente) più diversi, nel caso in cui il paesaggio naturale sia lo stesso.


    Oriente e Occidente nella geografia sacra

    I punti cardinali hanno nel contesto della geografia sacra una speciale caratteristica qualitativa. Nelle varie tradizioni e nei vari periodi di queste tradizioni, il quadro della geografia sacra può variare secondo le fasi cicliche dello sviluppo di una data tradizione. Perciò anche la funzione simbolica dei Punti cardinali spesso muta. Senza entrare nei dettagli, è possibile formulare la legge più universale della geografia sacra con il riferimento a Oriente e Occidente. La geografia sacra, sulla base del "simbolismo spaziale" tradizionalmente considera l'Oriente come la "terra dello Spirito", il paradiso, la terra della pienezza, dell'abbondanza, la terra Sacra originaria nella sua più piena e perfetta accezione. In particolare, questa idea è rispecchiata nella Bibbia, dove viene trattata la disposizione orientale dell' "Eden". Precisamente tale significato è peculiare di entrambe le tradizioni abramitiche (Islam e Giudaismo), e anche di molte tradizioni non abramitiche - cinese, indù e iraniana. "L'Oriente è la dimora degli dei", recita la sacra formula degli antiche Egizi, e la stessa parola est ("neter" in egizio) significò contemporaneamente "dio". Dal punto di vista del simbolismo naturale, l'Oriente è il luogo ove sale "vos-tekeat" (in russo) il sole, Luce del Mondo, simbolo materiale della Divinità e dello Spirito. L'Occidente ha un significato simbolico opposto. E' il "paese della morte", il "mondo senza vita", "la terra verde" (come lo chiamavano gli antichi Egizi). L'occidente è "l'impero dell'esilio", "la fossa dei reietti", secondo l'espressione della mistica islamica. L'Ovest è "l'anti-oriente", il paese di "zakata" (in russo), decadenza, degradazione, transizione dal manifestato al non manifestato, dalla vita alla morte, dalla pienezza alla penuria, etc. L'Occidente (Zapad, in russo) è il luogo dove il sole se ne va, dove "si inabissa" (za-padaet). Secondo date logiche del naturale simbolismo cosmico, le tradizioni antiche organizzavano il loro "spazio sacro", fondavano i loro centri di culto, luoghi di sepoltura, templi ed edifici, e interpretavano le configurazioni naturali e "civili" dei territori geografici, culturali e politici del pianeta. In questo modo, la struttura stessa di migrazioni, guerre, iniziative varie, ondate demografiche, costituzioni di imperi, etc., era definita dalla originale, pragmatica logica della geografia sacra. Lungo l'asse Est-Ovest furono tracciati popoli e civiltà, in possesso di caratteri gerarchici - più vicini all'Oriente furono quelli più prossimi al Sacro, alla Tradizione, alla ricchezza spirituale. Più vicini all'Occidente, quelli spiritualmente più decaduti, degradati e morenti. Naturalmente questa logica non è assoluta, ma nello stesso tempo non è nemmeno minore o relativa - come oggi viene erroneamente considerata da molti studiosi "profani" di antiche religioni e tradizioni. Sul piano concreto, la logica sacra e il conseguente simbolismo cosmico furono molto più consapevolmente realizzati, compresi e praticati dai popoli antichi, di quello che oggi si pensi. E anche nel nostro mondo profano, a un livello "inconscio" sono quasi sempre preservati degli archetipi di geografia sacra nella loro integrità, e vengono risvegliati nei momenti più rilevanti e critici dei cataclismi sociali. Così la geografia sacra afferma univocamente la legge dello "spazio qualitativo", in cui l'Oriente rappresenta il simbolico "più" ontologico, e l'Occidente il "meno" ontologico. Secondo la tradizione cinese, l'Est è lo Yang, il maschile, la luce, il principio solare, e l'Ovest è lo Yin, il femminile, il buio, il principio lunare.


    Oriente e Occidente nella moderna geopolitica

    Osserveremo come questa logica sacro-geografica sia rispecchiata nella geopolitica che, essendo esclusivamente una scienza moderna, è focalizzata solo sulla situazione fattuale, lasciando fuori dalla struttura i principi più sacri. La geopolitica nelle sue formulazioni originali di Ratzel, Kjellen e Mackinder (e in seguito di Haushofer e degli eurasisti russi) si asteneva proprio dal collegare le strutture dei differenti tipi di civiltà e stati alla loro disposizione geografica. I geopolitici fissarono il fatto di una differenza fondamentale tra i poteri "insulare" e "continentale", tra forme di civiltà "occidentali", "progressiste" e forme culturali "orientali, "dispotiche" e "arcaiche". Poiché in generale la questione dello Spirito nella sua portata metafisica e sacra non si è mai posta nella scienza moderna, i geopolitici la lasciarono da parte, preferendo valutare la situazione in termini differenti, più moderni, piuttosto che attraverso i concetti di "sacro" e "profano", "tradizionale" e "antitradizionale", etc. I geopolitici fissarono negli ultimi secoli le differenze maggiori tra lo sviluppo politico, culturale e industriale di Orientali e Occidentali. Il quadro finale è il seguente. L'Occidente è il centro dello sviluppo "materiale" "tecnologico". A livello ideologico-culturale, vi è prevalenza delle tendenze liberal-democratiche, delle visioni del mondo individualistiche e umanistiche. A livello economico, la priorità è data al commercio ed alla modernizzazione tecnologica. In Occidente apparvero per la prima volta teorie di "progresso", "evoluzione", "sviluppo progressivo della storia", completamente aliene al mondo tradizionale orientale (e pure in quei periodi della storia occidentale, quando anche lì esisteva una rigorosa tradizione sacra, come, in particolare, nel Medio Evo). La coercizione a livello sociale acquistò in Occidente solo un carattere economico e la Legge dell'Idea della Forza fu gradualmente sostituita dalla Legge della Moneta. Gradualmente una peculiare "Ideologia Occidentale" fu espressa nella formula universale dei "diritti umani", che divenne un principio dominate nella maggior parte delle regioni occidentali del pianeta - Nord America e innanzi tutti Stati Uniti. A livello industriale, a questa ideologia corrispose l'idea di "paesi sviluppati", e a livello economico il concetto di "libero mercato", di "liberismo economico". L'intero aggregato di queste strutture, con l'aggiunta dell'integrazione puramente militare, strategica dei differenti settori della civiltà occidentale è definito oggi dal concetto di "atlantismo". Nel secolo scorso i geopolitici parlavano di un "tipo anglosassone di civiltà" o di "democrazia capitalista, borghese". In questo tipo "atlantista" la formula dell' "Occidente geopolitico" trova la sua più incarnazione più pura. L'Oriente geopolitico rappresenta in se stesso la netta opposizione all'Occidente geopolitico. Invece della modernizzazione economica, qui (nei paesi non sviluppati) prevalgono tradizionali, arcaici modi di produzione di tipo corporativo, manifatturiero. Invece della costrizione economica, più spesso lo stato usa la coercizione "morale" o semplicemente fisica (Legge dell'Idea e Legge della Forza). Invece della "democrazia" e dei "diritti umani" l'Oriente gravita su totalitarismo, socialismo e autoritarismo, vale a dire vari tipi di regimi sociali, la sola struttura comune dei quali è che il centro dei loro sistemi non è l' "individuo", l' "uomo" con i suoi "diritti" e il suo peculiare "valore individuale", ma qualcosa di sovraindividuale, di sovraumano - sia esso la "società", la "nazione", il "popolo", l' "idea", la "weltanschauung", la "religione", il "culto del leader", etc. L'Est oppose alla democrazia liberale occidentale i più vari tipi di società non liberali, non individualistiche – dalla monarchia autoritaria fino alla teocrazia e al socialismo. Inoltre, da un puro tipologico punto di vista geopolitico, la specificità politica di questo o quel regime era secondaria in rapporto alla distanza qualitativa tra ordine "occidentale" (= "individualista-mercantile") e ordine "orientale" (= "sovraindividuale - basato sulla forza"). Le forma rappresentative di tale civiltà antioccidentale sono state (o sono) l'URSS, la Cina comunista, il Giappone fino al 1945 o l'Iran di Khomeini. E' curioso osservare che Rudolf Kjellen, il primo autore a usare il termine "geopolitica", illustrò la differenza tra Occidente e Oriente in questo modo. "Una tipica frase preferita degli Americani, -- scrisse Kjellen - è "andare avanti", che significa letteralmente "in avanti". In essa si specchia l'interiore, naturale ottimismo geopolitico e il "progressismo" della civiltà americana, in quanto estrema forma del modello occidentale. I Russi usualmente ripetono la parola "nechego" [niente] (in Russo nel testo Kjellen - N.d.A.). In essa sono espressi "pessimismo", "contemplazione", "fatalismo" e "aderenza alla tradizione", tutti aspetti peculiari dell'Oriente". Se noi ora ritorniamo al paradigma della geografia sacra, noi vedremo la diretta contraddizione tra le priorità della moderna geopolitica (concetti come "progresso", "liberalismo", "diritti umani", "ordine mercantile" etc., sono oggi termini positivi per la maggioranza delle persone) e le priorità della geografia sacra, che valuta i vari tipi di civiltà da un punto di vista completamente opposto (concetti come "spirito", "contemplazione", "rassegnazione alla forza e all'idea sovrumana", "ideocrazia" etc., erano esclusivamente positivi nelle civiltà sacre, e così rimangono ancora oggi per i popoli orientali a livello di "inconscio collettivo"). Così la moderna geopolitica (eccettuati gli eurasisti russi, i discepoli tedeschi di Haushofer, i fondamentalisti islamici, etc.) valuta il quadro mondiale da una prospettiva opposta di quella della geografia sacra. Ma così entrambe le scienze convergono nella descrizione delle leggi fondamentali del quadro geografico delle civiltà.


    Nord sacro e Sud sacro

    Oltre al determinismo sacro-geografico sull'asse Est-Ovest, un problema estremamente rilevante è rappresentato dall'altro asse di orientamento verticale, l'asse Nord-Sud. Qui, così come in tutti i casi restanti, le leggi della geografia sacra, il simbolismo dei punti cardinali e i relativi continenti, hanno la loro diretta analogia nel complesso geopolitico del mondo, sia accumulata nel corso del processo storico, sia consapevolmente e artificialmente formata come risultato di azioni progettate dai leader di tale o talaltra formazione geopolitica. Dal punto di vista della "tradizione integrale", la differenza tra "artificiale" e "naturale" è generalmente piuttosto realativa, dal
    momento che la Tradizione non ha mai conosciuto niente di simile al dualismo cartesiano o kantiano, che
    separano nettamente il "soggettivo" dall' "oggettivo" ("fenomenico" e "noumenico"). Perciò il determinismo sacro di Nord e Sud non è solo un fattore climatico fisico, naturale (cioè qualcosa di "oggettivo") o solo un' "idea", un "concetto" generato dalle mente di un individuo o di un altro (cioè qualcosa di "soggettivo"), ma qualcosa di un terzo tipo, al di là sia del polo oggettivo che di quello soggettivo. Uno potrebbe dire che il Nord sacro, l'archetipo del Nord, si divide nella storia da un parte nel paesaggio naturale nordico, dall'altra nell'idea del Nord, nel "nordismo". Il più antico e originario strato della Tradizione afferma univocamente il primato del Nord sul Sud. Il simbolismo del Nord si riferisce all'Origine, ad un originario paradiso nordico, da dove ebbero origine tutte le civiltà umane. Gli antichi testi iranici e zoroastriani parlano del paese nordico di "Aryiana Vaeijao" e della sua capitale "Vara", da cui gli antichi iraniani furono allontanati dalla glaciazione, mandata loro da Ariman, spirito del Male e avversario del luminoso Ormudz. Anche gli antichi Veda parlano del paese del Nord come della dimora ancestrale degli Hindu, di Sveta-dipa, la Terra Bianca dell'estremo nord. Gli antichi greci parlavano di Hyperborea, l'isola del Nord con capitale Thule. Questa terra era considerata la terra madre del luminoso Apollo. E in molte altre tradizioni è possibile scoprire antichissime tracce, spesso dimenticate e divenute frammentarie, di un simbolismo nordico. L'idea di base tradizionalmente legata al Nord è l'idea del Centro, del Polo Immobile, punto di Eternità attorno cui ruota il ciclo non solo dello spazio, ma anche del tempo. Il Nord è la terra dove il sole non tramonta mai, uno spazio di luce eterna. Tutte le tradizioni sacre onorano il Centro, il Mezzo, il punto dove ogni contrasto si placa, il luogo simbolico non soggetto alle leggi dell'entropia cosmica. Questo Centro, il cui simbolo è lo Swastika (che sottolinea sia l'immobilità e la stabilità del Centro che la mobilità e la mutevolezza della periferia), ricevette nomi diversi a seconda della tradizioni, ma fu sempre direttamente o indirettamente collegato al simbolismo del Nord. Perciò è possibile affermare che tutte le tradizioni sacre sono in essenza la proiezione di una Singola Primordiale Tradizione Nordica adattata a ogni differente condizione storica. Il Nord è il Punto Cardinale scelto dal Logos primordiale per rivelarsi nella Storia, e ognuna delle sue successive manifestazioni reintegrò solamente questo simbolismo primordiale polare-paradisiaco.


    La geografia sacra correla il Nord a spirito, luce, purezza, completezza, unità, eternità

    Il Sud simboleggia qualcosa di direttamente opposto - materialità, oscurità, mescolanza, privazione, pluralità, immersione nel flusso del tempo e del divenire. Anche dal punto di vista naturale, nelle aree polari vi è un grande Giorno che dura metà anno e una grande Notte che dura altrettanto. Sono il Giorno e la Notte degli dei e degli eroi, degli angeli. Anche le tradizioni decadute ricordavano questo Nord cardinale, sacrale, spirituale supernaturale che considerava le regioni nordiche come il luogo abitato dagli "spiriti" e dalle "forze dell'aldilà. A Sud, il Giorno e la Notte degli dei sono frammentati in una serie di giorni umani, viene perduto l'originario simbolismo di Hyperborea, e i ricordi di essa divengono parte della "cultura", della "leggenda". Il Sud generalmente corrisponde spesso alla cultura, ossia a quella sfera dell'attività umana dove l'Invisibile e il Puramente Spirituale acquista contorni materiali, consistenti, visibili. Il Sud è il regno della sostanza, della vita, della biologia e degli istinti. Il Sud corrompe la purezza nordica della Tradizione, ma preserva le sue tracce con caratteristiche materializzate. La coppia Nord-Sud nella geografia sacra non si riduce ad un'astratta opposizione di Bene e Male. È piuttosto l'opposizione dell'Idea Spirituale alla sua grossolana, materiale incarnazione. Nei casi normali, in cui il primato del Nord è riconosciuto dal Sud, tra queste due parti esiste una armoniosa relazione - il Nord "spiritualizza" il Sud, i messaggeri nordici trasmettono la Tradizione ai meridionali, mettono le fondamenta di civiltà sacre. Se il Sud manca di riconoscere il primato del Nord, l'opposizione sacra, ha inizio la "guerra dei continenti", e dal punto di vista della tradizione il Sud è responsabile di questo conflitto per avere violato le regole sacre. Nel Rama- Yana, ad esempio, l'isola meridionale di Lanka è considerata una dimora di demoni che hanno rapito la moglie di Rama, Sita, e dichiarato guerra al Nord continentale che ha per capitale Ayodjya. Perciò è importante sottolineare che nella geografia sacra l'asse Nord-Sud è più rilevante dell'asse Oriente-Occidente. Ma essendo più rilevante, esso corrisponde allo stadio più antico della storia ciclica. La grande guerra del Nord e del Sud, di Hyperborea e Gondwana (antico paleocontinente del Sud) si riferisce ai tempi "antidiluviani". Nelle ultime fasi del ciclo essa diviene più nascosta, velata. Gli stessi paleocontinenti del Nord e del Sud scomparvero. Il testimone dell'opposizione è passato all'Est-Ovest. Lo spostamento dall'asse verticale Nord-Sud a quello orizzontale Oriente- Occidente, tipico delle ultime fasi del ciclo, salva tuttavia la connessione logica e simbolica tra queste due coppie delle geografia sacra. La coppia Nord-Sud (cioè Spirito-Materia, Eternità-Tempo) è proiettata sulla coppia Oriente-Occidente (cioè Tradizione e Profano, Origine e Dissoluzione). L'Est è la proiezione orizzontale della discesa del Nord. L'Ovest è la proiezione orizzontale della salita del Sud. Da tale spostamento dei significati sacri si può facilmente ottenere la struttura della visione continentale peculiare alla Tradizione.


    Il popolo del Nord

    Il Nord sacro definisce uno speciale tipo umano che può avere un'incarnazione biologica, razziale, ma può anche non averla. La sostanza del "nordismo" consiste nella capacità dell'uomo di innalzare ogni oggetto del mondo fisico, materiale, al suo archetipo, alla sua Idea. Questa qualità non è un semplice sviluppo di origine razionale. Viceversa, il "puro intelletto" cartesiano e kantiano per la sua stessa natura non è in grado di superare il sottile confine tra "fenomeno" e "noumeno" - ma proprio questa abilità sta alla base del pensare "nordico". L'uomo del Nord non è semplicemente bianco, "ariano" o indoeuropeo per sangue, lingua e cultura. L'uomo del Nord è un particolare tipo di essere che possiede una diretta intuizione del Sacro. Per lui il cosmo è un intreccio di simboli, ognuno di essi richiamato dal segreto dall'occhio del Primo Principio Spirituale. L'uomo del Nord è un "uomo solare", Sonnenmensch, che non assorbe energia come i buchi neri, ma la emana, riversando luce, forza e saggezza dal suo spirituale flusso di creazione. La pura civiltà nordica scomparve con gli antichi Iperborei, ma i suoi emissari hanno posto le basi di tutte le tradizioni presenti. Questa "razza" nordica di Maestri è stata alle origini di religione e cultura dei popoli di tutti i continenti e di qualsiasi colore di pelle. Tracce di un culto iperboreo si possono trovare tra gli Indiani del Nordamerica e tra gli antichi Slavi, tra i fondatori della civiltà cinese e tra gli aborigeni del Pacifico, tra i biondi tedeschi e tra i neri sciamani dell'Africa Occidentale, tra i pellerossa Aztechi e tra i Mongoli dagli zigomi ampi. Non vi è nessun popolo sul pianeta che non abbia avuto un mito dell' "uomo solare", Sonnenmensch. La vera spiritualità, la Mente sovrarazionale, il Logos divino, la capacità di vedere attraverso il mondo la sua Anima segreta - queste sono le qualità che definiscono il Nord. Dovunque vi siano Purezza e Saggezza Sacra, vi è invisibilmente il Nord - in qualsiasi punto del tempo o dello spazio noi ci troviamo.


    Il popolo del Sud

    L'uomo del Sud, il tipo gondwanico, è direttamente opposto al tipo "nordico". L'uomo del Sud vive in un circuito di effetti, di manifestazioni secondarie; egli abita nel cosmo, che venera ma non comprende. Egli adora l'esteriorità, ma non l'interiorità. Egli conserva con cura tracce di spiritualità, sue incarnazioni nell'ambiente materiale, ma non è capace di passare dal simbolo a ciò che viene simboleggiato. L'uomo del Sud vive di passioni e slanci, egli mette lo psichico davanti allo spirituale (che egli semplicemente non conosce) e venera la Vita come la più alta autorità. Il culto della Grande Madre, della sostanza che genera la varietà delle forme, è tipico dell'uomo del Sud. La civiltà del Sud è una civiltà della Luna che riceve la luce dal Sole (Nord), conservandola e diffondendola per un certo tempo, ma perdendo periodicamente contatto con essa (luna nuova). L'uomo del Sud è un Mondmensch. Quando il popolo del Sud sta in armonia con quello del Nord, cioè riconosce la sua autorità e la sua superiorità tipologica (non razziale!), l'armonia regna tra le civiltà. Quando reclama la sua supremazia per la sua archetipica relazione con la realtà, allora sorge un tipo culturale distorto, che può essere definito globalmente con adorazione di idoli, feticismo o paganesimo (nel senso negativo, peggiorativo del termine). Come nel caso dei paleocontinenti, i puri tipi nordico e meridionale esistettero solo nei tempi antichi remoti. Il popolo del Nord e il popolo del Sud alle origini si opposero l'uno all'altro. In seguito tutti i popoli del Nord penetrarono nelle terre del Sud, fondando espressioni a volte luminose della civiltà "nordica" - antico Iran, India. D'altra parte, quelli del Sud giunsero a volte all'estremo Nord, portando il loro tipo culturale - Finni, Eskimesi, Chuckchi etc. Gradualmente la chiarezza originaria del panorama sacro-geografico divenne torbida. Ma nonostante tutto, il dualismo tipologico del "popolo del Nord" e del "popolo del Sud" fu preservato in tutti i tempi e le epoche - ma non in quanto conflitto esterno di due civiltà miste, ma come conflitto interno tra strutture della stessa civiltà. Il tipo del Nord e il tipo del Sud, da un certo momento della storia sacra, si oppongono ovunque l'uno altro, indipendentemente al luogo concreto del pianeta.



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    Post Rif: I Pilastri Dell'Eurasia

    Il Nord e il Sud nell'Est e nell'Ovest

    Il tipo del popolo del Nord può essere proiettato a Sud, Est e Ovest. Nel Sud la Luce del Nord produsse grandi civiltà metafisiche come l'indiana, l'iraniana o la cinese, che in una situazione di Sud "conservatore" mantennero a lungo la Rivelazione, affidandosi ad essa. Comunque, la semplicità e la chiarezza del simbolismo nordico si trasformò qui in un complesso e misto intreccio di dottrine sacre, sacramenti e riti. In ogni modo, più ci si inoltra nel Sud, più deboli sono le tracce del Nord. E tra gli abitanti delle isole del Pacifico e dell'Africa meridionale, i "motivi" settentrionali nella mitologia e nei sacramenti sono conservati in forma estremamente frammentaria, rudimentale e perfino distorta. In Oriente, il Nord viene espresso nella classica società tradizionale fondata su di una inequivocabile superiorità del sovraindividuale sull'individuale, dove l' "umano" e il "razionale" scompaiono di fronte al Principio sovraumano e sovrarazionale. Se il Sud dà alla civiltà un carattere di "stabilità", l'Est definisce la sua sacralità ed autenticità, la maggior garanzia di ciò che è la Luce del Nord. Nell'Ovest, il Nord si manifestò nelle società eroiche, dove la tendenza, peculiare dell'Occidente, alla frammentazione, individualizzazione e razionalizzazione oltrepassò se stessa, e l'individuo divenendo l'Eroe, abbandonò la struttura limitata della personalità "umana - troppo umana". Il Nord è personificato in Occidente dalla figura simbolica di Heracle che, da un lato libera Prometeo (la pura tendenza occidentale, titanica, "umanistica"), e dall'altro, aiuta Zeus e gli dei a sconfiggere la ribellione dei giganti (cioè si mette al servizio per amore delle leggi sacre e dell'Ordine spirituale). Il Sud, invece, proietta se stesso sugli altri tre punti di orientamento seguendo un'immagine opposta. A Nord, esso dà l'effetto di "arcaismo" e stagnazione culturale. Perfino le più settentrionali, "nordiche" tradizioni "paleoasiatiche", "finniche" o "eskimesi", sotto l'influenza meridionale, acquisiscono i caratteri dell' "idolatria" e del "feticismo". (Questa è, in particolare, la caratteristica della civiltà germano-scandinava nell' "epoca degli Skaldi"). Ad Est, le forze del Sud si esprimono nelle società dispotiche, in cui la normale e giusta indifferenza orientale all'individuo si trasforma nella negazione del grande Soggetto Sovraumano. Tutte le forme di totalitarismo orientale, sia tipologico che razziale, sono collegate al Sud. E infine, ad Ovest il Sud si mostra nelle forme di indivualismo estremamente rozze, materialistiche, in cui gli individui atomici raggiungono il limite della degenerazione antieroica, adorando solo il "vitello d'oro" del comfort e dell'edonismo egoistico. E'ovvio che esattamente tale combinazione delle due tendenze sacro-geografiche dia il tipo più negativo di civiltà, dal momento che le due attitudini, già in se stesse negative - il Sud sulla linea verticale e l'Ovest su quella orizzontale – sono sovrapposte l'una all'altra.


    Dai continenti ai meta-continenti

    Se dalla prospettiva della geografia sacra il Nord simbolico corrisponde univocamente agli aspetti positivi, e il Sud a quelli negativi, in un quadro geopolitico del mondo esclusivamente moderno tutto è molto più complesso, e fino ad un certo punto anche capovolto. La moderna geopolitica intende i termini "Nord e Sud" come categorie completamente differenti rispetto alla geografia sacra. In primo luogo, il paleocontinente del Nord, Hyperborea, già da molti millenni non esiste più a livello fisico, rimanendo una realtà spirituale, su cui è diretto lo sguardo interiore di chi esige la Tradizione originaria. In secondo luogo, l'antica razza nordica, la razza dei "maestri bianchi", abbinata al polo nell'epoca primordiale, non coincide per nulla con ciò che comunemente si intende oggi abbinato alla "razza bianca", basato solo su caratteri fisici, o sul colore della pelle, etc. La Tradizione nordica e la sua popolazione originaria, "nordica autoctona", da molto tempo non rappresenta più una realtà concreta storico-geografica. Per comune giudizio, anche gli ultimi resti di questa cultura primordiale sono scomparsi dalla realtà fisica già da diversi millenni. Perciò, il Nord nella Tradizione è una realtà meta-storica e meta-geografica. La stessa cosa si può dire anche della "razza iperborea" - una "razza" non in senso biologico, ma in quello spirituale, metafisico. (questo tema delle "razze metafisiche" è stato sviluppato dettagliatamente nei lavori di Julius Evola). Anche il continente del Sud e l'intero Sud della Tradizione, non esistono più da molto tempo allo stato puro, non meno della sua antica popolazione. In qualche modo, il "Sud" da un certo momento in poi, divenne praticamente l'intero pianeta, poiché diminuì nel mondo l'influenza del centro iniziatico originario polare e dei suoi emissari. Le moderne razze del Sud rappresentano un prodotto di commistioni multiple con le razze del Nord, e il colore della pelle già da lungo tempo ha cessato di essere il segno distintivo di appartenenza all'una o all'altra "razza metafisica". In altre parole, la moderna descrizione geopolitica del mondo ha assai poco in comune con la visione principiale del mondo nel suo aspetto sovrastorico e meta-temporale. I continenti e le loro popolazioni nell'epoca nostra sono giunti estremamente lontani da quegli archetipi, che a loro corrispondevano nei tempi primordiali. Perciò tra i continenti reali e le razze reali (le realtà della moderna geopolitica), da una parte, e i meta-continenti e le meta-razze (le realtà della geografia sacra tradizionale) dall'altra, oggi non esiste solo una semplice discrepanza, ma quasi una corrispondenza inversa.


    L'illusione del "Nord ricco"

    La moderna geopolitica usa il concetto di "nord" piùfrequentemente con la definizione di "ricco" - "il Nordricco", e anche "il Nord avanzato". Questo caratterizzal'intera aggregazione della civiltà occidentale, che dà lasua attenzione di base allo sviluppo del lato materialeed economico della vita. Il "Ricco Nord" è ricco non peressere più intelligente, o più intellettuale, o piùspirituale del "Sud" ma perché esso costruisce il suosistema sociale sul principio di massimizzare ilmateriale che può essere ricavato dal potenzialesociale naturale, dallo sfruttamento delle risorseumane e naturali. L'immagine razionale del "RiccoNord" è collegata a quei popoli di pelle bianca, equesta caratteristica sta alle radici delle varie versioni,esplicite o implicite, del "razzismo occidentale" (inparticolare anglosassone). Il successo del "ricco Nord"nella sfera materiale fu innalzato a principio politico eanche "razziale" in quei paesi in cui si trovavano leavanguardie dello sviluppo industriale, tecnico edeconomico – cioè Inghilterra, Olanda e in seguitoGermania e Stati Uniti. In questo caso, il benesseremateriale e quantitativo fu equiparato a criterioqualitativo, e su questa base furono elaborati i più ridicolipregiudizi su "barbarismo", "primitività""sottosviluppo" e "sottoumanità" dei popoli meridionali(cioè non appartenenti al "ricco Nord"). Un tale"razzismo economico" fu espresso in modoparticolarmente chiaro nelle conquiste colonialeanglosassoni, ed in seguito una versione colorita fuintrodotta nei più rozzi e contradditori aspettidell'ideologia nazional-socialista. Così, gliideologi nazisti spesso semplicemente mescolavanovaghe congetture sulla pura "nordicità spirituale" esulla "razza spirituale ariana" con il razzismo volgare,mercantilistico, biologico di tipo inglese. (A proposito,precisamente questa sostituzione delle categorie dellageografia sacra con le categorie dello sviluppomateriale e tecnologico fu anche quell'aspetto piùnegativo del nazionalsocialismo che lo condusse, allafine, al suo collasso politico, teoretico e anchemilitare). Ma anche dopo la sconfitta del Terzo Reich,questo tipo di razzismo del "ricco Nord" non scomparvedel tutto dalla vita politica. Ne divennero comunqueportatori innanzi tutto gli USA e i loro partner atlantistinell'Europa occidentale. Certamente, nelle più recentidottrine mondialiste del "ricco Nord" la questione dellapurezza biologica e razziale non è sottolineata, matuttavia, in pratica, nelle sue relazioni con i paesisottosviluppati o meno sviluppati del Terzo Mondo, il"ricco Nord" anche oggi dimostra solo arroganza"razzista", tipica sia dei colonialisti inglesi che deinazionalsocialisti tedeschi seguaci ortodossi diRosenberg. Attualmente, "ricco Nord" geopoliticamentesignifica quei paesi dove hanno vinto le forzedirettamente opposte alla Tradizione - le forze dellaquantità, del materialismo, della degradazione spiritualee della degenerazione emotiva. " Ricco Nord " significaqualcosa di radicalmente distinto da "nordicitàspirituale", da "spirito iperboreo". La sostanza del Nordnella geografia sacra è il primato dello spirito sullasostanza, la definitiva e totale vittoria della Luce,dell'Equità e della Purezza sull'oscurità della vitaanimale, sull'arroganza delle passioni individuali e sul fango dell'egoismo di base. La geopolitica del "RiccoNord" mondialista, al contrario, significaesclusivamente benessere materiale, edonismo,società dei consumi, non problematico ed artificialepseudoparadiso di coloro che Nietzsche chiamò "gliultimi uomini". Il progresso materiale della civiltàtecnologica fu accompagnato da un mostruosoregresso spirituale proprio nella cultura sacra e,conseguentemente, dal punto di vista della Tradizione,la "ricchezza" del moderno "avanzato" Nord non puòservire come criterio di genuina superiorità sulla"povertà" materiale e sull'arretratezza tecnologica del"primitivo Sud" moderno. Inoltre, la "povertà"materiale del Sud assai spesso è per contro legata allaconservazione nelle regioni meridionali di genuineforme di civiltà sacra; questo significa che dietro talepovertà si trova spesso travestita una ricchezzaspirituale. Almeno due civiltà sacre esistono ancoraoggi nello spazio meridionale, nonostante tutti i tentatividel "ricco (e aggressivo!) Nord" di imporre a tutti ipropri criteri e il proprio percorso di sviluppo. Questesono l'India induista e il mondo islamico. Per quantoriguarda l'Estremo Oriente, vi sono vari punti di vista:alcuni vedono, perfino sotto lo strato delle retoriche"marxista" e "maoista", certi principi tradizionali chefurono sempre indiscussi per la civiltà sacra cinese. Adogni modo, anche quelle regioni meridionali abitate dapopoli che conservano la loro devozione per antiche equasi dimenticate tradizioni sacre, tuttavia a paragonedel "ricco Nord" ateizzato e completamentematerialista, dimostrano caratteristiche "spirituali","rigorose" e "normali" - mentre lo stesso "ricco Nord",da un punto di vista spirituale, è completamente"anormale" e "patologico".


    Il paradosso del "Terzo Mondo"

    Il "povero Sud" nei progetti mondialisti è attualmente sinonimo di "Terzo Mondo". Questo mondo fu chiamato
    "Terzo" durante la guerra fredda, e questo concetto presuppose che gli altri due "mondi" – capitalista avanzato e sovietico meno avanzato - fossero più rilevanti e significativi per la geopolitica globale, rispetto a tutte le rimanenti regioni. Di base, l'espressione "terzo Mondo" ha un senso peggiorativo: secondo le logiche utilitaristiche del "ricco Nord", tale definizione attualmente equipara i paesi del "Terzo Mondo" a "terra di nessuno" basi di risorse naturali ed umane che dovrebbero solo ubbidire, essere sfruttate ed essere usate per i propri progetti. Così il "ricco Nord" manovrò abilmente le caratteristiche politico-ideologiche e religiose del "povero Sud", cercando di asservire ai suoi affari esclusivamente materialistici ed economici quelle forze e strutture che come potenziale spirituale superavano di molto il livello spirituale del "Nord". Questo fu ad esso quasi sempre possibile, poiché lo stesso momento ciclico dello sviluppo della nostra civiltà favorisce le tendenze pervertite, anormali e innaturali - dal momento che, secondo la Tradizione, ci troviamo ora nell'ultimo periodo dell"età oscura", il Kali-Yuga. L'Induismo, il Confucianesimo, l'Islam, le tradizioni autoctone dei popoli "non bianchi" divennero per i conquistatori materiali del "ricco Nord" un ostacolo al compimento dei loro progetti, ma nello stesso tempo essi hanno spesso usato degli aspetti separati della Tradizione per raggiungere i loro scopi mercantilistici - sfruttando contraddizioni, caratteristiche religiose o problemi nazionali. Un simile uso utilitaristico dei vari aspetti della Tradizione per scopi esclusivamente antitradizionali è stato un male peggiore del semplice diniego di tutti i valori tradizionali, dal momento che la più grande perversione consiste nel fatto che ciò che è elevato venga asservito all'insignificante. Attualmente " il povero Sud " è "povero" a livello materiale precisamente a causa delle sue attitudini spirituali, che danno sempre agli aspetti materiali dell'esistenza un posizione minore e non importante. Il Sud geopolitico del nostro tempo conserva in generale un atteggiamento esclusivamente tradizionalista verso gli oggetti del mondo esteriore – un atteggiamento calmo, distaccato ed, eventualmente, indifferente – in completo contrasto con l'ossessione materiale del "ricco Nord", con la sua paranoia materialistica ed edonistica. Il popolo del "povero Sud" vive normalmente nella Tradizione, e finora la sua esistenza è più piena, più profonda e anche più magnifica, perché l'attiva compartecipazione alla Tradizione sacra conferisce a tutti gli aspetti delle vite personali quel significato, quell'intensità, quella saturazione delle quali sono stati privati da lungo tempo i rappresentanti del "ricco Nord", resi isterici dalle nevrosi, dalle paure materiali, dalla desolazione interiore, dalla vita completamente senza scopo, che rappresentano solo un lucente caleidoscopio di vetro, solamente un quadro vuoto. Si potrebbe dire che la correlazione tra Nord e Sud nei tempi originari fosse polarmente opposta alla loro correlazione nella nostra epoca, dal momento che è il Sud che ancor oggi preserva alcuni collegamenti con la Tradizione, mentre il Nord li ha definitivamente perduti. Tuttavia questa situazione non copre assolutamente l'intero quadro della realtà, in quanto la vera Tradizione non può mettere in relazione con se stessa un tale umiliante riferimento, come gli atteggiamenti dell'aggressivo-ateistico "ricco Nord" nei confronti del "Terzo Mondo". Il fatto è che la Tradizione è conservata a Sud solo in un modo inerziale, frammentario e parziale. Esso tiene una posizione passiva e resiste, difendendosi solamente. Perciò il Nord spirituale non si è pienamente trasferito a Sud alla fine dei tempi - nel Meridione vi è solamente un'accumulazione ed una conservazione di impulsi spirituali, non appaiati con il Nord sacro. In linea di principio, l'iniziativa attiva tradizionale non può provenire da Sud. E al contrario, il mondialista "Nord ricco" ha manovrato in modo da intensificare il suo pericoloso effetto sul pianeta dovuto alla specificità delle regioni nordiche, predisposte all'attività. Il Nord era e rimane il luogo elettivo della forza, perciò la vera efficienza appartiene alle iniziative geopolitiche provenienti dal Nord. Il "povero Sud" possiede oggi tutta la priorità spirituale prima del "ricco Nord", ma tuttavia non può servire da seria alternativa all'aggressione profana del "ricco Nord", né può offrire un radicale progetto geopolitico in grado di sovvertire il quadro patologico del moderno spazio planetario.


    Il ruolo del "Secondo Mondo"

    Nella rappresentazione bipolare "ricco Nord" - "povero Sud" esiste sempre una componente aggiuntiva che ha un significato autosufficiente e assai rilevante. E' il "secondo mondo". Con l'espressione "secondo mondo" si è convenzionalmente inteso contrassegnare il campo socialista integrato nel sistema sovietico. Questo "secondo mondo" non era né il presente "ricco Nord", in quanto definiti motivi spirituali influenzavano segretamente l'ideologia nominalmente materialistica del socialismo sovietico, né il presente "Terzo Mondo", dal momento che la piena attitudine allo sviluppo materiale, il "progresso" e altri principi solamente profani stavano alle radici del sistema sovietico. La geopoliticamente eurasiana URSS si trova sia sul territorio della "povera Asia" che sulle terre della sufficientemente "civilizzata" Europa. Durante il periodo socialista, la cintura planetaria del "ricco Nord" era interrotta nell'Eurasia orientale, complicando la chiarezza delle relazioni geopolitiche sull'asse Nord- Sud. La fine del "Secondo mondo" come civiltà speciale lascia allo spazio eurasiano della vecchia URSS due alternative - o essere integrato nel "ricco Nord" (cioè, l'Occidente e gli USA) o essere gettato nel "povero Sud", cioè raggiungere il "Terzo Mondo". Come variante di compromesso, la separazione delle regioni (parte al "Nord" e parte al "Sud") è anche possibile. Come sempre è stato nei secoli scorsi, l'iniziativa di redistribuzione degli spazi geopolitici in questo processo appartiene al "ricco Nord" che, usando cinicamente i paradossi dello stesso concetto di “Secondo mondo", fissa nuovi confini geopolitici e separa zone di influenza. I fattori nazionali, economici e religiosi servono ai mondialisti solo come strumenti della loro attività cinica dalle motivazioni profondamente materialistiche. Non è sorprendente che oltre la retorica del falso "umanitarismo", saranno anche spesso e quasi apertamente usate le ragioni "razziste", invocate per ispirare ai Russi un complesso di "bianca" superiorità nei confronti del sud asiatico e caucasico. A questo è correlato il processo inverso – il rigetto definitivo da parte dei territori meridionali del vecchio "Secondo Mondo" per il "povero Sud" si accompagna all'uso della carta delle tendenze fondamentaliste, dell'inclinazione del popolo alla Tradizione e del revival della religione. Il "Secondo mondo", essendosi disintegrato, si trova diviso secondo le linee di "tradizionalismo" (tipo meridionale, inerziale, conservatore) e "antitradizionalismo" (tipo attivamente settentrionale, modernista e materialista). Tale dualismo, che oggi è solo progettato, ma in un prossimo futuro diventerà il fenomeno dominante della geopolitica eurasiana, è predeterminato dall'espansione dell'interpretazione mondialistica del mondo nei termini di "ricco Nord"-"povero Sud". Ogni tentativo di salvare il vecchio Grande Spazio Sovietico, ogni tentativo di salvare semplicemente il "Secondo mondo" come qualcosa di autosufficiente ed autoequilibrato a metà strada tra Nord e Sud (nel loro significato esclusivamente moderno), non può essere coronato da successo, senza mettere in dubbio la fondamentale concezione polare della moderna geopolitica, intesa e realizzata nella sua reale natura, lasciando da parte le ingannevoli dichiarazioni di ispirazione umanitaria ed economica. Il "Secondo mondo" scompare. Non c'è più posto per esso nella mappa geopolitica moderna. Nello stesso tempo, aumenta la pressione del "Nord ricco" sul "Sud povero", essendo un tutt’uno con l'aggressiva materialistica società tecnocratica in assenza di un potere intermedio, che esisteva sino ad oggi – il "Secondo mondo". Per il "Secondo mondo", un destino diverso dalla spartizione totale secondo le regole del "ricco Nord", è possibile solo attraverso un radicale abbandono della logica planetaria di una dicotomia dell'asse Nord-Sud, considerata in una chiave mondialista.


    Il progetto della "Rivolta del Nord"

    Il "ricco Nord mondialista" globalizza il suo dominio sul pianeta attraverso la divisione e la distruzione del "Secondo mondo". Nella moderna geopolitica questo viene anche chiamato il "nuovo ordine mondiale". Le forze attive dell'antitradizione consolidano la loro vittoria sulla resistenza passiva delle regioni meridionali che preservano la loro arretratezza economica e difendono la Tradizione nelle sue forme residuali. Le interne energie geopolitiche del "Secondo mondo" sono messe di fronte ad una scelta - o essere incorporate nel sistema della "cintura settentrionale civilizzata" e strapparsi definitivamente da qualche connessione con una storia sacra (progetto del mondialismo di sinistra), o trasformarsi in un territorio occupato essendo consentito un parziale ripristino di alcuni aspetti della tradizione (progetto del mondialismo di destra). Gli eventi oggi e nel prossimo futuro si svilupperanno in questa direzione. Come progetto alternativo è possibile teoreticamente formulare un differente percorso di trasformazione geopolitica basato sul rifiuto della logica mondialista Nord-Sud e ritornando allo spirito della genuina geografia sacra - per quello che è possibile alla fine dell'età oscura. E' il progetto del "Grande Ritorno" o, in altre parole, della "Grande Guerra dei Continenti". Nei suoi caratteri più generali, l'essenza di questo progetto è la seguente. 1) Il "Ricco Nord" è opposto non al "Sud povero", ma al "Nord povero". Il "Nord Povero" è un ideale, l'ideale sacro del ritorno alle fonti nordiche della civiltà. Un tale Nord è "Povero" perché è basato su un totale ascetismo, su una radicale devozione ai più alti valori della Tradizione, sul completo disprezzo del materiale per amore dello spirituale. "Il Nord Povero" esiste geograficamente solo sui territori della Russia che, essendo in effetti "proveniente dal Secondo Mondo", ha resistito socio-politicamente fino all'ultimo momento all'adozione finale della civiltà mondialista nelle sue forme più "progressive". Le terre eurasiane settentrionali della Russia sono i soli territori sulla Terra che non sono stati completamente dominati dal "ricco Nord", sono abitati da popoli tradizionali e sono una terra incognita del mondo moderno. Il percorso del "Nord Povero" per la Russia significa il rifiuto dell'incorporazione nella cintura mondialista, di arcaizzare le proprie tradizioni e ridurle al livello folkloristico di una riserva etnoreligiosa. "Il Nord povero" dovrebbe essere spirituale, intellettuale, attivo ed aggressivo. In altre regione del "Nord ricco" è pure possibile una potenziale opposizione del "Nord povero" - che potrebbe manifestarsi in un radicale sabotaggio da parte dell'élite intellettuale occidentale al corso prestabilito della "civiltà mercantilistica", in una ribellione contro il mondo della finanza in nome degli antichi ed eterni valori di Spirito, equità, autosacrificio. Il "Nord Povero" inizia un combattimento geopolitico e ideologico con il "Nord Ricco", rigettando i suoi progetti, facendo saltare i suoi piani dall'interno e dall'esterno, battendo la sua incolore efficienza, sfasciando le sue manipolazioni sociali e politiche. 2) Il "Sud Povero", incapace di opporsi da solo al "Nord ricco", stabilisce un'alleanza radicale con il "Nord povero (eurasiano)" e inizia una lotta di liberazione contro la dittatura "settentrionale". E' specialmente importante colpire i rappresentanti dell'ideologia del "Sud ricco", ossia quelle forze che, lavorando nel "Nord ricco", difendono lo "sviluppo", il "progresso" e la "modernizzazione" di paesi tradizionali che praticamente significherà solo una crisi crescente per ciò che resta di Tradizione sacra. 3) il "Nord Povero" dell'Oriente eurasiano, insieme con il "Sud Povero", estendendosi in cerchio attorno all'intero pianeta, concentrano le forze che combattono contro il "Nord ricco" dell'Occidente atlantista. Così si metterà per sempre fine alle versioni ideologicamente volgari del razzismo anglosassone, inneggiante alla "civiltà tecnologica dei popoli bianchi" ed echeggiante la propaganda mondialista. (Alain de Benoist espresse questa idea nel titolo del suo famoso libro "Terzo Mondo ed Europa: la stessa battaglia"[L'Europe, Tiersmonde - même combat]; il suo argomento è, naturalmente, l' "Europa spirituale", l' "Europa dei popoli e delle tradizioni", invece dell' "Europa di Maastricht dei buoni".) Intellettualità, attività e profilo spirituale del genuino Nord sacro fanno le tradizioni del ritorno alle Fonti nordiche, e sollevano il "Sud" a una rivolta planetaria contro il solo nemico geopolitico. La resistenza passiva del "Sud" acquista così un fulcro nel messianismo planetario dei "nordici", respingendo radicalmente la branca degenerata e desacralizzata di quei popoli bianchi che hanno seguito la strada del progresso tecnologico e dello sviluppo materiale. Scoppia la Rivoluzione Geopolitica planetaria sovrarazziale e sovranazionale, basata sulla fondamentale solidarietà del "Terzo Mondo" con quella parte del "Secondo mondo" che rigetta i progetti del "ricco Nord". Durante la lotta, la fiamma della "resurrezione del Nord spirituale", la fiamma di Hyperborea trasforma la realtà geopolitica. La nuova ideologia globale è l'ideologia della Restaurazione Finale, che pone il punto finale alla storia geopolitica della civiltà - ma non quel punto che avrebbero voluto mettere i portavoce mondialisti della Fine della Storia. La variante materialistica, ateistica, antisacrale, tecnocratica, atlantista della Fine si è trasformata in un differente epilogo - la Vittoria finale del sacro Avatar, la venuta del Terribile Destino, che dà a coloro che scelsero volontariamente la povertà, un regno di abbondanza spirituale, e a coloro che preferirono la ricchezza fondata sull'assassinio dello Spirito, eterna dannazione e tormenti nell'inferno. I continenti scomparsi si sono levati dagli abissi del passato. Gli invisibili meta-continenti appaiono nella realtà. Una Nuova Terra e un Nuovo Paradiso sorgono. Questo percorso non è dalla geografia sacra alla geopolitica, ma al contrario, dalla geopolitica alla geografia sacra.

    Questo testo è apparso con il titolo "Ot sakral'noy
    geografii k geopolitike" su Elementy n. 4, e come
    capitolo 7 di "Misterii Evrazii" (mosca 1996).
    Aleksandr Dugin
    Ultima modifica di José Frasquelo; 26-08-10 alle 18:12

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    Post Rif: I Pilastri Dell'Eurasia

    Eurasia-Islam: il Reich del futuro
    di Martin Schwarz


    “L’imperialismo impone, l’Impero compone”

    Julius Evola


    “L’Eurasiatismo è una filosofia aperta, non dogmatica che può essere arricchita con nuovi contenuti: scoperte religiose, sociologiche ed etnologiche, ricerche geopolitiche, economiche, geografiche, culturali strategiche e politiche, ecc. Inoltre la filosofia eurasiatista offre soluzioni originali nei specifici contesti linguistici e culturali: l’Eurasiatismo russo non sarà lo stesso delle versioni francese, tedesca o iraniana. Tuttavia, la struttura fondamentale della filosofia rimarrà invariata“. Alexander Dugin, The Eurasian Idea (evrazia.org, 1)

    L’idea (neo)eurasiatista, come presentata in una visionaria ma distinta struttura ideologica e geopolitica da Alexander Dugin, è nata nel centro del blocco continentale eurasiatico. L’integrazione dell’intero continente da Porto a Vladivostok può essere motivo d’ispirazione, l’importanza risiede nella realizzazione dell’imperativo anti-americano: fermare la crescita dell’influenza e del dominio atlantisti e farli regredire con misure culturali, economiche, politiche e – ovunque necessario – anche militari. I dettagli di una simile integrazione sono tuttavia legati alle circostanze locali. E per quanto appassionanti possano essere le bozze di A.Dugin riguardanti per esempio la saldatura dell’asse Mosca-Teheran, le prospettive e priorità da un punto di vista centroeuropeo e tedesco possono essere differenti, anche se potrebbero convergere in ultima istanza.

    (Nota bene: da chi vive nel territorio degli USA l’idea eurasiatista può essere vista come un’alleata, nella misura in cui essi desiderano interrompere l’avventura imperialista (pseudo)messianica e perciò ridurre gli USA al loro territorio nazionale. In questo senso essi stessi possono seguire l’imperativo anti-americano.)

    Il solo punto di partenza possibile per una ricostruzione ideologica dell’Europa Occidentale, essendo i paesi che la compongono non ortodossi, può essere la Reichsidee, l’idea del Imperium nella forma di evoluzione organica della storia europea. Come “Reich” può essere qui considerata un’unità sovranazionale che non imponga una struttura omogenea a genti, religioni e tradizioni, ma piuttosto le componga sotto una comune idea o meta. Ovviamente non è necessario utilizzare il termine “Reich” per avere un simile ordinamento.

    La sostanza è quel che conta.

    L’idea del Reich, un’eredità dell’Impero Romano e ancor di più una reminiscenza iperborea, è già una sintesi in opposizione al concetto occidentale di stato-nazione totalitario e democrazia liberale, i quali si sposarono con gli interessi dell’imperialista “impero” britannico ed ora con l’impero americano del mercato e del materialismo della globalizzazione atlantista. La Reichsidee viene da un passato lontano, ma i tre maggiori eventi storici del XX secolo non sono altro che tentativi di adattare e interpretare quest’idea.

    Il primo nella Nibelungenbund 2 degli Imperatori Wilhelm di Prussia e Franz-Joseph d’Austria contro l’aggressione delle potenze occidentali (Einkreisungspolitik), ma fatalmente anche contro l’Impero russo, che in quanto terzo detentore della forma cristiana di Imperium, accanto alle versioni prussiana ed austriaca, avrebbe dovuto essere piuttosto un alleato contro le forze della dissoluzione, come nella “santa alleanza”, il cui momento storico è stato lasciato irrealizzato.

    La seconda volta la Reichsidee è stata la forza guida della cosiddetta Rivoluzione Conservatrice in Germania e Austria, dove pensatori come Moeller van den Bruck, Edgar Julius Jung e Othmar Spann hanno riformulato la Reichsidee come un bastione contro la continua e forzata sovversione atlantista condotta attraverso liberalismo e marxismo. Ma in realtà il Reich è stato costituito solo in una forma eretica e deficiente, nel “Terzo Reich” o “Tausendjährige Reich” 3 di Adolf Hitler e Heinrich Himmler, ed ancora una volta l’esclusione della Russia è stata la ragione del suo fallimento finale.

    In terzo luogo sotto la dominazione dei “liberatori” anglo-americani un tentativo di rimodellare la Reichsidee in una Comunità Europea, e quindi Unione, è stato compiuto sulla base della riconciliazione franco-tedesca. Gli impulsi d’indipendenza dalla dominazione americana, in questo caso sono giunti maggiormente dalla sponda francese (gaullista), ed ancora una volta la questione “essere o non essere” sarà l’inclusione o meno della Russia, ed esattamente questa è la questione eurasiatica vista dall’Europa Centrale, o Zwischeneuropa (così chiamata da Giselher Wirsing).

    Ma oggi, all’inizio del terzo millennio, questo non è il solo problema urgente. Parimenti, se non anche più, urgente appare la questione delle relazioni con i vicini paesi islamici, una buona relazione diventando la spina dorsale vitale della geopolitica mediterranea. I paesi islamici sono stati designati quali principali nemici della globalizzazione anglo-sassone e larghe porzioni del mondo arabo sono già occupate dai militari imperialisti USA.

    Sarebbe un errore enorme escludere i paesi islamici dalla prospettiva di una graduale ed organica integrazione nell’Impero Eurasiatico, se l’obiettivo è il contenimento dell’influenza mondiale americana.

    Concetti quali la “Festung Europa”, la fortezza Europa, sono destinati a fallire al pari di qualsiasi concetto d’Europa in opposizione alla Russia. In entrambi i casi solo le forze dell’asse Tel Aviv-Londra-Washington trionferanno con la loro arrogante politica del “divide et impera”. E’ un dato di fatto che simili concetti d’isolazione europea in nome di una romantica Reconquista à la 1492 e 1683 ancora esistono nei cervelli di alcuni esponenti di una “Nuova Destra” identitaria. Questi propagandisti di un’auto-mutilazione di prospettive, guidati da un’irrazionale islamofobia, sono i “crociati dello Zio Sam” o la “fanteria ideologica del Likud”.

    Detto questo, la possibilità di un accomodamento con il mondo islamico dev’essere esplorata. Con chi si può essere cooperativi? Con i regimi corrotti, che sono legati a Washington? Certamente no.

    L’alternativa dev’essere compatibile in termini di struttura sia ideologica che organizzativa con il modello del Reich o Imperium, con la sua gerarchica, ma autonoma, struttura, basata sul rispetto della Tradizione e sull’apertura verso il futuro.

    In effetti il Califfato potrebbe essere l’esatta controparte del Reich e noi suggeriremmo di prevedere il progetto Eurasia-Islam primariamente come l’unità di Imperium (Romano e Cristiano), Reich (Germanico), Terza Roma (Russa) e Califfato (Arabo e Islamico). Così come il Reich ha conosciuto una vasta differenziazione in concetti e contenuti, c’è al momento – e forse sempre – una lotta tra la corretta interpretazione e realizzazione del Califfato, principalmente nei e tra i cosiddetti movimenti islamisti. Dev’essere riconosciuto chi è l’amico e chi il nemico – da un punto di vista tradizionale islamico, ed anche da un punto di vista europeo.

    L’importante conferenza di Mosca, i cui documenti sono stati pubblicati con il titolo “Minaccia islamica o minaccia all’Islam?“, è stata orientata verso la giusta direzione. Il nemico è chiaramente l’Islam wahhabita, alleato di lungo corso degli atlantisti e in conflitto con la Tradizione e la pluralità dell’Islam. La questione dell’alleato non può essere così facilmente risolta in quanto le divergenze tra i rami arabo, turco e persiano devono essere appianate nei regni di quelle genti islamiche. Qualsiasi applicazione di una strategia imperialista di divisione è a lungo tempo controproducente al progetto eurasiatico.

    La visione islamica del Califfato dev’essere sovranazionale al pari dell’Imperium.

    Dunque, per noi il cuore dell’idea eurasiatista è la pacifica coesistenza del Reich europeo con il Califfato islamico sulle basi dell’anti-imperialismo e dell’indipendenza.

    Anche legami con Cina, India e Giappone sono i benvenuti – ed economicamente stanno effettivamente saldandosi – ma non così urgenti come la conciliazione tra l’Europa e i suoi vicini più prossimi.

    L’importante congiunzione tra l’Europa e lo spazio vitale islamico è la Turchia.

    La Turchia è anche un paese dove sviluppi interessanti stanno prendendo corpo. Sembra essere in corso un processo per cui la Turchia svilupperà uno stabile bilanciamento con i suoi vicini arabi e iraniani – contro la politica distruttiva di USA, Israele e, per loro procura, dei Curdi. Un incoraggiamento da parte dell’Europa per la nuova politica di Erdogan e dei suoi islamisti moderati è una necessità urgente, ogni mancanza di riguardo da parte dell’Unione Europea potrebbe rivelarsi disastrosa per gli interessi europei. Anche i rapporti tra le due antiche rivali, Turchia e Russia, stanno migliorando, mentre d’altro canto si può già parlare d’un asse Mosca-Teheran, che è ancora l’obiettivo dell’aggressività statunitense ed israeliana, con il pretesto del “pericolo nucleare”.

    La montante marea di agitazioni anti-turche promosse dai vecchi partiti atlantisti come la CDU e il FPÖ 4, sorrette dai media nelle mani del gruppo Springer, è il più grande ostacolo alla prospettiva di rimpiazzare il vecchio asse Washington-Ankara-Tel Aviv, che ha impedito a lungo l’integrazione eurasiatica, con un asse Parigi-Berlino-Ankara-Teheran.

    Ora, quali sono le prospettive riguardo il propagarsi dell’idea eurasiatica a livello di Weltanschauung 5, e non più solo a livello economico, nell’Europa Centrale?

    C’è un bel salto tra la maturazione della situazione an sich e la consapevolezza della situazione für sich, dovuto alla grande quantità di denaro dei circoli atlantisti e alla mentalmente inerte cosiddetta destra tedesca, e quindi al momento le prospettive anche solo d’influenzare il discorso per questa via sono pessime.

    L’auto-dichiaratasi “Nuova Destra” o “destra intellettuale” non è infatti molto più che un gruppo lobbystico per la piccola frangia destrorsa dei neo-liberal Democratici Cristiani, o nel caso dell’Austria per i nazionalisti tedeschi (che semplicemente negano il XX secolo e ancora vivono nel XIX) del Partito della Libertà, i cui eroi Martin Hohmann o Andreas Mölzer emanano il discreto fascino degli anni ‘50, la “età dell’oro” di questo tipo di conservatorismo con il loro pomposo anti-comunismo e le loro crociate contro i foulard islamici, incapaci d’intravedere più grandi speranze.

    Negli anni ‘60 e ‘70 una persona impressionante come Armin Mohler, considerato la guida spirituale della Nuova Destra tedesca, aiutò a legare i conservatori con la CDU, e il loro più militante partito gemello della CSU, ma perlomeno ha importato l’impulso gaullista e pavimentato la vita per la limitata, ma importante recezione della Nouvelle Droite. Oggi i “mini Mohler” sono ancora legati alla CDU, ma anziché aprire nuovi orizzonti per nuove idee, essi usano le loro energie solo per ruminare gli eroi degli anni ‘50 (Gehlen, Nebel,…) e bloccare idee nuove come le alternative eurasiatica ed euro-islamica (per esempio: Karlheinz Weißmann: Delikatesse gegenüber dem Hegemon, in “Sezession”, n.2 , luglio 2003; o più semplicemente: “Die Aula”, n. 1/2004, Europa oder Eurasien?).

    Le Waffen-SS di Mohler sono state rimpiazzate dai più alla moda Widerstand (terroristi contro il Reich con lo scopo di riappacificarsi agli anglo-americani), ed il resto è nostalgia per le virtù prussiane, venerabili ma irrintracciabili nella realtà. La reale possibilità di una reincarnazione del Reich nell’estensione eurasiatica e con il compagno islamico è impedita per i successi populisti di alcuni candidati più conservatori o “volkstreu” come Hohmann e Mölzer.

    Similmente in Francia alcuni promotori della vecchia “Nouvelle Droite”, ora rivestiti da “Identitaires” investono la loro indiscutibile conoscenza della storia e della geopolitica nella prospettiva di una “Fortezza Europa”, condannata fin dalla nascita per i problemi demografici, essendo niente più che una casa altamente armata ma abitata da anziani, per gli ultimi di ieri.

    Invece il piccolo cuore dell’avanguardia eurasiatica nell’Europa Centrale deve approdare a nuovi lidi, nell’ordine di trovare nuovi spunti della Tradizione eterna, e su questa via diventare i primi del domani.

    L’Eurasia-Islam, il nuovo Reich, è ciò che noi dobbiamo, possiamo e riusciremo a costruire!


    (traduzione autorizzata di Daniele Scalea)

    EISERNE KRONE

    Projekt Eurasien-Islam Eiserne Krone


    Note del traduttore:

    1 La traduzione italiana (realizzata dal sottoscritto) del saggio citato è stata appena pubblicata sul numero 1 (ottobre-dicembre 2004) di Eurasia: rivista di studi geopolitici.

    2 “Lega dei Nibelunghi”.

    3 “Impero millenario”.

    4 E’ doveroso registrare, a proposito, la recente dichiarazione di Jorg Haider a favore dell’ingresso della Turchia nell’UE.

    5 Com’è noto, tale termine è traducibile come “visione del mondo”.

  4. #14
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    Predefinito Rif: I Pilastri Dell'Eurasia

    Imperium. Epifanie dell’idea di Impero

    Autore: Tiberio Graziani

    L’impero è, secondo la generalità degli studiosi di scienze politiche ed in particolare di quelli di geopolitica, una costruzione politica di difficile e complessa definizione. I tratti del “più grande corpo politico conosciuto dall’uomo (1)” che maggiormente colpiscono l’osservatore sono, senza dubbio, quelli relativi alle sue caratteristiche fisiche; in primo luogo la grande estensione territoriale (il gigantismo imperiale), la varietà dei climi e l’eterogeneità del paesaggio geografico. Ulteriori segni distintivi che contribuiscono a definire la fisionomia dell’impero, quale unità geopolitica, sono la plurietnicità, l’autosufficienza economica ed un potere politico e militare coeso.

    I caratteri sopra riportati, tuttavia, non riescono a descrivere pienamente l’impero. Infatti esistono nazioni, stati federati o confederazioni di stati che pur presentando questi stessi elementi, impero non sono. A tal riguardo Philippe Richardot, nel suo Les grands Empires. Histoire et géopolitique (2), riporta il caso del Brasile, del Canada e dell’Unione indiana, cui potremmo aggiungere quello degli Stati Uniti d’America, della Russia e in una certa misura anche quello della Confederazione degli Stati Indipendenti. Questi moderni sistemi politici si estendono su ampie superfici, sono plurietnici, posseggono le condizioni per essere economicamente autosufficienti, ma certamente non sono classificabili, oggi, come imperi. Condividono però con l’impero simili problemi strategici, in particolare quelli connessi con la difesa delle frontiere e la diluizione della potenza militare.

    Se dal piano meramente descrittivo si passa a quello più speculativo, analitico, cercando di individuare la dinamica che anima e sostiene questa particolare unità geopolitica, anche il modello oggi accademicamente più accreditato, quello espresso dalle coppie “centro-periferia” e “dominatori-dominati” (3), che il Richardot giudica determinista, ma seducente per la sua forza semplificatrice, non sembra essere appropriato per dare una definizione o spiegazione dell’impero. I casi riportati dal già citato Richardot che rendono inefficace l’applicazione di questo modello, relativamente alla comprensione dell’impero, sono quelli classici dell’Impero di Alessandro Magno, dell’Impero romano e di quello russo. L’Impero di Alessandro sopravvive alla morte del suo fondatore, spostando il suo centro nell’Egitto dei Tolomei, dunque in una regione periferica dell’edificio realizzato dal Macedone; Roma, a partire dal III secolo d. C., non ha più una sede centrale certa, ma itinerante. Infatti, come osserva Richardot, dal 284 al 305 non c’è più centro né periferia, essendo l’Impero decentralizzato in quattro regioni militari. In seguito Bisanzio, ribattezzata nel 330 Costantinopoli, diventa la seconda capitale dell’Impero, fino a tramutarsi, nel 1453, da città periferica dell’antico impero romano in centro d’irradiazione del sistema imperiale ottomano.

    Un altro caso in cui il modello “centro-periferia” non ci aiuta nella comprensione della costruzione e nel mantenimento dell’ecumene imperiale è fornito dall’impero russo, sia che la sua origine venga fatta risalire alla Rus’ di Kiev, la capitale della odierna Ucraina, che propriamente significa Marca, cioè… periferia, sia che esso venga presentato come un lascito dell’antico impero “nomade” di Gengis Khan (4).

    L’impero non è dunque definibile per il suo gigantismo territoriale, né per la eterogeneità etnica e culturale, né per un centro geografico definito e la sua correlata periferia. La definizione di tale entità geopolitica va trovata, quindi, altrove. Il termine latino imperium esprime l’esercizio dell’autorità di un capo militare, ma l’impero, quale entità geopolitica concreta, sebbene fondi, nella generalità dei casi, il proprio potere sul ceto militare, non sempre segue logiche militari o esclusivamente di potenza, come sostenuto, nella prima metà dell’Ottocento, da Leopold von Ranke (Die Grossen Machte).

    Ciò che contraddistingue e qualifica l’impero rispetto alle altre costruzioni politiche, o più precisamente geopolitiche, sembra essere invece la funzione equilibratrice che esso tende ad esercitare nello spazio che lo delimita.

    Ogni costruzione imperiale persegue infatti l’obiettivo di regolare i rapporti tra le nazioni, i popoli e le etnie che concretamente la costituiscono, in modo tale che le singole particolarità e specificità non siano compromesse l’una a discapito dell’altra, ma al contrario siano salvaguardate e “protette”, in particolare laddove le modeste dimensioni o la scarsa forza militare o economica di una data specificità pongano la stessa in condizioni tali da essere fagocitata e distrutta dai suoi nemici. L’impero assolve tale compito in uno spazio circoscritto e continuo, e la continuità spaziale è certamente un suo tratto distintivo.

    La funzione regolatrice assolta dall’impero trova la propria ragion d’essere, oltre che nella coscienza del comune spazio abitato, soprattutto nella comune visione spirituale, seppur variamente intesa ed espressa nelle culture delle differenti popolazioni dell’impero. Ogni edificio imperiale infatti esprime una unità spirituale che, pur veicolata secondo forme particolari, fa sempre riferimento ad un unico sistema di valori. Ad esempio, il macedone Alessandro che si proclama Re dei Re ed erede dell’impero persiano degli Achemenidi, o il Sultano Mehmet II che, appena conquistata Costantinopoli, si fregia del titolo di Qaysar-i Rum, Cesare romano, testimoniano per questo unico sistema di valori di cui ora essi sono i protettori, i garanti e, soprattutto, i continuatori.

    È proprio a tale unità spirituale, espressa storicamente nella realizzazione di entità geopolitiche imperiali o nella tendenza a costituirle, che i saggi di Claudio Mutti qui raccolti rivolgono la loro attenzione. Una unità che le varie scuole storiografiche razionalistiche hanno contribuito a celare e frammentare a seconda del riduzionismo, generalmente di radice illuministica, che le ha contraddistinte.

    In particolare, quel che viene messo in evidenza nei vari saggi di Mutti è la continuità del mito (o idea) dell’Impero nelle vicende dello spazio eurasiatico, continuità assicurata nella realtà storica da protagonisti di diversa cultura o etnia e dalla loro esplicita volontà di unificare l’Oriente e l’Occidente, cioè l’Asia e l’Europa, quasi volessero, con tale affermazione eroica, rivendicare una unità che il divenire storico (l’entropia o il disordine della manifestazione storica) aveva lacerato. Parallelamente alla funzione regolatrice ed in conformità con essa, l’Impero ne esplica dunque anche un’altra, che potremmo definire “religiosa” nel suo significato etimologico e più profondo: quella che appunto consiste nel “riunire” entro il limes di uno stesso spazio quelle componenti, materiali e spirituali, che contribuiscono a qualificarlo come una coerente, armonica ed organica unità geopolitica. Da questa prospettiva la fase “espansiva” dell’Impero, lungi dal ridursi ad un mero espansionismo territoriale, motivato soltanto dalle preoccupazioni materiali connesse ad ogni politica di potenza, riproduce sul piano storico una necessità d’ordine metafisico, dottrinale, cioè il riassorbimento in un ordine superiore, in questo caso generalmente sopranazionale, delle incomplete, separate ed antagoniste realtà geopolitiche. La realizzazione storica dell’edificio imperiale è pertanto la riproposizione, nel dominio politico-sociale, del kosmos in opposizione al chaos del divenire storico.

    L’impero, quindi, oltre ad essere “il più grande corpo politico conosciuto dall’uomo” è, essenzialmente, la più alta sintesi geopolitica conosciuta dall’umanità intera.

    La continuità dell’idea dell’Impero e la sottesa unità spirituale, che Mutti sottolinea con scrupolosità scientifica, ora trattando della funzione storica e metastorica di figure imperiali quali quelle di Giuliano l’”Imperatore”, di Federico “il Sultano battezzato” o di Attila “il Servo di Dio”, ora evidenziando il significato politico e culturale dell‘Impero “romano turco-musulmano”, ora rilevando nel linguaggio simbolico dell’Antelami temi e argomenti che, in ambiti culturali lontani, ripropongono lo stesso sistema di valori, rafforzano – sul piano della storia interpretata come tentativo di realizzare unità imperiali – l’ipotesi già enunciata nel secolo scorso dal tibetologo Giuseppe Tucci in relazione alla scoperta dell’“unità spirituale eurasiatica”: sintagma che esprime, in parte, ciò che in termini tradizionali è meglio traducibile come “unità essenziale delle tradizioni”. Anche un etnologo ed antropologo di scuola sociologica come Marcel Mauss riconosceva d’altronde, ed è significativo che a ricordarcelo sia un geopolitico, il francese François Thual, che “dalla Corea alla Bretagna esiste una unica storia, quella del continente eurasiatico” (5). Questa unica storia che si dipana nel paesaggio eurasiatico è la storia antica ed attuale degli sforzi imperiali per unificare il continente.

    In chiusura di un testo (6) che non compare in questa raccolta, ma che ne sarebbe un utile e prezioso corollario, il nostro Autore, a proposito di Alessandro il Bicorne, unificatore dell’Europa e dell’Asia, campione dell’idea imperiale, e dunque, potremmo dire, eurasiatista ante litteram, scrive: “la sua figura si colloca sullo sfondo dello spazio eurasiatico, che costituisce non solo lo scenario storico, ma la proiezione spaziale stessa corrispondente all’idea di Impero”.

    Unità spirituale eurasiatica e idea dell’Impero sono dunque indissolubilmente legate; un legame che Imperium di Mutti ha il lodevole merito di riproporre alla nostra attenzione, in un momento storico particolare, quello che vede la nostra più grande patria, l’Eurasia, aggredita dalle potenze talassocratiche d’Oltreoceano. Certamente questo libro non passerà inosservato.



    * * *

    Il presente saggio costituisce l’Introduzione a Claudio Mutti, Imperium. Epifanie dell’idea di impero, Effepi, Genova 2005.

    Note:

    1) Philippe Richardot, Les grandes empires. Histoire et géopolitique, Ellipses. Edition marketing, Paris 2003, p.5.
    2) Philippe Richardot, op.cit., p. 5 e seguenti.
    3) Samir Amin, Lo sviluppo ineguale. Saggio sulle formazioni sociali del capitalismo periferico, Einaudi, Torino 1973.
    4) N. S. Trubeckoj, L’eredità di Gengis Khan, in corso di pubblicazione per le Edizioni Barbarossa, Milano. Vedi anche, dello stesso autore, Il problema ucraino, in “Eurasia. Rivista di Studi Geopolitica”, a. II, n. 2, aprile-giugno 2005.
    5) François Thual, Une entreprise de résistance, prefazione a Pierre Biarnés, Pour l’Empire du monde, Ellipses. Edition marketing, Paris 2003, p. 7.
    6) Claudio Mutti, Ulisse, Alessandro e l’Eurasia, Eurasia :: Rivista di studi Geopolitici.

  5. #15
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Rif: I Pilastri Dell'Eurasia

    "STATO E POTENZA"

    Recensione di Claudio Mutti



    Gennadij A. Zjuganov, Stato e potenza, Edizioni all'Insegna del Veltro, Parma 1999

    "Chissà che cosa diranno a Ravenna, alla sede del club interista-leninista. Chissà che dolore. Non bastava la crisi della beneamata nerazzurra, il trauma dell'esonero di Gigi Simoni e il salto nel buio col romeno Mircea Lucescu. Ci mancava pure la rivelazione che uno dei soci più autorevoli del club ha tenuto rapporti con la destra neonazista europea ed italiana. Il colpevole? Il leader del partito comunista della Federazione russa Gennadij Andreevic Zjuganov. (...) Proprio lui che il 7 settembre 1998 aveva ricevuto dalle mani di Armando Cossutta, allora ancora presidente di Rifondazione comunista e capo di una delegazione del partito a Mosca, la tessera di interista-leninista. Ma come è possibile che l'ex consigliere speciale di Gorbaciov ed ex viceideologo del Pcus sia entrato in contatto con la destra più estremista?"

    Questi interrogativi non se li è posti la "Gazzetta dello Sport", ma il "Corriere della Sera" del 9 dicembre 1998 (in una pagina di politica interna, non in una pagina sportiva), in seguito alla pubblicazione di un ben documentato articolo di Marco Montanari sul periodico di geopolitica "Limes". Quell'articolo tracciava una sintetica storia dei rapporti di Zjuganov con ambienti politici dell'Europa occidentale che sia il "Corriere" sia un "cappello" redazionale di "Limes" definivano sbrigativamente, demagogicamente e falsamente come "neonazisti".

    Un tentativo di rispondere in maniera seria agli interrogativi formulati dal "Corriere della Sera" venne effettuato, dopo la pubblicazione di Stato e potenza presso le Edizioni all'insegna del Veltro, da Adriano Guerra su "L'Unità" del 30 maggio 1999.

    "Che ci fa un libro di un comunista russo - scriveva Adriano Guerra - in una collana diretta da Mutti? Basta aprire il libro e leggere la prefazione dello stesso Mutti (...) per capire che non siamo di fronte ad una stranezza, ad un'operazione editoriale particolarmente spregiudicata. No, Stato e potenza ci sta bene fra i libri di Mutti perché nelle sue pagine circola davvero - filtrata forse attraverso gli scritti di Aleksandr Dugin (...) - quel pensiero "rosso-nero" che in Occidente ha avuto i suoi maestri, più che in Evola, in Jean-François Thiriart (...)".

    Effettivamente, come scriveva il collaboratore dell'"Unità", nel catalogo delle Edizioni all'insegna del Veltro ci sono diversi titoli che possono ben rappresentare il retroterra culturale su cui si innesta il libro di Zjuganov.

    Potremmo citare La setta mondialista contro la Russia, edizione italiana di Rusofobija dell'accademico Igor Safarevic, che assieme a Zjuganov fu uno dei dirigenti del Fronte di Salvezza Nazionale; potremmo citare la raccolta di documenti del gruppo Pamjat intitolata La rinascita del nazionalismo russo; oppure potremmo citare il volume collettaneo La Russia che dice di no, che tra l'altro comprende il manifesto intitolato La parola al popolo, diffuso in Russia dieci giorni prima del cosiddetto putsch dell'agosto 1991 e firmato da dodici esponenti dell'opposizione nazionalpatriottica: intellettuali, politici e militari di varie tendenze, tra i quali appunto Gennadij Andreevic Zjuganov.

    Preferiamo invece parlare di Bizantinismo e mondo slavo di Konstantin Leont'ev e de La Terza Roma, uno studio dello slavista Aldo Ferrari sul pensiero di Leont'ev, ambedue pubblicati dalla nostra casa editrice tra il 1986 e il 1987.

    La nostra edizione di Bizantinismo e mondo slavo è stata l'unica edizione in una lingua diversa dal russo, finché, nel 1999, ne è apparsa una traduzione romena, nella collana di un editore bucarestino che, oltre ai documenti di Pamjat, ha pubblicato anche lo studio di Aldo Ferrari dedicato a Leont'ev, La Terza Roma. Significativa riscoperta del pensiero di un dottrinario del tradizionalismo ortodosso in un paese dell'Est europeo sottoposto alla cocacolonizzazione e allo strangolamento usurocratico.

    Aleksandr Yanov, un ebreo sovietico che, come si soleva dire alcuni anni fa, "scelse la libertà" trasferendosi negli Stati Uniti, in un suo saggio pubblicato nel 1978 dalla University of California attribuì proprio all'opera di Leont'ev un ruolo di primo piano nell'elaborazione dottrinale sviluppata da alcuni circoli russi non ufficiali, sia di ispirazione neobizantina sia di orientamento neostalinista e nazionalbolscevico.

    Da Berkeley, Yanov informava che nel settembre 1968, su un giornale influente e popolare come "Molodaja Gvardija" (il mensile ufficiale del Komsomol, attestato su posizioni decisamente nazionaliste), era uscito un articolo che indicava esplicitamente nell'"idea bizantina" difesa da Leont'ev l'unico mito ("mito" in senso soreliano) in grado di far uscire la Russia dalla "flaccidità e dal torpore" dell'epoca brezhneviana, per prepararla allo scontro finale contro quella civiltà della "sazietà volgare" e della "prosperità materiale" che è l'americanismo.

    Da parte nostra, in una nota editoriale preposta allo studio di Aldo Ferrari su Leont'ev, richiamavamo pure noi l'attenzione su quelle idee di Leont'ev che venivano rielaborate e tradotte in termini di prospettive attuali in alcuni circoli russi, sia del potere sovietico sia della stessa "dissidenza".

    E quando, tredici anni fa, scrivevamo che "il rifiuto del supernazionalismo panslavista si accompagna in Leont'ev (...) a una scelta di campo in favore di un'alleanza della Russia con l'Oriente", indicavamo implicitamente in Leont'ev l'esponente della tendenza eurasiatista; quella tendenza che poi sarebbe stata consapevolmente rappresentata, nel catalogo della nostra casa editrice, da Aleksandr Dugin, con la raccolta di saggi che intitolammo Continente Russia.

    In tale raccolta, dopo aver delineato le prospettive di uno studio della "questione russa" dal punto di vista della geografia sacrale, l'ex consigliere di Zjuganov affronta lo stesso tema traducendolo in termini geopolitici. Ed è così che egli ha modo di collocarsi nel solco dell'eurasiatismo, del quale pone in risalto l'aspetto più propriamente spirituale e tradizionale.

    "Gli euroasiatisti e i loro predecessori, - scrive - come il barone Ungern Sternberg o il dottor Badmaev, non solo svilupparono il progetto teorico della rinascita dello spirito turanico all'interno delle frontiere dell'impero russo, ma anche pensarono di stringere le relazioni con la Mongolia e la Cina (...). Simili piani geopolitici (...) pretendevano di scoprire metafisicamente l'Oriente, restituire alla Russia antichi insegnamenti indù, taoisti, confuciani, buddhisti. Ciò avrebbe cambiato la coscienza russa, portando da un contesto ateo, utilitario, strettamente razionalista e già da molto tempo spiritualmente estenuato (...) al mondo vivo ed integro della tradizione totale d'Oriente (...) Questo progetto elaborato dagli euroasiatisti radicali non presupponeva affatto la scristianizzazione della Russia. Al contrario (...) dialogando con le tradizioni orientali, la Chiesa Ortodossa sarebbe tornata alle fonti metafisiche della fede (...)".

    Il grande nemico del progetto imperiale nutrito dall'eurasiatismo - scrive Dugin - è il mondialismo cosmopolita, la cui manifestazione politico-militare consiste nell'atlantismo. Ecco dunque che Dugin osserva l'America, il vero "impero del male", dalla prospettiva del simbolismo geografico, sicché l'America, l'isola occidentale, ci appare come la terra del tramonto, della decadenza e della morte.

    Oggi Aleksandr Dugin ha poco più di quarant'anni; tuttavia è una personalità molto importante, perché rappresenta il principale punto di intersezione tra il piano della pratica politica "nazionalpatriottica" e il cosiddetto pensiero tradizionale (quale esso è stato formulato in Russia soprattutto da Konstantin Leont'ev e fuori dalla Russia da autori come René Guénon e Julius Evola).

    Dopo essere stato vittima della repressione del KGB, che lo perseguitò in quanto colpevole di "deviazionismo mistico", Dugin fu tra i fondatori del Centro Storico Filosofico EON e dell'omonima casa editrice, specializzata nella pubblicazione di libri che vanno dai testi sacri dell'antichità fino alle opere filosofiche di autori quali Nietzsche e Heidegger. Inoltre Dugin è stato redattore di "Den", il periodico dell'opposizione nazional-patriottica diretto dal narratore Aleksandr Prochanov, e ha fondato una rivista di geopolitica, "Elementy".

    Nel comitato di redazione di "Elementy" figuravano inizialmente: Viktor Alsknis, Alain de Benoist, Dimitrij Makarov, Claudio Mutti, Aleksandr Prochanov, Andrej Sokolov, Robert Steuckers. Successivamente Alain de Benoist chiederà a Dugin di essere cancellato dalla lista dei redattori; gli subentrerà il giornalista serbo Dragos Kalajic.

    In ogni caso, la rivista "Elementy" si è occupata di politica e cultura russa, ha tracciato accurati profili di dottrinari e uomini politici quali Moeller van der Bruck ed Ernst Jünger, Carl Schmitt e Julius Evola, e soprattutto ha pubblicato consistenti inserti di argomento geopolitico.

    Nello specifico settore della geopolitica, Dugin si è potuto avvantaggiare della collaborazione del colonnello Evgenij Morozov, associato della cattedra di studi militari e strategici dell'accademia militare "Frunze" di Mosca, il quale ha introdotto nei quadri dell'esercito lo studio della geopolitica, precedentemente condannata come "pseudoscienza" (anche se Stalin dopo il 1937 liberò tutti i geopolitici sovietici che erano stati internati nel Gulag).

    Il colonnello Morozov, così come gli altri geopolitici della nuova generazione, ritiene che al tentativo occidentale di porre l'ex URSS sotto controllo non sia realistico replicare con ripiegamenti piccolo-nazionalistici o con progetti panslavistici, ma che si imponga la necessità di creare una più vasta unità eurasiatica, attualizzando in tal modo l'idea del Kontinentalblock difesa da Haushofer. Le strade per giungere a ciò sarebbero essenzialmente due: una stretta intesa dell'Europa coi paesi musulmani e la creazione di un asse russo-tedesco, inteso come più salda e più leale ripresa del patto Ribbentrop-Molotov.

    Per quanto concerne l'Islam, il col. Morozov concepisce il complesso dei popoli ex-sovietici come un blocco russo-turco, o, se si preferisce, come un condominio islamo-ortodosso. Morozov ci disse testualmente che una Unione Sovietica restaurata e rifondata su nuove basi avrebbe dovuto immediatamente sollecitare la propria ammissione nella Lega Islamica. Per quanto in particolare riguarda l'Iran, il col. Morozov lo definì "il nostro alleato geopolitico".

    Per tornare a Dugin, quest'ultimo ci illustrò nei termini seguenti la linea di pensiero alla quale si ispirava l'azione culturale del Centro Storico Filosofico EON, del quale abbiamo fatto cenno.

    "Il nostro punto di riferimento è costituito essenzialmente dal magistero di René Guénon e dall'opera di quanti, in un modo o nell'altro, ne hanno sviluppato le indicazioni, vale a dire autori come Julius Evola, Titus Burckhardt, Frithjof Schuon ed altri. Tra i pensatori russi, l'unico che possa essere accostato a questi interpreti delle dottrine tradizionali è, con qualche riserva, Konstantin Leont'ev".

    Di Evola, in particolare, Dugin ha fornito una lettura alquanto diversa da quella che ne è stata data in Italia. Innanzitutto, nell'opera evoliana egli apprezza la formula ghibellina, perché, dice, "una veduta analoga si ritrova anche presso i Russi, il cui destino storico è profondamente legato all'Impero. (...) Per gli Ortodossi russi l'idea stessa di Roma rappresenta la sacralità e l'immanenza del sacro, quasi una 'sinfonia' necessaria e inseparabile di autorità spirituale e potere temporale. Per un tradizionalista ortodosso, la separazione cattolica tra il Re e il Papa non è immaginabile e costituisce un'eresia: l'"eresia latina", per l'appunto. Anche qui - conclude Dugin - si nota la convergenza perfetta tra la dottrina di Evola e la posizione 'normale' del pensiero conservatore russo".

    Inoltre Dugin pone in risalto un altro aspetto di Evola: quel radicalismo intransigente che da un lato caratterizza gli aspetti distruttivi della sua "rivolta contro il mondo moderno" e dall'altro si manifesta sia nelle opere giovanili sia nel conclusivo Cavalcare la tigre. Questo risvolto di Evola, dice Dugin, "ricorda il paradosso politico della Russia attuale, dove i neocomunisti antiliberali fanno fronte comune coi conservatori cristiano-ortodossi. Si pensi anche a certi aspetti storici del bolscevismo russo, nei quali hanno trovato sviluppo, per vie eterodosse e contraddittorie, certe tendenze profonde dell'Ortodossia russa: l'odio per il mondo occidentale e borghese, la ricerca del Regnum, le attese escatologiche, l'esperienza diretta, rivoluzionaria e immediata della Verità". Da ciò Dugin conclude che "tra Evola e la Russia esistono delle corrispondenze relative alla corrente 'conservatrice', 'di destra', ma anche che certi aspetti della 'sinistra' russa, nella sua dimensione profonda e paradossale, possono essere confrontati con gli scritti di Evola".

    Si ammetterà che questa lettura del pensatore tradizionalista italiano si colloca esattamente agli antipodi della lettura che ne è stata fornita, ad esempio in Italia, dagli ambienti della destra politica.

    Quanto a Konstantin Leont'ev, Dugin vede in lui un esponente di quella linea eurasiatista che arriva fino a Zjuganov e costituisce un aspetto fondamentale del retroterra culturale di quest'ultimo.

    Crediamo dunque che valga la pena ricostruire la linea di sviluppo della tendenza eurasiatista. Dopo Leont'ev, l'idea eurasiatista si manifesta in maniera organica e, direi, ufficiale nel 1921, quando il gruppo degli emigrati nazionalbolscevichi di Smena-Vech (accusato dagli altri gruppi dell'emigrazione russa ora di filofascismo ora di filocomunismo) pubblica a Sofia una raccolta di articoli che reca appunto il sottotitolo Manifesto degli eurasiatisti. L'idea centrale degli eurasiatisti era data dalla convinzione che la Russia costituisse un sistema culturale autonomo, né europeo né asiatico, ma, per l'appunto, euroasiatico. Un sistema, cioè, incentrato sulla specifica natura culturale, etnica e geografica della Russia, che, se nei suoi vertici culturali è "bizantina", nella sua base etnica è invece slavo-turanica.

    D'altronde già il neobizantino e turcofilo Leont'ev, polemizzando contro gli slavofili aveva scritto in Bizantinismo e mondo slavo: "Non è opportuno auspicare una nostra fusione con gli Slavi"; e si era detto convinto che per i Russi "la fusione con popoli asiatici e di religione non cristiana {sarebbe} molto più conveniente, per il semplice fatto che tra di loro non è ancora irrimediabilmente penetrato lo spirito moderno".

    Tornando agli eurasiatisti di Smena-Vech, questi insistevano sulla necessità dell'autarchia geoeconomica del continente eurasiatico in rapporto alle potenze marittime e talassocratiche; per loro ogni questione doveva essere considerata innanzitutto in una prospettiva continentale. Mentre Coudenhove-Calergi voleva unificare l'Europa contro l'Asia, gli eurasiatisti di Smena-Vech volevano unificare il continente eurasiatico contro l'Occidente anglosassone, portatore di una cultura materialista, individualista e liberale. Quanto alla Rivoluzione d'Ottobre, gli eurasiatisti nazionalbolscevichi di Smena-Vech oscillavano tra due posizioni: da un lato vedevano in essa una rivolta dell'anima russa contro l'Occidente materialista e capitalista, una rivolta proveniente dalle profondità dell'Eurasia; dall'altro accusavano l'utopismo marxista di avere imposto al popolo russo un altro modello di sviluppo altrettanto occidentale quanto il capitalismo. Accusando il marxismo di essere occidentale e materialista e rifiutando simultaneamente di considerare la Monarchia prerivoluzionaria come un modello politico ideale (la loro parola d'ordine era "né bianchi né rossi"), i nazionalbolscevichi di Smena-Vech rappresentarono, col loro tentativo di dar luogo a una "terza via" e ad un "socialismo eurasiatico", una sorta di "rivoluzione conservatrice" russa.

    In seguito, elementi che potrebbero essere qualificati come "eurasiatisti" sono sempre esistiti nella storia sovietica, fino alla Perestrojka, ma è il periodo di Stalin quello più caratteristico sotto questo profilo.

    Gli eurasiatisti, in particolare Vernadskij (autore di una Storia della Russia tradotta in varie lingue europee), videro nello stalinismo, soprattutto nella fase successiva al 1937, una forma di sviluppo naturale dello Stato russo. D'altronde è noto che anche Rodzaevskij, il capo dei fascisti russi di Kharbin, riconobbe Stalin come il Volksführer russo. (Vittorio Strada ha pubblicato recentemente la lettera di Rodzaevskij a Stalin).

    La tendenza eurasiatista toccò invece i minimi livelli storici nel periodo di Khrushcev, il quale manifestò un maggiore interesse per la politica "oceanica" (Cuba, America Latina, Africa).

    Breznev ritornò in qualche modo al modello staliniano, anche se in una forma fiacca ed inerte. Nel periodo brezneviano, la partecipazione dell'URSS ai conflitti euroasiatici (Vietnam, Vicino Oriente ecc.) e soprattutto la guerra in Afghanistan sono segni eloquenti di una coscienza geopolitica.

    Si può aggiungere che le dottrine strategiche dell'URSS hanno sempre avuto un certo carattere euroasiatista, perché il nemico principale dell'URSS sono stati gli USA, la potenza oceanica e talassocratica per eccellenza. Lo stesso Patto di Varsavia aveva caratteristiche nettamente continentali, in contrasto con una NATO che si basava sulle potenze atlantiche.

    La prospettiva euroasiatista è stata ripresa e divulgata negli ultimi decenni dell'era sovietica dallo storico Lev Gumilev, principale ispiratore del nuovo eurasiatismo. Gli attuali eurasiatisti hanno ben poco in comune con l'indirizzo dominante nel nazionalismo russo e in particolare con lo sciovinismo revanscista di uno Zirinovskij. Infatti, oltre a riprendere le tesi di Danilevskij, Leont'ev e Trubeckoj sulla natura "slavo-turanica" della Russia, il nuovo eurasiatismo sviluppa gli elementi della geopolitica attraverso l'acquisizione delle dottrine di Mackinder, Kjellén, Haushofer, Schmitt e, appunto, di Jean Thiriart, il quale nell'agosto 1992 ebbe a Mosca una serie di incontri con gli esponenti dell'opposizione nazional-patriottica e pubblicò sul periodico "Den" un lungo articolo di geopolitica dal titolo tipicamente eurasiatista: Evropa do Vladivostoka, "L'Europa fino a Vladivostok".

    L'ultima generazione di eurasiatisti riprende così la dicotomia tra la terra e il mare, tra potenze continentali e potenze marittime, dicotomia che è posta alla base di due atteggiamenti psichici e quindi storici assolutamente inconciliabili: da un lato lo spirito imperiale, organico e tradizionale; dall'altro lo spirito del traffico, della mobilità, del progresso; da un lato Roma (o la Terza Roma), dall'altro Cartagine (gli Stati Uniti). In quest'ottica la Russia costituisce il nucleo di quella "Terra centrale", di quel Heartland (secondo la terminologia di Mackinder) il cui possesso è decisivo per il controllo dell'"Isola mondiale", del World Island.

    La prospettiva geopolitica induce gli attuali eurasiatisti a minimizzare la frattura rappresentata dalla Rivoluzione d'Ottobre, sottolineando invece la continuità tra Impero zarista e Stato sovietico, e rivendicando alla nuova Russia lo stesso ruolo di "asse della storia universale" recitato in passato. Ciò, peraltro, non determina in teoria alcuna contrapposizione tra la Russia e le altre nazioni della "Terra centrale". L'eurasiatismo infatti preconizza un blocco continentale esteso da Dublino a Vladivostok, includente anche la Cina, l'India e il Vicino Oriente islamico.

    Quest'ultimo punto è particolarmente importante, in quanto l'eurasiatismo vorrebbe una sorta di "santa alleanza" tra Ortodossia e Islam contro l'Occidente atlantista e mondialista. Il filoislamismo dei nuovi eurasiatisti deriva sì da Leont'ev (che già ai suoi tempi auspicava un asse russo-ottomano contro l'Occidente razionalista e liberale), da Trubeckoj e da Gumilev, i quali hanno sottolineato gli stretti legami etnici e culturali esistenti tra i Russi e i popoli turchi delle steppe eurasiatiche, ma si nutre anche del tradizionalismo di René Guénon, penetrato in Unione Sovietica già negli anni Sessanta.

    Per quanto riguarda l'Islam, bisogna ricordare che le tesi eurasiatiste sono accolte da numerosi intellettuali musulmani, tra i quali mi limito a citare il politologo Shamil Sultanov, uno dei più stretti collaboratori di Aleksandr Prochanov nella redazione del periodico "Den", e soprattutto il filosofo Gejdar Dzemal, che è stato tra i fondatori del Partito della Rinascita Islamica ed ha avuto una parte di grandissimo rilievo nella formazione culturale di Aleksandr Dugin.

    Che molti dei temi caratteristici dell'eurasiatismo siano presenti nel pensiero di Zjuganov, appare evidente a chi legga con attenzione Stato e potenza. È vero, come osserva Montanari nel suo saggio introduttivo, che lo scenario geopolitico disegnato da Zjuganov in questo libro è diverso da quello prospettato da Dugin, in quanto all'impero eurosovietico viene preferito il rapporto privilegiato con Pechino e Nuova Delhi. Tuttavia - e Montanari non manca di riconoscerlo - Zjuganov mantiene intatti i princìpi ispiratori dell'eurasiatismo, allorché afferma la necessità di costituire un Kontinentalblock avverso ai progetti delle potenze oceaniche.

    Quanto ai temi caratteristici del nazionalbolscevismo, vorremmo ricordare alcune considerazioni che Zjuganov ebbe modo di svolgere nel corso di un'intervista rilasciataci il 17 giugno 1992, quando era presidente del Soviet di coordinamento delle forze nazionalpatriottiche di Russia.

    Data l'incredulità e lo stupore suscitati in Occidente dal fatto che il Partito Comunista si era alleato, nel quadro del Fronte di Salvezza Nazionale, con forze politiche di destra, chiedemmo a Zjuganov di spiegare il senso e la ragione di tale alleanza. Ci rispose testualmente: "Tutti coloro che hanno costituito questo blocco, siano comunisti o monarchici, cristiani o conservatori, hanno capito che solo le idee di Stato e di Nazione possono salvare il nostro Paese".

    E qui Zjuganov sviluppò un tema che poi ricevette ampio sviluppo nel nuovo statuto del Partito Comunista: il tema della sintesi del nazionale e del sociale.

    "La nazionalità - disse - è una coordinata verticale nella struttura psicologica di un popolo. Il tipo russo è individuato da un profondo carattere comunitario, quello che si è espresso tradizionalmente nelle grandi assemblee religiose. Ma il tipo russo si esprime anche nella fedeltà, nella lealtà. Queste nostre principali qualità nazionali sono state gravemente colpite dalla Perestrojka. Ora, la giustizia nazionale consiste nel ridare al popolo russo, prima di qualunque altra cosa, ciò che gli appartiene intimamente: le sue basiliche, la sua architettura, le sue canzoni, la sua musica. Il potere che circonda Eltsin è antinazionale. Manca totalmente ad esso il colore russo. E questo discorso - continuò - vale perfettamente anche per la televisione e i mezzi d'informazione. L'altra coordinata, inseparabile dalla giustizia nazionale, è la giustizia sociale: il popolo russo non può esistere se non c'è la giustizia. Non può esistere nemmeno il collettivismo. Ebbene, se non si risvegliano queste due componenti, quella nazionale e quella sociale, io non riesco a vedere nessuna possibilità di rinascita".

    Recensione di "Stato e Potenza"- Fronte Patriottico
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  6. #16
    Ghibellino
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    Predefinito Re: I Pilastri Dell'Eurasia

    Il Fascismo Immenso e Rosso

    Alexander Dugin



    Nel XX secolo solamente tre forme ideologiche hanno potuto provare la realtà dei propri principi in materia di realizzazione politico-statale: il liberalismo, il comunismo e il fascismo.

    Anche volendo, sarebbe impossibile citare un altro modello di società che sia esistito nella realtà e allo stesso tempo non sia una forma delle tre suddette ideologie. Ci sono dei paesi liberali, dei paesi comunisti e dei paesi fascisti (nazionalisti). Gli altri sono assenti. E non possono esistere.

    In Russia, abbiamo passato due tappe ideologiche – quella comunista e quella liberale.

    Manca un fascismo.



    1. CONTRO IL NAZIONAL-CAPITALISMO

    Una delle versioni del fascismo che, pare, la società russa è già pronta ad accettare oggi (o quasi), è il nazional-capitalismo.

    Non c’è quasi alcun dubbio che il progetto del nazional-capitalismo o del «fascismo di destra» è l’iniziativa ideologica della parte d’élite della società che è seriamente preoccupata dal problema del potere e che sente nettamente lo spirito dei tempi.

    Tuttavia la versione «nazional-capitalista», di «destra» del fascismo, non esaurisce affatto l’essenza di questa ideologia. Inoltre, l’unione della «borghesia nazionale» e degli «intellettuali» sulla quale, secondo alcuni analisti, si fonderà il futuro fascismo russo, rappresenta un brillante esempio di un approccio del tutto estraneo al fascismo, sia come concezione del mondo, che come dottrina e come stile. Il «dominio del capitale nazionale» è la definizione marxista del fenomeno fascista. Essa non prende minimamente in considerazione la base filosofica specifica dell’ideologia fascista, ignora coscientemente il pathos di base, radicale, del fascismo.

    Il fascismo è un nazionalismo, ma non importa quale nazionalismo, se un nazionalismo rivoluzionario, ribelle, romantico, idealista, facente appello a un grande mito e all’idea trascendente aspirante a realizzare nella realtà il Sogno Impossibile, partorire la società degli eroi e del Superuomo, trasformare e trasfigurare il mondo. Al livello economico, per il fascismo, i metodi socialisti o socialisti moderati, che sottomettono gli interessi economici personali, individuali, ai principii del bene della nazione, della giustizia, della fraternità, sono caratteristici. Infine, la visione fascista della cultura corrisponde al rifiuto radicale dell’umanesimo, della mentalità «troppo umana», cioè di ciò che costituisce l’essenza degli «intellettuali». Il fascista detesta gli intellettuali. Vede in loro un borghese mascherato, un borghese pretenzioso, un chiacchierone e un fifone irresponsabile. Il fascista ama simultaneamente il feroce, il sovrumano e l’angelico. Ama il freddo e la tragedia, non ama il calore e il conforto. In altre parole, il fascismo non ama niente di tutto ciò che fa l’essenza del «nazional-capitalismo». Esso lotta per il «dominio dell’idealismo nazionale» (e non del «capitale nazionale»), e contro la borghesia e gli intellettuali (e non per quella e con questi). La frase celebre di Mussolini definisce esattamente il pathos fascista: «Viva l’Italia fascista e proletaria!»

    «Fascista e proletario», questo è l’orientamento del fascismo. Operaio, eroico, combattivo e creatore, idealista e futurista, un’ideologia che non ha niente a che vedere con la garanzia di conforto supplementare dello Stato per i mercanti (anche se sono mille volte nazionali) e le sinecure per gli intellettuali e parassiti sociali. Le figure centrali dello Stato fascista, del mito fascista sono il contadino, l’operaio, il soldato. Al disopra, come simbolo superiore della lotta tragica contro il destino, contro l’entropia spaziale – il capo divino, il Duce, il Führer, il Superuomo realizzante nella sua persona sovra-individuale (più che individuale, come «superuomo») la tensione estrema della volontà nazionale verso l’impresa. Certo, da qualche parte in periferia, c’è anche posto per il cittadino bottegaio onesto e il professore di università. Anche loro inalberano le insegne di partito e si incontrano ai meeting. Ma nella realtà fascista, le loro figure si volatilizzano, sono perdute, indietreggiano al fondo. Non è tramite loro e per loro che si fa la rivoluzione nazionale.

    Storicamente, il fascismo puro e ideale non ha mai avuto realizzazione diretta. Nella pratica, i problemi essenziali della presa del potere e della messa in ordine del sistema economico obbligarono i leader fascisti – Mussolini, Hitler, Franco e Salazar – ad allearsi con i conservatori, il nazional-capitalismo dei grandi proprietari e dei capi d’azienda. L’anticomunismo fanatico di Hitler, il capitalismo tedesco rianimato, costò alla Germania la sconfitta contro l’URSS, e credendo all’onestà del re (portavoce degli interessi della grande borghesia) Mussolini fu consegnato nel 1943 dai rinnegati Badoglio e Ciano, che gettarono il Duce in prigione e fra le braccia aperte degli americani.

    Franco riuscì a mantenersi più a lungo, al prezzo di concessioni all’Inghilterra liberalcapitalista e agli USA, e del rifiuto di sostegno ai regimi ideologici suoi simili dei paesi dell’Asse. Inoltre, Franco non fu veramente un fascista. Il nazional-capitalismo è un virus interiore del fascismo, il suo nemico, la garanzia della sua degenerazione e della sua distruzione. Il nazional-capitalismo non è assolutamente una caratteristica essenziale del fascismo, essendo al contrario un elemento accidentale e contraddittorio all’interno della sua struttura.

    Dunque, e nel nostro caso, quello del nazional-capitalismo russo in via di sviluppo, la discussione porta non sul fascismo, ma sul tentativo di sfigurare in anticipo ciò che non può essere evitato. Si può qualificare tale pseudo-fascismo come «preventivo», «anticipatore». Esso si affretta a dichiararsi prima che in Russia nasca e si rinforzi seriamente il fascismo, il fascismo originale, reale, il fascismo radicalmente rivoluzionario che verrà. I nazional-capitalisti sono dei vecchi capi di partito abituati a dominare ed umiliare il popolo, presto divenuti «liberal-democratici» per conformismo, ma adesso che questa tappa è finita anche loro cominciano ad affiliarsi con zelo ai gruppi nazionalisti.

    Le partitocrazie con i loro intellettuali di servizio, avendo trasformato la democrazia in una farsa, si sono probabilmente riuniti per infangare con decisione ed avvelenare il nazionalismo nascente nella società. L’essenza del fascismo: una nuova gerarchia, una nuova aristocrazia. La novità consiste nel fatto che la gerarchia è costruita su dei principi chiari, naturali, organici: il beneficio, l’onore, il coraggio, l’eroismo. La vecchia gerarchia, che aspira a mantenersi oggi nell’era del nazionalismo, come già in precedenza, è fondata su delle facoltà conformiste: la «flessibilità», la «prudenza», il «gusto per gli intrighi», l’«adulazione», ecc. Il conflitto evidente fra i due stili, i due tipi umani, i due sistemi di valori, è inevitabile.



    2. SOCIALISMO RUSSO

    E’ del tutto inappropriato definire il fascismo un’ideologia di «estrema destra». Questo fenomeno è caratterizzato più esattamente dalla formula paradossale di «Rivoluzione Conservatrice». Questa combinazione fra l’orientamento culturale-politico di «destra» – il tradizionalismo, la fedeltà al suolo, le radici, l’etica nazionale – con il programma economico della «sinistra» – la giustizia sociale, la restrizione dell’elemento del mercato, la liberazione dalla «schiavitù della percentuale», l’interdizione dei traffici borsistici, dei monopoli e dei trust, il primato del lavoro onesto. Per analogia con il nazional-socialismo, che si definiva spesso semplicemente «socialismo tedesco», possiamo parlare del fascismo russo come di un «socialismo russo». La specificazione etnica del termine «socialismo» nel contesto dato ha un senso particolare. La discussione porta alla formulazione iniziale della dottrina sociale ed economica, non sulla base dei dogmi astratti dei razionalisti, ma su quella dei principi concreti, spirituali, morali e culturali, che hanno formato organicamente la nazione come tale. Il Socialismo Russo non consiste nei russi per il socialismo, ma nel socialismo per i russi. A differenza dei rigidi dogmi marxisti-leninisti, il socialismo nazionale russo viene da questa comprensione della giustizia sociale che è caratteristica della nostra nazione, della nostra tradizione storica, della nostra etica economica. Un tale socialismo sarà più contadino che proletario, più comunale e cooperativo che statale, più regionalista che centralista – queste sono le esigenze della specificità nazionale russa , che si rifletterà nella dottrina, e non solamente nella pratica.



    3. L’UOMO NUOVO

    Questo socialismo russo dev’essere costruito da un uomo nuovo, «un nuovo tipo d’uomo, una nuova classe». La classe degli eroi e dei rivoluzionari. I detriti della nomenklatura di partito ed il loro usurato regime devono perire come vittime della rivoluzione socialista. Della rivoluzione nazionale russa. I russi si sono stancati della freschezza, della modernità, del romanticismo autentico, della partecipazione vivente ad un grande evento. Tutto ciò che è loro proposto oggi è o assai arcaico (i nazional-patrioti) o assai noioso e cinico (i liberali).

    La danza e l’attacco, la moda e l’aggressione, l’eccesso e la disciplina, la volontà e il gesto, il fanatismo e l’ironia cominceranno a bollire fra i rivoluzionari nazionali – giovani, cattivi, allegri, intrepidi, appassionati, che non conoscono frontiere. Per loro – costruire e distruggere, governare ed eseguire gli ordini, realizzare la pulizia dei nemici della nazione e preoccuparsi teneramente dei vegliardi e degli infanti russi. Con passo furioso e allegro, si dirigeranno verso la cittadella usurata, il Sistema in marciscenza. Sì, hanno sete di Potere. Essi sanno ordinare. Essi soffieranno la Vita nella società, precipiteranno il popolo nel processo voluttuoso della creazione della Storia. Degli uomini nuovi. Infine saggi e coraggiosi. Come devono essere. Percepenti il mondo esteriore come una sfida (secondo l’espressione di Golovin).

    Davanti alla morte, lo scrittore fascista francese Robert Brasillach pronunciò questa strana profezia: «Vedo che ad Est, in Russia, il fascismo rimonta, il fascismo immenso e rosso».

    Ricordate: non il capitalismo appassito, rosa-bruno, ma l’alba abbagliante della nuova Rivoluzione Russa, il fascismo immenso, come le nostra terre, e rosso, come il nostro sangue.
    Il fascismo immenso e rosso (Alexander Dugin) - Fronte Patriottico
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  7. #17
    Ghibellino
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    Predefinito Re: I Pilastri Dell'Eurasia

    UN'IDEOLOGIA PER IL NUOVO SECOLO: L'EURASIATISMO

    "Un fantasma s'aggira per l'Europa": potrebbe forse cominciare così quest'articolo? Difficile dire se l'Eurasiatismo possa un domani ricoprire il medesimo ruolo rivestito dalle vecchie ideologie anti-borghesi nel XX secolo, commettere meno errori, macchiarsi di meno crimini e, soprattutto, aver maggiore fortuna.

    Il XX Secolo è stato animato da un sorgere d'ideali, utopie e ideologie, quante mai se n'erano viste in alcun altro periodo della storia umana. Socialismo, Comunismo, Capitalismo, Fascismo, Nazionalsocialismo, ognuno d'essi elevato alla potenza delle sue innumerevoli varianti e sfumature, si sono affrontati in una lotta all'ultimo sangue. Una lotta per la quale non poteva esservi che un solo vincitore - e a questo sarebbe stato concesso di modellare il Mondo a propria immagine e somiglianza. Tutti sappiamo come è andata a finire: nel giro di pochi decenni le potenze capitaliste, Inghilterra e, soprattutto, Stati Uniti d'America, hanno surclassato e distrutto prima i Nazi-fascismi, poi i Social-comunismi. Ormai incontrastato, il Capitalismo sta disegnando una realtà apocalittica, un mondo completamente asservito alle esigenze della borghesia e, soprattutto, del grande capitale; un mondo in cui il denaro è il solo dio onnipotente e misura di tutte le cose - uomo compreso; un mondo in cui le idee e le speranze non sono nulla, perché nulla è tutto ciò che non porta ad un ricavo materiale. Questo mondo della piattezza e dell'avidità, del conformismo e della prevaricazione, dell'ingiustizia e della violenza, si sta imponendo su tutte le pur millenarie, ma materialmente deboli, realtà tradizionali che ancora sopravvivono. Globalizzazione e Mondialismo: attraverso queste due mortali direttrici il Capitalismo sta realizzando il suo sogno non dissimulato di dominio del Mondo.

    Questa triste realtà delle cose, sin dall'inizio ha suscitato, ed ancora suscita, veementi resistenze, sia d'interi popoli e nazioni, che di singoli individui. Quasi sempre, purtroppo, duramente schiacciate dalla forza del Sistema. Ciò non toglie che una resistenza possa essere ancora possibile, e che ancora possa portare alla creazione d'una alternativa. Come dire: un altro Mondo è possibile!

    E' ora, però, che le forze e gli individui antagonisti s'accorgano che il XX Secolo si è chiuso con un verdetto inappellabile: gli allora nemici del Capitalismo sono stati sconfitti e distrutti, nessuna possibilità è per loro di rialzarsi e riprendere a combattere. L'Alternativa deve trovare invece una via nuova, per sopravvivere, lottare e vincere: abbandonarsi al nostalgismo è peccato mortale. Ma se un sogno è finito, non è detto che si debba accettare passivamente l'Incubo: nuovi e nuovi sogni continueranno a sortire dalle menti e dai cuori degli uomini onesti. Uno, anzi, è già nato: si chiama Eurasiatismo.

    Sotto la sua bandiera potrebbero riunirsi le forze antagoniste per proseguire la lotta contro questo stato di cose. Alla sua versatile dottrina potrebbero demandare le proprie istanze. Nella sua Alternativa potrebbero riporre il Sogno di un Mondo diverso.

    Ma è giunto il momento di rispondere alla domanda che ormai si saranno posti tutti coloro che stanno leggendo queste righe, e cioè: cos'è l'Eurasiatismo, e, ancora di più, cosa dovrà essere?

    GEOPOLITICA ED EMANCIPAZIONE

    Uno dei cardini irrinunciabili dell'Eurasiatismo è lo studio della Geopolitica. Benché negli ultimi tempi sia stata violentemente criticata quale "pseudo-scienza nazistoide", ed emarginata nel quadro culturale europeo (ed in particolare italiano), essa altro non è che la scienza la quale studia i motivi geografici della politica internazionale. Una scienza, dunque, che in quanto tale non può essere ricondotta a priori ad alcuna dottrina politica: essa si caratterizza in tal senso solo a seconda del modo e degli scopi per cui la si utilizza, ma per sua natura è assolutamente oggettiva e neutra. Le ragioni di quest'ostracismo sono però molto chiare, e vanno ben oltre la stupidità o il fanatismo d'alcuni: si possono altresì trovare nell'interesse dei nemici dell'Europa. Illuminante in tal senso quanto affermato dal massimo geopolitico italiano, Ernesto Massi, già nel 1947: "La Geopolitica è prassi prima di essere dottrina; i popoli che la praticano non la studiano; però quelli che la studiano potrebbero essere indotti a praticarla: è perciò logico che i popoli che la praticano impediscano agli altri di studiarla". Questo è il quadro dell'Europa attuale. Declinata nella sua preminenza ormai sessant'anni orsono, sottomessa dagli Stati Uniti d'America con la forza delle armi (Germania, Italia, più recentemente Jugoslavia) o con inique alleanze (tutti gli altri paesi membri della NATO), nei suoi territori lo studio della Geopolitica - non a caso ampiamente praticato anche in ambito accademico negli USA, in Inghilterra e, ancora, in Russia - è stato completamente messo al bando da ogni sede ufficiale e dalla vita culturale della società, e sopravvive oggi solo grazie all'impegno di pochi uomini che si sono assunti l'onere di ravvivarla nel tempo, come un fuoco di Vesta (ad esempio, uno dei più stimati geopolitici europei è proprio un italiano, il Dott.Carlo Terracciano). Con la sua scomparsa dal nostro Continente, è svanita per larghissima parte della popolazione anche la possibilità di comprendere la vera natura dei fatti mondiali, esponendola così in piena vulnerabilità alle mistificazioni della propaganda mass-mediatica. Ad ogni modo, la Geopolitica continentale ancora c'è: l'approccio ad essa non richiede particolari competenze, ma semplicemente la dedizione che ogni scienza merita, e la disponibilità a mettere in moto il proprio cervello, anche a costo di scontrarsi con le verità di comodo "universalmente" accettate.

    LEVIATHAN CONTRO BEHEMOTH

    Uno dei primi insegnamenti che la Geopolitica ci può donare, è quello sulla contrapposizione ricorrente tra forze talassocratiche (marittime e commerciali) e tellurocratiche (terrestri e collettiviste), spesso simboleggiate dalle due figure allegoriche, rispettivamente, del Leviathan e del Behemoth. Di questo troviamo ampio riscontro nella storia: citiamo a puro titolo di esempio lo scontro tra la talassocratica Cartagine e la tellurocratica Roma, tra i navigatori Vichinghi e i Germani stanziati sulla terraferma, tra i pirati Saraceni e l'Europa medioevale, e così via fino ad arrivare alla lunga contesa tra Inghilterra e Germania, e la recentissima sfida che ha visto contrapposti U.S.A. e Russia.

    La potenza talassocratica per eccellenza è stata l'Inghilterra, che ha passato il testimone lo scorso secolo agli Stati Uniti. Tutto l'operato di quest'alleanza bellicosissima, responsabile negli ultimi secoli di un numero incalcolabile di guerre, guerrette, attacchi proditori e colpi di mano, risponde ad un disegno geostrategico ben definibile secondo il suddetto modello Leviathan contra Behemoth. Ci si accorgerà, allora, che a parte sporadiche puntate in America latina ed Africa per garantirsi retrovie e risorse, la strategia statunitense risponde tutta all'obiettivo della conquista del continente eurasiatico: con le due guerre mondiali ha messo il piede a terra in Europa e guadagnato ad Oriente le necessarie basi di partenza per la successiva aggressione della massa continentale (vedi guerre di Corea e Vietnam); con la Guerra Fredda ha disfatto l'impero tellurocratico sovietico; con l'attuale "guerra al terrorismo" sta completando l'accerchiamento delle due potenze continentali superstiti, vale a dire Russia e Cina (grossomodo quelle che il geopolitico inglese e talassocratico MacKinder chiamava Heartland, ed additava quale conquista obbligata per conseguire il dominio sulla Terra).

    Come si può notare, in questo quadro non compaiono mai le singole potenze europee, né l'Europa è parte a sé, bensì è considerata all'interno del Continente eurasiatico, tutt'intero aggredito dagli USA, tutt'intero chiamato a rispondervi. Infatti, la Geopolitica non ragiona secondo le consuetudini, ma con metodo scientifico si richiama ai reali soggetti della geopolitica mondiale, gli unici ad avere la capacità politica ed economica per essere attori nel grande scontro in atto. Le nazioni sono, dal punto di vista geopolitico, realtà ormai superate: nessuna, nemmeno la più forte, come la Germania o la Russia, ha la possibilità per competere con la Federazione americana e i suoi alleati. Eppure, già le sole Francia, Germania e Russia alleate, avrebbero la potenzialità di superare gli stessi Stati Uniti. Va da sé, che un'unione eurasiatica continentale, costituirebbe una potenza di capacità inimmaginabili, e rappresenterebbe senza dubbio la fine degli avidi sogni di potere globale degli USA.

    IL SECOLO DEGLI IMPERI

    Va subito notato che il valore delle nazioni è negato geopoliticamente, cioè come capacità d'imprimere durevolmente il proprio marchio sul corso degli eventi. L'Eurasiatismo non nega però la realtà della nazione, in quanto comunità etnicamente, culturalmente, linguisticamente e storicamente omogenea, generalmente regolata da medesime leggi e consuetudini, entro la quale ogni membro ha con l'altro un rapporto privilegiato. In questo senso, però, la nazione è una sorta di famiglia allargata, che non può - come successo in passato con certi nazionalismi - pregiudicare i rapporti con i membri di altre nazioni, che non può essere causa o pretesto di guerre e inimicizia, ma solo strumento nel quale il singolo coltiva in massimo modo la sua identità più autentica, quella collettiva. In breve, l'Eurasiatismo rigetta la concezione di stato-nazione come sortito dalla Rivoluzione borghese (altrimenti detta Francese), blocco monolitico e chiuso verso l'esterno, nel quale si coltiva non l'amore per se stessi, ma l'odio per l'altro; rigetta categoricamente il termine del confine, della frontiera, come entità che divide, anziché unire, due nazioni. Il medesimo concetto di patria è artificioso, come già rilevava Platone: senza nulla togliere al valore intrinseco in esso, né alle azioni che in suo nome sono state compiute, resta appunto come la "patria" sia un concetto, ma non una realtà. In materia, ogni Eurasiatista si riconosce nella famosa massima di Julius Evola: "La mia patria è là dove si combatte per le mie Idee".

    L'ideale "nazione" animò i cuori di molti giovani durante il XIX secolo, l'epoca appunto durante la quale sorsero le realtà di "stati-nazione" (già comunque nascoste nelle pieghe della storia di tempi precedenti: si pensi ad esempio alla monarchia nazionale francese in lotta con l'Impero). Eppure, già nel '900 la nazione mostra tutti i suoi limiti: i grandi attori di questo secolo sono state, invece, le ideologie, e dunque gli "imperi" che se ne fecero interpreti: il Terzo Reich per il Nazionalsocialismo, l'Unione Sovietica per il Comunismo, gli Stati Uniti d'America per il Capitalismo. Dei giganti erano scesi in campo a contendersi il mondo: solo le briciole potevano restare alle formiche nazioni. Questa realtà, al tempo, fu chiara solo a poche grandi menti: si pensi ad esempio Drieu la Rochelle e Evola o, addirittura già nel XIX secolo, a Friedrich Wilhelm Nietzsche. Ma oggi, che possiamo guardare a quegli eventi col senno di poi, e con sott'occhio le conseguenze, appare davvero palese il decadere degli stati-nazione, e inutile insistere ancora nel difenderli. Se il XIX fu il secolo delle nazioni, e il XX delle ideologie, non c'è dubbio che il XXI sarà quello degl'imperi. Imperi, appunto, perché l'alternativa all'imperialismo americano, ora c'è...

    IMPERIALISMO CAPITALISTA ED IMPERO TRADIZIONALE

    Innanzitutto bisogna riconoscere questa fondamentale distinzione, tra imperialismo ed Impero. L'imperialismo, come già ebbe a rilevare Lenin, altro non è che la "fase suprema del capitalismo": passando dalla fase della libera concorrenza a quella dei grandi monopoli, gli stati borghesi passano sotto il controllo dei trusts e riproducono nella politica internazionale la lotta che tra essi si sviluppa già in campo economico. La tendenza è, appunto, quella alla progressiva centralizzazione del capitale: la creazione, insomma, di un polo unico (immobile secondo Kautsky, in continuo rivolgimento interno secondo Lenin), politico ed economico, che rappresenta una sorta di parodia borghese dell'Impero universale. Di là da qualche semplificazione eccessiva, possiamo riconoscere in questa teoria una rappresentazione piuttosto veritiera della realtà - rapportandola naturalmente ai giorni nostri, in cui la lotta tra i diversi imperialismi (statunitense, britannico, francese, tedesco, ecc.) si è concluso e, in virtù del suddetto processo di centralizzazione, ha dato vita ad un solo imperialismo capitalista. Il modello che con la globalizzazione si tenta d'imporre, è quello di un Occidente borghese e capitalista - il centro dell'impero - che conduce un'esistenza di straordinaria opulenza e spreco grazie all'olocausto imposto al cosiddetto "terzo mondo", cui sono imposti la fame, la miseria e il saccheggio costante. Nel primo gli abitanti sono forme svuotate della loro umanità, meri produttori-consumatori completamente conformi al modello standard presentato dalla pubblicità; nel secondo gli uomini sono schiavi disperati di quel primo mondo senza speranza. Da qui ci si rende conto che l'Eurasiatismo non può limitarsi ad un mero gioco di potere tra due realtà geopolitiche: se un giorno l'Unione Europea dovesse sostituire gli USA alla testa dell'imperialismo capitalista, nulla cambierebbe per noi, e la lotta continuerebbe - che al potere ci sia la borghesia americana o quella europea, poco cambia. Il nemico è il Capitalismo - gli Stati Uniti lo sono unicamente in quanto braccio armato della grande finanza mondiale.

    L'Eurasiatismo giunge così ad opporre all'imperialismo capitalista l'antichissimo concetto di Impero universale. Esso è presente in tutte le maggiori forme di sapienza e tradizione antica. In Cina troviamo l'Impero celeste, o Impero del mezzo, in India la figura del cakravartin, "imperatore universale", in Europa prima gli imperi di Alessandro Magno e di Roma, poi il germanico Sacro Romano Impero e il Ghibellinismo. Dal punto di vista metafisico, l'Impero ha una funzione cosmico-ordinatrice, dovendo ricreare sulla Terra l'ordine universale. Al di là di questo, l'Impero spezza gli iniqui limiti delle nazioni, delle patrie o, peggio, degli stati, e riunisce a sé le entità affini che si riconoscono in una comune Tradizione e in un comune Destino. L'Impero, al contrario dell'imperialismo, non è una forma di prevaricazione, avocando a sé unicamente le genti che ne sono naturalmente parte, né un fenomeno di centralizzazione, poiché, come dimostrano gli esempi storici sopra menzionati, il potere rimane ampiamente alle singole comunità basilari. Approfondiremo meglio in seguito questi punti, ma prima torniamo alla Geopolitica, ed applichiamo a quanto detto fin ora, l'Impero.

    Possiamo identificare un'Europa, in senso più lato che meramente geografico (l'uomo vale sempre più della terra), la quale risponde ai requisiti di identità etnica, culturale, storica: è quell'Europa definita dai limiti delle migrazioni indoeuropee, che riconosce il suo sangue nei comuni progenitori arii e i suoi costumi nella medesima Tradizione iperborea. Quest'Europa va ben oltre gli Urali, e giunge sino al Pacifico, attraversando le sterminate steppe asiatiche. Quella Nazione europea da Dublino a Vladivostok vaticinata da Jean Thiriart. Eppure, la migrazione aria raggiunse anche Iran e India, regioni che diedero vita a fiorenti civiltà ed oggi tanto differenziate da essere considerata, almeno l'ultima, un subcontinente (e non solo in senso geografico). Inoltre, gli Eurasiatisti russi, in special modo Aleksandr Dughin, sottolineano il ruolo di "ponte" del loro paese tra la realtà europea e quella mongola-turanica, egualmente responsabili della realtà russa odierna. D'altro canto, innegabili sono pure gli stretti contatti che per secoli la civiltà europea ha intessuto con quella arabo-islamica, o con quella cinese e giapponese. Ne risulta un quadro molto più complesso di quello della semplice nazione europea, che però viene incontro alle necessità geopolitiche di difesa del Continente eurasiatico, e del quale si può venire a capo con l'Impero. Un Impero Eurasia nel quale prosperino pacificamente tutte le sue componenti, dalle macro-realtà aria, islamica, cinese, ecc., fino alle singole comunità elementari, quali i semplici villaggi.

    Quest'evento epocale - l'aggressione americana - che per la prima volta nella Storia minaccia la sopravvivenza del Continente, può essere rovesciato a nostro vantaggio, facendo ritrovare all'Eurasia quella sua intima unità che, pur nella più totale autonomia e libertà, dovrà sempre essere presente nei cuori dei suoi figli. Se la difesa dall'invasione è la causa che richiede la formazione di questo blocco-Impero eurasiatico, gli insegnamenti che gli eventi ci stanno impartendo non andranno mai dimenticati. La necessità dell'unità continentale dovrà restare in eterno nelle successive generazioni, perché mai più si possa ripresentare una minaccia tanto grande alla libertà del Mondo.

    EURASIA FARO DELLE CIVILTA'

    L'Eurasia unita che avrà il compito di respingere l'assalto talassocratico americano, necessariamente dovrà accogliere su di sé un onere ancor più pesante: la salvezza del mondo intero! Non solo le civiltà eurasiatiche sono minacciate dall'imperialismo capitalista, ma tutte le civiltà e culture della Terra. La globalizzazione (figura ingentilita dell'imperialismo) ha quali suoi corollari il conformismo mondiale, la creazione d'un sono tipo d'uomo standardizzato, che risponda unicamente ai requisiti richiesti dal sistema capitalista per arricchire i padroni. Per fare ciò, gli agenti del mondialismo operano contro le culture, le tradizioni, i costumi millenari di tutti i popoli che hanno la sfortuna di entrare nel loro obiettivo: l'esempio più lampante, che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi, siamo noi stessi! Dopo sessant'anni di dominazione yankee la cultura europea agonizza, impegnata in una strenua difesa dall'omologazione con l'anticultura americana: i sintomi maggiori, l'ampio uso nel linguaggio comune di termini inglesi (spesso privi poi di una controparte nei linguaggi autoctoni, che quindi non si stanno evolvendo, ma spegnendo); la diffusione capillare dell'American way of life, lo stile di vita (pessimo, tra l'altro) statunitense; soprattutto il sempre più frequente identificarsi, in particolare tra le giovani generazioni (educate più da Walt Disney che dai genitori), con la storia e i costumi degli USA, in quell'inesistente Occidente che va da Los Angeles a Tokio passando per Roma. Fenomeni simili si verificano ovunque nel mondo. Spesso, la situazione è ancora più grave, perché certe culture più "primitive" (secondo il gergo progressista) sono maggiormente vulnerabili al fascino dell'anti-cultura americana, o semplicemente incapaci di difendersi dalle bombe americane qualora gli USA decidessero di cancellarle dalla storia. Gli studiosi pubblicano ogni anno rapporti allarmati per l'esagerata velocità con cui stanno scomparendo linguaggi e culture. Ma alle loro richieste d'aiuto i "signori del Sistema" si sfregano le mani soddisfatti: il conformismo mondiale sta infatti progredendo. L'Europa e l'Eurasia hanno il dovere - se non altro per riscattarsi degli orrori del colonialismo borghese - di ergersi a paladini d'un riscatto mondiale contro l'apocalisse capitalista. Non più un'Europa "faro di civiltà" come quella colonialista, bensì un'Eurasia "faro delle civiltà".

    RIVOLUZIONE ANTIBORGHESE

    Se l'Eurasiatismo oppone alla globalizzazione la difesa di tutte le culture e tradizioni, la sopravvivenza d'ogni particolarità contro l'omologazione mondiale, va da sé ch'esso debba fornire un'alternativa all'intero sistema capitalista.

    L'ascesa borghese, covata a lungo e definitivamente partorita con la "gloriosa rivoluzione" inglese e la Rivoluzione Francese, non ostante tutte le falsificazioni storiche, i maliziosi sofismi e la più rozza propaganda di questi secoli, non ha portato nulla di ciò che ora vanta a gran voce, ma ha al contrario ridimensionato o distrutto tutto ciò che ora si rimpiange (l'onestà, la ricchezza di princìpi, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, ecc.). La borghesia - che più di una classe sociale, qui, è un modo d'essere e pensare - ha modellato l'ideologia e il sistema capitalista: con essi ha portato al potere l'avidità, l'immoralità e il materialismo. Quella della "liberté, egualité, fraternité" non è stata che una pomposa ma vuota formula, specchietto per le allodole che ha catturato all'ignobile causa capitalista tanto le masse colme di risentimento classista, quanto i più puri ed onesti idealisti. Eppure l'albero della libertà bardato di coccarde tricolori non ha dato i frutti promessi. Abbiamo forse oggi l'eguaglianza? E' semplicemente cambiato il metro di giudizio: dalla nobiltà d'animo e di schiatta, si è passati a valutare l'uomo a seconda dell'entità del suo conto in banca. Nelle nostre società troviamo finanzieri dai capitali incalcolabili, a fianco di vagabondi senzatetto buttati sui marciapiedi: dal 1789 in poi il divario economico e sociale tra le classi si è ampliato a dismisura. Né possiamo rallegrarci d'avere la fratellanza: mai come in quest'epoca si è assistito al trionfo dell'individualismo più sfrenato, dell'egoismo più indifferente. Interi popoli muoiono di stenti, mentre i loro affamatori osservano la lenta agonia sgranocchiando "snacks" davanti allo schermo; intere classi vivono nel lusso e nello spreco più sfrenato, mentre le altre faticano a sbarcare il lunario. Ma la libertà, questa almeno, ce l'avremo, starete pensando voi... La risposta è purtroppo ancora negativa. La democrazia diretta, che ancora esisteva in tutto il Medio Evo, giacché nei villaggi e nelle cittadine erano gli stessi abitanti, dal notabile all'ultimo dei contadini, a prendere le decisioni della collettività, ora è sparita completamente. In cambio, però, è stata data una "democrazia" rappresentativa a livello nazionale, per cui un manipolo di faccendieri abili ad ingannare gli ingenui tra il popolo, che sono i più, vanno a comandare, non avendo altra qualità se non l'intriganza. Nel secolo dell'informazione, è quanto meno grottesco credere davvero che sia il popolo ad essere sovrano, a prendere le decisioni - perlomeno a decidere chi dovrà prenderle per suo conto, e poi controllarlo. L'"arma più forte", la propaganda, mai così potente come in questi tempi, può manipolare facilmente gran parte delle masse: così, è chi controlla i mezzi di (dis)informazione - naturalmente il grande capitale - a comandare veramente. E neppure sussiste la libertà individuale: dalla rivoluzione borghese in poi si è assistita ad un'espansione parossistica della legislazione, in ogni campo, e dei mezzi coercitivi, da farci ridere di fronte a chiunque pretendesse dichiararsi "libero"!

    Di fronte a tutte queste considerazioni non si può che aborrire la cosiddetta "democrazia liberale", in realtà tirannide borghese. Né si può semplicemente proporre di tornare al prima, a quel sistema dell'Ancient Règime ormai tanto corrotto da essere una disgustosa e blasfema parodia delle antiche istituzioni. L'Eurasiatismo deve altresì individuare una novità. Non reazione, ma rivoluzione.

    OGNUNO SECONDO I SUOI MEZZI, A OGNUNO SECONDO I SUOI BISOGNI

    Il campo più immediato di rivoluzione è quello socio-economico. Il sistema capitalista, sia in regime di libero-scambismo che di monopolismo, ha ormai mostrato tutti i suoi limiti e le sue nefandezze: dal dilatamento del divario sociale, all'oligarchia del grande capitale, dall'immoralità in ogni campo sociale, all'annichilimento del valore del singolo ridotto a consumatore-produttore (come dire, un maiale ingrassato quanto basta per poi far guadagnare il padrone), dalla devastazione ambientale senza precedenti allo sfruttamento barbaro del "terzo mondo" ad opera del "primo". La realtà è che il Capitalismo è un sistema senza futuro - esso, nel suo quasi ridicolo attivismo e nella sua terrificante avidità, si concentra unicamente sul presente: un presente fatto di ruberie, sfruttamento, ingiustizie e devastazioni, al solo scopo di arricchirsi, sempre di più. Il Mondo non può sopportare questa pazzia ancora a lungo. O il Capitalismo sarà fermato, o esso si fermerà da solo, ma in modo terribilmente traumatico per l'intera umanità. Insomma: o rivoluzione, o catastrofe. Molti personaggi, anche illustri, hanno più volte descritto il mondo capitalista come un treno senza guida lanciato a folle velocità verso il baratro. Sta a noi - ai popoli - frenare, oppure precipitarvi dentro.

    Il Socialismo è l'alternativa. Esso non è mai stato "sconfitto dalla storia", ma dalla folle avidità di un manipolo di malfattori: quegli alcuni di cui - secondo Gandhi - la Terra pur bastando ai bisogni di tutti, non soddisfa la rapacità. Va posto un freno all'arricchimento individuale e alla concorrenza selvaggia: la "comunità" perde ogni senso se ognuno lavora per sé e contro gli altri! Mentre pochissimi ridimensionerebbero così le loro ricchezze folli, moltissimi smetterebbero d'essere poveri e potrebbero finalmente condurre un'esistenza dignitosa. La comunione dei mezzi di produzione e la concertazione della produzione stessa tra le varie istanze sociali, offrirebbero profitti più ampiamente distribuiti nella società, arricchirebbero la comunità e, soprattutto, libererebbero da quella funesta e tirannica oligarchia plutocratica che, oggi, governa criminosamente il mondo intero, alla faccia dei popoli sovrani!

    MILLE VOLTI DELL'EURASIATISMO

    Abbiamo così descritto, per sommi capi, una nostra visione dell'Eurasiatismo. Sottolineiamo quel nostra, poiché essa non rispecchia la versione ufficiale: se non altro, perché non esiste una "versione ufficiale" dell'Eurasiatismo! Esso, benché qui sia stato appellato quale "ideologia", non ha mai avuto una sua completa formulazione dottrinale, non contempla ortodossie ed eresie. Varia di epoca in epoca, di popolo in popolo. Aleksandr Dugin, il più noto eurasiatista contemporaneo, si è occupato a fondo delle varie fasi dell'Eurasiatismo. Precursore di quest'idea è da lui considerato Konstantin Leontiev, antioccidentalista del XIX secolo che pose l'accento sul carattere bizantino della nazione russa. D'altro canto, a slavofili come Leontiev e Dostoievskij, fanno da contrappeso altri pensatori che descrivono la Russia quale ponte tra le due culture europea e mongolo-turanica - per l'appunto, un ponte tra l'Europa e l'Asia, una Eurasia. Questi ultimi esaltano in particolare la figura, quasi leggendaria, del Barone Ungern von Sternberg, che durante la rivoluzione bolscevica raccolse ad Est un esercito che oggi diremmo "multietnico", di russi, cinesi e mongoli, prefiggendosi d'approntare una crociata contro tutto il mondo scaturito dalla rivoluzione borghese. Ma pur facendo riferimento alla figura di un contro-rivoluzionario (che però mai volle mischiarsi con i bianchi), gli Eurasiatisti russi rivalutano parzialmente l'esperienza dell'Unione Sovietica, inserendola nel contesto della continuità storica russa. Il blocco comunista ha rappresentato a lungo, nei decenni scorsi, l'impero tellurocratico difensore del Continente contro l'aggressione americana. L'Eurasiatismo propriamente detto, dunque, è nato in Russia, e non è un caso che colà si sia maggiormente sviluppato: larga parte della popolazione condivide i suoi propositi (tracce della dottrina eurasiatista sono chiaramente rintracciabili in tutti i partiti non occidentalisti, dal gruppo Rodina sino ai Comunisti di Zjuganov), e Dugin ha conquistato una grande influenza, addirittura quale consulente del Presidente Putin.

    Pur richiamandosi alle medesime istanze d'unità e difesa continentale, di salvaguardia delle culture e delle terre contro la barbarie capitalista, l'Eurasiatismo europeo costituisce un fenomeno a sé, a dimostrazione della duttilità che costituisce il più duro nerbo di tale dottrina. Naturalmente in Europa è assente ogni riferimento al bizantinismo o al ruolo di ponte eurasiatico della Russia. Il proposito fondamentale è la riunificazione dei popoli fratelli d'Europa, fino alla Russia, e la liberazione del Continente da ogni presenza esterna, vale a dire britannica ed americana. Le guide, potremmo dire, "spirituali" sono, qui come in Russia, principalmente Evola e Guenon, mentre il modello geopolitico l'ha fornito il tedesco Karl Haushofer, che lo scorso secolo si prodigò invano per la realizzazione d'un blocco continentale, guidato da Germania, Italia, Unione Sovietica e Giappone, contro le mire imperialistiche dei mercanti anglosassoni. Pur avendo spazi più limitati - com'è ovvio, essendo l'Europa in gran parte occupata dagli eserciti statunitensi - anche da noi l'Eurasiatismo si sta progressivamente sviluppando, e guadagna sempre maggiori consensi.

    L'Eurasiatismo è però una dottrina che si presta ad essere applicata al di fuori dell'Europa e della Russia. Nel mondo islamico, per esempio, potrebbe sposarsi con l'idea panaraba della repubblica socialista islamica, e con la causa della liberazione dei popoli di Palestina e Iraq dall'aggressione imperialista di Israeliani e Americani. In Giappone potrebbe essere alla base d'un risorgere pieno delle istituzioni tradizionali - spirito revanchista che già s'osserva in nuce. E allo stesso modo, in India per la purificazione di quella civiltà dagli elementi colonialisti inglesi, in Cina per la piena restaurazione dello splendore che fu, e per l'integrazione, nel posto di preminenza che merita, del colosso asiatico in un contesto continentale.

    Eppure l'Eurasiatismo non si ferma neppure ai confini naturali dettati dal suo nome stesso. Va da sé che la lotta di liberazione continentale e la crociata anticapitalista, per quanto detto sopra, s'accompagnano alla solidarietà con le consimili cause dei popoli africani e sudamericani, coloro che maggiormente soffrono l'oppressione imperialista.

    L'Eurasiatismo è la lotta del Continente per sé e per il mondo, contro l'imperialismo capitalista che ha trovato il suo braccio armato nell'Atlantismo anglo-americano: potremmo considerare questa una sintetica ma esauriente definizione di questa dottrina, che sottintende tutte le conseguenze che qui, per sommi capi, abbiamo indegnamente tentato di descrivere.

    Daniele Scalea

    (3 agosto 2004)
    Il Franco Tiratore - Un'ideologia per il nuovo secolo: l'Eurasiatismo
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

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    Predefinito Re: I Pilastri Dell'Eurasia

    Aleksandr Dugin

    PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA POLITICA EURASISTA

    1. Tre modelli (sovietico, pro-occidentale, eurasista)

    Nella Russia attuale esistono tre modelli basilari, reciprocamente in conflitto, di strategia per lo stato, sia per quanto riguarda la politica estera che quella interna. Questi tre modelli costituiscono il moderno sistema di coordinate politiche in cui si risolvono ogni decisione politica del governo russo, ogni passo internazionale, ogni serio problema sociale, economico o giuridico. Il primo modello rappresenta il cliché inerziale del periodo sovietico (principalmente tardo sovietico). In un modo o nell'altro esso ha posto le sue radici nella psicologia di alcuni sistemi organizzativi russi spingendoli, spesso inconsciamente, ad adottare tale o talaltra decisione sulla base delle precedenti. Questo modello è sostenuto con il "solido" argomento: "Si è lavorato prima e si lavorerà anche ora". Esso riguarda non solo quei leader politici che sfruttano coscientemente la complessione nostalgica dei cittadini russi. Il riferimento al modello sovietico è molto più ampio e profondo delle strutture del KPFR [Partito Comunista della Federazione Russa], che ora si trova ai margini del potere esecutivo, lontano dai centri decisionali. Ovunque, politici e ufficiali, che in alcun modo si identificano formalmente con il comunismo, sono guidati da questo modello. E' un effetto di educazione, esperienza di vita, formazione. Al fine di capire la sostanza dei processi che sottostanno alla politica russa, è necessario ammettere questo "sovietismo inconscio". Il secondo modello è quello liberal-democratico, filoamericano. Esso ha iniziato a prendere forma con l'inizio della "perestroyka" ed è diventato una sorta di ideologia dominante nella prima metà degli anni '90. Come regola, i cosiddetti liberal-riformisti e le forze politiche ad essi vicine si identificano con esso. Questo modello è basato sulla scelta, come sistema interpretativo, dell'apparato socio-politico americano, ricalcandolo sulla situazione russa e seguendo gli interessi nazionali Usa riguardo ai problemi internazionali. Un tale schema ha il vantaggio di permettere di appoggiarsi sul "presente straniero" completamente reale, contro il "passato nazionale" virtuale attorno al quale gravita il primo modello. Anche qui l'argomento è piuttosto semplice: "Si lavora per loro, si lavorerà anche per noi". Qui è importante insistere che non stiamo semplicemente parlando di "esperienza straniera", ma dell'orientamento verso gli USA, come punta avanzata del trionfante mondo occidentale capitalista. Questi due modelli (più le loro molteplici varianti) sono diffusamente rappresentati tra i politici russi. Dalla fine degli anni '80 tutti i conflitti sulla visione del mondo, tutte le discussioni e le lotte politiche hanno luogo tra i portatori di questi due punti di vista. Il terzo modello è molto meno noto. Esso può essere definito come "eurasista". Ci troviamo qui a trattare con procedimenti molto più complessi che non la semplice copiatura dell'esperienza sovietica o americana. Questo modello si rivolge sia al passato nazionale che al presente straniero in termini di differenziazione: esso deriva parte dalla nostra storia politica, parte dalla realtà delle società moderne. Il modello eurasista riconosce che la Russia (in quanto Stato, popolo, cultura) è un valore autonomo di civiltà, che essa dovrebbe salvaguardare la propria unicità, indipendenza e potenza in ciò che è diventata, dovendo mettere al servizio di questo proposito ogni dottrina, sistema, meccanismo e tecnica politica che possa incoraggiare a questo. L'eurasismo, in questo modo, è un originale "pragmatismo patriottico", libero da ogni dogmatismo - sia sovietico che liberale. Ma nel medesimo tempo, l'ampiezza e la flessibilità dell'approccio eurasista non deve impedire a questa teoria di essere concettualmente sistematica, essendo in possesso di tutte le caratteristiche di una visione del mondo organica, coerente e dai contenuti consistenti. Dal momento che i due vecchi modelli classici mostrano la loro debolezza, l'eurasismo diviene sempre più popolare. Il modello sovietico opera con realtà politiche, economiche e sociali obsolete, esso sfrutta la nostalgia e l'inerzia, manca di una sobria analisi della nuova situazione internazionale e dello sviluppo reale delle tendenze economiche mondiali. Lo schema liberale pro-americano, in crisi, per definizione non può essere realizzato in Russia, essendo componente organica di un'altra civiltà, estranea alla Russia stessa. Ciò è ben noto anche all'Occidente, dove nessuno dissimula la preferenza di vedere non una Russia prospera e sana, ma, al contrario, una Russia indebolita, sommersa nell'abisso del caos e della corruzione. Perciò oggi il modello eurasista diviene più urgente, più richiesto dalla società. Così noi dobbiamo rivolgere ad esso una maggiore attenzione.

    2. Eurasismo e politica estera russa

    Formuliamo i principi base del moderno eurasismo russo. Inizieremo dalla politica estera. Come in ogni settore politico, anche in politica estera l'eurasismo propone di seguire la terza via - né sovietismo, né americanismo. Ciò significa che la politica estera russa non dovrebbe ricostruire direttamente il profilo diplomatico del periodo sovietico (opposizione rigida all'Occidente, riscoprendo una partnership strategica con gli "stati canaglia" - Corea del Nord, Iraq, Cuba, etc.) mentre nello stesso tempo non deve seguire ciecamente i consiglieri americani. L'eurasismo offre la propria dottrina di politica estera. La sua essenza può essere riassunta nel modo seguente. La Russia contemporanea può essere salvaguardata come realtà politica autonoma ed indipendente, solo nelle condizioni di un mondo multipolare. Acconsentire ad un mondo unipolare che abbia per centro l'America è impossibile per la Russia, dal momento che in tale mondo essa sarebbe uno degli oggetti della globalizzazione, perdendo inevitabilmente la propria indipendenza e la propria originalità. L'opposizione alla globalizzazione unipolare, l'affermazione di un modello multipolare è il maggiore imperativo della politica estera russa contemporanea. Questa condizione non può essere messa in dubbio da nessuna forza politica: e da ciò ne consegue che i propagandisti della globalizzazione incentrata sull'America devono essere delegittimati (almeno moralmente) all'interno della Russia. La costruzione del mondo multipolare (vitale per la Russia) è realizzabile solo attraverso un sistema di alleanze strategiche. La Russia da sola non può affrontare questo problema, non disponendo di sufficienti risorse per una completa autarchia. Perciò il suo successo dipende sotto molti aspetti dall'adeguatezza e dalla vitalità della sua politica estera. Nel mondo moderno vi sono alcuni soggetti geopolitici che, sia per ragioni storiche che di civiltà, sono anch'essi per motivi vitali interessati alla multipolarità. Nella situazione che ora si sta profilando, questi soggetti rappresentano i partner naturali della Russia. Essi sono divisi in alcune categorie. Prima categoria: potenze regionali (paesi o gruppi di paesi), le cui relazioni con la Russia possono essere convenientemente espresse dal termine "complementari". Ciò significa che questi paesi possiedono qualcosa di vitale per la Russia, mentre la Russia è in possesso di qualcosa di estremamente indispensabile per essi. Come risultato, un tale scambio strategico di potenziali rafforza entrambe i soggetti geopolitici. A questa categoria (simmetricamente complementare) appartengono l'Unione Europea, il Giappone, l'Iran, l'India. Tutte queste realtà geopolitiche possono abbastanza ragionevolmente rivendicare un ruolo di soggetti autonomi in condizioni di multipolarità, mentre il centralismo americano li priva di questa possibilità, riducendoli a meri oggetti. Dal momento che la nuova Russia non può essere presentata come un nemico ideologico (condizione che assicurava agli Usa il loro maggiore argomento per attirare nella sua orbita l'Europa e il Giappone, e confondendo l'URSS nel suo essere sostenitrice dell'Iran islamico nel periodo della Guerra fredda), l'imperativo della completa subordinazione di questo paesi alla geopolitica americana non è più suffragato da nulla (al di fuori dell'inerzia storica). Dunque, le contraddizioni tra gli USA e le potenze reciprocamente complementari alla Russia si aggraveranno continuamente. Se la Russia dimostrerà di essere attiva e comproverà con il suo potenziale la tendenza multipolare, trovando per ognuna di queste formazioni politiche argomenti giusti e condizioni differenziate per un'alleanza strategica, il club dei sostenitori della multipolarità può diventare forte e influente abbastanza da ottenere in modo efficiente la realizzazione dei propri progetti di un futuro sistema mondiale. Ad ognuna di queste potenze la Russia ha qualcosa da offrire - risorse, potenziale strategico in armamenti, peso politico. In cambio la Russia riceverebbe, da un lato, sponsorizzazione economica e tecnologica da parte di Europa e Giappone, dall'altro - collaborazione politico-strategica a sud, da parte di Iran e India. L'eurasismo concettualizza tale corso in politica estera e lo comprova con la metodologia scientifica della geopolitica. Seconda categoria di potenze: formazioni geopolitiche interessate alla multipolarità, ma non simmetricamente complementari alla Russia. Sono queste, la Cina, il Pakistan, i Paesi Arabi. Le tradizionali politiche di questi soggetti geopolitici sono di carattere intermedio, ma una partnership strategica con la Russia non è la loro priorità maggiore. Inoltre, l'alleanza eurasista della Russia con i paesi della prima categoria rafforza i rivali tradizionali dei paesi della seconda categoria, a livello regionale. Ad esempio, Pakistan, Arabia Saudita ed Egitto hanno seri contrasti con l'Iran, come la Cina con il Giappone e l'India. Su una scala più ampia, le relazioni di Russia e Cina rappresentano un caso speciale, complicato da problemi demografici, dall'accresciuto interesse della Cina per gli scarsamente popolati territori della Siberia e anche dall'assenza in Cina di un serio potenziale tecnico e finanziario in grado di risolvere positivamente il maggiore problema della Russia dell'assimilazione tecnologica della Siberia. Tutti i paesi della seconda categoria sono destinati necessariamente a manovrare tra l'unipolarità incentrata sull'America (che non promette loro nulla di buono) e l'eurasismo. Nei confronti dei paesi di questa categoria la Russia deve agire con estrema attenzione - non includendoli nel progetto eurasista, ma nello stesso tempo mirando a neutralizzare per quanto possibile il potenziale negativo della loro reazione e contenendo attivamente la loro inclusione attiva nel processo della globalizzazione unipolare (per cui vi sono abbastanza motivazioni). La terza categoria rappresenta i paesi del Terzo Mondo che non possiedono abbastanza potenziale geopolitico da rivendicare anche lo stato di soggetti limitati. Nei confronti di questi paesi la Russia dovrebbe seguire politiche differenti, contribuendo alla loro integrazione geopolitica in zone di "prosperità comune", sotto il controllo dei più forti partner della Russia all'interno del blocco eurasiano. Ciò significa che nella zona del Pacifico è conveniente per la Russia favorire il rafforzamento della presenza giapponese. In Asia è necessario incoraggiare le ambizioni geopolitiche di India e Iran. E' anche necessario contribuire ad espandere l'influenza dell'Unione Europea nel Mondo Arabo e nell'intera Africa. Gli stessi stati che sono inclusi nella tradizionale orbita di influenza russa devono naturalmente rimanervi o esservi riportati. La politica di integrazione dei paesi della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) è diretta in questo senso. Quarta categoria: gli Usa e i paesi del continente americano che sono sotto il controllo degli Stati Uniti. Le politiche internazionali eurasiste della Russia devono essere orientate a mostrare in ogni senso agli USA l'inconsistenza del mondo unipolare, il carattere conflittuale e irresponsabile di tutto il processo di globalizzazione incentrato sull'America. Opponendosi rigidamente e attivamente (usando a questo scopo, innanzi tutto, lo strumento dell'alleanza eurasiana) a tale globalizzazione, la Russia dovrebbe al contrario sostenere la tendenza isolazionista negli USA, salutando con favore la limitazione degli interessi geopolitici USA al continente americano. Gli USA, come più forte potenza regionale, il cui circolo di interesse strategico è disposto tra gli oceani Atlantico e Pacifico, possono anche essere un partner strategico per la Russia eurasista. In più, una simile America sarà estremamente auspicabile per la Russia, in quanto delimiterà l'Europa, la Regione del Pacifico ed anche il mondo islamico e la Cina, nel caso in cui le loro aspirazioni seguissero il percorso di una globalizzazione unipolare sulla base del loro sistema geopolitico. E se la globalizzazione unipolare tornerà in scena, è interesse della Russia ritornare agli umori antiamericani del Centro e Sud America, usando comunque una visione del mondo e un dispositivo geopolitico molto più flessibile e più ampio del marxismo. Sulla stessa onda si trova la politica di lavoro prioritario con i circoli politici antiamericani in Canada e in Messico. Possibilmente anche usando a questo scopo l'attività lobbistica della diaspora eurasiana negli USA.

    3. Eurasismo e politica interna

    In politica interna Eurasismo vuol dire seguire alcune direttrici principali. L'integrazione dei paesi della CSI in un'Unione Eurasista è il maggiore imperativo strategico dell'Eurasismo. Il volume strategico minimo per avviare una seria attività internazionale per la creazione di un mondo multipolare non è la Federazione Russa, ma la CSI presa come singola unità strategica, saldata da una singola volontà e da un comune proposito di civiltà. Il sistema politico dell'Unione Eurasiana nella maniera più logica si fonda sulla "democrazia della partecipazione" (la "demotia" degli eurasisti classici), in cui l'accento cade non sull'aspetto quantitativo, ma su quello qualitativo della rappresentanza. L'autorità rappresentativa dovrebbe rispecchiare la struttura qualitativa della società eurasiana, invece degli indicatori statistici di quantità media basati sull'efficienza degli shows pre-elettorali. Dovrebbe essere rivolta una speciale attenzione alla rappresentanza delle etnìe e delle confessioni religiose. La "democrazia di partecipazione" deve essere integrata organicamente con una definita frazione di responsabilità individuale espressa quanto più possibile nelle aree strategiche. Il Leader supremo dell'Unione Eurasiana deve concentrare la comune volontà di ottenere la potenza e la prosperità dello stato. Il principio dell'imperativo sociale dovrebbe essere combinato con il principio della libertà personale in una proporzione essenzialmente diversa sia dalle ricette liberal-democratiche, sia dal collettivismo impersonale del marxisti. L'Eurasismo qui presuppone la tutela di un preciso equilibrio, con un ruolo significativo del fattore pubblico. In generale, lo sviluppo attivo del principio sociale è una caratteristica costante della storia eurasiana. Esso si è mostrato nella nostra psicologia, nella nostra etica, nella nostra religione. Ma in contrasto con i modelli marxisti, il principio sociale dovrebbe essere affermato come qualcosa di qualitativo, di differenziato, collegato con il concreto scenario nazionale, psicologico, culturale e religioso. Il principio sociale non deve soffocare, ma rafforzare il principio privato, fornendogli un retroterra qualitativo. La comprensione qualitativa del fattore sociale permette di definire con precisione il perfetto punto intermedio tra l'iperindividualismo dell'Occidente borghese e l'iper-collettivismo dell'Oriente socialista. Nel sistema amministrativo l'eurasismo si basa sul modello di "federalismo eurasista". Questo presuppone la scelta come categoria di base per la costruzione della Federazione, non dei territori, ma delle etnìe. Avendo separato il principio dell'autonomia etno-culturale dal principio territoriale, il federalismo eurasista vuole risolvere per sempre le ragioni stesse del separatismo. Così in compenso i popoli dell'Unione Eurasiana ricevono la possibilità di sviluppare al massimo l'indipendenza etnica, religiosa e anche, in certe questioni definite, giuridica. L'indubbia unità strategica si accompagna nel federalismo eurasista alla pluralità etnica, all'enfasi posta sull'elemento giuridico dei "diritti dei popoli". Il controllo strategico dello spazio dell'Unione Eurasiana è garantito dall'unità della gestione e dei distretti federali strategici, nella cui composizione possono entrare varie formazioni - da quelle etno-culturali a quelle territoriali. L'immediata differenziazione dei territori in livelli diversi aggiungerà flessibilità, adattabilità e pluralità al sistema dell'organizzazione amministrativa in combinazione con un rigido centralismo nella sfera strategica. La società eurasiana dovrebbe essere fondata sul principio di una recuperato morale che possieda sia valori comuni sia forme concrete collegate alla specificità del contesto etno-confessionale. I principi di semplicità, di purezza, di sobrietà, di rispetto per le regole, di responsabilità, di vita sana, di senso della giustizia e di sincerità sono comuni a tutte le fedi tradizionali dell'Eurasia. Questi innegabili valori morali devono ricevere la dignità di norme dello stato. I vizi sociali scandalosi, le violazioni impudenti e pubbliche dei fondamenti morali dovrebbero essere sradicati senza pietà. Le forze armate dell'Eurasia ed i ministeri e gli uffici del potere pubblico debbono essere considerati l'ossatura della civiltà. Dovrebbe incrementarsi il ruolo sociale dei militari, è necessario ripristinare il loro prestigio e pubblico rispetto. Sul piano demografico è indispensabile conseguire la "proliferazione della popolazione eurasiana", incoraggiando moralmente, materialmente e psicologicamente la natalità plurima, rendendola uno standard sociale eurasiano. Nel campo dell'educazione è necessario rafforzare l'educazione morale e scientifica della gioventù nello spirito di fedeltà alle radici storiche, di lealtà all'ideale eurasista, di responsabilità, di virilità, di attività creativa. L'attività del settore dell'informazione della società eurasista, nel fare luce sugli eventi interni ed esteri, deve essere basata sulla stretta osservanza delle priorità della civiltà. I principi di formazione ed educazione morale dovrebbero essere considerati al di sopra dei principi di divertimento e di utilità commerciale. Il principio della libertà di parola deve essere unito con l'imperativo della responsabilità di ciò che viene detto liberamente. L'eurasismo presuppone la creazione di una società di tipo mobilitante, in cui i principi di creatività e di ottimismo sociale dovrebbero essere la normalità della vita umana. Tale visione del mondo dovrebbe scoprire le potenziali possibilità dell'uomo, permettendo a ciascuno - superando l'inerzia e la limitazione (interiore ed esteriore) - di esprimere la propria personalità unica nel servizio della società. Alla base dell'approccio eurasista alla questione sociale sta il principio dell'equilibrio tra lo stato e il privato. Questo equilibrio è definito dalla seguente logica: tutta la scala, riferita alla sfera strategica (complesso militare-industriale, educazione, sanità, pace sociale, integrità morale e fisica della nazione, demografia, crescita economica, etc.) è controllata dallo Stato. La piccola e media produzione, la sfera dei servizi, la privacy personale, l'industria del divertimento, la sfera del tempo libero, etc. sono controllati non dallo Stato, ma al contrario, dall'iniziativa personale e privata (con esclusione dei casi in cui intervengano conflitti con gli imperativi strategici dell'Eurasismo nella sfera globale).

    4. Eurasismo ed economia

    Al contrario del liberalismo e del marxismo, l'eurasismo considera la sfera economica né autonoma né determinante per i processi socio-politici e dello stato. Secondo il pensiero "eurasista", le attività economiche sono solo una funzione di varie realtà culturali, sociali, politiche, psicologiche e storiche. Possiamo esprimere la relazione eurasista con l'economia, riprendendo il Vangelo: "non l'uomo per l'economia, ma l'economia per l'uomo". Tale rapporto con l'economia può essere chiamato qualitativo: il significato è costituito non da formali indici numerici di crescita economica, ma è consentito uno spettro significativamente più ampio di indici, in cui la forza economica è considerata in complesso con altre che hanno in prevalenza carattere sociale. Alcuni economisti (in particolare Joseph Schumpeter) cercarono già di introdurre parametri qualitativi nell'economia, separando il criterio di crescita economica da quello di sviluppo economico. L'Eurasismo regola il problema da una prospettiva ancora più ampia: quello che importa non è il solo sviluppo economico, ma lo sviluppo economico in combinazione con quello sociale. L'approccio eurasista all'economia può essere espresso come schema semplificato in questo modo: regolazione di stato per le branche strategiche (complesso militare-industriale, monopoli naturali e similari) e massima libertà economica per le piccole e medie imprese. Il principale elemento dell'accostamento eurasista all'economia è l'idea della decisione su di un numero significativo di problemi nazional-economici russi all'interno della struttura progettuale della politica estera eurasista. E' evidente in vista di che cosa. Alcuni soggetti geopolitici vitalmente interessati alla multipolarità del mondo - primi fra tutti, l'Unione Europea e il Giappone - hanno un enorme potenziale finanziario-tecnologico, il cui innesto può nettamente cambiare il clima economico in Russia. Allo stadio presente bisogna riconoscere a malincuore che non vi sono in Russia risorse sufficienti per una (sia pur relativa) autarchia. Perciò gli investimenti ed altri tipi di interazione con le regioni economiche avanzate sono per noi necessari in modo vitale. Questa interazione potrebbe essere inizialmente tracciata sulla logica per lo più volumetrica, piuttosto che su ristrette relazioni economiche - investimento, crediti, import-export, distribuzioni di energia, etc. Tutto questo potrebbe essere regolato in un più ampio contesto di comuni programmi strategici - come lo sfruttamento associato dei giacimenti o la creazione di sistemi eurasiani unificati di trasporto e di informazione. In qualche senso la Russia deve mettere il peso del rilancio del suo potenziale economico sui soci del "club dei sostenitori della multipolarità", usando attivamente a questo fine la possibilità di offrire progetti congiunti di trasporto estremamente convenienti (la "linea trans-eurasiana") o risorse energetiche basilari per l'Europa e il Giappone. Un problema rilevante è anche il ritorno di capitali in Russia. L'Eurasismo crea ragioni molto forti in questo senso. La confusa Russia del periodo delle riforme liberali (inizio degli anni '90), rivolta in modo completo all'Occidente, riferentesi a se stessa con disgusto, immersa nella psicosi della privatizzazione e della corruzione, e la Russia degli inizi del XXI secolo, eurasista, patriottica, incentrata sullo stato, sono realtà politiche diametralmente opposte. Il capitale è fuggito da una Russia indebolita e al collasso. In una Russia regolata, sulla via del rafforzamento e del recupero, il capitale deve ritornare. Nei paesi occidentali la maggior parte dei capitali portati fuori dalla Russia non possono essere né salvati né incrementati. All'inizio degli anni '90, l'Occidente vedeva con favore la fuga di capitali russi (principalmente di origine criminale), considerando - secondo la logica della "Guerra fredda"- che l'indebolimento della Russia post-comunista avrebbe giocato a favore dei paesi della NATO. Ora la situazione è nettamente cambiata e nelle presenti condizioni sorgeranno seri problemi (infatti già ce ne sono) per i proprietari di capitali illegali in Occidente. La logica eurasista ha il significato della creazione delle condizioni più favorevoli per il ritorno di questi capitali in Russia i quali, da se stessi, forniranno un serio impulso allo sviluppo dell'economia. Contrariamente a certi dogmi liberali puramente astratti, il capitale ritorna più velocemente verso uno stato con un'autorità forte, responsabile e con precisi punti di orientamento strategico, piuttosto che verso un paese incontrollabile, caotico e instabile.

    5. Il percorso eurasiano

    L'eurasismo è il modello più precisamente rispondente agli interessi strategici della Russia moderna. Esso dà le risposte alle questioni più difficoltose, offre un'uscita alle situazioni più incagliate. L'eurasismo combina apertura e attitudine al dialogo con fedeltà alle radici storiche e conseguente asserzione degli interessi nazionali. L'eurasismo offre un solido equilibrio tra l'ideale nazionale russo e i diritti dei numerosi popoli che abitano la Russia e più in grande l'Eurasia. Alcuni degli aspetti definiti dell'eurasismo sono già utilizzati dalle nuove autorità russe orientate ad una soluzione creativa dei difficili problemi storici che la Russia ha di fronte al nuovo secolo. Ed ogni volta che questo accade, l'efficienza, la concretezza, i seri risultati strategici parlano da soli. Il processo di integrazione nella CSI, la creazione di una Comunità Economica Eurasiana, i primi passi della nuova politica estera della Federazione Russa nei confronti dell'Europa, del Giappone, dell'Iran e dei paesi del Vicino Oriente, la creazione di un sistema di Distretti Federali, il rafforzamento della linea verticale del potere, l'indebolimento dei clan oligarchici, la politica del patriottismo e della statalità, l'aumento di responsabilità nel lavoro dei mass media - sono questi, tutti elementi rilevanti ed essenziali dell'eurasismo. Per il momento questi elementi sono intralciati dalle tendenze inerziali degli altri due modelli (il liberal-democratico e il sovietico). Ed è ancora perfettamente chiaro che l'eurasismo sta con regolarità raggiungendo il suo apice, mentre gli altri due modelli conducono solo una "lotta di retroguardia". La crescita del ruolo dell'eurasismo nella politica russa è un processo evolutivo e graduale. Ma già è giunto il momento per un più attento e considerevole apprendimento di questa teoria e filosofia realmente universale, la cui trasformazione in una prassi politica ed esistenziale è sotto i nostri occhi.

    principi fondamentali della politica eurasiatista di A. Dugin - Fronte Patriottico
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  9. #19
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    Predefinito Re: I Pilastri Dell'Eurasia

    Un'ideologia per il nuovo secolo: l'eurasiatismo



    «Un fantasma s'aggira per l'Europa»: potrebbe forse cominciare così quest'articolo? Difficile dire se l'Eurasiatismo possa un domani ricoprire il medesimo ruolo rivestito dalle vecchie ideologie anti-borghesi nel XX secolo, commettere meno errori, macchiarsi di meno crimini e, soprattutto, aver maggiore fortuna.
    Il XX Secolo è stato animato da un sorgere d'ideali, utopie e ideologie, quante mai se n'erano viste in alcun altro periodo della storia umana. Socialismo, Comunismo, Capitalismo, Fascismo, Nazionalsocialismo, ognuno d'essi elevato alla potenza delle sue innumerevoli varianti e sfumature, si sono affrontati in una lotta all'ultimo sangue. Una lotta per la quale non poteva esservi che un solo vincitore - e a questo sarebbe stato concesso di modellare il Mondo a propria immagine e somiglianza. Tutti sappiamo come è andata a finire: nel giro di pochi decenni le potenze capitaliste, Inghilterra e, soprattutto, Stati Uniti d'America, hanno surclassato e distrutto prima i Nazi-fascismi, poi i Social-comunismi. Ormai incontrastato, il Capitalismo sta disegnando una realtà apocalittica, un mondo completamente asservito alle esigenze della borghesia e, soprattutto, del grande capitale; un mondo in cui il denaro è il solo dio onnipotente e misura di tutte le cose - uomo compreso; un mondo in cui le idee e le speranze non sono nulla, perché nulla è tutto ciò che non porta ad un ricavo materiale. Questo mondo della piattezza e dell'avidità, del conformismo e della prevaricazione, dell'ingiustizia e della violenza, si sta imponendo su tutte le pur millenarie, ma materialmente deboli, realtà tradizionali che ancora sopravvivono. Globalizzazione e Mondialismo: attraverso queste due mortali direttrici il Capitalismo sta realizzando il suo sogno non dissimulato di dominio del Mondo.
    Questa triste realtà delle cose, sin dall'inizio ha suscitato, ed ancora suscita, veementi resistenze, sia d'interi popoli e nazioni, che di singoli individui. Quasi sempre, purtroppo, duramente schiacciate dalla forza del Sistema. Ciò non toglie che una resistenza possa essere ancora possibile, e che ancora possa portare alla creazione d'una alternativa. Come dire: un altro Mondo è possibile!
    E' ora, però, che le forze e gli individui antagonisti s'accorgano che il XX Secolo si è chiuso con un verdetto inappellabile: gli allora nemici del Capitalismo sono stati sconfitti e distrutti, nessuna possibilità è per loro di rialzarsi e riprendere a combattere. L'Alternativa deve trovare invece una via nuova, per sopravvivere, lottare e vincere: abbandonarsi al nostalgismo è peccato mortale. Ma se un sogno è finito, non è detto che si debba accettare passivamente l'Incubo: nuovi e nuovi sogni continueranno a sortire dalle menti e dai cuori degli uomini onesti. Uno, anzi, è già nato: si chiama Eurasiatismo.
    Sotto la sua bandiera potrebbero riunirsi le forze antagoniste per proseguire la lotta contro questo stato di cose. Alla sua versatile dottrina potrebbero demandare le proprie istanze. Nella sua Alternativa potrebbero riporre il Sogno di un Mondo diverso.
    Ma è giunto il momento di rispondere alla domanda che ormai si saranno posti tutti coloro che stanno leggendo queste righe, e cioè: cos'è l'Eurasiatismo, e, ancora di più, cosa dovrà essere?


    Geopolitica ed emancipazione


    Uno dei cardini irrinunciabili dell'Eurasiatismo è lo studio della Geopolitica. Benché negli ultimi tempi sia stata violentemente criticata quale "pseudo-scienza nazistoide", ed emarginata nel quadro culturale europeo (ed in particolare italiano), essa altro non è che la scienza la quale studia i motivi geografici della politica internazionale. Una scienza, dunque, che in quanto tale non può essere ricondotta a priori ad alcuna dottrina politica: essa si caratterizza in tal senso solo a seconda del modo e degli scopi per cui la si utilizza, ma per sua natura è assolutamente oggettiva e neutra. Le ragioni di quest'ostracismo sono però molto chiare, e vanno ben oltre la stupidità o il fanatismo d'alcuni: si possono altresì trovare nell'interesse dei nemici dell'Europa. Illuminante in tal senso quanto affermato dal massimo geopolitico italiano, Ernesto Massi, già nel 1947: "La Geopolitica è prassi prima di essere dottrina; i popoli che la praticano non la studiano; però quelli che la studiano potrebbero essere indotti a praticarla: è perciò logico che i popoli che la praticano impediscano agli altri di studiarla". Questo è il quadro dell'Europa attuale. Declinata nella sua preminenza ormai sessant'anni orsono, sottomessa dagli Stati Uniti d'America con la forza delle armi (Germania, Italia, più recentemente Jugoslavia) o con inique alleanze (tutti gli altri paesi membri della NATO), nei suoi territori lo studio della Geopolitica - non a caso ampiamente praticato anche in ambito accademico negli USA, in Inghilterra e, ancora, in Russia - è stato completamente messo al bando da ogni sede ufficiale e dalla vita culturale della società, e sopravvive oggi solo grazie all'impegno di pochi uomini che si sono assunti l'onere di ravvivarla nel tempo, come un fuoco di Vesta (ad esempio, uno dei più stimati geopolitici europei è proprio un italiano, il Dott.Carlo Terracciano). Con la sua scomparsa dal nostro Continente, è svanita per larghissima parte della popolazione anche la possibilità di comprendere la vera natura dei fatti mondiali, esponendola così in piena vulnerabilità alle mistificazioni della propaganda mass-mediatica. Ad ogni modo, la Geopolitica continentale ancora c'è: l'approccio ad essa non richiede particolari competenze, ma semplicemente la dedizione che ogni scienza merita, e la disponibilità a mettere in moto il proprio cervello, anche a costo di scontrarsi con le verità di comodo "universalmente" accettate.


    Leviathan contro Behemoth


    Uno dei primi insegnamenti che la Geopolitica ci può donare, è quello sulla contrapposizione ricorrente tra forze talassocratiche (marittime e commerciali) e tellurocratiche (terrestri e collettiviste), spesso simboleggiate dalle due figure allegoriche, rispettivamente, del Leviathan e del Behemoth. Di questo troviamo ampio riscontro nella storia: citiamo a puro titolo di esempio lo scontro tra la talassocratica Cartagine e la tellurocratica Roma, tra i navigatori Vichinghi e i Germani stanziati sulla terraferma, tra i pirati Saraceni e l'Europa medioevale, e così via fino ad arrivare alla lunga contesa tra Inghilterra e Germania, e la recentissima sfida che ha visto contrapposti U.S.A. e Russia.
    La potenza talassocratica per eccellenza è stata l'Inghilterra, che ha passato il testimone lo scorso secolo agli Stati Uniti. Tutto l'operato di quest'alleanza bellicosissima, responsabile negli ultimi secoli di un numero incalcolabile di guerre, guerrette, attacchi proditori e colpi di mano, risponde ad un disegno geostrategico ben definibile secondo il suddetto modello Leviathan contra Behemoth. Ci si accorgerà, allora, che a parte sporadiche puntate in America latina ed Africa per garantirsi retrovie e risorse, la strategia statunitense risponde tutta all'obiettivo della conquista del continente eurasiatico: con le due guerre mondiali ha messo il piede a terra in Europa e guadagnato ad Oriente le necessarie basi di partenza per la successiva aggressione della massa continentale (vedi guerre di Corea e Vietnam); con la Guerra Fredda ha disfatto l'impero tellurocratico sovietico; con l'attuale "guerra al terrorismo" sta completando l'accerchiamento delle due potenze continentali superstiti, vale a dire Russia e Cina (grossomodo quelle che il geopolitico inglese e talassocratico MacKinder chiamava Heartland, ed additava quale conquista obbligata per conseguire il dominio sulla Terra).
    Come si può notare, in questo quadro non compaiono mai le singole potenze europee, né l'Europa è parte a sé, bensì è considerata all'interno del Continente eurasiatico, tutt'intero aggredito dagli USA, tutt'intero chiamato a rispondervi. Infatti, la Geopolitica non ragiona secondo le consuetudini, ma con metodo scientifico si richiama ai reali soggetti della geopolitica mondiale, gli unici ad avere la capacità politica ed economica per essere attori nel grande scontro in atto. Le nazioni sono, dal punto di vista geopolitico, realtà ormai superate: nessuna, nemmeno la più forte, come la Germania o la Russia, ha la possibilità per competere con la Federazione americana e i suoi alleati. Eppure, già le sole Francia, Germania e Russia alleate, avrebbero la potenzialità di superare gli stessi Stati Uniti. Va da sé, che un'unione eurasiatica continentale, costituirebbe una potenza di capacità inimmaginabili, e rappresenterebbe senza dubbio la fine degli avidi sogni di potere globale degli USA.


    Il secolo degli Imperi


    Va subito notato che il valore delle nazioni è negato geopoliticamente, cioè come capacità d'imprimere durevolmente il proprio marchio sul corso degli eventi. L'Eurasiatismo non nega però la realtà della nazione, in quanto comunità etnicamente, culturalmente, linguisticamente e storicamente omogenea, generalmente regolata da medesime leggi e consuetudini, entro la quale ogni membro ha con l'altro un rapporto privilegiato. In questo senso, però, la nazione è una sorta di famiglia allargata, che non può - come successo in passato con certi nazionalismi - pregiudicare i rapporti con i membri di altre nazioni, che non può essere causa o pretesto di guerre e inimicizia, ma solo strumento nel quale il singolo coltiva in massimo modo la sua identità più autentica, quella collettiva. In breve, l'Eurasiatismo rigetta la concezione di stato-nazione come sortito dalla Rivoluzione borghese (altrimenti detta Francese), blocco monolitico e chiuso verso l'esterno, nel quale si coltiva non l'amore per se stessi, ma l'odio per l'altro; rigetta categoricamente il termine del confine, della frontiera, come entità che divide, anziché unire, due nazioni. Il medesimo concetto di patria è artificioso, come già rilevava Platone: senza nulla togliere al valore intrinseco in esso, né alle azioni che in suo nome sono state compiute, resta appunto come la "patria" sia un concetto, ma non una realtà. In materia, ogni Eurasiatista si riconosce nella famosa massima di Julius Evola: "La mia patria è là dove si combatte per le mie Idee".
    L'ideale "nazione" animò i cuori di molti giovani durante il XIX secolo, l'epoca appunto durante la quale sorsero le realtà di "stati-nazione" (già comunque nascoste nelle pieghe della storia di tempi precedenti: si pensi ad esempio alla monarchia nazionale francese in lotta con l'Impero). Eppure, già nel '900 la nazione mostra tutti i suoi limiti: i grandi attori di questo secolo sono state, invece, le ideologie, e dunque gli "imperi" che se ne fecero interpreti: il Terzo Reich per il Nazionalsocialismo, l'Unione Sovietica per il Comunismo, gli Stati Uniti d'America per il Capitalismo. Dei giganti erano scesi in campo a contendersi il mondo: solo le briciole potevano restare alle formiche nazioni. Questa realtà, al tempo, fu chiara solo a poche grandi menti: si pensi ad esempio Drieu la Rochelle e Evola o, addirittura già nel XIX secolo, a Friedrich Wilhelm Nietzsche. Ma oggi, che possiamo guardare a quegli eventi col senno di poi, e con sott'occhio le conseguenze, appare davvero palese il decadere degli stati-nazione, e inutile insistere ancora nel difenderli. Se il XIX fu il secolo delle nazioni, e il XX delle ideologie, non c'è dubbio che il XXI sarà quello degl'imperi. Imperi, appunto, perché l'alternativa all'imperialismo americano, ora c'è...


    Imperialismo capitalista ed impero tradizionale


    Innanzitutto bisogna riconoscere questa fondamentale distinzione, tra imperialismo ed Impero. L'imperialismo, come già ebbe a rilevare Lenin, altro non è che la "fase suprema del capitalismo": passando dalla fase della libera concorrenza a quella dei grandi monopoli, gli stati borghesi passano sotto il controllo dei trusts e riproducono nella politica internazionale la lotta che tra essi si sviluppa già in campo economico. La tendenza è, appunto, quella alla progressiva centralizzazione del capitale: la creazione, insomma, di un polo unico (immobile secondo Kautsky, in continuo rivolgimento interno secondo Lenin), politico ed economico, che rappresenta una sorta di parodia borghese dell'Impero universale. Di là da qualche semplificazione eccessiva, possiamo riconoscere in questa teoria una rappresentazione piuttosto veritiera della realtà - rapportandola naturalmente ai giorni nostri, in cui la lotta tra i diversi imperialismi (statunitense, britannico, francese, tedesco, ecc.) si è concluso e, in virtù del suddetto processo di centralizzazione, ha dato vita ad un solo imperialismo capitalista. Il modello che con la globalizzazione si tenta d'imporre, è quello di un Occidente borghese e capitalista - il centro dell'impero - che conduce un'esistenza di straordinaria opulenza e spreco grazie all'olocausto imposto al cosiddetto "terzo mondo", cui sono imposti la fame, la miseria e il saccheggio costante. Nel primo gli abitanti sono forme svuotate della loro umanità, meri produttori-consumatori completamente conformi al modello standard presentato dalla pubblicità; nel secondo gli uomini sono schiavi disperati di quel primo mondo senza speranza. Da qui ci si rende conto che l'Eurasiatismo non può limitarsi ad un mero gioco di potere tra due realtà geopolitiche: se un giorno l'Unione Europea dovesse sostituire gli USA alla testa dell'imperialismo capitalista, nulla cambierebbe per noi, e la lotta continuerebbe - che al potere ci sia la borghesia americana o quella europea, poco cambia. Il nemico è il Capitalismo - gli Stati Uniti lo sono unicamente in quanto braccio armato della grande finanza mondiale.
    L'Eurasiatismo giunge così ad opporre all'imperialismo capitalista l'antichissimo concetto di Impero universale. Esso è presente in tutte le maggiori forme di sapienza e tradizione antica. In Cina troviamo l'Impero celeste, o Impero del mezzo, in India la figura del cakravartin, "imperatore universale", in Europa prima gli imperi di Alessandro Magno e di Roma, poi il germanico Sacro Romano Impero e il Ghibellinismo. Dal punto di vista metafisico, l'Impero ha una funzione cosmico-ordinatrice, dovendo ricreare sulla Terra l'ordine universale. Al di là di questo, l'Impero spezza gli iniqui limiti delle nazioni, delle patrie o, peggio, degli stati, e riunisce a sé le entità affini che si riconoscono in una comune Tradizione e in un comune Destino. L'Impero, al contrario dell'imperialismo, non è una forma di prevaricazione, avocando a sé unicamente le genti che ne sono naturalmente parte, né un fenomeno di centralizzazione, poiché, come dimostrano gli esempi storici sopra menzionati, il potere rimane ampiamente alle singole comunità basilari. Approfondiremo meglio in seguito questi punti, ma prima torniamo alla Geopolitica, ed applichiamo a quanto detto fin ora, l'Impero.
    Possiamo identificare un'Europa, in senso più lato che meramente geografico (l'uomo vale sempre più della terra), la quale risponde ai requisiti di identità etnica, culturale, storica: è quell'Europa definita dai limiti delle migrazioni indoeuropee, che riconosce il suo sangue nei comuni progenitori arii e i suoi costumi nella medesima Tradizione iperborea. Quest'Europa va ben oltre gli Urali, e giunge sino al Pacifico, attraversando le sterminate steppe asiatiche. Quella Nazione europea da Dublino a Vladivostok vaticinata da Jean Thiriart. Eppure, la migrazione aria raggiunse anche Iran e India, regioni che diedero vita a fiorenti civiltà ed oggi tanto differenziate da essere considerata, almeno l'ultima, un subcontinente (e non solo in senso geografico). Inoltre, gli Eurasiatisti russi, in special modo Aleksandr Dughin, sottolineano il ruolo di "ponte" del loro paese tra la realtà europea e quella mongola-turanica, egualmente responsabili della realtà russa odierna. D'altro canto, innegabili sono pure gli stretti contatti che per secoli la civiltà europea ha intessuto con quella arabo-islamica, o con quella cinese e giapponese. Ne risulta un quadro molto più complesso di quello della semplice nazione europea, che però viene incontro alle necessità geopolitiche di difesa del Continente eurasiatico, e del quale si può venire a capo con l'Impero. Un Impero Eurasia nel quale prosperino pacificamente tutte le sue componenti, dalle macro-realtà aria, islamica, cinese, ecc., fino alle singole comunità elementari, quali i semplici villaggi.
    Quest'evento epocale - l'aggressione americana - che per la prima volta nella Storia minaccia la sopravvivenza del Continente, può essere rovesciato a nostro vantaggio, facendo ritrovare all'Eurasia quella sua intima unità che, pur nella più totale autonomia e libertà, dovrà sempre essere presente nei cuori dei suoi figli. Se la difesa dall'invasione è la causa che richiede la formazione di questo blocco-Impero eurasiatico, gli insegnamenti che gli eventi ci stanno impartendo non andranno mai dimenticati. La necessità dell'unità continentale dovrà restare in eterno nelle successive generazioni, perché mai più si possa ripresentare una minaccia tanto grande alla libertà del Mondo.




    Eurasia faro delle civiltà


    L'Eurasia unita che avrà il compito di respingere l'assalto talassocratico americano, necessariamente dovrà accogliere su di sé un onere ancor più pesante: la salvezza del mondo intero! Non solo le civiltà eurasiatiche sono minacciate dall'imperialismo capitalista, ma tutte le civiltà e culture della Terra. La globalizzazione (figura ingentilita dell'imperialismo) ha quali suoi corollari il conformismo mondiale, la creazione d'un sono tipo d'uomo standardizzato, che risponda unicamente ai requisiti richiesti dal sistema capitalista per arricchire i padroni. Per fare ciò, gli agenti del mondialismo operano contro le culture, le tradizioni, i costumi millenari di tutti i popoli che hanno la sfortuna di entrare nel loro obiettivo: l'esempio più lampante, che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi, siamo noi stessi! Dopo sessant'anni di dominazione yankee la cultura europea agonizza, impegnata in una strenua difesa dall'omologazione con l'anticultura americana: i sintomi maggiori, l'ampio uso nel linguaggio comune di termini inglesi (spesso privi poi di una controparte nei linguaggi autoctoni, che quindi non si stanno evolvendo, ma spegnendo); la diffusione capillare dell'American way of life, lo stile di vita (pessimo, tra l'altro) statunitense; soprattutto il sempre più frequente identificarsi, in particolare tra le giovani generazioni (educate più da Walt Disney che dai genitori), con la storia e i costumi degli USA, in quell'inesistente Occidente che va da Los Angeles a Tokio passando per Roma. Fenomeni simili si verificano ovunque nel mondo. Spesso, la situazione è ancora più grave, perché certe culture più "primitive" (secondo il gergo progressista) sono maggiormente vulnerabili al fascino dell'anti-cultura americana, o semplicemente incapaci di difendersi dalle bombe americane qualora gli USA decidessero di cancellarle dalla storia. Gli studiosi pubblicano ogni anno rapporti allarmati per l'esagerata velocità con cui stanno scomparendo linguaggi e culture. Ma alle loro richieste d'aiuto i "signori del Sistema" si sfregano le mani soddisfatti: il conformismo mondiale sta infatti progredendo. L'Europa e l'Eurasia hanno il dovere - se non altro per riscattarsi degli orrori del colonialismo borghese - di ergersi a paladini d'un riscatto mondiale contro l'apocalisse capitalista. Non più un'Europa "faro di civiltà" come quella colonialista, bensì un'Eurasia "faro delle civiltà".


    Rivoluzione antiborghese


    Se l'Eurasiatismo oppone alla globalizzazione la difesa di tutte le culture e tradizioni, la sopravvivenza d'ogni particolarità contro l'omologazione mondiale, va da sé ch'esso debba fornire un'alternativa all'intero sistema capitalista.
    L'ascesa borghese, covata a lungo e definitivamente partorita con la "gloriosa rivoluzione" inglese e la Rivoluzione Francese, non ostante tutte le falsificazioni storiche, i maliziosi sofismi e la più rozza propaganda di questi secoli, non ha portato nulla di ciò che ora vanta a gran voce, ma ha al contrario ridimensionato o distrutto tutto ciò che ora si rimpiange (l'onestà, la ricchezza di princìpi, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, ecc.). La borghesia - che più di una classe sociale, qui, è un modo d'essere e pensare - ha modellato l'ideologia e il sistema capitalista: con essi ha portato al potere l'avidità, l'immoralità e il materialismo. Quella della "liberté, egualité, fraternité" non è stata che una pomposa ma vuota formula, specchietto per le allodole che ha catturato all'ignobile causa capitalista tanto le masse colme di risentimento classista, quanto i più puri ed onesti idealisti. Eppure l'albero della libertà bardato di coccarde tricolori non ha dato i frutti promessi. Abbiamo forse oggi l'eguaglianza? E' semplicemente cambiato il metro di giudizio: dalla nobiltà d'animo e di schiatta, si è passati a valutare l'uomo a seconda dell'entità del suo conto in banca. Nelle nostre società troviamo finanzieri dai capitali incalcolabili, a fianco di vagabondi senzatetto buttati sui marciapiedi: dal 1789 in poi il divario economico e sociale tra le classi si è ampliato a dismisura. Né possiamo rallegrarci d'avere la fratellanza: mai come in quest'epoca si è assistito al trionfo dell'individualismo più sfrenato, dell'egoismo più indifferente. Interi popoli muoiono di stenti, mentre i loro affamatori osservano la lenta agonia sgranocchiando "snacks" davanti allo schermo; intere classi vivono nel lusso e nello spreco più sfrenato, mentre le altre faticano a sbarcare il lunario. Ma la libertà, questa almeno, ce l'avremo, starete pensando voi... La risposta è purtroppo ancora negativa. La democrazia diretta, che ancora esisteva in tutto il Medio Evo, giacché nei villaggi e nelle cittadine erano gli stessi abitanti, dal notabile all'ultimo dei contadini, a prendere le decisioni della collettività, ora è sparita completamente. In cambio, però, è stata data una "democrazia" rappresentativa a livello nazionale, per cui un manipolo di faccendieri abili ad ingannare gli ingenui tra il popolo, che sono i più, vanno a comandare, non avendo altra qualità se non l'intriganza. Nel secolo dell'informazione, è quanto meno grottesco credere davvero che sia il popolo ad essere sovrano, a prendere le decisioni - perlomeno a decidere chi dovrà prenderle per suo conto, e poi controllarlo. L'"arma più forte", la propaganda, mai così potente come in questi tempi, può manipolare facilmente gran parte delle masse: così, è chi controlla i mezzi di (dis)informazione - naturalmente il grande capitale - a comandare veramente. E neppure sussiste la libertà individuale: dalla rivoluzione borghese in poi si è assistita ad un'espansione parossistica della legislazione, in ogni campo, e dei mezzi coercitivi, da farci ridere di fronte a chiunque pretendesse dichiararsi "libero"!
    Di fronte a tutte queste considerazioni non si può che aborrire la cosiddetta "democrazia liberale", in realtà tirannide borghese. Né si può semplicemente proporre di tornare al prima, a quel sistema dell'Ancient Règime ormai tanto corrotto da essere una disgustosa e blasfema parodia delle antiche istituzioni. L'Eurasiatismo deve altresì individuare una novità. Non reazione, ma rivoluzione.


    Ognuno secondo i suoi mezzi, a ognuno secondo i suoi bisogni


    Il campo più immediato di rivoluzione è quello socio-economico. Il sistema capitalista, sia in regime di libero-scambismo che di monopolismo, ha ormai mostrato tutti i suoi limiti e le sue nefandezze: dal dilatamento del divario sociale, all'oligarchia del grande capitale, dall'immoralità in ogni campo sociale, all'annichilimento del valore del singolo ridotto a consumatore-produttore (come dire, un maiale ingrassato quanto basta per poi far guadagnare il padrone), dalla devastazione ambientale senza precedenti allo sfruttamento barbaro del "terzo mondo" ad opera del "primo". La realtà è che il Capitalismo è un sistema senza futuro - esso, nel suo quasi ridicolo attivismo e nella sua terrificante avidità, si concentra unicamente sul presente: un presente fatto di ruberie, sfruttamento, ingiustizie e devastazioni, al solo scopo di arricchirsi, sempre di più. Il Mondo non può sopportare questa pazzia ancora a lungo. O il Capitalismo sarà fermato, o esso si fermerà da solo, ma in modo terribilmente traumatico per l'intera umanità. Insomma: o rivoluzione, o catastrofe. Molti personaggi, anche illustri, hanno più volte descritto il mondo capitalista come un treno senza guida lanciato a folle velocità verso il baratro. Sta a noi - ai popoli - frenare, oppure precipitarvi dentro.
    Il Socialismo è l'alternativa. Esso non è mai stato "sconfitto dalla storia", ma dalla folle avidità di un manipolo di malfattori: quegli alcuni di cui - secondo Gandhi - la Terra pur bastando ai bisogni di tutti, non soddisfa la rapacità. Va posto un freno all'arricchimento individuale e alla concorrenza selvaggia: la "comunità" perde ogni senso se ognuno lavora per sé e contro gli altri! Mentre pochissimi ridimensionerebbero così le loro ricchezze folli, moltissimi smetterebbero d'essere poveri e potrebbero finalmente condurre un'esistenza dignitosa. La comunione dei mezzi di produzione e la concertazione della produzione stessa tra le varie istanze sociali, offrirebbero profitti più ampiamente distribuiti nella società, arricchirebbero la comunità e, soprattutto, libererebbero da quella funesta e tirannica oligarchia plutocratica che, oggi, governa criminosamente il mondo intero, alla faccia dei popoli sovrani!


    Mille volti dell'eurasiatismo


    Abbiamo così descritto, per sommi capi, una nostra visione dell'Eurasiatismo. Sottolineiamo quel nostra, poiché essa non rispecchia la versione ufficiale: se non altro, perché non esiste una "versione ufficiale" dell'Eurasiatismo! Esso, benché qui sia stato appellato quale "ideologia", non ha mai avuto una sua completa formulazione dottrinale, non contempla ortodossie ed eresie. Varia di epoca in epoca, di popolo in popolo. Aleksandr Dugin, il più noto eurasiatista contemporaneo, si è occupato a fondo delle varie fasi dell'Eurasiatismo. Precursore di quest'idea è da lui considerato Konstantin Leontiev, antioccidentalista del XIX secolo che pose l'accento sul carattere bizantino della nazione russa. D'altro canto, a slavofili come Leontiev e Dostoievskij, fanno da contrappeso altri pensatori che descrivono la Russia quale ponte tra le due culture europea e mongolo-turanica - per l'appunto, un ponte tra l'Europa e l'Asia, una Eurasia. Questi ultimi esaltano in particolare la figura, quasi leggendaria, del Barone Ungern von Sternberg, che durante la rivoluzione bolscevica raccolse ad Est un esercito che oggi diremmo "multietnico", di russi, cinesi e mongoli, prefiggendosi d'approntare una crociata contro tutto il mondo scaturito dalla rivoluzione borghese. Ma pur facendo riferimento alla figura di un contro-rivoluzionario (che però mai volle mischiarsi con i bianchi), gli Eurasiatisti russi rivalutano parzialmente l'esperienza dell'Unione Sovietica, inserendola nel contesto della continuità storica russa. Il blocco comunista ha rappresentato a lungo, nei decenni scorsi, l'impero tellurocratico difensore del Continente contro l'aggressione americana. L'Eurasiatismo propriamente detto, dunque, è nato in Russia, e non è un caso che colà si sia maggiormente sviluppato: larga parte della popolazione condivide i suoi propositi (tracce della dottrina eurasiatista sono chiaramente rintracciabili in tutti i partiti non occidentalisti, dal gruppo Rodina sino ai Comunisti di Zjuganov), e Dugin ha conquistato una grande influenza, addirittura quale consulente del Presidente Putin.
    Pur richiamandosi alle medesime istanze d'unità e difesa continentale, di salvaguardia delle culture e delle terre contro la barbarie capitalista, l'Eurasiatismo europeo costituisce un fenomeno a sé, a dimostrazione della duttilità che costituisce il più duro nerbo di tale dottrina. Naturalmente in Europa è assente ogni riferimento al bizantinismo o al ruolo di ponte eurasiatico della Russia. Il proposito fondamentale è la riunificazione dei popoli fratelli d'Europa, fino alla Russia, e la liberazione del Continente da ogni presenza esterna, vale a dire britannica ed americana. Le guide, potremmo dire, "spirituali" sono, qui come in Russia, principalmente Evola e Guenon, mentre il modello geopolitico l'ha fornito il tedesco Karl Haushofer, che lo scorso secolo si prodigò invano per la realizzazione d'un blocco continentale, guidato da Germania, Italia, Unione Sovietica e Giappone, contro le mire imperialistiche dei mercanti anglosassoni. Pur avendo spazi più limitati - com'è ovvio, essendo l'Europa in gran parte occupata dagli eserciti statunitensi - anche da noi l'Eurasiatismo si sta progressivamente sviluppando, e guadagna sempre maggiori consensi.
    L'Eurasiatismo è però una dottrina che si presta ad essere applicata al di fuori dell'Europa e della Russia. Nel mondo islamico, per esempio, potrebbe sposarsi con l'idea panaraba della repubblica socialista islamica, e con la causa della liberazione dei popoli di Palestina e Iraq dall'aggressione imperialista di Israeliani e Americani. In Giappone potrebbe essere alla base d'un risorgere pieno delle istituzioni tradizionali - spirito revanchista che già s'osserva in nuce. E allo stesso modo, in India per la purificazione di quella civiltà dagli elementi colonialisti inglesi, in Cina per la piena restaurazione dello splendore che fu, e per l'integrazione, nel posto di preminenza che merita, del colosso asiatico in un contesto continentale.
    Eppure l'Eurasiatismo non si ferma neppure ai confini naturali dettati dal suo nome stesso. Va da sé che la lotta di liberazione continentale e la crociata anticapitalista, per quanto detto sopra, s'accompagnano alla solidarietà con le consimili cause dei popoli africani e sudamericani, coloro che maggiormente soffrono l'oppressione imperialista.
    L'Eurasiatismo è la lotta del Continente per sé e per il mondo, contro l'imperialismo capitalista che ha trovato il suo braccio armato nell'Atlantismo anglo-americano: potremmo considerare questa una sintetica ma esauriente definizione di questa dottrina, che sottintende tutte le conseguenze che qui, per sommi capi, abbiamo indegnamente tentato di descrivere.




    Daniele Scalea
    (3 agosto 2004)

    Documento politico del Coordinamento Progetto Eurasia


    Il Coordinamento Progetto Eurasia (CPE) è rappresentante italiano del Movimento Internazionale Eurasiatista, organizzazione non governativa con sede a Mosca (Federazione Russa).


    Propositi e finalità

    Basando le sue analisi sugli insegnamenti della geopolitica e prefigurando quale suo obiettivo strategico la nascita di un mondo multipolare, il CPE si propone:

    a) La nascita di un’Europa unitaria e l’instaurazione di una stretta intesa politica e militare con la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI);
    b) La cooperazione in materia strategica, economica e politica entro lo spazio continentale eurasiatico, in particolare tra Europa, Repubblica Indiana, Repubblica Popolare Cinese, Federazione Russa, Repubblica Islamica dell’Iran, individuati quali maggiori poli politici dello spazio suddetto;
    c) Una solidarietà e collaborazione tra Europa e mondo arabo, che valorizzi il ruolo storico e la posizione centrale dell’Italia nel Mediterraneo, e definisca proficue forme di collaborazione tra i popoli mediterranei.
    d) Un concreto sostegno alla lotta antimperialista dei popoli africani e latino-americani.

    Al fine del conseguimento degli obiettivi di cui ai punti a) b) c) d), il CPE è aperto al collegamento ed alla cooperazione con altri organismi italiani o esteri, che operino all’interno o all’esterno della nostra nazione.


    Obiettivi

    Il CPE riconosce nella globalizzazione capitalistica il fenomeno caratteristico della nostra epoca e nell’imperialismo nordamericano il suo braccio militare, ne denuncia ogni aspetto e s’impegna quindi a contrastarlo.
    Tutti gli strumenti dell’imperialismo militare, economico e finanziario, NATO, OMC, FMI, Banca Mondiale, Compagnie Multinazionali, AIEA e Consiglio di Sicurezza dell’ONU vanno soppressi.
    Sottratto all’arbitrio di un’unica superpotenza, il mondo sarà suddiviso in più aree o poli d’integrazione e cooperazione, autonomi e autosufficienti, in grado di prosperare senza ledere i diritti di alcun popolo. La varietà culturale, religiosa e tradizionale del globo rappresenta un patrimonio che deve essere assolutamente tutelato, così come una forte priorità è costituita dalla salvaguardia dell’ambiente naturale, messo sempre più in pericolo dalle pratiche neoliberiste.
    Sottratta ai veleni del modello di sviluppo consumistico, la questione ecologica s’ispirerà alle parole d’ordine della “decrescita” e della biodiversità.


    Principi politici ed economici: Comunitarismo

    Il CPE promuove la partecipazione organica e diretta dei cittadini alle scelte politiche, sociali ed economiche della realtà comunitaria d’appartenenza, favorendo l’autonomia amministrativa all’interno di ogni area o polo.
    La giustizia sociale può essere realizzata solo riducendo le crescenti disuguaglianze provocate dal modello economico neoliberista, sia tra Nord e Sud del mondo sia all’interno dell’Europa unitaria.
    Il nuovo sistema economico socialista, che metterà fine alla divisione internazionale del lavoro, dovrà perciò ispirarsi a tre forme di proprietà, tutte ispirate al bene comune: statale, socializzata, personale a fine sociale.
    Particolare attenzione verrà riservata anche ad una politica volta a sostenere la demografia e la cultura delle varie comunità europee.


    Attività e strumenti

    Scopo dell’attività del CPE è sensibilizzare classe politica, mondo economico, forze armate, comunità scientifica, personalità della cultura e delle religioni ai problemi ed alle soluzioni prospettate nei primi tre punti. A tal fine il CPE si riserva di utilizzare tutti gli strumenti permessi dalla legislazione italiana.

    Mezzi fondamentali al suo agire sono:

    1. Pubblicazioni editoriali di vario genere (periodici, quotidiani, libri) e registro (tecnico-specialistico, culturale, militante, giornalistico);
    2. Convegni, presentazioni e quant’altro costituisca una forma di contatto e relazione con la cittadinanza;
    3. Coinvolgimento delle comunità allogene presenti in Italia per un dialogo costruttivo con la popolazione autoctona;
    4. La creazione di un’associazione europea, che persegua parallelamente in ogni nazione tutti gli obiettivi descritti.


    Coordinamento Progetto Eurasia, sito internet:
    CpEurAsia // Coordinamento Progetto Eurasia // Analisi, informazione e azione per una alternativa multipolare eurasiatica
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

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    Predefinito Re: I Pilastri Dell'Eurasia

    LE PREMESSE SPIRITUALI DELLA CULTURA EURASISTA

    Nikolay Alekseev



    Si rimprovera talvolta all’Eurasismo di dare eccessiva importanza alle fondamenta naturalistiche delle sue idee; in esso il momento materiale (la geografia) definirebbe il contenuto spirituale della cultura, che rappresenterebbe una sorta di «sovrastruttura» al di sopra della base puramente fisica. In questo senso, l’Eurasismo possederebbe una specie di sapore di marxismo. Occorre protestare con tutte le forze contro questa interpretazione della teoria Eurasista della cultura e della storia. L’Eurasismo ha sempre sottolineato l’enorme significato delle premesse spirituali della cultura – quelle emozioni spirituali che rappresentano le sorgenti originarie di ogni sviluppo culturale, quelle «idee-forza» senza le quali la cultura non può non solo svilupparsi, ma persino esistere. L’Eurasismo si contrappone a tutte le teorie naturalistiche o biologistiche della cultura, quali il materialismo economico, il razzismo, e così via. Ma al tempo stesso l’Eurasismo non separa l’«idea» dalla «materia», non cade nell’idealismo astratto contrapposto al materialismo astratto. Per l’Eurasismo ogni idealità è inseparabile da una realtà – persino «materialità» - ad essa collegata. Idealità e materialità sono in essenza i momenti dialettici della integrità della realtà, come forma e contenuto, continuità e discontinuità, unità e molteplicità, forza e massa. Per cui nell’integrità della cultura Eurasista, nella rifrazione relativa della sua realtà terrena, il momento materiale è l’eterno satellite del momento ideale, il quale non solo non perde il suo valore, ma acquista sostanza ed energia, indispensabili alla vita reale e all’azione storica reale.
    La definizione del lato spirituale della cultura Eurasista si imbatte in questa difficoltà, che lo «spirituale», in quanto prodotto dell’energia e della forza, si trova sempre in divenire e in movimento. Per cui il contenuto spirituale della cultura non può in alcun modo esprimersi con l’aiuto di sole definizioni statiche. Al contenuto di questa immancabilmente ineriscono mobilità e dinamismo. Il lato spirituale della cultura Eurasista non è mai pura «datità» [dannost'] – essa è sempre al tempo stesso eterna intenzione [zadannost’] , compito e fine. L’uomo Eurasiatico non soltanto esiste, ma si crea nel processo dello sviluppo culturale. Il processo della creatività culturale non è mai pacifico, indolore e lineare. La cultura patisce le stesse malattie di crescita dell’organismo fisico. Il momento negativo della storia, di cui parlò Hegel, sempre si dà a conoscere anche nello sviluppo culturale. Le sue reali manifestazioni sono le rivoluzioni ed i «balzi» culturali, inseparabili dalla storia delle società umane tanto quanto dalla storia del mondo fisico e animale.
    Nel periodo moscovita della sua storia, fino all seconda metà del XVII secolo, la Russia ha rappresentato una specie di mondo a sé stante, le cui premesse spirituali erano proprio Eurasiste. Non solo attraverso i legami vitali esistenti, ma anche tramite Bisanzio e la sua influenza, l’Oriente in Russia è in contatto con l’Occidente. Di quanto questo mondo moscovita fosse lontano dall’Europa può convincersi chiunque legga le testimonianze ed impressioni su Mosca di qualsiasi antico viaggiatore europeo.
    l movimento decisivo di questo mondo autonomo in direzione dell’Europa ebbe luogo per la prima volta come risultato della rivoluzione culturale operata da Pietro il Grande. Gli Eurasisti sempre sottolineano che l’Impero Russo costruito da questo zar ad immagine dell’Europa non era di fatto né Europa né Asia, ma rappresentava una formazione genuinamente «Eurasiatica». La seconda rivoluzione culturale, nel senso di un movimento verso dell’Occidente europeo, fu operata dai bolscevichi. Il bolscevismo può essere considerato come un ulteriore «balzo» nella direzione dell’europeizzazione della Russia, benché anche a seguito di esso la Russia non divenne ancora Europa. Al contrario, il marxismo russo e il leninismo espressero vivacemente tutti i loro caratteri non europei ma puramente «Eurasiatici». A chiarimento del senso spirituale di queste due rivoluzioni, va sottolineato che Pietro voleva innestare in Russia le forme culturali dell’Europa esistente, contemporanea, mentre i bolscevichi incominciarono ad innestare in Russia le forme di un’Europa socialista, ossia futura, ideale, mitica, che in realtà non era mai esistita. La Russia bolscevica ha anticipato l’Europa in quanto ebbe l’idea di realizzare nei suoi confini una delle utopie sociali europee. Per ciò stesso in Russia il processo di imitazione dell’Occidente è inevitabilmente terminato. Per la Russia contemporanea l’Occidente è ideologicamente già esaurito. Al contrario, gli elementi rivoluzionari dell’Europa vogliono ora imitare la Russia, professando il celebre slogan: «Viva la nostra Rivoluzione d’Ottobre… Viva i Soviet!» - la Russia ha bisogno oggi di nuovi ideali. I primi Eurasisti lo hanno compreso e lo hanno formulato nei termini più netti ed esaustivi.
    «Avendo liberato il nostro pensiero e il nostro sentimento del mondo dai paraocchi occidentali che li opprimevano – scrisse nel 1922 N.S. Trubetskoij – dobbiamo attingere in noi stessi, alla fonte degli elementi spirituali nazionali russi, gli elementi per la creazione di una nuova visione del mondo. In questo spirito dobbiamo educare anche la nuova generazione che sta crescendo. Al tempo stesso, pienamente liberi dalla venerazione verso il surrogato della civilizzazione occidentale, dobbiamo lavorare in tutti i modi alla creazione di una cultura nazionale originale, che sorga dalla nuova visione del mondo e al tempo stesso giustifichi essa stessa questa visione del mondo. In questa enorme opera onnicomprensiva vi è lavoro per tutti, non soltanto per i teorici, i pensatori, gli artisti e gli scienziati, ma anche per i tecnici, gli specialisti e i piccolo-borghesi ordinari. L’esigenza comune, manifesta a tutti, è una radicale svolta nella visione del mondo» («Sul cammino", Berlino 1922, p.314).
    L’Eurasismo vuole superare l’Occidente non dall’esterno, non dall’interno – ma in quello stesso spirito dell’Occidente che è ora divenuto proprio anche dell’uomo Eurasiatico. Oggigiorno non solo la parte superiore della società russa è penetrata da princìpi occidentali, come era nella Russia pre-rivoluzionaria – oggi i più vasti strati del demos russo sono preda dell’attivismo, energetismo, produttivismo occidentali, del materialismo economico e dell’ateismo. Perciò il compito dell’Eurasismo diviene non solo nazionale, ma anche universale: il popolo russo deve in sé e tramite sé superare l’uomo occidentale, che ha diffuso la propria cultura sul mondo intero. Questo Eurasismo universale differisce dal fascismo, dal nazional-socialismo e dalle correnti simili, che rappresentano dottrine nazionaliste e non pongono di fronte a sé nessuno dei compiti dell’uomo universale.
    Tale superamento è visto dall’Eurasismo nella «uscita ad Oriente», quindi nell'accettazione di quei valori che posero le basi delle culture orientali e vennero disprezzati e negati dal recente Occidente. Non si tratta di asiatizzare la Russia e il mondo intero, ma di erigere una nuova cultura nella sintesi compiuta di Oriente ed Occidente – la cultura Eurasiatica. Si può dire che questo appello ad Oriente risuoni non solo dalle labbra degli Eurasisti. Lo stesso Occidente, nella sua attuale crisi spirituale, incomincia a riferirsi in modo diverso all’Oriente, incomincia ad ascoltarlo con attenzione e tenta di comprenderlo. Con qualche diritto si può affermare che ora anche l’Europa inizia ad «Eurasistizzarsi», che ancora una volta sia posto in risalto lo scopo universale della dottrina Eurasista.[1]
    In una certa misura, l’Occidente fu già spontaneamente superato dal bolscevismo, nonostante il carattere puramente occidentale dell’ideale marxista che ispirava i bolscevichi. Distinto dalla nuovissima Europa, caratteristico dell’Oriente si rivela quello speciale calore religioso, quella speciale atmosfera di fede di cui erano compenetrate le culture antiche ed orientali. Per generale ammissione, questa atmosfera di fede costituiva la fondamentale proprietà della vita spirituale della vecchia Russia. E va detto anche che questa non può essere cancellata dal marxismo russo, nonostante la predicazione ufficiale dell’irreligiosità.«La vita sarà bella, meravigliosa, noi costruiremo una vita assolutamente felice» - questo il motivo principale, che entusiasmava le masse rivoluzionarie del popolo russo. In nome di questa vita meravigliosa sono state fatte milioni di vittime. Il peso della realtà attuale russa è stato sopportato senza lagnanze e di slancio. E’ impossibile immaginare questi stati d’animo senza la presenza di una profonda fede in un prossimo paradiso terrestre – in ciò che i vecchi socialisti chiamavano la Nuova Gerusalemme, il nuovo regno di Dio in terra. E’ sufficiente dubitare per un istante della forza salvifica della comune, e l’intera costruzione comunista diviene inconcepibile. Cade la sua fondamentale premessa ideocratica, su cui esso poggia e resiste interamente. Il marxismo russo per il suo spirito è molto più simile al vecchio socialismo religioso degli inizi del XIX secolo, che al socialismo «scientifico». In Occidente questo socialismo religioso ha ispirato un ristretto numero di intellettuali, provenienti dall’ambito religioso cattolico (è il caso di Saint-Simon). In Russia esso attirò larghe masse del popolo e divenne un enorme movimento popolare. Ciò è forse possibile senza quella fede ardente di cui dicevamo?
    I saint-simonisti credevano che sarebbe venuto il tempo in cui l'industria sarebbe stata «l’autentico culto prima dell’Eternità». Si può dire che nella Russia contemporanea questo tempo sia già venuto. La fede nella vittoria finale del socialismo, come una specie di annunciazione assoluta, ha creato qui «la continua ascesa dell’entusiasmo delle masse proletarie» e generato quell’energia nella costruzione industriale che ha richiamato in vita un nuovo atteggiamento verso il lavoro produttivo nelle forme delle brigate, dell’emulazione socialista, ecc. Lo stato d’animo psicologico, infuso in queste masse, si manifesta in forme di pathos titanico, ispirazione e slancio, simili ad emozioni e sentimenti religiosi. Il produttivismo preso a prestito dall’Occidente è mosso in Russia non da motivi di egoismo personale, non dall’istinto per il vantaggio personale, ma da una qualche emozione collettiva, nella quale risorge il romanticismo della collaborazione comune, della causa comune e della solidarietà collettiva di tutti i lavoratori.
    In Oriente la personalità umana è stata sempre più legata all’insieme sociale, rispetto all’Occidente. L’Oriente era estraneo all’individualismo occidentale ed all’atomismo sociale, queste due pietre angolari della nuovissima cultura occidentale. La reazione contro l’individualismo in Occidente, espressasi nelle teorie sociali organiche, nelle concezioni della scuola storica del XIX secolo, nelle dottrine della sociologia occidentale, infine nel socialismo e nel comunismo occidentale, fu soltanto una corrente ideale, solo debolmente rispecchiatesi nel sistema delle attuali istituzioni e della reale vita sociale. La vita sociale in Occidente continua ad essere angustamente individualistica, fino al sorgere dei nuovi movimenti sociali di massa nella forma del fascismo e del razzismo. Ed è fuori discussione che, prima del sorgere di questi ultimi movimenti sociali, il bolscevismo russo ha radicalmente ricostruito una effettiva relazione fra l’individuo e la società, ha risolutamente posto fuori campo l’individualismo economico e politico. L’individualismo economico non ha mai avuto celebri avvocati difensori in Russia, non avendo mai goduto qui di popolarità e vasta diffusione le dottrine del diritto naturale dell’uomo e del cittadino. Per la psicologia dell’uomo russo, ben più tipica fu la concezione secondo cui l’individualità è inestricabilmente legata alla società e trova giustificazione solo nel compimento di una qualche missione sociale, nella «causa comune». In questo modo il bolscevismo, al contrario del marxismo occidentale, non tentò di legarsi all’individualismo. Da cui la sua aspra negazione delle istituzioni liberali e democratiche dell’Occidente, la sua sfiducia nel diritto personale borghese e nel parlamentarismo europeo. Da quanto detto, anche la forte inimicizia del bolscevismo nei confronti della socialdemocrazia europea classica, verso tutto ciò che in russo è chiamato menscevismo. Al bolscevismo è persino possibile rimproverare che praticamente tutto, riguardo alla questione dell’individualità e della società, è stato risolto «all’asiatica», che il sistema politico ed economico del comunismo russo ha inesorabilmente riportato l'individuo al servizio dello stato, e che, in questo modo, ha peccato contro il precetto leninista dell'approccio dialettico alla soluzione della questione dell'individualità e della società. Tale soluzione dialettica non consiste nella diluizione dell'individuo nella società o, viceversa, nella cancellazione dell'esistenza autonoma della società nelle distinte personalità, ma nella sintesi dell'individuale e dell'universale, del privato e del sociale. A ciò si riduce anche la vera soluzione Eurasista a questo problema, che venne formulata dagli Eurasisti sia nelle loro concezioni economiche (sistema statale-privato), sia nella loro filosofia del diritto.
    L'Eurasismo, infine, più di una volta ha dichiarato che nel comunismo russo veniva superato persino il materialismo economico di Marx, a dispetto del fatto che la dottrina della dipendenza dell'ideologia dalla base economica costituisca parte integrante degli articoli di fede leninisti. Nella prassi economica dei bolscevico-comunisti russi non è l'economia che definisce l'idea, ma al contrario, è l'idea, il piano, a governare l'economia. L'economia occupa una posizione subordinata in relazione al piano e, in tal modo, l'intero sistema riveste un carattere ideocratico. La falsità di un tal genere di ideocrazia si risolve nel fatto che l'idea dirigente stessa è in sé puramente «economicista». In essa non vi è nulla, al di fuori del culto della produzione in nome dell’ideale puramente egoistico della soddisfazione dei bisogni primari, dell’ideale della sazietà. I bisogni spirituali, pur non venendo negati dai bolscevichi, non possiedono in verità alcuna esistenza autonoma nella teoria marxista. Il superamento del materialismo economico da parte del comunismo russo si dimostra quindi puramente formale, e nella sostanza il materialismo verrà superato in Russia soltanto quando in luogo del sistema di valori marxista verrà posto il sistema di valori Eurasista.
    A fondamento di ogni cultura stanno sempre alcuni valori spirituali, che riempiono gli edificatori della cultura di un pathos creativo ed esigono una costruzione e conformazione della vita adeguate a questi valori. Tali valori di solito non sono riconosciuti dai portatori di una data cultura. Si può dire che la cultura sia di solito il prodotto di una creatività subconscia, ed i valori alla base della cultura debbano dapprima essere scoperti dalla filosofia della cultura. [2]
    Tentativi non privi di interesse di definire i princìpi fondamentali caratteristici dei diversi tipi di culture sono stati compiuti da filosofi europei della cultura, Spengler e – in parte allineato a lui – Frobenius. Parliamo della nota contrapposizione fra l’uomo antico, apollineo, e l’uomo nuovo, europeo, «faustiano». Il primo era privo della sensazione dell’infinito, e non aspirava a padroneggiarlo. Amava isolarsi nel suo mondo ristretto, nella sua città, nei confini di spazi a lui solo accessibili. Era profondamente provinciale nelle sue manifestazioni culturali, nella sua religione, scienza, filosofia, ecc. Il secondo, l’uomo faustiano, al contrario vede l’infinito ed aspira ad esso; tutta la sua contemplazione del mondo è avvolta dalla sensazione dell’infinito, ed ad assoggettare l’infinito tende la sua attività. Variando in qualche misura il pensiero di Spengler, Frobenius riteneva che le due visioni del mondo caratterizzassero lo spirito dell’uomo orientale ed occidentale: il primo vive sentendosi come in una caverna, e non considera il mondo come la sua casa (Welthöle, Hölengefühl), il secondo vive nel mondo come nella sua casa ed avverte la sua infinità, la sua vastità (Weltweite, Weltgefühl). [3]
    E’ degno di nota che ambedue i tentativi citati si muovano lungo una linea di definizioni puramente dimensionali. Ciò deriva dal fatto che a compierli è stato l’uomo occidentale, che è immerso nella contemplazione dello spazio e comprende tutta la sua cultura come assoggettamento dello spazio e di tutto ciò che nello spazio è incluso. Ma ben lontano da tale via era, ad esempio, il rappresentante della cultura indiana, che avvertiva perfettamente l’infinità del mondo, ma non considerava il suo dominio puramente esteriore come un’acquisizione positiva! La contrapposizione spirituale fra i due fondamentali tipi culturali, orientale ed occidentale, non va espressa mediante queste definizioni esteriormente spaziali, ma tramite una conseguente antitesi metafisica, la cui conciliazione costituisce un compito storico della cultura Eurasista.

    Trascendenti e immanenti
    Crediamo che non vi sia una contraddizione più intensiva e principiale fra le motivazioni vitali, propulsive in ultima istanza, di ogni creatività culturale, rispetto alla contraddizione fra l’aspirazione all’immanenza e l’aspirazione alla trascendenza. La relazione dialettica fra questi due concetti in fin dei conti definisce la contrapposizione fra Occidente e Oriente. L’Occidente, nei limiti della sua vita “in grande stile” da noi storicamente osservata, è sempre stato più immanente dell’Oriente. Ciò è assolutamente fuori questione per quanto riguarda gli ideali della nuovissima cultura occidentale, il cui problema fondamentale si riduce a «rinnegare il cielo e dominare la terra». Ed a colui che cominciasse a dubitare della nostra tesi in ragione dell’antica religiosità dell’Occidente è possibile additare l’indubbia immanenza dell’ideale cattolico della teocrazia terrena, la fede nel quale pone un netto confine fra Oriente cristiano ed Occidente cristiano. Crediamo persino che meriti piena attenzione l’idea di Dostoevskij, secondo cui il nuovo socialismo occidentale in quanto idea del definitivo ordinamento ateo in terra, è geneticamente legata alla dottrina cattolica della teocrazia terrena. All’opposto – quale aspirazione alla trascendenza caratterizza i fondamenti della visione spirituale del mondo dell’Oriente! Ricordiamo persino l’acosmismo cinese e la filosofia indiana, ricordiamo la dottrina dell’estrema trascendenza della Divinità degli gnostici orientali, l’indifferenza orientale all’ordinamento terreno, il disprezzo di ogni economicismo e tecnica. Ed è indiscutibile che l’ortodossia orientale sia molto più incline alla trascendenza del cattolicesimo occidentale. La sua idea di teocrazia terrena non ha messo radici da noi, nonostante anche noi fossimo al tempo stesso alieni dall’idealismo del puro distacco. L’ortodossia orientale non ha negato la carne, ma ha richiesto la sua trasfigurazione. Esso non ha separato il mondo trascendente dalla materia, che ha nondimeno rappresentato illuminata dalla luce divina, trasformata nel risultato dell’atto mistico iniziale, più compartecipe dell'energia divina.[4] La dialettica della storia rivela adesso il mondo Eurasiatico alla fase estrema della fede in ideali immanenti. Il comunismo russo è l’ultima parola dell’infatuazione occidentale per l’immanenza, l’ultimo tentativo di costruzione del «paradiso terrestre». Ma più si avvicina il momento del famoso «salto dal regno della necessità al regno della libertà», più si indebolisce la chiliastica fede nella comune salvifica. Il comunismo diviene relativo, un affare terreno, politica quotidiana con le sue minute preoccupazioni e litigi. La fede che cinge la Russia come un fuoco ardente esige un nuovo oggetto, un nuovo contenuto. Giungono periodi in cui la «conquista della terra» esige non l’abdicazione del cielo, ma la sua nuova rivelazione. Di fronte al mondo Eurasiatico sta il compito della conciliazione fra la trascendenza nuovamente rivelata e la prassi terrena ereditata dal comunismo – il compito della conciliazione fra Oriente ed Occidente.

    Quiete e movimento
    Gli ideologi della cultura occidentale glorificano l’attività dell’uomo occidentale, contrapponendola alla passività dell’uomo orientale.[5] E di fatto nessuna cultura ha mai sprigionato una tale quantità di energia come la cultura europea. Essa pare trovarsi in costante attività e in costante movimento. L’uomo europeo non conosce la quiete, ne ha vergogna. La vita delle grandi città europee, con il suo movimento nervoso, è il vero simbolo della cultura occidentale.
    In filosofia esisteva l’antichissimo dilemma: cosa è più elevato – il movimento o la quiete? L’uomo orientale ha preferito la quiete al movimento, l’uomo occidentale ha fatto la scelta opposta. L’atteggiamento dell’uomo orientale verso la quiete è radicato nelle basi profonde della filosofia orientale. La concezione dell’Oriente ha posto a fondamento del suo terreno un qualche centro immobile divino, «medium immobile», che dirige il mondo intero grazie alla sua «attività immobile» (Shun-yun per la filosofia cinese, con lo stato ad esso peculiare di «attività immobile – wei-kiu-wei; Es Sakir per il misticismo islamico; Pax Profunda per il misticismo posteriore).Comprenderemo la saggezza originaria di questa dottrina se noteremo che ogni mutamento e movimento sono immaginabili solo come processi in una realtà incompleta. La perfetta compiutezza della realtà non richiede mutamento, in quanto ogni cambiamento verso il meglio non le è necessaria, ed ogni altro cambiamento significherebbe la perdita di tale pienezza, il suo deterioramento. Un significato perfettamente identico si rivela anche nel puro movimento fisico o mutamento di luogo. L’essenza onnipresente non ha bisogno di muoversi o di mutare luogo, giacché anche in assenza di esso si trova in tutti i luoghi simultaneamente ed eternamente. Il movimento può anche essere considerato come manifestazione dell’aspirazione all’ubiquità, propria di un’esistenza limitata e relativa. Tale aspirazione è per sua natura profondamente dialettica. Nel suo movimento è come se il corpo volesse uscire dalla sua limitatezza spaziale, volesse essere non soltanto «qui» ma anche «là», ma senza mai riuscirvi: prendendo un nuovo posto, perde per ciò stesso il vecchio. Il movimento, divenuto essere, è tale aspirazione all’ubiquità, che mai può essere raggiunta. Raggiungerebbe il non essere quando possedesse velocità assoluta, ossia l’essere contemporaneamente «qui» e «là», il che già significa perdere il movimento. E’ impossibile muoversi in sé, come è impossibile saltare attraverso le proprie braccia. Tutto questo dimostra il vuoto metafisico e la sterilità del movimento, la sua genuina relatività. E tutto questo svela il vuoto finale di quella concezione del mondo che fa del movimento la categoria suprema.
    Il mondo Eurasiatico è oggi contaminato dalla spontanea aspirazione al movimento non meno della cultura occidentale. L’energetismo è divenuto l’ideale fondamentale della Russia comunista o, quanto meno, un ideale che le viene diligentemente e persistentemente inculcato. Nulla trasmette questo stato d’animo di moto perpetuo affannoso ed estremo slancio energetico meglio di alcuni prodotti della letteratura sovietica (ad esempio «Tempo, avanti!» di Kataev). La semplice lettura di questi prodotti riempie l’animo di una sensazione quasi di eterna fretta, di una sorta di snervante inquietudine, di una specie di definita intensità di energia. Verranno, e forse già sono venuti, tempi in cui l’uomo Eurasiatico, stanco di questa danza quasi demoniaca, capirà la saggezza di una tranquilla contemplazione. Egli capirà che l’ideale religioso e metafisico finale è il «moto nella quiete», o «quiete mobile» – suprema generalizzazione dialettica del misticismo. Allora sarà giunta la conciliazione dell’opposizione fra l’Oriente «addormentato» con l’Occidente «energico».

    Teoria e pratica
    La filosofia occidentale è stata per eccellenza teoretica. Essa ha coltivato la pura teoria, che per essa è stata quasi un «fine in sé». Questo spirito teoretico della filosofia occidentale può essere sentito leggendo le prime pagine della Metafisica di Aristotele e comparandola con qualsiasi antico trattato filosofico indiano o cinese. E se in Occidente esistette una filosofia non in quanto «pura teoria» ma in quanto dottrina della «salvezza» (Heilslehere), qui le influenze orientali sono indiscutibili (nei Pitagorici, in Plotino, nei neoplatonici, ecc.). In particolare, ogni conoscenza ha acquisito il carattere di teoria pura nella nuova Europa borghese, dove la scienza è divenuta pura teoria autosufficiente, separata dalla pratica, e dove la filosofia stessa ha aspirato a diventare scienza pura. In contrapposizione a ciò, la filosofia orientale ha sempre conservato un carattere «pratico», ha sempre perseguito un fine supremamente spirituale ed al tempo stesso attivo – proprio il fine mistico della liberazione e salvezza finale.[6] In questo senso esiste una certa somiglianza formale fra la filosofia orientale e la nota aspirazione di Marx a fondere la filosofia con la prassi ed a rendere pratica ogni conoscenza. Ma Marx pensò questa «prassi» in senso puramente materialistico, come tecnica, come pura trasformazione produttiva del mondo, come suo uso al fine di soddisfare i bisogni dell’uomo. Marx non conosce neppure quella teoria pura e filosofia pura che hanno mostrato brillantemente l’applicazione pratica del loro punto di vista in Russia. La filosofia sovietico-marxista è meno di ogni cosa «teoria pura» – no, essa è un mezzo della lotta di classe, un metodo di propaganda comunista, un mezzo per condurre con successo quella che è definita «linea generale» politica del partito dirigente. La Verità teoretica e filosofica è qui sostituita dalla convenienza di classe e dall’idea di successo tecnico.
    Propria dell’Eurasismo è l’aspirazione ad accostare la scienza alla pratica, a combinarla nel processo di produzione, a dotarla di un carattere di laboratorio. Ma a sua volta la conoscenza tecnica non può possedere un carattere autosufficiente. La tecnica deve stare al servizio di fini superiori, la cui conoscenza non viene raggiunta né in laboratorio né nel processo produttivo. Tali fini vengono conosciuti nella direzione spirituale, che al tempo stesso rappresenta un’attività spirituale. Il materialismo economico non sa nulla di tale conoscenza e non la insegna. Esso crede ingenuamente che siano sufficienti gli interessi di classe egoistici degli oppressi e dei poveri, non solo per ispirare al mondo la trasformazione della natura materiale, ma anche per trasformare praticamente tale natura. Solo allo spirito trasformato può svelarsi il modo di trasformare la materia. La sola chimica di questo compito non è risolutiva, persino quando si fonda con la produzione. L’Eurasismo in questo punto aspira a sintetizzare l’idea di conoscenza attiva nei suoi significati orientale ed «occidentale», marxista.
    E’ possibile esprimere quanto detto nel modo seguente: l’Eurasismo accetta completamente quella causa immanente che già ora con grande energia agisce in relazione alla costruzione economica, sociale e politica del particolare mondo dell’Eurasia. Esso desidera intensificare e rafforzare quest’opera, accordandola consapevolmente e coerentemente con le sue proprietà originarie ed originali e con i tratti distintivi del mondo Eurasiatico. Ma esso mira a consacrare questa intera opera e ad intenderla come aspirazione alla trascendenza, sul cui piano l’uomo-creatore non è diverso dall’aiutante di Dio.
    L’Eurasismo è esso stesso movimento, ed apprezza il movimento. Ma non è d’accordo con il movimento trasformato in affanno, visto come una sorta di ideale finale. Esso comprende che il mondo, per la sua imperfezione, è destinato al movimento. L’Eurasismo ascolta con comprensione le leggi del movimento ed aspira a farne pieno uso. Ma dall’abisso del movimento esso apprende ed ascolta anche quel mondo di «attività immobile» in cui è beneficamente cancellata e superata l’imperfezione gravante su di noi.
    Gli Eurasisti sono tutti nella pratica. Ma la «pratica pratica» è per essi soltanto uno stadio ed una via verso la liberazione e la salvezza finale.
    Così essi combinano un definito sforzo nelle questioni di questo mondo – la cui conoscenza negli ultimi secoli è stata espressa con singolare forza dall’Occidente – con la conservazione dei vivi e potenti valori perenni dello Spirito Orientale.
    In questo modo preparano la futura – Eurasista - sintesi storica.
    Sarebbe possibile proseguire in questi parallelismi, ma crediamo che quanto detto basti ad affermare un pensiero già espresso in una delle prime pubblicazioni Eurasiste: «Noi siamo metafisici, ed al tempo stesso etnografi e geografi». Non è applicabile a noi la definizione con cui il conte Kaiserling ribattezzò comunismo, fascismo e razzismo. Non siamo «tellurici» – o, per meglio dire, siamo più che tellurici. Siamo per «il balenare dell’impero dell'essenza spirituale», per «l'incarnazione della fede nella concreta religione vivente e nell'azione».


    Note dell'autore
    1. Riferirò come più caratteristico esempio un frammento di un recente testo filosofico: «Ci sembra difficile che l’Occidente, per la sua mentalità e l’insieme delle sue tendenze, continui ad allontanarsi sempre più dall’Oriente, come fa ora, senza che prima o poi si produca una reazione che potrebbe avere, a certe condizioni, i più benefici effetti; ci sembra anzi tanto più difficile in quanto la sfera in cui si sviluppa la civiltà occidentale moderna è, per sua natura, la più circoscritta di tutte». Cfr. Réné Guénon «Introduzione generale allo studio delle dottrine indù», 1932, p.328. Notiamo che l’autore appartiene all’ambiente cattolico. Cfr. anche il nuovo libro in lingua tedesca di Richard Windelband, «L’uomo e l’essere», che è interamente ricolma di un originale «umore Eurasista».
    2. . Cfr. il mio «Teoria dello stato», p.56.
    3. L.Frobenius, «Dal folklore alla filosofia», 1925.
    4. In questo rispetto, acquista particolare rilevanza la dottrina della «energia divina» di Gregorio Palama (noto teologo e mistico bizantino del XIV secolo).Le opinioni di questo illustre teologo sono a tal punto distanti dall’Occidente, e da esso inaccettabili, che l’editore cattolico di alcune opere di Palama ha fatto precedere l’edizione da un’avvertenza, scusandosi di fronte all’opinione pubblica cattolica. Cfr. Minne, «Patristica», t. 151, p.551.
    5. Cfr. ad es. Massis, «In difesa dell’Occidente», 1927. Interessanti in questa prospettiva le opinioni di H.Bergson, nel suo ultimo libro «Due fonti della morale e della religione», 1932, p.235, e il capitolo finale «Meccanica e mistica».
    6. Le obiezioni rivolte contro questo punto da Walter Buben, «Metafisica greca e indù», in Rivista di indologia e iranistica, t.8 2a ed., 1931, non colgono nel segno, come dimostra convincentemente O.Lacombe nella postfazione al libro del gesuita H.Dundee, «Ontologia del Vedanta», 1932.Cfr. anche l’equilibrato ragionamento di J.Maritain nell’introduzione al suo libro su Bergson.


    Tratto da: N. Alekseev, The Russian People and the State [Russkii narod i gosudarstvo], Agraf, Mosca 1998.

    LE PREMESSE SPIRITUALI DELLA CULTURA EURASISTA | The Fourth Political Theory
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 
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