Riporto qui di seguito un breve estratto da un capitolo del famoso saggio di Evola "Gli uomini e le rovine", il I avente per titolo
Rivoluzione - controrivoluzione - Tradizione.
Nonostante molte circostanze siano cambiate, il Barone si muoveva come sempre sul piano più elevato della Tradizione, per cui le indicazioni sono ancora attualissime, e soprattutto, mi sembrano molto utili in questo ambiente, che sta esprimendo qualcosa di veramente mostruoso, come una sorta di "mutazioni genetico-ideologiche".
Ovviamente mi riferisco a presenze tipo i fascislamizzanti, i sovversivi cripto-zeccoidi che parlano solo di anticapitalismo dimenticando che l'altra faccia della sovversione moderna è il comunismo, gli apologeti di Pol-Pot , coloro che auspicano l'islamizzazione dell'Europa, o la morte fisica del sangue Europeo e altre aberrazioni simili ...
Penso che ciò derivi, oltre ad una percentuale di alienazione e frustrazione di origine individuale, sul piano oggettivo da una mancanza o fragilità dei più elementari punti di riferimento dottrinali e filosofici. Perciò queste poche righe di Evola enunciano con chiarezza cosa sia la vera Ri-voluzione (ritorno alle origini) e come sia totalmente altra dalla mera sovversione o sedizione fine a sé.
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Oggi di fronte alle forme estreme in cui si manifesta nel campo politico-sociale il disordine della nostra epoca, varie forze hanno cercato di assumere atteggiamenti di difesa e resistenza.
Bisogna rendersi conto che tutto ciò è vano, se non si attacca il male alle radici le quali, per quanto riguarda questo ciclo storico, sono costituite dalla sovversione determinata in Europa dalle rivoluzioni del 1789 e 1848. Il male va riconosciuto in tutte le forme e i gradi che esso presenta, per cui il problema fondamentale è di stabilire se esistano ancora uomini capaci di respingere tutte le ideologie, tutte le formazioni politiche e partitiche che comunque, direttamente o indirettamente, derivano da quelle idee, vale a dire tutto il mondo che va dal liberalismo e dalla democrazia fino al marxismo e al comunismo.
(...)
Di rigore, la parola d'ordine potrebbe essere "controrivoluzione". Senonché le origini rivoluzionarie ormai sono dimenticate, il sovvertimento da tempo si è stabilizzato tanto da apparire come qualcosa di ovvio (...) Altrimenti è preferibile un'altra parola d'ordine: reazione. Il non aver paura di adottarla e quindi di dirsi reazionari è una pietra di prova. Naturalmente il termine "reazione" ha in sè stesso una certa coloritura negativa: chi reagisce non ha lui l'iniziativa dell'azione; si reagisce in funzione polemica o difensiva, di fronte a qualcosa che si è già affermato. (...) L'equivoco potrebbe venir eliminato con l'associare la formula della reazione a quella di una "rivoluzione conservatrice" (...) De Maistre rilevò che ciò di cui si tratta, più che controrivoluzione, è una azione positiva che si rifà alle origini.
Strano destino delle parole, del resto "rivoluzione" nella sua accezione etimologica latina non voleva dire cosa diversa; derivato da re-volvere, il termine esprimeva un moto che riporta al punto di partenza, all'origine. Pertanto, proprio dalle origini si dovrebbe trarre la forza rivoluzionaria e rinnovatrice, da far agire contro la situazione esistente. (...)
Nell'Antichità, le idee erano chiare: in latino come per designare la sovversione non si usava la parola revolutio (la quale aveva il senso dianzi accennato, assai diverso), ma si usavano altri termini, quali: seditio, eversio, civilis perturbatio, rerum publicarum commutatio e simili, così per "rivoluzionario" nel senso moderno si doveva ricorrere a circonlocuzioni, come rerum novarum studiosus o fautor, ossia colui che mira a cose nuove e ne è il fautore: le "cose nuove" per la mentalità tradizionalista romana equivalendo automaticamente a qualcosa di negativo, di sovvertitore.
Così, circa le ambizioni "rivoluzionarie", bisogna uscir dall'equivoco e scegliere fra le due opposte posizioni: da un lato, vi è chi appunto riconosce l'esistenza di principi immutabili per ogni ordine vero e, fermo in essi, non crede alla "storia" e al "progresso". Dall'altra parte sta invece chi, nato ieri, non ha nulla dietro di sé, crede solo nell'avvenire e si dà ad una azione senza base, empirica ed improvvisata, illudendosi di poter dirigere le cose senza conoscere e riconoscere nulla che sovrasti il piano della contingenza, escogitando ora l'uno e ora l'altro sistema il cui risultato non sarà mai un ordine vero, bensì un disordine più o meno raffrenato e un mero destreggiarsi. Pensata sino in fondo, a questa seconda linea appartiene la vocazione "rivoluzionaria" negli stessi casi in cui essa non stia al servigio della sovversione pura.
(...)
Una volta viste le cose in questi termini, bisogna esaminare fino in fondo le proprie ambizioni rivoluzionarie, rendendosi però conto che se si accetta di riportare tali ambizioni entro i loro limiti legittimi, ci si limiterebbe a far parte delle squadre di demolitori.
Ad un più alto livello sta chi si tiene ancora veramente in piedi. La sua parola d'ordine sarà piuttosto "Tradizione".