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    Predefinito 14 giugno (2 gennaio) - S. Basilio Magno, vescovo e dottore della Chiesa

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Basilio Magno, Vescovo e dottore della Chiesa

    2 gennaio - Memoria

    Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery, Turchia, 330 – 1 gennaio 379

    Nato intorno al 330 in Cappadocia, a Cesarea, oggi la città turca di Kaysery, Basilio proveniva da una famiglia dalla profonda spiritualità. Oltre ai genitori anche tre dei suoi nove fratelli sono annoverati tra i santi. Prima di essere vescovo nella sua terra natale, aveva vissuto in Palestina e Egitto. Vi era stato attratto dal richiamo del deserto e della vita monastica. Fu in solitudine che, insieme con Gregorio di Nazianzo conosciuto durante gli studi ad Atene, elaborò la regola per i monaci basiliani, che sarà imitata anche in Occidente. Visse appena 49 anni ma la sua intensa e profonda attività di predicatore gli valsero il titolo di «Magno». Ricevette l'ordinazione sacerdotale verso il 364 da Eusebio di Cesarea cui successe sulla cattedra vescovile nel 370. Durante il servizio episcopale si impegnò attivamente contro l'eresia ariana. Morì l'1 gennaio 379 a Cesarea dove fu sepolto. Tra le sue opere dottrinali si ricorda soprattutto il celebre trattato teologico sullo Spirito Santo. (Avvenire)

    Vescovo della sua città natale (370), fu una delle figure più significative della chiesa nel sec. IV: geniale guida dei suoi fedeli, difensore tenace della fede e della libertà della chiesa, instauratore di nuove forme di vita comunitaria, creatore di istituzioni caritative, promotore di liturgia (vedi l’anafora che porta il suo nome) e autore fecondo nel campo ascetico (Le Grandi e Piccole Regole), teologico e omiletico. (Mess. Rom.)

    Etimologia: Basilio = re, regale, dal greco

    Emblema: Bastone pastorale

    Martirologio Romano: Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
    (1 gennaio: A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, deposizione di san Basilio, vescovo, la cui memoria si celebra domani).

    Martirologio tradizionale (14 giugno): San Basilio, detto Magno, Confessore e Dottore della Chiesa, che si riposò nel Signore il primo Gennaio, ma si festeggia specialmente in questo giorno, in cui fu ordinato Vescovo di Cesarea nella Cappadocia.

    (1 gennaio): A Cesarea, in Cappadocia, la deposizione di san Basilio, detto Magno, Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, il quale, al tempo dell'Imperatore Valente, insigne per dottrina e sapienza ed ornato di tutte le virtù, risplendette meravigliosamente, e con invitta costanza difese la Chiesa contro gli Ariani e i Macedoniani. La sua festa poi si celebra specialmente il quattordici Giugno, giorno nel quale fu ordinato Vescovo.

    Oggi diremmo che S. Basilio era un "figlio d'arte": la sua famiglia annovera un manipolo di santi: sante furono la nonna Macrina, la madre Emmelia, la sorella Macrina; santi furono i fratelli Pietro, vescovo di Sebaste, e Gregorio, vescovo di Nissa. Fu inoltre intimo amico di un altro santo, Gregorio, vescovo di Nazianzo o Nazianzeno, che gli è unito nel ricordo liturgico, perché partecipò alla sua stessa ansia di santità, ebbe un'analoga formazione culturale e nutrì la medesima aspirazione alla vita monastica. S. Basilio è anzi considerato il pioniere della vita cenobitica in Oriente: nel 358 insieme all'amico, in un solitario ritiro presso Neocesarea nel Ponto, redasse due importanti Regole che hanno orientato la vita dei monaci che da lui si chiamarono "basiliani".
    Come accadde ad altri illustri personaggi, poté godere ben poco tempo della solitudine e del silenzio, così cari al suo cuore. Ordinato sacerdote e poi chiamato a reggere la diocesi di Cesarea di Cappadocia, dovette impegnarsi nella difesa del dogma cristiano contro l'arianesimo, divenuto potente grazie all'appoggio dell'imperatore Valente; Basilio raccolse così l'eredità di S. Atanasio e come lui seppe appoggiarsi all'autorità del pontefice romano per debellare l'errore. Ma non fu il suo impegno dottrinale che gli meritò, ancor vivente, l'appellativo di "Magno", cioè "grande". Fu invece la sua intensa attività pastorale, fatta anche di vibranti omelie e appassionati opuscoli, come la Lettera ai giovani, e di un ricco Epistolario.
    Il tema che ricorreva più spesso e con più forza era quello della carità, dell'aiuto ai fratelli bisognosi. Rivolgendosi a un ideale interlocutore, così dichiarava: "A chi ho fatto torto, tu dici, conservando ciò che è mio? Dimmi sinceramente, che cosa ti appartiene? Da chi hai ricevuto ciò che hai? Se ciascuno si accontentasse del necessario e donasse ai poveri il superfluo, non vi sarebbero né ricchi né poveri". Nè egli si accontentava di parole: alle porte di Cesarea diede vita ad una vera città della carità con ospizi, rifugi, ospedali, laboratori e scuole artigianali.

    Autore: Piero Bargellini

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    Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

    Il calendario liturgico latino fa oggi memoria di due Padri e Dottori della Chiesa, San Gregorio Nazianzeno e San Basilio Magno, intimi amici, che parteciparono alla medesima ansia di santità, ebbero un’analoga formazione culturale e nutrirono entrambi l’aspirazione alla vita monastica.
    La presente scheda agiografica vuole soffermarsi in particolar modo sul secondo, San Basilio. Questi nacque a Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery in Turchia, verso il 330 da un ricco rètore e avvocato. La sua famiglia era intrisa di santità: suo nonno morì martire nella persecuzione di Diocleziano e sua nonna, Santa Macrina, fu discepola di San Gregorio Taumaturgo nel Ponto. Santi furono i suoi genitori Basilio ed Emmelia, che ebbere oltre a Basilio altri cinque figli tra cui San Gregorio, poi vescovo di Nissa, e San Pietro, vescovo di Sebaste, e cinque figlie. La primogenita, Santa Macrina, omonima della nonna, visse nella sua proprietà di Annesi che aveva trasformata in monastero.
    Il padre di Basilio, che pare si fosse trasferito a Neocesarea, fu primo maestro del figlio, che continuò poi i suoi studi a Cesarea, a Costantinopoli ed infine ad Atene, capitale culturale del mondo ellenico e pagano, dove legò un’intima amicizia con il suo conterraneo San Gregorio Nazianzeno. Ritornato in patria verso il 356, insegnò retorica e coltivò sogni di gloria, ma infine cedette alle esortazioni della sorella e si diede alla vita ascetica. Secondo gli usi del tempo ricevette finalmente il battesimo ed intraprese la visita dei grandi asceti dell’Egitto, della Palestina e della Mesopotamia, al fine di farsi un’idea circa il loro stile di vita. Quando fece ritorno in patria non esitò a distribuire parte dei suoi beni ai poveri ed a ritirarsi in solitudine sulle rive dell’Iris, di fronte ad Annosi, presso Neocesarea. Ai suoi seguaci, presenti con lui nel cenobio, diede una solida formazione morale e ascetica, prima con le Grandi Regole e poi con le Piccole Regole, concernenti i doveri e le virtù dei monaci, che gli valsero l’appellativo di “legislatore del monachesimo orientale”.
    Basilio restò per cinque anni nella solitudine, finché il suo vescovo Eusebio, eletto ancora catecumeno, gli conferì l’ordinazione sacerdotale perché potesse coadiuvarlo nel difficile ministero. Preferì tuttavia ritornare ben presto alla vita solitaria, non appena si accorse di avere suscitato con il suo prestigio la gelosia del poco istruito pastore. Quando sotto l’imperatore ariano Valente l’ortodossia si vide minacciata, l’intercessione di San Gregorio Nazianzeno ottenne il ritorno dell’amico a Cesarea, che poté così lavorare proficuamente per il mantenimento della fede, il regolamento della liturgia ed il rimedio ai danni cagionati da una spaventosa carestia. Nel 370 successe ad Eusebio, divenuto ormai celebre per la sua “Storia ecclesiastica” in dieci volumi, nella sede metropolitana di Cesarea, che contava una cinquantina di diocesi suffraganee suddivise in undici province. Malgrado la breve durata del suo episcopato, l’azione pastorale di San Basilio fu così molteplice e feconda da meritargli dai contemporanei il titolo di “Magno”, che come è ben noto è stato riservato nel corso della storia a ben pochi personaggi su scala mondiale, quali il re macedone Alessandro, gli imperatori romani Costantino e Teodosio, il primo sacro romano imperatore Carlo ed i papi Leone I, Gregorio I e Giovanni Paolo II.
    A quel tempo infuriava la lotta a favore dell’eresiarca Ario. Valente tornò a Cesarea nel 371 e tentò ripetutamente di indurre Basilio a concessioni, ma non osò ricorrere alla violenza contro di lui. Per diminuirne però l’influenza, divise in due parti la Cappadocia. Per difendere i diritti della sua sede Basilio creò allora alcune diocesi e consacrò l’amico Gregorio a vescovo di Sàsima, borgo importante per le comunicazioni, ma costui assai riluttante anziché prenderne possesso preferì fuggire nella solitudine.
    Basilio si rivelò abile amministratore del suo territorio: con mano ferma seppe correggere abusi e bizzarrie, trasformare preti e monaci in modelli di santità, difendere le immunità ecclesiastiche di fronte al potere civile e proteggere i poveri e gli indifesi. Manifestò particolarmente il suo zelo ed il suo genio nell’organizzazione delle attività caritatevoli. In ogni circoscrizione amministrata da un corepiscopo, previde l’istituzione di un ospizio. A Cesarea costruì addirittura una cittadella della carità, quasi un “Cottolengo” d’altri tempi, con funzioni di locanda, ospizio, ospedale e lebbrosario, soprannominata dal popolo “Basiliadc”. Nonostante questa fondazione godesse di diffidenza da parte del potere civile, il santo vescovo acquistò un tale ascendente che, lasciando da parte i loro dissensi religiosi, Valente lo incaricò di ristabilire in Armenia la concordia tra i vescovi e provvedere alle sedi vacanti.
    Parecchi vescovi suffraganei, tuttavia, invidiosi della sua elevazione, si sottrassero al suo influsso ed insinuarono persino dubbi sulla sua ortodossia. Basilio scrisse allora il trattato sullo Spirito Santo, per dimostrare contro gli ariani che ad egli è dovuto lo stesso onore che al Padre e al Figlio. A più riprese dal 371 al 376 intrattenne una fitta corrispondenza con il papa San Damaso e con altri vescovi occidentali per implorare il loro intervento, desolato per la diffusione dell’eresia e per la competizione di Melezio e di Paolino riguardo alla sede patriarcale di Antiochia. A Roma però si sosteneva Paolino, mentre i più illustri vescovi orientali erano partigiani dichiarati di Melezio e Basilio se ne lamentò fortemente.
    L’ora della distensione, tanto sospirata dal santo, arrivò con la morte di Valente, caduto nel 378 in lotta contro i Goti. Il suo successore, San Teodosio I il Grande, ristabilì la libertà religiosa e pose sulla sede di Costantinopoli San Gregorio Nazianzeno, su proposta della Chiesa latina e con l’appoggio di San Basilio. Fu questo l’ultimo atto ufficiale del grande uomo di azione e di pensiero poiché, sfinito dalle preoccupazioni, dalle austerità e dalle malattie, morì il 1° gennaio 379. I suoi funerali, officiati a Cesarea di Cappadocia, furono un vero trionfo.
    San Gregorio Nazianzeno dipinge l’amico dal volto sempre pallido, dall’espressione pensosa, resa ancor più tale dalla barba di monaco e filosofo. Di grandissimo interesse è l’Epistolario di Basilio che consta di ben 365 lettere, preziose per un’approfondita conoscenza della sua dottrina, della sua vita e della storia della Chiesa di quel tempo. Dal punto di vista teologico fu suo grande merito aver definitivamente formulato il dogma trinitario con la celebre espressione: “Una sola essenza in tre ipostasi”. Dal punto di vista letterario Basilio è indubbiamente il più classico tra i Padri greci, benché le sue opere siano state composta anzitutto per soddisfare necessità pratiche immediate. Anche dai suoi discorsi emerge costantemente la figura del pastore attento ai bisogni delle anime e presenta nella forma più adatta al grande pubblico la dottrina e la morale cristiana, avvalendosi della sua vasta cultura e dell’accurata formazione retorica.
    San Basilio Magno è commemorato dal Martyrologium Romanum al 1° gennaio, anniversario della sua nascita al cielo, mentre il giorno seguente si celebre la sua memoria liturgica comunemente con il suo amico San Gregorio Nazianzeno.

    Autore: Fabio Arduino






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    Predefinito Dalle Lettere di san Basilio Magno.

    Epistola II, Basilius Gregorio, in PG 32, 224.225-229.

    Bisogna cercare di tenere la mente nella quiete. Non è possibile scrivere sulla cera se prima non si sono spianati i caratteri che vi si trovavano impressi: allo stesso modo, non è possibile offrire all'anima gli insegnamenti divini, se prima non si tolgono via le idee preconcette derivanti dai costumi acquisiti. A questo scopo, ci è di grandissimo vantaggio il luogo solitario, poiché esso assopisce le nostre passioni e dà alla ragione lo spazio necessario per reciderle completamente dall'anima.
    Come infatti le belve possono essere facilmente vinte se vengono ammansite, così anche le brame, le collere, i timori, le tristezze, questi mali velenosi dell'anima, una volta che siano stati assopiti dalla quiete e non siano più esasperati dalla continua provocazione, vengono facilmente vinti dalla forza della ragione. Sia dunque tale luogo – com’è appunto il nostro - così libero dal commercio con gli uomini che la continuità dell’ascesi non venga interrotta da alcuno di quelli di fuori.
    C'è poi l'esercizio della pietà, che nutre l'anima con i pensieri divini.

    Che cosa vi è di più beato che imitare in terra il coro degli angeli? E subito, al principiare del giorno, accingersi alla preghiera e onorare il Creatore con inni e cantici? E poi, quando già il sole risplende puro, volgersi al lavoro, dovunque accompagnati dalla preghiera, e condire con inni, come con sale, le nostre opere? Poiché i conforti che vengono dagli inni donano all'anima disposizioni di letizia e immunità da tristezza.
    La quiete, dunque, è per l'anima il principio della purificazione, quando la lingua non parla le cose degli uomini, né gli occhi considerano i bei colori e le belle proporzioni dei corpi; in solitudine l'udito non dissolve il vigore dell'anima con l'ascolto di melodie fatte per la voluttà, né si odono parole volgari e facete da parte degli uomini: tali cose, infatti, massimamente dissolvono il vigore dell'anima. Poiché la mente, quando non è più dispersa nelle cose esteriori e non è effusa sul mondo dei sensi, ritorna in se stessa e, mediante sé, si eleva al pensiero di Dio e, illuminata da quella bellezza, giunge all'oblio della stessa natura.

    Nella quiete della solitudine l'anima non è più tratta in basso né dalla cura per il nutrimento, né dalla sollecitudine per l'abito; libera dalle cure terrene, trasferisce tutto il suo studio verso l'acquisizione dei beni eterni e impara come essa debba realizzare la temperanza e la fortezza, oltre alla giustizia, alla prudenza e alle altre virtù che si specificano sotto queste categorie generali e che indicano all'uomo come può agire bene nelle diverse circostanze della sua vita.
    Ma la via ottima per trovare ciò che conviene è la meditazione delle Scritture ispirate. Esse contengono anche i suggerimenti per le cose da compiere e trasmettono per iscritto le vite degli uomini beati, quasi viventi icone del vivere conforme a Dio, a noi proposte perché ne imitiamo le opere buone.

    I pittori, quando dipingono immagini copiandole da altre, guardando spesso al modello, si danno cura di trasportarne i caratteri nella loro opera d'arte. Allo stesso modo, anche chi si studia di diventare perfetto in tutti gli ambiti della virtù, bisogna che guardi alle vite dei santi come a immagini vive ed efficaci, e faccia proprio il bene che vi si trova mediante l'imitazione.
    Le preghiere succedono poi alle letture, che fanno l'anima più fresca e fiorente e la muovono all'amore per Dio. È preghiera buona quella che imprime chiaro nell'animo il pensiero di Dio. E questo è l'inabitazione di Dio, l'avere cioè Dio che risiede in noi mediante la memoria di lui. Così diventiamo tempio di Dio.

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    Predefinito Dall'Omelia sulla nascita di Cristo, di san Basilio.

    Homilia in Sanctam Christi generationem, 2, in PG 31, 1457.

    Quando Dio discese sulla terra, in mezzo agli uomini, non impose la propria legge servendosi del fuoco, di trombe, di montagne fumanti, di tenebre, di tempeste che atterrissero gli ascoltatori. Instaurò invece un dialogo soave e pacifico con gli uomini di cui condivideva la natura.
    Quel Dio fatto carne non rimase trascendente, come aveva fatto con i profeti. Invece, divenuto totalmente uomo per aver assunta la nostra carne e il nostro sangue, ricondusse a sé l'intera specie umana. Ma come può accadere che per la mediazione di uno solo lo splendore divino investa tutti gli altri? In che modo la divinità può stare nella carne?
    Appunto come il fuoco nel ferro. La fiamma non penetra davvero nel ferro, ma gli trasmette il proprio calore. Il fuoco non risulta diminuito da una tale comunicazione, ma continua a riempire interamente tutto ciò che gli si accosta.

    Ciò che si è detto del ferro e del fuoco vale anche per il Verbo di Dio: egli non si è mai mosso via da sé, eppure venne ad abitare in mezzo a noi.
    Il Verbo si fece carne (Gv 1, 14) eppure non subì affatto alcun mutamento. Il cielo non è mai rimasto privo della presenza di lui, eppure la terra lo ha accolto nel suo grembo.
    Non pensare a una diminuzione di divinità; non si trattò di un passaggio da un luogo ad un altro, così come potrebbe compierlo un qualsiasi corpo. Ma l'Immortale è rimasto immutabile riversandosi nella carne. Mi obietterai: "Come va che il Verbo di Dio non sia stato limitato dalle dimensioni della sua natura corporea?".
    Considera come il fuoco partecipa delle proprietà del ferro. Quest'ultimo, pur essendo scuro e freddo, una volta riscaldato dal fuoco, diventa incandescente come la fiamma che lo avvolge; però non annerisce il fuoco né raffredda la fiamma che lo arroventa.
    Il medesimo discorso può farsi per la carne del Signore; il corpo, che divenne partecipe della divinità, non la corruppe minimamente con la propria debolezza.
    Forse troverai l'analogia con il fuoco difficile da applicare al Verbo. Ma ti pare più facile capire come l'Impassibile poté conoscere la sofferenza e come la natura umana a contatto con Dio abbia potuto ottenere l'incorruttibilità?

    Dio è sceso nella carne per distruggere quella morte che vi si nascondeva. Le medicine appropriate si mescolano all'interno dell'organismo con i morbi da espellere e annientano la malattia; le tenebre che regnano in una dimora si dissolvono all'irrompere della luce. Allo stesso modo la morte, regina dell'umana natura, viene sconfitta dalla presenza della Divinità.
    Considera il ghiaccio che ricopre le acque dormenti durante la notte: esso fonde rapidamente ai primi raggi di un caldo sole. Lo stesso, la morte che aveva regnato sino alla venuta di Cristo, all'apparire della grazia salvifica è stata assorbita dalla vittoria del Sole di giustizia. La morte, infatti, non poteva sostenere la presenza della vita.
    O grandezza della bontà e dell'amore di Dio per noi! Grazie a Cristo possiamo scrollarci di dosso la schiavitù. Perché Dio è sceso tra di noi? Perché adorassimo la sua bontà.

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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo sul vangelo di Matteo

    In Mat. hom., 15, 7-8;16,4, in PG 57, 233.243.

    Qualora gli uomini cadessero in mille colpe, potrebbero essere perdonati. Ma se lo stesso maestro è colpevole, niente potrà scusarlo e sarà punito con rigore. Nel passo che precede il vangelo di oggi, Gesù annunzia agli apostoli che saranno coperti di ingiurie, saranno perseguitati e sarà detto di loro tutto il male possibile.
    Perché gli apostoli, sentendo questo, non abbiano paura di farsi avanti e di mettersi a parlare alla gente, il Signore dichiara apertamente: Se non siete pronti ad affrontare questo, invano vi ho scelto. Non dovete angustiarvi di essere calunniati; dovete piuttosto temere di apparire vigliacchi e ipocriti, perché in tal caso diverreste un sale insipido, buono solo ad essere calpestato dagli uomini. Al contrario, rallegratevi mentre persistete nella lotta contro il male, giacché il sale sulla piaga provoca quel tipico dolore pungente che sembra mordere.

    Le maledizioni degli uomini inevitabilmente vi seguiranno, ma non potranno nulla contro di voi. Renderanno solo testimonianza della vostra fermezza. Se invece ne avrete paura fino a perdere il vigore necessario, patirete conseguenze ben peggiori. Si dirà male di voi, sarete disprezzati da tutti, verrete cioè calpestati dagli uomini.
    Subito dopo il Salvatore passa a un paragone vertiginoso. Voi siete la luce del mondo, egli dice. Non li chiama luce di un popolo solo o di venti città. ma del mondo intero. Il sale era un sale prodotto dallo Spirito, la luce era una luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole.
    Prima il sale, poi la luce, perché tu comprenda il vantaggio di una parola rude e l'utilità di una dottrina severa. Così rafforzato, senza rilassatezze, ti vedrai condotto come per mano sulla via della virtù.

    Quando la virtù raggiunge una perfezione considerevole, riprende il Signore, è impossibile che resti sconosciuta, qualsiasi espediente possa inventare per tenerla nascosta colui che l'ha acquistata. La vostra vita sia irreprensibile agli occhi di tutti: non si trovi in voi alcun appiglio su cui possano denunciarvi. Allora, anche se aveste contro migliaia di accusatori, nessuno potrà farvi ombra.
    E' bello che il Signore abbia usato la parola luce, perché nulla distingue tanto l'uomo quanto lo splendore della sua virtù, anche se egli si ingegnerà a dissimularla. Il discepolo autentico non solo brilla come avvolto da fasci di sole che irradiano la terra, ma proietta i suoi raggi al di là dei cieli.

    Il vangelo continua: Chi osserverà e insegnerà questi precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Non preoccupiamoci perciò del nostro vantaggio personale, ma apriamo il cuore a ciò che è utile per i fratelli. Non sarà identica la ricompensa per colui che pensa solo alla sua perfezione e per chi coinvolge anche gli altri nelle vie dell'amore.
    Chi insegna bene ma non agisce in modo coerente al suo annunzio, si condanna da sé. Scrive infatti Paolo: Come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? (Rm 2,21). Insomma, fare il bene senza indurre gli altri a fare altrettanto, diminuisce la ricompensa. Le testimonianze della parola come dell'opera devono ambedue essere autentiche e complete; anzitutto fare noi un cammino di bene e poi sostenere i fratelli lungo tale tracciato.
    Il Signore colloca la pratica prima dell'istruzione, per mostrare che l'insegnamento è utile se preceduto dalla vita, e mai altrimenti.

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    Predefinito

    LETTERA APOSTOLICA
    PATRES ECCLESIAE
    DEL SOMMO PONTEFICE
    PAPA GIOVANNI PAOLO II
    PER IL XVI CENTENARIO
    DELLA MORTE DI SAN BASILIO


    1. Padri della Chiesa sono giustamente chiamati quei santi che, con la forza di fede, la profondità e la ricchezza dei loro insegnamenti, nel corso dei primi secoli l'hanno rigenerata e grandemente incrementata (cfr. Gal 4,19; Vincentii Lirinensis «Commonitorium», I,3: PL 50,641).

    In verità «padri» della Chiesa, perché da loro, mediante il Vangelo, essa ha ricevuto la vita (cfr. 1Cor 4,15). E anche suoi costruttori, perché da loro - sul fondamento unico posto dagli apostoli, che è il Cristo (cfr. 1Cor 3,11) - la Chiesa di Dio è stata edificata nelle sue strutture portanti.

    Della vita attinta dai suoi padri la Chiesa ancora oggi vive; e sulle strutture poste dai suoi primi costruttori ancora oggi viene edificata, nella gioia e nella pena del suo cammino e del suo travaglio quotidiano.

    Padri dunque sono stati, e padri restano per sempre: essi stessi, infatti, sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla sorgente vitale della loro paternità; e ogni pietra nuova, aggiunta all'edificio santo che ogni giorno cresce e si amplifica (cfr. Ef 2,21), deve collocarsi nelle strutture già da loro poste, e con esse saldarsi e connettersi.

    Guidata da queste certezze, la Chiesa non si stanca di ritornare ai loro scritti - pieni di sapienza e incapaci di invecchiare - e di rinnovarne continuamente il ricordo. E' quindi con grande gioia che nel corso dell'anno liturgico sempre di nuovo incontriamo i nostri padri: e ogni volta ne siamo confermati nella fede e incoraggiati nella speranza.

    E ancora più grande è la nostra gioia quando particolari circostanze invitano a incontrarli in modo più prolungato e profondo. Di tale natura è appunto la ricorrenza di questo anno, che segna il XVI centenario dal transito del nostro padre Basilio, Vescovo di Cesarea.

    2. La vita e il ministero di san Basilio

    Fra i padri greci chiamato «grande», nei testi liturgici bizantini Basilio è invocato come «luce della pietà» e «luminare della Chiesa». La illuminò, infatti, e tuttora la illumina: non meno per «la purezza della sua vita» che per l'eccellenza della sua dottrina. Poiché il primo e più grande insegnamento dei santi è pur sempre la loro vita.

    Nato in una famiglia di santi, Basilio ebbe anche il privilegio di una educazione eletta, presso i più reputati maestri di Costantinopoli e di Atene.

    Ma a lui parve che la sua vita cominciasse veramente solo quando, in modo più pieno e determinante, gli fu dato di conoscere il Cristo come suo Signore: quando, cioè, attirato irresistibilmente da lui, praticò quel distacco radicale che avrebbe poi tanto inculcato nel suo insegnamento (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 8: PG 31,933c-941a), e divenne suo discepolo.

    Si mise allora alla sequela del Cristo, volendo conformarsi soltanto a lui: guardando a lui solo, ascoltando lui solo (cfr. S. Basilii «Moralia», LXXX,1: PG 31,860bc), e in tutto e per tutto considerandolo suo unico «sovrano, re, medico, e maestro di verità» (S.Basilii «De Baptismo», I,1: PG 31,1516b).

    Senza esitare, quindi, abbandonò quegli studi che pure tanto aveva amato e dai quali aveva tratto immensi tesori di scienza (cfr. Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,525c-528c): avendo infatti deciso di servire a Dio solo, non volle più sapere nulla all'infuori del Cristo (cfr. 1Cor 2,2), e ritenne vanità ogni sapienza che non fosse quella della croce. Sono parole sue, con le quali, già verso il termine della vita, rievocava l'evento della sua conversione: «Io avevo sciupato molto tempo nella vanità, perdendo quasi tutta la mia giovinezza nel lavoro vano a cui mi applicavo per apprendere gli insegnamenti di quella sapienza che Dio ha resa stolta (cfr. 1Cor 1,20); finché un giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, riguardai alla mirabile luce della verità del Vangelo, e considerai l'inutilità della sapienza dei prìncipi di questo mondo che sono ridotti all'impotenza (cfr. 1Cor 2,6). Allora piansi molto sulla mia miserabile vita» (cfr. S.Basilii «Epistula» 223: PG 32,824a).

    Pianse sulla sua vita, benché già prima - secondo la testimonianza di Gregorio Nazianzeno, suo compagno di studi - fosse umanamente esemplare (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,521cd): gli sembrò nondimeno «miserabile», perché non era in modo totale ed esclusivo consacrata a Dio, che è l'unico Signore.

    Con irrefrenabile impazienza, interruppe dunque gli studi intrapresi e, abbandonati i maestri della sapienza ellenica, «attraversò molte terre e molti mari» (S.Basilii «Epistula» 204: PG 32,753a) in cerca di altri maestri: quegli «stolti» e quei poveri che nei deserti si esercitavano a ben diversa sapienza.

    Cominciò così ad apprendere cose mai salite al cuore dell'uomo (cfr. 1Cor 2,9), verità che i retori e i filosofi non avrebbero mai potuto insegnargli (cfr. S.Basilii «Epistula» 223»: PG 32,824bd). E in questa sapienza nuova crebbe poi di giorno in giorno, in un meraviglioso itinerario di grazia: mediante la preghiera, la mortificazione, l'esercizio della carità, il continuo commercio con le sante Scritture e gli insegnamenti dei Padri (cfr. praesertim S.Basilii «Epistula» 2 et 22).

    Ben presto fu chiamato al ministero.

    Ma anche nel servizio delle anime, con saggio equilibrio seppe comporre la predicazione infaticabile con spazi di solitudine e ampio respiro di preghiera. Riteneva infatti che ciò fosse di inderogabile necessità per la «purificazione dell'anima» (S.Basilii «Epistula» 2: PG 32,228a; cfr. «Epistula» 210: PG 32,769a), e quindi perché l'annuncio della parola potesse sempre essere confermato dall'«evidente esempio» della vita (S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 43: PG 31,1028a-1029b; cfr. «Moralia», LXX,10: PG 31,824d-825b).

    Così divenne pastore e fu insieme, nel senso più sostanziale del termine, monaco; anzi, fu certo fra i più grandi dei monaci-Pastori della Chiesa: figura singolarmente completa di Vescovo, e grande promotore e legislatore del monachesimo.

    Forte, infatti, della propria personale esperienza, Basilio contribuì fortemente alla formazione di comunità di cristiani totalmente consacrati al «divino servizio» (S.Benedicti «Regula», Prologus), e si assunse l'impegno e la fatica di sostenerle con frequenti visite (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,536b): per sua e loro edificazione intrattenendosi con esse in mirabili colloqui, molti dei quali, per grazia di Dio, ci sono stati trasmessi per scritto (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», Proemium: PG 31,1080ab). A questi scritti hanno attinto vari legislatori del monachesimo, non ultimo lo stesso san Benedetto, che considera Basilio come suo maestro (cfr. S.Benedicti «Regula», LXXIII,5); a questi scritti - direttamente o indirettamente conosciuti - si sono ispirati la più parte di coloro che, in oriente come in occidente, hanno abbracciato la vita monastica.

    Per questo si ritiene da molti che quella struttura capitale della vita della Chiesa che è il monachesimo sia stata posta, per tutti i secoli, principalmente da san Basilio; o che, almeno, non sia stata definita nella sua natura più propria senza il suo decisivo contributo.

    Basilio ebbe molto a soffrire per i mali in cui gemeva, in quell'ora difficile, il Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653b). Li denunciò con franchezza, e, con lucidità e amore, ne individuò le cause, per accingersi coraggiosamente a una vasta opera di riforma. Cioè all'opera - da perseguire in ogni tempo, da rinnovare a ogni generazione - volta a riportare la Chiesa del Signore, «per la quale il Cristo è morto e sulla quale ha effuso abbondante il suo Spirito» (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653b), alla sua forma primitiva: a quella normativa immagine, bella e pura, che ce ne trasmettono la parola del Cristo e degli Atti degli Apostoli. Quante volte Basilio ricorda, con passione e costruttiva nostalgia, il tempo in cui «la moltitudine dei credenti era un cuore solo e un'anima sola»! (At 4,32; cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 36,660c; cfr. «Regulae fusius tractatae», 7: PG 31,933c; cfr. «Homilia tempore famis»: PG 31,325ab).

    Il suo impegno di riforma si volse insieme, con armonia e compiutezza, praticamente a tutti gli aspetti e gli ambiti della vita cristiana.

    Per la natura stessa del suo ministero, il Vescovo è innanzitutto pontefice del suo popolo- e il Popolo di Dio è prima di tutto popolo sacerdotale.

    Non può quindi in alcun modo trascurare la liturgia - la sua forza e ricchezza, la sua bellezza, la sua «verità» - un Vescovo veramente sollecito del bene della Chiesa. Nell'opera pastorale, anzi, l'impegno pr la liturgia sta logicamente al vertice di tutto e concretamente in cima a ogni altra scelta: la liturgia, infatti - come ricorda il Concilio Vaticano II - è «il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa, e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» («Sacrosanctum Concilium», 10), cosicché «nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia» («Sacrosanctum Concilium», 7).

    Di questo si mostrò perfettamente consapevole Basilio e il «legislatore di monaci» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36,541c) seppe essere anche sapiente «riformatore liturgico» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36,541c).

    Della sua opera in questo ambito resta, eredità preziosissima per la Chiesa di tutti i tempi, l'anafora che legittimamente porta il suo nome: la grande preghiera eucaristica che, da lui rifusa e arricchita, è bellissima fra le più belle.

    Non solo: lo stesso ordinamento fondamentale della preghiera salmodica ebbe in lui uno dei maggiori ispiratori e artefici (cfr. S.Basilii «Epistula» 2 et «Regula fusius tractatae», 37: PG 31,1013b-1016c). Così, soprattutto per l'impulso dato da lui, la salmodia - «incenso spirituale», respiro e conforto del Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212a-213c) - nella sua Chiesa fu amata moltissimo dai fedeli, e divenne nota ai piccoli e agli adulti, ai dotti e agli incolti (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212a-213c). Come riferisce lo stesso Basilio: «Presso di noi il popolo si alza di notte per recarsi alla casa della preghiera,... e trascorre la notte alternando salmi e preghiere» (S.Basilii «Epistula» 207: PG 32,764ab). I salmi, che nelle chiese rimbombavano come tuoni (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,561cd), si udivano risuonare anche nelle case e nelle piazze (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212c).

    Basilio amò di amore geloso la Chiesa (cfr. 2Cor 11,2): e sapendo che la sua verginità e la sua stessa fede, della purezza di questa fede fu custode vigilantissimo.

    Per questo dovette e seppe combattere con coraggio: non contro uomini, ma contro ogni adulterazione della parola di Dio (cfr. 2Cor 2,17), ogni falsificazione della verità, ogni manomissione del deposito santo (cfr. 1Tm 6,20) trasmesso dai Padri. Il suo impeto perciò non aveva nulla di passionale: era forza di amore; e la sua chiarezza nulla di puntiglioso: era delicatezza di amore.

    Così, dall'inizio al termine del suo ministero combatté per salvaguardare intatto il senso della formula di Nicea riguardo alla divinità del Cristo «consostanziale» al Padre (cfr. S.Basilii «Epistula» 9: PG 32,272a; «Epistula» 52: PG 32,392b-396a; «Adv. Eunomium», I: PG 29,556c); e ugualmente combatté perché non fosse sminuita la gloria dello Spirito che, «facendo parte della Trinità ed essendo della divina e beata natura di essa» (S.Basilii «Epistula» 243: PG 32,909a), deve essere con il Padre e il Figlio connumerato e conglorificato (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,117c).

    Con fermezza, ed esponendosi personalmente a pericoli gravissimi, vigilò e combatté anche per la libertà della Chiesa: da vero Vescovo, non esitando a contrapporsi ai regnanti per difendere il diritto suo e del Popolo di Dio di professare la verità e di ubbidire al Vangelo (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,557c-561c). Il Nazianzeno, che riferisce un episodio saliente di questa lotta, fa ben comprendere che il segreto della sua forza non risiedeva che nella semplicità stessa del suo annuncio, nella chiarezza della sua testimonianza, e nell'inerme maestà della sua dignità sacerdotale (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,561c-564b).

    Non minore severità che contro eresie e tiranni, Basilio mostrò contro equivoci e abusi all'interno della Chiesa: particolarmente, contro la mondanizzazione e l'attaccamento ai beni.

    A muoverlo era, ancora e sempre, il medesimo amore alla verità e al Vangelo; benché in modo diverso, era pur sempre il Vangelo, infatti, a essere negato e contraddetto: sia dall'errore degli eresiarchi, che dall'egoismo dei ricchi.

    Al riguardo sono memorabili, e rimangono esemplari, i testi di alcuni suoi discorsi: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri (Mt 19,22);... perché, anche se non hai ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa testimonianza, non ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale modo potrai entrare nel regno di Dio» (S.Basilii «Homilia in divites»: PG 31,280b-281a). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole amare il prossimo come se stesso (cfr. Lv 19,18; Mt 19,19), «non deve possedere niente di più di quello che possiede il suo prossimo» (S.Basilii «Homilia in divites» PG 31,281b).

    E in modo ancora più appassionato, in tempo di carestia, esortava a «non mostrarsi più crudeli delle bestie,... col mettersi in seno ciò che è comune, e possedendo da soli ciò che è di tutti» (cfr. S.Basilii «Homilia tempore famis»: PG 31,325a).

    Un radicalismo sconcertante e bellissimo, e un forte appello alla Chiesa di tutti i tempi a confrontarsi seriamente con il Vangelo.

    Al Vangelo, che comanda l'amore e il servizio dei poveri, oltre che con queste parole Basilio rese testimonianza con opere immense di carità; come la costruzione, alle porte di Cesarea, di un gigantesco ospizio per i bisognosi (cfr. S.Basilii «Epistula» 94: PG 32,488bc): una vera città della misericordia che da lui prese il nome di Basiliade (cfr. Sozosemi «Historia Eccl.» VI,34: PG 67,1397a), anch'essa momento autentico dell'unico annuncio evangelico.

    Fu lo stesso amore per il Cristo e il suo Vangelo, ciò che tanto lo fece soffrire delle divisioni della Chiesa e che con tanta perseveranza, sperando contra spem, gli fece ricercare con tutte le Chiese una comunione più efficace e manifesta (cfr. S.Basilii «Epistulae» 70 et 243).

    E' la verità stessa del Vangelo, infatti, a essere oscurata dalla discordia dei cristiani, ed è il Cristo stesso a esserne lacerato (cfr. 1Cor 1,13). La divisione dei credenti contraddice la potenza dell'unico battesimo (cfr. Ef 4,4), che nel Cristo ci fa una sola cosa, anzi un'unica mistica persona (cfr. Gal 3,28); contraddice la sovranità del Cristo, unico re al quale tutti devono ugualmente essere soggetti; contraddice l'autorità e la forza unificante della parola di Dio, unica legge alla quale tutti i credenti devono concordemente ubbidire (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653a-656c).

    La divisione delle Chiese è quindi un fatto così nettamente e direttamente anti-cristologico e anti-biblico, che secondo Basilio la via per la ricomposizione dell'unità può essere soltanto la ri-conversione di tutti al Cristo e alla sua parola (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b-661a).

    Nel multiforme esercizio del suo ministero Basilio si fece dunque, come prescriveva per tutti gli annunciatori della parola, «apostolo e ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello e regola di pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di Cristo, medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12-21: PG 31,864b-868b).

    E in tale opera e tale lotta - ardua, dolorosa, senza respiro - Basilio offrì la sua vita (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,18: PG 31,865c) e si consumò come olocausto.

    Morì non ancora cinquantenne, consumato dalle fatiche e dall'ascesi.

    3. Il magistero di san Basilio

    Dopo avere così brevemente ricordato aspetti salienti della vita di Basilio e del suo impegno di cristiano e di Vescovo, sembra giusto che si tenti di attingere, dalla ricchissima eredità dei suoi scritti, almeno qualche indicazione suprema. Rimettersi alla sua scuola potrà dare luce per meglio affrontare i problemi e le difficoltà di questo stesso tempo, e quindi soccorrerci per il nostro presente e per il nostro futuro.

    Non sembri astratto cominciare da ciò che egli ha insegnato riguardo alla santa Trinità: è certo, anzi, che non può esserci inizio migliore, almeno se ci si vuole adeguare al suo stesso pensiero.

    D'altra parte, che cosa può imporsi maggiormente o essere più normativo per la vita, che il mistero della vita di Dio? Può esserci punto di riferimento più significativo e vitale di questo, per l'uomo?

    Per l'uomo nuovo, che è conformato a questo mistero nella struttura intima del suo essere e del suo esistere; e per ogni uomo, lo sappia o no: poiché non c'è alcuno che non sia stato creato per il Cristo, il Verbo eterno, e non c'è alcuno che non sia chiamato, dallo Spirito e nello Spirito, a glorificare il Padre.

    E' il mistero primordiale, la Trinità santa: poiché non è altro che il mistero stesso di Dio, dell'unico Dio vivo e vero.

    Di questo mistero, Basilio proclama con fermezza la realtà: la triade dei nomi divini, dice, indica certo tre distinte ipostasi (cfr. S.Basilii «Adv. Eunomium», I: PG 29,529a). Ma con non minore fermezza ne confessa l'assoluta inaccessibilità.

    Com'era lucida in lui, teologo sommo, la coscienza dell'infermità e inadeguatezza di ogni teologare!

    Nessuno, diceva, è capace di farlo in modo degno, e la grandezza del mistero vince ogni discorso, cosicché neppure le lingue degli angeli possono attingerlo (cfr. S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,464b-465a).

    Realtà abissale e imperscrutabile, dunque, il Dio vivente! Ma nondimeno Basilio sa di «doverne» parlare, prima e più che di ogni altra cosa. E così, credendo, parla (cfr. 2Cor 4,13): per forza incoercibile di amore, per obbedienza al comando di Dio, e per l'edificazione della Chiesa, che «non si sazia mai di udire tali cose» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,464cd).

    Ma forse è più esatto dire che Basilio, da vero «teologo», più che parlare di questo mistero, lo canta.

    Canta il Padre: «Il principio di tutto, la causa dell'essere di ciò che esiste, la radice dei viventi» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,465c), e soprattutto «Padre del nostro Signore Gesù Cristo» («Anaphora S.Basilii»). E come il Padre è primariamente in rapporto al Figlio, così il Figlio - il Verbo che si è fatto carne nel seno di Maria - è primariamente in rapporto al Padre.

    Così dunque lo contempla e lo canta Basilio: nella «luce inaccessibile», nella «potenza ineffabile», nella «grandezza infinita», nella «gloria sovrasplendente» del mistero trinitario, Dio presso Dio (S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,465cd), «immagine della bontà del Padre e sigillo di forma a lui uguale» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).

    Solo in questo modo, confessando senza ambiguità il Cristo come «uno della santa Trinità» («Liturgia S.Ioannis Chrysostomi»), Basilio può poi vederlo con pieno realismo nell'annientamento della sua umanità. E come pochi altri sa far misurare l'infinito spazio da lui percorso alla nostra ricerca; come pochi sa far scrutare fin nell'abisso dell'umiiiazione di colui che «essendo nella forma di Dio, svuotò se stesso assumendo la forma di servo» (Fil 2,6ss)

    Nell'insegnamento di Basilio, la cristologia della gloria non attenua per nulla la cristologia dell'umiliazione: anzi, serve a proclamare con forza ancora più grande quel contenuto centrale del Vangelo che è la parola della croce (cfr. 1Cor 1,18) e lo scandalo della croce (cfr. Gal 5,11).

    Questo è, di fatto, uno schema abituale del suo discorso cristologico: è la luce della gloria, a rivelare il senso dell'abbassamento.

    L'ubbidienza del Cristo è vero «Vangelo», cioè realizzazione paradossale dell'amore redentivo di Dio, proprio perché - e solo se - colui che ubbidisce è «il Figlio Unigenito di Dio, il Signore e Dio nostro, colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte» (S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b); ed è così che essa può piegare la nostra ostinata disubbidienza. Le sofferenze del Cristo, agnello immacolato che non ha aperto la bocca contro chi lo percuoteva (cfr. Is 53,7), hanno portata infinita e valore eterno e universale, proprio perché colui che così ha patito è «il creatore e sovrano del cielo e della terra, adorabile al di là di ogni creatura intellettuale e sensibile, colui che tutto sostiene con la parola della sua potenza» (cfr. Eb 1,3; S.Basilii «Homilia de ira»: PG 31,369b), ed è così che la passione del Cristo domina la nostra violenza e placa la nostra ira.

    La croce, infine, è davvero la nostra «unica speranza» («Liturgia Horarum», "Hebdomada Sancta": Hymnus ad Vesperas) - non sconfitta, quindi, ma evento salvifico, «esaltazione» (cfr. Gv 8,32ss et alibi) e stupendo trionfo - solo perché colui che vi è stato inchiodato e vi è morto è «il Signore nostro e di tutti» (cfr. At 10,36; S.Basilii «De Baptismo», II,12: PG 31,1624b), «colui mediante il quale sono state fatte tutte le cose, le visibili e le invisibili, colui che possiede la vita come la possiede il Padre che gliel'ha data, colui che dal Padre ha ricevuto ogni potere» (S.Basilii «De Baptismo», II,13: PG 31,1625c); ed è così che la morte del Cristo ci libera da quel «timore della morte» del quale tutti eravamo schiavi (cfr. Eb 2,15).

    «Da lui, il Cristo, rifulse lo Spirito Santo: lo Spirito della verità, il dono dell'adozione filiale, il pegno dell'eredità futura, la primizia dei beni eterni, la potenza vivificante, la sorgente della santificazione, da cui ogni creatura razionale e intellettuale riceve potenza di rendere culto al Padre e di elevare a lui la dossologia eterna» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).

    Questo inno dell'anafora di Basilio esprime bene, in sintesi, il ruolo dello Spirito nell'economia salvifica.

    E' lo Spirito che, dato a ogni battezzato, in ciascuno opera carismi e a ciascuno ricorda gli insegnamenti del Signore (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1561a); è lo Spirito che anima tutta la Chiesa e la ordina e la vivifica con i suoi doni facendone tutte un corpo «spirituale» e carismatico (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,181ab; «De iudicio»: PG 31,657c-660a).

    Di qui, Basilio risaliva alla serena contemplazione della «gloria» dello Spirito, misteriosa e inaccessibile: confessandolo, al di sopra di ogni creatura (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 22), sovrano e signore poiché da lui siamo divinizzati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 20ss), e Santo per essenza poiché da lui siamo santificati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 9 et 18). Avendo così contribuito alla formulazione della fede trinitaria della Chiesa, Basilio ancora oggi parla al suo cuore e la consola, particolarmente con la luminosa confessione del suo Consolatore.

    La luce sfolgorante del mistero trinitario non mette certo in ombra la gloria dell'uomo: anzi, massimamente la esalta e la rivela.

    L'uomo infatti, non è rivale di Dio, follemente opposto a lui; e non è senza Dio, abbandonato alla disperazione della propria solitudine. Ma è riflesso di Dio e sua immagine.

    Perciò, quanto più Dio risplende, tanto più ne riverbera la luce dall'uomo; quanto più Dio è esaltato, tanto più è innalzata la dignità dell'uomo.

    E in questo modo, difatti, Basilio ha celebrato la dignità dell'uomo: vedendola tutta in rapporto a Dio, cioè derivata da lui e finalizzata a lui.

    Essenzialmente per conoscere Dio l'uomo ha ricevuto l'intelligenza, e per vivere conforme alla sua legge ha ricevuto la libertà. Ed è in quanto immagine, che l'uomo trascende tutto l'ordine della natura e appare «più glorioso del cielo, più del sole, più dei cori degli astri: quale cielo, infatti, è chiamato immagine di Dio altissimo?» (S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,449c).

    Proprio per questo, la gloria dell'uomo è radicalmente condizionata al suo rapporto con Dio: l'uomo consegue in pienezza la sua dignità «regale» solo realizzandosi in quanto immagine, e diviene veramente se stesso solo conoscendo e amando colui per il quale ha la ragione e la libertà.

    Già prima di Basilio, così si esprimeva mirabilmente sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo vivente; ma la vita dell'uomo è la visione di Dio» (S.Irenaei «Adversus haereses», IV,20,7). L'uomo vivente è in se stesso glorificazione di Dio, in quanto raggio della sua bellezza, ma non ha «vita» se non attingendola da Dio, nel rapporto personale con lui. Fallire in questo compito, significherebbe per l'uomo tradire la propria vocazione essenziale, e pertanto negare e avvilire la propria dignità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,449b-452a).

    E che altro è il peccato se non questo? Il Cristo stesso, infatti, non è forse venuto per restaurare e restituire la sua gloria a questa immagine di Dio che è l'uomo, cioè all'immagine che l'uomo, con il peccato, aveva ottenebrata (S.Basilii «Homilia de malo»: PG 31,333a), corrotta (S.Basilii «In Psalmum» 32: PG 29,344b), infranta? (S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1537a).

    Proprio per questo - afferma Basilio con le parole della Scrittura - «il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi (Gv 1,14), e ha tanto umiliato se stesso da farsi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce» (cfr. Fil 2,8; S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,452ab). Perciò, o uomo, «renditi conto della tua grandezza considerando il prezzo versato per te: guarda il prezzo del tuo riscatto, e comprendi la tua dignità!» (S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,452b).

    La dignità dell'uomo, dunque, è insieme nel mistero di Dio, e nel mistero della croce: è questo l'«umanesimo» di Basilio, o - potremmo dire più semplicemente - l'umanesimo cristiano.

    Il restauro dell'immagine può dunque compiersi soltanto in virtù della croce del Cristo: «Fu la sua ubbidienza fino alla morte a divenire per noi redenzione dei peccatori, libertà dalla morte che regnava per la colpa originale, riconciliazione con Dio, potenza di piacere a Dio, dono di giustizia, comunione dei santi nella vita eterna, eredità del regno dei cieli» (S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1556b).

    Ma questo, per Basilio, equivale a dire che tutto ciò si compie in virtù del battesimo.

    Che cos'è, infatti, il battesimo, se non l'evento salvifico della morte del Cristo, nel quale siamo inseriti mediante la celebrazione del mistero? Il mistero sacramentale, «imitazione» della sua morte, ci immerge nella realtà della sua morte; come scrive Paolo: «O ignorate che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (Rm 6,3).

    Basandosi appunto sulla misteriosa identità del battesimo con l'evento pasquale del Cristo, al seguito di Paolo anche Basilio insegna che essere battezzati altro non è se non essere realmente crocifissi - cioé inchiodati con il Cristo alla sua unica croce - realmente morire la sua morte, con lui essere sepolti nel suo seppellimento, e conseguentemente con lui risorgere della sua risurrezione (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2).

    Coerentemente, perciò, egli può riferire al battesimo gli stessi titoli di gloria con cui l'abbiamo udito inneggiare alla croce: anch'esso è «riscatto dei prigionieri, remissione dei debiti, morte del peccato, rigenerazione dell'anima, abito di luce, inviolabile sigillo, veicolo per il cielo, titolo per il regno, dono della filiazione» (S.Basilii «In sanctum Baptisma»: PG 31,433ab). E' per esso, infatti, che si salda l'unione fra l'uomo e il Cristo, e che mediante il Cristo l'uomo è inserito nel cuore stesso della vita trinitaria: divenendo spirito perché nato dallo Spirito (cfr. S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31,736d; «Moralia», LXXX,22: PG 31,869a) e figlio perché rivestito del Figlio, in un rapporto altissimo con il Padre dell'Unigenito che è ormai divenuto anche, realmente, il Padre suo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1564c-1565b).

    Alla luce di una considerazione così vigorosa del mistero battesimale, si disvela a Basilio il senso stesso della vita cristiana. Del resto, come altrimenti comprendere questo mistero dell'uomo nuovo, se non fissando lo sguardo sul punto luminoso della sua nascita nuova, e sulla potenza divina che nel battesimo lo ha generato?

    «Come si definisce il cristiano?», si chiede Basilio; e risponde: «Come colui che è generato da acqua e Spirito nel battesimo» (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868d).

    Solo in ciò da cui siamo si rivela ciò che siamo, e ciò per cui siamo.

    Creatura nuova, il cristiano, anche quando non ne è pienamente consapevole, vive una vita nuova; e nella sua realtà più profonda, anche se col suo agire lo rinnega, é trasferito in una patria nuova, sulla terra già reso celeste (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,157c; «In sanctum Baptisma»: PG 31,429b): perché l'operazione di Dio è infinitamente e infallibilmente efficace, e rimane sempre in qualche misura al di là di ogni smentita e contraddizione dell'uomo.

    Resta, certo, il compito - ed è, in rapporto essenziale con il battesimo, il senso stesso della vita cristiana - di diventare quello che si è, adeguandosi alla nuova dimensione «spirituale» ed escatologica del proprio mistero personale. Come si esprime, con la consueta chiarezza, san Basilio: «Il significato e la potenza del battesimo è che il battezzato si trasformi nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e che diventi - secondo la potenza che gli è stata elargita - quale è colui dal quale è stato generato» (S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31,736d).

    L'eucaristia, compimento dell'iniziazione cristiana, è sempre considerata da Basilio in strettissimo rapporto con il battesimo.

    Unico cibo adeguato al nuovo essere del battezzato e capace di sostenerne la vita nuova e di alimentarne le nuove energie (cfr. S.Basilii «De Baptismo» I,3: PG 31,1573b); culto in spirito e verità, esercizio del nuovo sacerdozio e sacrificio perfetto dell'Israele nuovo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,2ss et 8: PG 31,1601c; S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,485a), solo l'eucaristia attua in pienezza e perfeziona la nuova creazione battesimale.

    Perciò, è mistero di immensa gioia - solo cantando vi si può partecipare (cfr. S.Basilii «Moralia»,XXI,4: PG 31,741a) - e di infinita, tremenda santità. Come si potrebbe, essendo in stato di peccato, trattare il corpo del Signore? (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,3: PG 31,1585ab). La Chiesa che comunica, dovrebbe davvero essere «senza macchia e ruga, santa e incontaminata» (Ef 5,27; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869b): cioé dovrebbe sempre, con vigile coscienza del mistero che celebra, esaminare bene se stessa (cfr. 1Cor 11,28; S.Basilii «Morali», XXI,2: PG 31,740ab), per purificarsi sempre più «da ogni contaminazione e impurità» (S.Basilii «De Baptismo» II,3: PG 31,1585ab).

    D'altra parte, astenersi dal comunicare non è possibile: all'eucaristia infatti, necessaria per la vita eterna (cfr. S.Basilii «Moralia», XXI,1: PG 31,737c), è ordinato lo stesso battesimo, e il popolo dei battezzati deve essere puro proprio per partecipare all'eucaristia (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869b).

    Solo l'eucaristia del resto, vero memoriale del mistero pasquale del Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore. Essa è perciò il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo sposo fissato su di lei, cadere nell'oblio, nell'insensibilità, nell'infedeltà. A questo scopo è stata istituita, secondo le parole del Signore: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24ss et par.); e a questo scopo, conseguentemente, deve essere celebrata.

    Basilio non si stanca di ripeterlo: «Per ricordare (S.Basilii «Moralia», XXI,3: PG 31,740b); anzi, per ricordare sempre, «per il ricordo indelebile» (S.Basilii «Moralia», XXI,3: PG 31,1576d), «per custodire incessantemente il ricordo di colui che è morto e risorto per noi» (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,1869b).

    Solo l'eucaristia dunque, per disegno e dono di Dio, può veramente custodire nel cuore «il sigillo» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 5: PG 31,921b) di quel ricordo del Cristo che, stringendosi come in una morsa, ci impedisce di peccare. E' perciò particolarmente in rapporto all'eucaristia che Basilio riprende il testo di Paolo: «L'amore di Cristo ci stringe, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,14ss).

    Ma che cos'è poi questo vivere per il Cristo - o «vivere integralmente per Dio» - se non il contenuto stesso del patto battesimale? (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,1581a).

    Anche per questo aspetto, dunque, l'eucaristia appare essere la pienezza del battesimo: essa sola, infatti consente di viverlo con fedeltà e continuamente lo attualizza nella sua potenza di grazia.

    Perciò Basilio non esita a raccomandare la comunione frequente, o addirittura quotidiana: «Comunicare anche ogni giorno ricevendo il santo corpo e sangue del Cristo è cosa buona e utile; poiché egli stesso dice chiaramente: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,54). Chi dunque dubiterà che comunicare continuamente alla vita non sia vivere in pienezza?» (S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,484b).

    Vero «cibo di vita eterna» capace di nutrire la vita nuova del battezzato è, come l'eucaristia, anche «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cfr. Dt 8,3; S.Basilii «De Baptismo», I,3: PG 31,1573bc).

    E' Basilio stesso a stabilire con forza questo nesso fondamentale fra la mensa della parola di Dio e quella del corpo del Cristo (cfr. «Dei Verbum», 21). Benché in modo diverso, infatti, anche la Scrittura, come l'eucaristia, è divina, santa, e necessaria.

    Veramente divina, afferma Basilio con singolare energia: cioé «di Dio» nel senso più proprio. Dio stesso l'ha ispirata (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,664d; S.Basilii «De fide»: PG 31,677a; ecc...), Dio l'ha convalidata (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,680b), Dio l'ha pronunciata mediante gli agiografi (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 13: PG 31,1092a; «Adv. Eunomium», II: PG 29,597c; ecc...) - Mosé, i profeti, gli evangelisti, gli apostoli (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,1: PG 31,1524d) - e soprattutto mediante il suo Figlio (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1561c); lui, l'unico Signore: sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 47: PG 31,1113a), certo con diversi gradi di intensità e diversa pienezza di rivelazione (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 276: PG 31,1276cd; «De Baptismo», I,2: PG 31,1545b), ma pure senza ombra di contraddizione (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,692b).

    Di sostanza divina benché fatta di parole umane, la Scrittura è perciò infinitamente autorevole: sorgente della fede, secondo la parola di Paolo (cfr. Rm 10,17; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c), è il fondamento di una certezza piena, indubbia, non vacillante (S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c). Essendo tutta di Dio, è tutta, in ogni sua minima parte, infinitamente importante e degna di estrema attenzione (cfr. S.Basilii «In Hexaem.», VI: PG 29,144c; «In Hexaem.», VIII: PG 29,184c).

    E per questo, anche, la Scrittura giustamente viene chiamata santa: poiché, come sarebbe terribile sacrilegio profanare l'eucaristia, sarebbe sacrilegio anche attentare all'integrità e alla purezza della parola di Dio.

    Non la si può dunque intendere secondo categorie umane, ma alla luce dei suoi stessi insegnamenti, quasi «chiedendo al Signore stesso l'interpretazione delle cose da lui dette» (S.Basilii «De Baptismo», II,4: PG 31,1589b); e non si può «togliere né aggiungere nulla» a quei testi divini consegnati alla Chiesa per tutti i tempi, a quelle parole sante pronunciate da Dio una volta per tutte (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,680ab; «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c).

    E' di necessità vitale, infatti, che il rapporto con la parola di Dio sia sempre adorante, fedele, e amante. Essenzialmente da essa la Chiesa deve attingere per il suo annuncio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 115: PG 30,105c 108a), lasciandosi guidare dalle parole stesse del suo Signore (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1533c), per non rischiare di «ridurre a parole umane le parole della religione» (S.Basilii «Epistula» 140: PG 32,588b). E alla Scrittura deve riferirsi «sempre e dovunque» ogni cristiano per tutte le sue scelte (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 269: PG 31,1268c), facendosi di fronte ad essa «come un bambino» (cfr. Mc 10,15; S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 217: PG 31,1225bc; S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1560ab), in essa cercando il più efficace rimedio contro tutte le sue diverse infermità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,209a), e non osando muovere un passo senza essere illuminato dai raggi divini di quelle parole (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 1: PG 31,1081a).

    Autenticamente cristiano, tutto il magistero di Basilio è, come si è visto, «vangelo», proclamazione gioiosa della salvezza.

    Non è forse piena di gioia e sorgente di gioia la confessione della gloria di Dio che si irradia sull'uomo sua immagine?

    Non è stupendo l'annuncio della vittoria della croce, nella quale, «per la grandezza della pietà e la moltitudine delle misericordie di Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), i nostri peccati sono stati perdonati prima ancora che li commettessimo? (cfr. S.Basilii «Regulae bravius tractatae», 12: PG 31,1089b). Quale annuncio più consolante che quello del battesimo che ci rigenera, dell'eucaristia che ci nutre, della Parola che ci illumina?

    Ma proprio per questo, per non avere taciuto o sminuito la potenza salvifica e trasformante dell'opera di Dio e delle «energie del secolo futuro» (cfr. Eb 6,5), Basilio può chiedere a tutti, con molta fermezza, amore totale per Dio, dedizione senza riserve, perfezione di vita evangelica (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869c).

    Poiché, se il battesimo è grazia - e quale grazia! - quanti l'hanno conseguita hanno effettivamente ricevuto «il potere e la forza di piacere a Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), e sono perciò «tutti ugualmente tenuti a conformarsi a tale grazia», cioé a «vivere conforme al Vangelo» (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,15980ac).

    «Tutti ugualmente»: non ci sono cristiani di seconda categoria, semplicemente perché non ci sono battesimi diversi, e perché il senso della vita cristiana è tutto intrinsecamente contenuto nell'unico patto battesimale (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,1580ac).

    «Vivere conforme al Vangelo»: che cosa significa questo, in concreto, secondo Basilio?

    Significa tendere, con tutta la brama del proprio essere (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 157: PG 31,1185a) e con tutte le nuove energie delle quali si dispone, a conseguire il «compiacimento di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», I,5: PG 31,704a et passim)

    Significa, per esempio, «non essere ricchi, ma poveri, secondo la parola del Signore» (cfr. S.Basilii «Moralia», XLVIII,3: PG 31,769a), realizzando così una condizione fondamentale per poterlo seguire (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 10: PG 31,944d-945a) con libertà (cfr. S.Basilii «Regulaea fusius tractatae», 8: PG 31,940bc; «Regulae fusius tractatae», 237: PG 31,1241b), e manifestando, rispetto alla norma imperante del vivere mondano, la novità del Vangelo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1544d). Significa sottomettersi totalmente alla parola di Dio, rinunciando alle «proprie volontà» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 6 et 41: PG 31,925c et 1021a) e facendosi ubbidienti, a imitazione del Cristo, «fino alla morte» (cfr. Fil 2,8; S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 28: PG 31,989b; «Regulae brevius tractatae», 119: PG 31,1161d et passim).

    Davvero, Basilio non arrossiva del Vangelo: ma, sapendo che esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16) lo annunciava con quella integrità (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12: PG 31,864b) che lo fa essere pienamente parola di grazia e sorgente di vita.

    Ci piace infine rilevare che san Basilio, anche se più sobriamente del fratello san Gregorio di Nissa e dell'amico san Gregorio di Nazianzo, celebra la verginità di Maria (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi generationem», 5: PG 31,1468b): chiama Maria «profetessa» (cfr. S.Basilii «In Isaiam», 208: PG 30,477b) e con felice espressione così motiva il fidanzamento di Maria con Giuseppe: «Ciò avvenne perché la verginità fosse onorata e non fosse disprezzato il matrimonio» (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi generationem», 3: PG 31,1464a).

    L'anafora di san Basilio sopra ricordata contiene lodi eccelse alla «tutta santa, immacolata, ultrabenedetta e gloriosa Signora Madre-di-Dio e sempre-vergine Maria»; «Donna piena di grazia, esultanza di tutto il creato...»

    4. Conclusione

    Di questo grande santo e maestro tutti noi, nella Chiesa, ci gloriamo di essere discepoli e figli: riconsideriamo dunque il suo esempio, e riascoltiamo con venerazione i suoi insegnamenti, con intima disponibilità lasciandoci ammonire, confortare ed esortare.

    Affidiamo questo nostro messaggio in modo particolare ai numerosi ordini religiosi - maschili e femminili - che si onorano del nome e della tutela di san Basilio e ne seguono la Regola, impegnandoli in questa felice ricorrenza a propositi di nuovo fervore in una vita di ascesi e contemplazione delle cose divine, che poi sovrabbondi in opere sante a gloria di Dio e a edificazione della santa Chiesa. Per il felice conseguimento di tali scopi, imploriamo anche l'aiuto materno della Vergine Maria, come auspicio di doni celesti e pegno della nostra benevolenza, con grande affetto vi impartiamo l'apostolica benedizione.

    Dato a Roma, presso san Pietro, il 2 gennaio, nella memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, Vescovi e Dottori della Chiesa, dell'anno 1980, secondo di Pontificato.

  6. #6
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    Pierre Hubert Subleyras, Messa di S. Basilio dinanzi all'Imperatore Valente, 1743, Hermitage, San Pietroburgo. Ne esiste una copia del 1747 nella Basilica di S. Maria degli Angeli, Roma (la seconda opera qui riprodotta)

    Francisco de Herrera il Vecchio, S. Basilio Magno detta la sua regola, Musée du Louvre, Parigi

  7. #7
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    UDIENZA DI GIOVANNI PAOLO II
    AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE
    DEI PADRI BASILIANI

    Sabato 8 Luglio 2000


    Carissimi Padri dell’Ordine Basiliano!

    1. Siete riuniti nella Città Eterna per i lavori del vostro Capitolo generale. Vi accolgo con gioia in questo speciale incontro, che avete sollecitato per confermare, anche in questo modo, la vostra comunione con la Sede di Pietro. Nell’esprimervi la mia gratitudine per questa testimonianza di carità ecclesiale, rivolgo un cordiale saluto al vostro Protoarchimandrita Dionisio Lachovicz.

    Scopo del vostro Capitolo è il rinnovamento degli statuti dell'Ordine, l'elezione della nuova Curia Generalizia e l'elaborazione di valide indicazioni per la risoluzione dei problemi attuali dell'Ordine. Per una buona parte dei membri delle vostre Comunità si sono compiuti da poco i dieci anni dalla liberazione da regimi oppressivi, che hanno pesantemente ostacolato la vita della Chiesa. E quest'evento coincide con l'Anno del grande Giubileo, cioè con un periodo nel quale siamo chiamati in modo del tutto particolare alla purificazione della memoria, al perdono, in una parola, alla riconciliazione. Specialmente coloro che hanno tanto sofferto sono chiamati ad un'amore che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1 Cor 13,7). Un tale amore conduce alla riconciliazione con i fratelli, soprattutto con quelli che sono stati all’origine di inenarrabili sofferenze.

    L'Anno Santo Duemila costituisca per tutti voi un forte richiamo alla santità nella vita personale e in quella comunitaria, affinché ne rimbalzino effetti benefici sull’intera comunità cristiana.

    2. L'unità della Chiesa, per cui Cristo ha pregato nell’Ultima Cena (cfr Gv 17,20.21), sia costante impegno per ciascuno di voi. Vi è di esempio in ciò san Basilio il Grande del quale ho scritto: "Fu lo stesso amore per il Cristo e il suo Vangelo, ciò che tanto lo fece soffrire delle divisioni della Chiesa e che con tanta perseveranza sperando contra spem, gli fece ricercare con tutte le Chiese una comunione più efficace e manifesta" (Lett. ap. Patres Ecclesiae, 2 gennaio 1980, II: Insegnamenti, III/1, 1980, 58).

    Altra finalità primaria della vostra consacrazione a Dio nell’Ordine Basiliano è il rinnovamento della vita cristiana del vostro popolo, finalità per la quale tanto lavorò san Giosafat, le cui spoglie mortali riposano ora qui accanto, nella Basilica di San Pietro. Ci stiamo avvicinando al 400E anniversario della sua entrata nel monastero della Santissima Trinità a Vilnius. Risale a quel momento l’avvio di una nuova primavera della vita monastica nella Chiesa greco-cattolica. Con la sua ascesi spirituale, con la vita di penitenza, con l’infaticabile servizio alla Chiesa, egli contribuì efficacemente alla rinascita non solo del monachesimo, ma anche dell'esistenza cristiana in quelle terre. Una situazione analoga si ripete oggi là dove per parecchi decenni la Chiesa fu soppressa. Pure oggi quei popoli aspettano di vedere la luce di Dio che si rispecchia nel volto di uomini trasfigurati mediante la preghiera, l'amore, il servizio.

    L'unità della Chiesa ha oggi bisogno di fedeltà creativa (cfr Vita consecrata, 37), che sappia attingere alla grande e tanto ricca tradizione spirituale dell'Oriente cristiano. E’ una tradizione, questa, che attende di essere ricuperata in tutte le vostre Comunità: spetta a voi di essere i fedeli testimoni di un così multiforme patrimonio spirituale.

    3. San Basilio il Grande, vostro patriarca, comincia le "Regole più ampie" con un forte richiamo al precetto dell'amore verso Dio e verso i fratelli. Da lì deriva, infatti, tutto il dinamismo delle successive norme monastiche e dello stesso cammino verso la santità. L'amore viene esercitato in una vita comunitaria che si ispira al modello della prima comunità di Gerusalemme, la quale viveva una piena comunione dei beni e dei carismi (cfr At 2,42-47). A questo principio si richiamano i vostri Padri, il Metropolita Giuseppe Veliamin Rutskyj e san Giosafat Kuntsevytch, i quali hanno rinnovato la vita del vostro Ordine.

    Il vostro servizio all'ecumenismo non può che partire da una profonda conversione interiore a Gesù Cristo e al suo Vangelo. Ciò suppone un’intensa dedizione alla preghiera, "la quale con la luce di Dio e con la verità trasforma la nostra vita e la fa un'icona di Gesù Cristo" (Discorso nella Chiesa dei Padri Basiliani a Varsavia, 11 Giugno 1999, n. 4). Solo ponendoci in umile contemplazione del Volto Santo del nostro Redentore potremo giungere a riconciliarci tra noi e ritrovare l’unità piena che nasce dall'amore.

    Di particolare rilievo in questo cammino è la Liturgia, culmine e centro di tutta la vita cristiana. Essa, con tutte le sue ricchezze, deve essere il vostro continuo punto di riferimento. L’adesione fedele al patrimonio del passato, che sappia aprirsi ad una sana creatività secondo il grande spirito delle preghiere liturgiche, sarà garanzia della perseveranza nella vostra identità religiosa orientale.

    4. Il vostro carisma poggia su alcuni punti essenziali: la vita comunitaria, chiara manifestazione della vita evangelica, il servizio all'unità della Chiesa di Cristo espresso nello studio, nell'esempio e soprattutto nella preghiera personale e liturgica, l'apostolato multiforme per il popolo di Dio mediante la formazione spirituale, l'attività pastorale, catechistica, missionaria, scolastica ed editoriale. Lo stesso san Basilio "con saggio equilibrio seppe comporre la predicazione infaticabile con spazi di solitudine e con un ampio respiro di preghiera. Riteneva, infatti, che ciò fosse di inderogabile necessità per la "purificazione dell'anima" e quindi perché l'annuncio della parola potesse essere confermato dall'"evidente esempio" della vita. Così divenne pastore e fu insieme, nel senso più sostanziale del termine, monaco" (Lett. ap. Patres Ecclesiae, II, pp. 53-54).

    Nell’esprimere grato apprezzamento ai Padri Consultori uscenti e nel porgere cordiali auguri di buon lavoro a coloro che saranno eletti al loro posto, rivolgo uno speciale saluto ai rappresentanti delle Provincie di Argentina, del Brasile, del Canada, di Polonia, della Romania, degli Stati Uniti, della Slovacchia, dell'Ucraina, dell'Ungheria e della recente fondazione di Praga. Tutti affido alla materna intercessione della Vergine Santissima, mentre con un fraterno pensiero per il Padre Protoarchimandrita, imparto a ciascuno di gran cuore una speciale Benedizione Apostolica.

  8. #8
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    DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
    AI MONACI E ALLE MONACHE
    DELL'ORDINE BASILIANO DI SAN GIOSAFAT

    14 febbraio 1980


    Carissimi fratelli e sorelle nel Signore!

    Ho aderito volentieri al desiderio di una speciale udienza, espresso a suo tempo dal vostro rev.do padre protoarchimandrita, perché so quale importanza voi attribuite a questo incontro, col quale intendete solennizzare la conclusione del XVI° centenario della morte di san Basilio il Grande, a cui i vostri ordini, insieme con altri, si ispirano, come al loro fondatore ed insuperato modello.

    Nel ringraziare il reverendo padre Isidoro Patrylo delle parole tanto cortesi, con cui ha interpretato i comuni sentimenti, rivolgo a tutti il mio saluto cordiale: a voi qui presenti, come anche ai monaci ed alle monache dei vostri ordini che, nelle varie comunità sparse nel mondo, si studiano di vivere nella fedele osservanza religiosa, nonostante le difficoltà non lievi che certe situazioni loro riservano.

    La testimonianza di coraggioso attaccamento a Cristo, alla Chiesa, alla Regola, che vi è offerta da questi confratelli e consorelle, deve essere di esempio a tutti voi e stimolarvi ad una sempre più generosa e coerente adesione alla grazia singolare della vocazione, sulle orme di colui a cui voi guardate come a vostro legislatore e maestro.

    L’insegnamento di san Basilio, pervaso com’è di un autentico “sensus Christi”, resta attualissimo anche oggi. Non è significativo, a questo proposito, che la Regola prenda l’avvio dall’affermazione della centralità del comandamento dell’amore a Dio ed al prossimo alle cui esigenze la spiritualità moderna è così sensibile ed attenta? L’itinerario ascetico, che san Basilio traccia, è tutto orientato verso l’attuazione di questo ideale.

    Se il monaco si impegna nella purificazione del cuore mediante la pratica della povertà, del silenzio, del distacco e di quella tipica virtù basiliana che è l’“attenzione a sé”, lo fa perché la sapienza, che apre alla conoscenza e, quindi, all’amore di Dio, fiorisce nei cuori mondi. Anche la dedizione umile ed assidua alla preghiera ed al raccoglimento, tanto spesso raccomandata nella Regola, trova la sua giustificazione nella fiducia, fondata nella parola di Cristo, di poter così giungere più celermente ad aver Dio “nel cuore dell’anima” (cf. S. Basilio, Parvum Ascetikon, Q. II,14ss et passim).

    L’altro polo del “comandamento massimo”, l’amore al prossimo, ha radici profonde nel cuore umano. San Basilio lo sa: “Chi è che ignora - egli domanda - che l’uomo è un animale dotato di amore e di comunicabilità e non qualche cosa di selvatico e feroce?” (Ivi, 67). Il Vescovo di Cesarea sa, però, anche quale sconvolgimento abbia recato il peccato nel cuore umano. Egli non si stanca, perciò, di ricordare ai suoi monaci che la possibilità di aprirsi con amore alle opere di misericordia verso il prossimo è frutto di una lotta prolungata e dura col proprio orgoglio, con i pensieri malvagi, col proprio egoismo. Solo chi sa conservare il cuore “intatto” (Ivi, 85), sottraendolo alle suggestioni degli entusiasmi passeggeri e dispersivi (cf. Ivi, 83), può esprimere nella sua vita un’autentica capacità di donazione. In tale impegno altruistico, per altro, egli troverà il segreto di una piena realizzazione personale, giacché “chi ama il prossimo perfeziona la sua carità verso Dio, perché egli stesso riceve in sé tutto quello che è operato per il prossimo” (S. Basilio, Parvum Ascetikon, Q. II,77).

    Sono queste alcune “perle” del ricchissimo tesoro contenuto nello “scrigno” della Regola. A voi il compito di trarne profitto, mediante lo sforzo, ogni giorno rinnovato, di tradurre nella vita quanto la riflessione personale sugli insegnamenti del vostro maestro e padre vi ha fatto scoprire. Con le stesse sue parole desidero anch’io esortarvi cordialmente a conservare nella vostra vita questo primato dell’amore a Dio e al prossimo, dedicandovi con instancabile sollecitudine “a quanto vi è di più eminente e perfetto: cosicché passiate ogni periodo della vostra vita nella ricerca delle cose migliori e nell’apprendimento di quelle più utili” (S. Basilio, Parvum Ascetikon, Proem., 7-8).

    Con questo auspicio, invoco su di voi e sul vostro impegno religioso, che è attivo e contemplativo insieme, l’abbondanza dei favori celesti, mentre con particolare effusione di affetto imparto a voi ed ai componenti dei rispettivi ordini la propiziatrice benedizione apostolica.

  9. #9
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    LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
    AL PROTOARCHIMANDRITA
    DELL'ORDINE BASILIANO DI SAN GIOSAFAT


    Al diletto figlio Isidoro Patrylo,
    Protoarchimandrita, Superiore Generale dell’Ordine basiliano di san Giosafat.

    Nella solennità della ricorrenza del primo centenario della riforma dell’Ordine basiliano di san Giosafat (riforma che va sotto il nome di Dobromyl), siamo lieti di poter salutare te e i delegati di tutto l’Ordine e delle Provincie, convenuti a Roma per il Capitolo Generale. Vi invitiamo naturalmente a portare il nostro saluto anche ai monaci e ai religiosi dell’Ordine basiliano, che le varie fatiche dell’apostolato trattengono in luoghi diversi, nel paese d’origine, all’estero, e specialmente a coloro che per la loro purissima fede in Cristo e per l’obbedienza a questa Sede Apostolica sono perseguitati.

    La riforma di Dobromyl, per fare in breve la sua storia, ebbe il fondamento e, se così si può dire, la Magna Charta dalla lettera apostolica “Singulare praesidium” del nostro predecessore Leone XIII, il 12 maggio 1882 (cf. Acta Leonis, III, 58); fondamentale fu l’importanza di questa Lettera, certamente ispirata da Dio nella sua infinita provvidenza: infatti l’Ordine, che per la iniquità dei tempi aveva perso il suo vigore e appariva ormai vecchio, non solo fu strappato a così grave pericolo ma ebbe anche una meravigliosa fioritura di monaci e di Istituti, e diede rigogliosissimi frutti, a somiglianza di quanto avvenne in seguito alla prima riforma, che era stata fatta nell’anno 1623. Si può dunque dire, se si fa una valutazione storica, che la riforma di Dobromyl fu veramente una seconda fondazione dell’Ordine.

    Come è noto, i monaci di san Basilio Magno, la cui opera di Legislatore ascetico abbiamo lodato nella lettera apostolica Patres Ecclesiae (cf. AAS 72 [1980], 5-23) per la prima volta entrarono nella Sede Metropolitana di Kiev ad opera dei santi Antonio e Teodosio, che fondarono il convento delle Cripte nella stessa Kiev (Kievo Pecerska Lavra), che fu la culla di tutti i successivi conventi slavi.

    Su questo grande albero si innestò la “prior reformatio” (prima riforma), che san Giosafat nel monastero della santissima Trinità di Vilnius iniziò nell’anno 1617 con il Metropolita Rutskyi, quando cioè i primi conventi furono tutti riuniti sotto un unico capo. In verità questa opera di perfezionamento e la rinnovata fedeltà alla Sede Apostolica costarono il martirio a san Giosafat; ma per il fatto stesso che il prezzo fu così alto, la messe della riforma fu fecondissima, tanto che nell’anno 1772 l’Ordine contava 155 monasteri con 1235 monaci, dei quali 950 sacerdoti; perciò a ragione negli annali quell’età viene considerata “aurea”.

    Per quanto riguarda la seconda riforma che fu avviata dal nostro predecessore Leone XIII, si può ben metterla sullo stesso piano della precedente per splendore e vigore. E se la terribile tempesta della persecuzione devastò ampiamente la prima sede e le provincie originarie dell’Ordine, tuttavia è fuor di dubbio che esso ha esteso i suoi confini da allora e da ogni parte ha preso vigore pur avendo subìto tante perdite. Inoltre, se nella prima riforma dell’anno 1623 tutti i Basiliani giurarono fedeltà alla Sede Romana fino alla morte, nella seconda il vostro sacro Ordine si legò con un quarto voto “a prestare fedeltà e obbedienza alla Sede Apostolica e ai successori di Pietro”. E ancora, nella prima riforma i monaci si ripromisero di conservare il Rito greco; è chiaro che vollero che si perpetuasse questo rito come un segno caratteristico del vostro Ordine, e che fosse considerato un felice augurio di unità alla vostra Chiesa.

    Se questa dunque è la storia del vostro Ordine, in questa solenne ricorrenza quale invito più appropriato potremmo farvi se non quello di tener fede alle promesse fatte allora da quei vostri predecessori nella prima riforma, e poi ancora nella seconda da altri?

    Nella sua Lettera apostolica il nostro venerabile predecessore Leone XIII esprimeva anche la speranza che il vostro Ordine “rifiorisse completamente”. Addirittura, dopo averlo chiamato “grande” e “inclito”, aggiunse anche questa espressione: “Quo vigente, Ruthenorum viguit Ecclesia” [Il vigore della Chiesa Ucraina coincise sempre con il vigore del vostro Ordine] (Acta Leonis, III, 61). Quale elogio può essere pari a questo se guardiamo ai secoli passati, quale di maggior incitamento se guardiamo al futuro?

    Questa infatti è la peculiarità del vostro Ordine, come di ogni Ordine monastico, collocare la vita evangelica in una luce chiarissima con una perfetta regola di vita. Se l’Ordine si atterrà a questo impegno di vita sarà certamente ancora “forza e vigore della Chiesa”.

    Del resto questa promessa di una messe rigogliosa “per il bene della Chiesa” promana con ogni evidenza già abbondante dall’origine dell’Ordine basiliano di san Giosafat, cioè dallo stesso san Basilio Magno, che fu “tra i più grandi pastori-monaci della Chiesa” (Patres Ecclesiae, II), e da san Giosafat anch’egli monaco e Vescovo.

    Dal compito di Pastori del Popolo di Dio (che è un popolo sacerdotale) nacque quella grande preoccupazione pastorale che spinse san Basilio Magno e san Giosafat martire a sviluppare la sacra Liturgia, l’importanza della quale è così definita nel Concilio Vaticano II: “culmine al quale tende l’azione della Chiesa e insieme fonte dalla quale emana tutta la sua virtù” (Sacrosanctum Concilium, 10). Il nostro augurio è che la sacra Liturgia ispiri tutto il vostro apostolato!

    Quali grandi tribolazioni sopportò, quali fatiche si addossò san Basilio per l’unità della Chiesa è noto a tutti; soleva spesso ripetere: “la discordia dei cristiani oscura la stessa verità del Vangelo, lacera lo stesso Cristo” (cf. Patres Ecclesiae, II), e insegnò la strada per ripristinare l’unità, strada che indicava in una nuova conversione di ognuno a Cristo e alla sua parola (cf. Ivi.). Sappiamo anche che per questa unità della Chiesa san Giosafat subì il martirio. Non possiamo dunque che auspicare che lo Spirito Santo con la rugiada della sua grazia irrori la vostra vita, l’apostolato e le vostre iniziative per l’unità; lo Spirito che nel vostro Ordine invocate con le parole di san Basilio come “Spirito di verità, grazia di adozione, pegno della futura eredità, primizia dei beni eterni, potenza vivificatrice, fonte di santificazione” (Patres Ecclesiae, III).

    Questi nostri voti siano accolti dalla beata Vergine Maria, che san Basilio nella Liturgia onora come “santissima, pura, benedetta tra tutte, gloriosa Signora Madre di Dio e sempre Vergine; donna piena di grazia e letizia di tutto l’universo” (Ivi).

    Infine mentre invochiamo l’aiuto dei santi Basilio e Giosafat, vostri patroni celesti, come segno della nostra paterna benevolenza e pegno della pienezza della gioia e della perfezione, a te, a tutti i confratelli, a tutti coloro che parteciperanno a questa vostra solenne celebrazione, impartiamo la benedizione apostolica.

    Dal Vaticano, il 1 luglio, dell’anno 1982, quarto del nostro pontificato.

    GIOVANNI PAOLO II

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    DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
    DURANTE LA VISITA ALL'ISTITUTO DI PATROLOGIA
    «AUGUSTINIANUM»

    Venerdì, 7 maggio 1982


    Illustri Professori e figli carissimi!

    1. Sono lieto e ringrazio di cuore il Signore per aver potuto soddisfare il mio desiderio, che so essere stato anche vostro, di venire in mezzo a voi in questo Istituto Patristico, che prende nome dal grande Agostino, maestro insigne di verità e fulgido esempio di autentica vita cristiana. A lui ispirandosi, il vostro Istituto, da quando fu inaugurato dal mio venerato predecessore Paolo VI, ha percorso un cammino non ancora lungo nel tempo, ma, come abbiamo sentito or ora dalla voce del Preside, già fecondo di frutti.

    Saluto i professori e gli alunni, in particolare il Priore Generale dell’Ordine, Moderatore dell’Istituto, il reverendo Preside che tanto nobilmente ha interpretato i comuni sentimenti, gli studiosi dell’antichità cristiana che celebrano il loro undicesimo incontro, tutti i membri - religiosi e religiose - della famiglia agostiniana e i presenti in quest’aula.

    Desidero confermare con la mia benedizione la fervida attività del vostro Istituto, che “risponde in pieno - come disse Paolo VI nel discorso inaugurale - ai bisogni attuali della Chiesa”, perché “fa parte di quella risalita alle origini cristiane senza la quale non sarebbe possibile attuare il rinnovamento . . . auspicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II” (Paolo VI, Allocutio ad sodales Ordinis Sancti Augustini, cum Institutum Patristicum Augustinianum praesens inauguravit, die 4 maii 1970: Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 437).

    E considero con grande stima le iniziative culturali, qui in atto. Prima di tutto: i corsi di teologia e di patrologia. So che li tengono professori di provata competenza, ecclesiastici e laici e tra quelli, oltre gli agostiniani, membri di diverse famiglie religiose; e che li seguono con interesse numerosi giovani, appartenenti anch’essi, come i professori, al mondo internazionale, segno anche questo dell’universalità della Chiesa. E mi è motivo di gioia apprendere che vi sono anche alunni provenienti dalla Polonia.

    Poi gli incontri di studiosi dell’antichità cristiana, nei quali i cultori delle scienze patristiche, italiani ed esteri, spinti dall’amore per la verità, s’impegnano, con le risorse storiche e filologiche, che sono loro proprie, ad approfondire i grandi temi di quell’epoca lontana e vicina della vita della Chiesa. È da auspicare che dal loro assiduo lavoro la conoscenza della tradizione derivata dagli Apostoli tragga un grande profitto. La Chiesa è grata per questi studi e per l’impegno con cui i loro cultori li portano avanti.

    Anche i Seminari di perfezionamento patristico meritano di essere continuati a beneficio di coloro che, impegnati già nell’insegnamento, vogliono approfondire le loro conoscenze approfittando della particolare competenza di altri loro colleghi.

    C’è infine la fervida attività della Cattedra Agostiniana impegnata nell’edizione bilingue dell’“Opera omnia” di sant’Agostino, oltre che in un programma di approfondimento della filosofia e della spiritualità agostiniane, che tanta rilevanza hanno avuto ed hanno tuttora nella cultura cristiana.

    2. Questo Istituto Patristico, incorporato alla Facoltà Teologica della Pontificia Università Lateranense, pur continuando direttamente, come abbiamo sentito dalle parole del suo Preside, lo studio generale romano eretto fin dagli inizi del secolo XIV presso la Chiesa di sant’Agostino e trasferito qui presso piazza san Pietro un secolo fa, si riallaccia alla lunga tradizione degli studi ecclesiastici che l’Ordine Agostiniano ha sempre coltivato lungo i secoli. I suoi membri, infatti, hanno insegnato nelle principali Università d’Europa, tra le quali anche quella di Cracovia, offrendo agli studi storici e patristici insigni maestri. Amo ricordare tra i primi Onofrio Panvinio, e Enrico Florez con i 27 volumi della “España Sagrada”: tra gli altri, in questo secolo, il Cardinale Agostino Ciasca, che si è occupato prevalentemente della patrologia orientale, e Antonio Casamassa, interessatosi soprattutto di quella occidentale.

    Perciò l’impegno dell’Istituto Patristico è un importante servizio reso alla Chiesa, la quale non può fare a meno degli studi patristici, che il Concilio Vaticano II ha molto raccomandato sia parlando dell’insegnamento della teologia dogmatica (cf. Optatam Totius, 16) sia illustrando le relazioni tra Scrittura, Tradizione e Magistero (cf. Dei Verbum, 8-9).

    Nella lettera apostolica Patres Ecclesiae per il XVI centenario della morte di san Basilio, io stesso ho avuto occasione di scrivere che i Padri “sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla sorgente vitale della loro paternità; e ogni pietra nuova, aggiunta all’edificio santo che ogni giorno cresce e s’amplifica, deve collocarsi nelle strutture già da loro poste, e con esse saldarsi e connettersi” (Giovanni Paolo II, Patres Ecclesiae, die 2 ian. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 51-52).

    3. Poiché dunque nei Padri vi sono delle costanti che costituiscono la base di ogni rinnovamento, consentitemi che mi trattenga un poco con voi sull’importanza, anzi sulla necessità di conoscere gli scritti, la personalità, l’epoca. Da essi ci vengono alcune forti lezioni, fra le quali vorrei rilevare le seguenti:

    a) L’amore verso la Sacra Scrittura. I Padri hanno studiato, commentato, spiegato al popolo le Scritture facendone l’alimento della loro vita spirituale e pastorale, anzi la forma stessa del loro pensiero. Ne hanno messo in rilievo la profondità, la ricchezza, l’inerranza. “In esse tu possiedi la Parola di Dio: non cercare altro maestro”, ha scritto san Giovanni Crisostomo che per spiegare la Parola di Dio pronunciò molti splendidi discorsi (S. Giovanni Crisostomo, Comm. in Col. 9, 1: PG 11, 361). Non vi è chi non ricordi la preghiera di sant’Agostino che implora la grazia di capire le Scritture: “Siano le tue Scritture le mie caste delizie: ch’io non mi inganni su di esse, né inganni gli altri con esse” (S. Agostino, Confessiones, 11,2.3: PL 32, 810). Il principio esposto già da san Giustino, secondo il quale non ci sono antinomie nella Scrittura, e la sua disposizione a confessare piuttosto la propria ignoranza che accusare di errore le Scritture (S. Giustino, Dialogo con Trifone, 65: PG 6, 625) sono, si può dire, comuni a tutti: il Vescovo di Ippona le ripete con le note incisive parole: “. . . non ti è lecito dire: l’autore di questo libro non ha parlato secondo verità; ma: o il codice è scorretto, o la traduzione è sbagliata, o tu non capisci” (S. Agostino, Contra Faustum, 11, 5: PL 42, 249).

    b) La seconda grande lezione che i Padri ci danno è l’adesione ferma alla tradizione. Il pensiero corre subito a sant’Ireneo, e giustamente. Ma egli non è se non uno dei tanti. Lo stesso principio della necessaria adesione alla Tradizione lo troviamo in Origene (Origene, De principiis, procl. 1: PG 11, 116), in Tertulliano (Tertulliano, De praescriptione haer., 21: PG 2, 33), in sant’Atanasio (S. Atanasio, Ep. IV ad Serapionem, 1, 28: PG 26, 594), in san Basilio (S. Basilio, De Spiritu Sancto, 27, 66: PG 32, 186 s). Sant’Agostino, ancora una volta, esprime lo stesso principio con parole profonde ed indimenticabili: “io non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica” (S. Agostino, Contra ep. Man., 5, 6: PL 42, 176), “la quale, fondata da Cristo e progredita per mezzo degli Apostoli, è giunta fino a noi con una serie non interrotta di successioni apostoliche” (S. Agostino, Contra Faustum, 28, 2: PL 42, 486).

    c) La terza, grande lezione, è il discorso su Cristo salvatore dell’uomo. Si potrebbe pensare che i Padri, intenti ad illustrare il mistero di Cristo, e spesso a difenderlo contro deviazioni eterodosse, abbiano lasciato nell’ombra la conoscenza dell’uomo. Invece a chi guarda bene in fondo appare il contrario. Hanno guardato con intelletto d’amore al mistero di Cristo, ma nel mistero di Cristo hanno visto illuminato e risolto il mistero dell’uomo. Anzi, spesso è stata la dottrina cristiana sulla salvezza dell’uomo - l’antropologia soprannaturale -, a servire di argomento per difendere la dottrina intorno al mistero di Cristo. Come quando sant’Atanasio, nella controversia ariana, affermava con forza che, se Cristo non è Dio, non ci ha deificati (cf. S. Atanasio, De Synodis, 51: PG 26, 784); o san Gregorio Nazianzeno, nella controversia apollinarista, che se il Verbo non ha assunto tutto l’uomo, compresa l’anima razionale, non ha salvato tutto l’uomo, poiché non viene salvato ciò che non è stato assunto (S. Gregorio Nazianzeno, Ep. I ad Cledon., 101: PG 37, 186); o S. Agostino nella Città di Dio quando sostiene che se Cristo non è insieme Dio e uomo - “totus Deus et totus homo” (S. Agostino, Serm. 293, 7: PL 38, 1332) - non può essere mediatore tra Dio e gli uomini. “Bisogna cercare - scrive - un intermediario che non sia solamente uomo, ma anche Dio” (S. Agostino, De civitate Dei, 9, 15, 1: PL 41, 268).

    Il Concilio Vaticano II proclama che “in realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo . . . Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo . . .” (Gaudium et Spes, 22). Queste parole, che ho ricordato anche nell’enciclica Redemptor Hominis, non sono che l’eco della dottrina dei Padri, particolarmente - non occorre dirlo - di sant’Agostino, il quale le ha illustrate e difese durante tutta la controversia pelagiana. Del resto proprio nel momento della sua conversione, come ci assicura nelle sue Confessioni, egli scoprì, leggendo san Paolo, Cristo salvatore dell’uomo, e si aggrappò a lui come il naufrago all’unica tavola di salvezza. Fu da quel momento che vide nel Cristo la soluzione dei problemi essenziali dell’uomo e dell’umanità, come esporrà, più tardi nell’Opera della Città di Dio, che è, come è stato detto, il “grande libro della speranza cristiana” (N. B. A. V/1, p. 7).

    Mettersi dunque alla scuola dei Padri vuol dire imparare a conoscere meglio Cristo, e a conoscere meglio l’uomo. Questa conoscenza, scientificamente documentata e provata, aiuterà enormemente la Chiesa nella missione di predicare a tutti, come fa senza stancarsi, che solo Cristo è la salvezza dell’uomo.

    4. Ma il discorso dei Padri su Cristo e sull’uomo non è mai disgiunto da quello della Chiesa, che è, per ripetere ancora una volta una felice espressione agostiniana, il “Christus totus”. Essi vivono nella Chiesa e per la Chiesa. Della Chiesa, di cui tanto ci ha parlato il Concilio Vaticano II, possiedono in grado eminente il “senso” dell’unità, della maternità, della concretezza storica. La vedono peregrinante in terra “tra le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo”, come ancora dice il Concilio Vaticano II riprendendo le parole del Vescovo di Ippona, dal tempo di Abele fino alla consumazione dei secoli (S. Agostino, De civitate Dei, 18, 51, 2: PL 41, 614). Mettono in rilievo l’unità della Chiesa, perché nella cattedra dell’unità Dio ha posto la dottrina della verità (S. Agostino, Ep. 105, 16: PL 33, 403). Perciò esortano i fedeli a starsene sicuri, per quante difficoltà possano sorgere: “in Ecclesia manebo securus” (S. Agostino, De Bapt., 3, 2, 2: PL 43, 139). Le controversie, quando sorgono, devono essere risolte in seno alla Chiesa “cum sancta humilitate, cum pace catholica, cum caritate christiana” (Ivi. 2, 3, 4: PL 43, 129).

    “Qualunque cosa noi siamo - dice ancora sant’Agostino ai suoi fedeli -, voi siete sicuri: voi che avete Dio per Padre e la Chiesa per Madre” (S. Agostino, Contra litt. Pet., 3, 9, 10: PL 43, 353). Ma ammonisce anche, come aveva ammonito già san Cipriano (S. Cipriano, De Cath. Eccl. unitate, 6: PL 4, 502), che nessuno può avere Dio per Padre se non ha la Chiesa per Madre (S. Agostino, In Ps 88, s. 2, 14: PL 37, 1140)

    5. Questi non sono che rapidi accenni alle inesauribili ricchezze, umane e cristiane, dei Padri, che voi avete il compito e la fortuna di scoprire ed illustrare per l’utilità di tutti.

    So che nel vostro Istituto viene dedicata una particolare attenzione a sant’Agostino. I miei predecessori hanno sempre raccomandato lo studio e la divulgazione delle Opere di questo grande Dottore, fin da quando, ad appena un anno dalla morte, san Celestino I lo annoverò “inter magistros optimos” (Denz.-Schön, 237). Nei tempi più vicini a noi Leone XIII, Pio XI, Paolo VI ne hanno tessuto l’elogio. “Egli sembrò - ha scritto il primo nella Aeterni Patris - togliere la palma a tutti gli altri Padri, poiché d’ingegno potentissimo e perfettamente addottrinato nelle scienze sacre e profane, ardentemente combatté, con fede somma e pari scienza, contro tutti gli errori della sua età” (Leone XIII, Aeterni Patris: Leonis XIII Acta, I, p. 270). Alla loro voce aggiungo volentieri anche la mia. Desidero ardentemente che la sua dottrina filosofica, teologica e spirituale sia studiata e diffusa, sicché egli continui, anche per mezzo vostro, il suo magistero nella Chiesa, un magistero umile e insieme luminoso che parla soprattutto di Cristo e dell’amore. Come fanno appunto, a suo giudizio, le Scritture.

    Con questi voti e in pegno di sempre copiosi lumi celesti, imparto di gran cuore a voi ed ai vostri cari la benedizione apostolica.

 

 
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