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Discussione: Mezzogiorno di fuoco

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    Predefinito Mezzogiorno di fuoco

    Mezzogiorno di fuoco

    di Emiliano Fittipaldi
    Spazzatura. Criminalità. Gap economico. Cresce il divario tra le due Italie. E a Nord monta l'insofferenza verso il Sud. Così spunta il rischio di secessione 'morbida': quella fiscale


    Rifiuti a Napoli

    La nuova crisi diplomatica tra Nord e Sud scoppia a Natale 2007, quando i sacchetti di monnezza passano dalle strade di Napoli e della Campania alle prime pagine di giornali italiani e stranieri. Se all'estero l'immagine traballante del Paese va definitivamente in frantumi, in Italia i rifiuti hanno l'effetto di allargare il fossato tra le due nazioni: Settentrione e Mezzogiorno sembrano tornate l'un contro l'altro armate, come non accadeva da una quindicina d'anni. Napoli e Milano sono oggi più distanti degli 800 chilometri misurati sulla cartina: in Lombardia, a Torino, nel Nord-Est, il Sud è sempre più lontano. Un luogo incomprensibile, ai limiti della civiltà. Di sicuro, una palla al piede. Per gli esperti la monnezza è stata la goccia che fatto traboccare il vaso, il caso che ha trasformato l'insofferenza malcelata in rabbia sociale. Non è un caso che governatori e politici locali abbiano subito dichiarato di essere indisponibili a importare la spazzatura napoletana: il rischio che i malumori della popolazione prendessero forma di proteste plateali, come accaduto in Sardegna, era ed è altissimo.

    L'Osservatorio del Nord-Est diretto da Ilvo Diamanti è stato il primo a tramutare in numeri e statistiche le chiacchiere da bar e le sensazioni diffuse dei sociologi. Secondo un sondaggio realizzato a fine gennaio, per oltre la metà di veneti, friulani e triestini il Mezzogiorno, senza giri di parole " è un peso per lo sviluppo del Paese". Una percentuale raddoppiata rispetto a un'identica rilevazione del 1997, quando il ricco Triveneto sembrava meno ostile agli storici ritardi meridionali. Oggi, probabilmente a causa della stagnazione economica, l'accanimento contro il Sud è tornato di moda. Tra gli anziani tocca tassi da Guinness: sopra i 64 anni, il 59 per cento degli intervistati sostiene che senza il Meridione la crescita economica del Paese sarebbe molto più facile. Una convinzione che serpeggia non solo tra la maggioranza degli elettori del centrodestra, ma anche per il 43 per cento dei nordestini che voteranno Partito democratico.

    L'antimeridionalismo per la prima volta sembra coinvolgere non soltanto la Lombardia (dove il caso Malpensa conta più del disastro campano: l'ipotesi di ridimensionare l'aeroporto ha riacceso le antipatie verso il potere romano) e le roccaforti venete della Lega Nord, ma anche regioni rosse come la Toscana e l'Emilia-Romagna. Carlo Trigilia, ordinario di sociologia economica all'Università di Firenze, parla di sommovimenti congiunturali, da distinguere rispetto alle tendenze di lungo periodo. "Il fatto è che giudizi negativi sul Sud sull'asse Firenze-Bologna ci sono sempre stati, ma in passato le manifestazioni d'intolleranza venivano contenute dalla forte appartenenza ideologica e dalla tradizione politica della sinistra", spiega lo studioso. Oggi il cuscinetto non c'è più, e i rumori di fondo diventano di colpo più chiari. Di fronte al dilagare della criminalità, alle montagne di spazzatura, al ruolo di politici che giocano la loro fortuna sull'intermediazione di risorse pubbliche, l'esplosione di pregiudizi antichi "è un riflesso automatico. I media contribuiscono a diffondere correnti populiste". Il Centro come Lombardia e Nord-Est? "Le strutture sociali sono ormai identiche a quelle del LombardoVeneto. In Toscana ed Emilia-Romagna prevalgono artigiani, lavoratori autonomi, professionisti e piccole imprese. Ovviamente non è detto che l'ostilità culturale si trasformi in un voto alla Lega: Bossi e Berlusconi sono ancora invisi alla stragrande maggioranza dell'elettorato".

    A parte la analisi dell'Osservatorio e della Fondazione Nord-Est studi sul fenomeno non esistono ancora. Bisogna rifarsi alle ipotesi degli osservatori, ai pochi sondaggi ad hoc e ai segnali che vengono dai territori. Nel 'Rapporto tra gli italiani e lo Stato', tra le regioni antagoniste verso il Sud Diamanti inserisce anche il Lazio (dati 2006), dove la popolazione che non vede di buon occhio il Sud supera la quota del 15 per cento. Pure i marchigiani, interrogati dal laboratorio di studi politici LaPolis, dichiarano di non volersi trasferire per nessuno motivo sotto il Tevere: su 539 persone solo due andrebbero volentieri in Basilicata, 15 in Campania, otto in Calabria, zero in Molise. L'unica eccezione è la Sicilia, che cattura più consensi di Veneto e Piemonte.

    Sulla montante insofferenza antimeridionale stanno lanciando grida d'allarme anche i politici più attenti. Riccardo Illy nel suo ultimo libro ('Così perdiamo il Nord') torna a parlare di rischio-secessione, e altri big del centrosinistra hanno fatto intendere a Walter Veltroni che con Antonio Bassolino ancora al suo posto è inevitabile perdere voti non solo a Napoli, ma anche in Padania. Nel mirino dei nordisti non c'è solo 'O governatore, ma altri signori delle preferenze poco graditi all'elettorato settentrionale. "Le vicende della famiglia Mastella e i cannoli di Totò Cuffaro", ragiona Trigilia, "hanno contribuito a veicolare un'immagine negativa dei politici meridionali".Un peccato. Perché all'inizio degli anni '90 la fine dell'intervento straordinario e la prima stagione dei sindaci 'virtuosi' (lo stesso Bassolino, Italo Falcomatà a Reggio Calabria, Leoluca Orlando a Palermo, Enzo Bianco a Catania) aveva riavvicinato le due zone del Paese, dopo anni in cui la Lega Nord aveva soffiato sul fuoco del razzismo. Contemporaneamente il 'Rinascimento' e il risveglio della società civile si accompagnò, per la prima volta dal dopoguerra, a un trend economico positivo: dal 1996 al 2002 il Pil sudista ha camminato più del prodotto interno del Nord, riducendo - seppur di poco - il differenziale tra i redditi.

    Il vento a poppa era in realtà una brezza, e dura poco più di un lustro. Crescita zero, criminalità in rimonta, sprechi a non finire hanno rimesso indietro le lancette dell'orologio. Nella vulgata il Sud è di nuovo 'perduto', i cultori del 'non-c'è-più-niente-da-fare' tornano in maggioranza. "Aveva ragione Giorgio Bocca", si sfogano i meridionalisti al chiuso dei salotti di Napoli e Palermo. I dati danno fiato agli scenari più neri, e credibilità a chi parla non di un'Italia a due velocità, ma di due Paesi distinti e separati, con caratteristiche economiche, sociali e culturali sempre più distanti. L'Italia è in basso a tutte le classifiche socio-economiche esclusivamente a causa del Mezzogiorno, che abbassa (export a parte) la media nazionale: secondo dati Istat, Eurostat e Svimez al netto del Mezzogiorno, il Centro-Nord da solo occuperebbe spesso le prime posizioni tra i 27 dell'Unione europea.

    Il prodotto interno lordo pro capite da Roma in su ha sfiorato nel 2006 i 29 mila euro: solo Austria, Olanda, Danimarca e Irlanda hanno fatto meglio. La Lombardia sarebbe seconda solo a Dublino. Il Sud, da solo, arranca invece al 19 posto, allo stesso livello di Ungheria ed Estonia. Per quanto riguarda il sistema produttivo (investimenti fissi, tasso di industrializzazione), Veneto e Lombardia sarebbero in testa alle classifiche, mentre il Lazio ha performance eccezionali nel terziario avanzato. Persino Jaques Attali, presidente della commissione per le Riforme voluta da Sarkozy, ha messo il dito sulla piaga: "Quello che mi preoccupa di più è il digital divide che spacca l'Italia in due: questo gap, più di ogni altro, può portare un colpo mortale alla vostra unità nazionale". Una condizione paradossale, dal momento che tutti gli economisti considerano il Sud il principale volano per far tornare a crescere il Paese. "Lo sviluppo in Europa si gioca sulle aree deboli e sottoutilizzate", dice Luca Bianchi della Svimez. Il 'sorpasso' spagnolo si è realizzato grazie al boom del Pil in Andalusia e nella Murcia, ex zone depresse che dal 2000 hanno registrato picchi di crescita del 6,6 e 6,9 per cento annuo, trascinando tutta la nazione. Nello stesso periodo l'Italia ha fatto segnare un modesto 1,2 per cento, e il Sud la ricchezza è salita appena dello 0,8. Un niente.

    Altro leit motiv delle critiche antisudiste è il tema delle tasse. Imposte altissime che drenano risorse al Nord e vengono redistribuite, e a volte letteralmente gettate, nel Mezzogiorno. Non è un caso che il vero traguardo di Bossi sia il federalismo fiscale, leggi che consentano di trattenere gran parte delle risorse nei territori in cui sono state create. "Una secessione invisibile, morbida, un'autonomia di fatto: è questo l'obiettivo di una parte importante del Settentrione. La novità è che oggi la separazione è praticata, e non dichiarata come in passato", chiosa Diamanti.

    Un dato è certo: se il federalismo delle tasse è un pallino di Giulio Tremonti, probabile successore di Tommaso Padoa-Schioppa, la 'devolution della monnezza', come dice Andrea Camilleri, funziona benissimo. "Il Nord non ha preso i rifiuti perché campani, li avrebbero invece importati se fossero stati lombardo-veneti", ha protestato lo scrittore siciliano, "ma io mi chiedo: siamo tutti italiani, oppure no?".

    http://espresso.repubblica.it/dettag...oco/2007607//0

  2. #2
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    E' quello di cui mi sono reso conto anch'io negli ultimi mesi. La secessione non avverrà per mezzo di editti pubblici, leggi o guerre. Ma avverrà implicitamente, di fatto, dove il porre fine legalmente a questo stato sarà solo la punta dell'iceberg poichè non ci sarà più nessuna ragione economica, sociale e antropologica per stare uniti.

    All'unità nazionale ha fatto 1000 volte più male l'incremento delle differenze (economiche e sociali) tra nord e sud degli ultimi 10 anni che non le richieste secessionistiche.

    E tra 10 anni sarà ancora peggio e così tra 20. L'unica cosa è che spero si arrivi alla "fine" seguendo il modello cecoslovacco più che quello ex Jugoslavo.

  3. #3
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    E tra 10 anni sarà ancora peggio e così tra 20. L'unica cosa è che spero si arrivi alla "fine" seguendo il modello cecoslovacco più che quello ex Jugoslavo.

    quoto

  4. #4
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    E' quello di cui mi sono reso conto anch'io negli ultimi mesi. La secessione non avverrà per mezzo di editti pubblici, leggi o guerre. Ma avverrà implicitamente, di fatto, dove il porre fine legalmente a questo stato sarà solo la punta dell'iceberg poichè non ci sarà più nessuna ragione economica, sociale e antropologica per stare uniti.

    All'unità nazionale ha fatto 1000 volte più male l'incremento delle differenze (economiche e sociali) tra nord e sud degli ultimi 10 anni che non le richieste secessionistiche.

    E tra 10 anni sarà ancora peggio e così tra 20. L'unica cosa è che spero si arrivi alla "fine" seguendo il modello cecoslovacco più che quello ex Jugoslavo.

    Non si copiano i messaggi da altri forum......

  5. #5
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    Non si copiano i messaggi da altri forum......
    Era una riflessione che stava bene in coppia con l'articolo dell'Espresso, per questo l'ho copiata.

  6. #6
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    Era una riflessione che stava bene in coppia con l'articolo dell'Espresso, per questo l'ho copiata.
    Seh seh, l'Espresso....

  7. #7
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    Seh seh, l'Espresso....
    L'importante è diffondere il messaggio. Se sei brillante e più intelligente di me attingo

  8. #8
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    L'importante è diffondere il messaggio. Se sei brillante e più intelligente di me attingo
    perdonato, per sta volta.

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    perdonato, per sta volta.
    Grazie.

  10. #10
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    Mezzogiorno di fuoco

    di Emiliano Fittipaldi
    Spazzatura. Criminalità. Gap economico. Cresce il divario tra le due Italie. E a Nord monta l'insofferenza verso il Sud. Così spunta il rischio di secessione 'morbida': quella fiscale


    Rifiuti a Napoli

    La nuova crisi diplomatica tra Nord e Sud scoppia a Natale 2007, quando i sacchetti di monnezza passano dalle strade di Napoli e della Campania alle prime pagine di giornali italiani e stranieri. Se all'estero l'immagine traballante del Paese va definitivamente in frantumi, in Italia i rifiuti hanno l'effetto di allargare il fossato tra le due nazioni: Settentrione e Mezzogiorno sembrano tornate l'un contro l'altro armate, come non accadeva da una quindicina d'anni. Napoli e Milano sono oggi più distanti degli 800 chilometri misurati sulla cartina: in Lombardia, a Torino, nel Nord-Est, il Sud è sempre più lontano. Un luogo incomprensibile, ai limiti della civiltà. Di sicuro, una palla al piede. Per gli esperti la monnezza è stata la goccia che fatto traboccare il vaso, il caso che ha trasformato l'insofferenza malcelata in rabbia sociale. Non è un caso che governatori e politici locali abbiano subito dichiarato di essere indisponibili a importare la spazzatura napoletana: il rischio che i malumori della popolazione prendessero forma di proteste plateali, come accaduto in Sardegna, era ed è altissimo.

    L'Osservatorio del Nord-Est diretto da Ilvo Diamanti è stato il primo a tramutare in numeri e statistiche le chiacchiere da bar e le sensazioni diffuse dei sociologi. Secondo un sondaggio realizzato a fine gennaio, per oltre la metà di veneti, friulani e triestini il Mezzogiorno, senza giri di parole " è un peso per lo sviluppo del Paese". Una percentuale raddoppiata rispetto a un'identica rilevazione del 1997, quando il ricco Triveneto sembrava meno ostile agli storici ritardi meridionali. Oggi, probabilmente a causa della stagnazione economica, l'accanimento contro il Sud è tornato di moda. Tra gli anziani tocca tassi da Guinness: sopra i 64 anni, il 59 per cento degli intervistati sostiene che senza il Meridione la crescita economica del Paese sarebbe molto più facile. Una convinzione che serpeggia non solo tra la maggioranza degli elettori del centrodestra, ma anche per il 43 per cento dei nordestini che voteranno Partito democratico.

    L'antimeridionalismo per la prima volta sembra coinvolgere non soltanto la Lombardia (dove il caso Malpensa conta più del disastro campano: l'ipotesi di ridimensionare l'aeroporto ha riacceso le antipatie verso il potere romano) e le roccaforti venete della Lega Nord, ma anche regioni rosse come la Toscana e l'Emilia-Romagna. Carlo Trigilia, ordinario di sociologia economica all'Università di Firenze, parla di sommovimenti congiunturali, da distinguere rispetto alle tendenze di lungo periodo. "Il fatto è che giudizi negativi sul Sud sull'asse Firenze-Bologna ci sono sempre stati, ma in passato le manifestazioni d'intolleranza venivano contenute dalla forte appartenenza ideologica e dalla tradizione politica della sinistra", spiega lo studioso. Oggi il cuscinetto non c'è più, e i rumori di fondo diventano di colpo più chiari. Di fronte al dilagare della criminalità, alle montagne di spazzatura, al ruolo di politici che giocano la loro fortuna sull'intermediazione di risorse pubbliche, l'esplosione di pregiudizi antichi "è un riflesso automatico. I media contribuiscono a diffondere correnti populiste". Il Centro come Lombardia e Nord-Est? "Le strutture sociali sono ormai identiche a quelle del LombardoVeneto. In Toscana ed Emilia-Romagna prevalgono artigiani, lavoratori autonomi, professionisti e piccole imprese. Ovviamente non è detto che l'ostilità culturale si trasformi in un voto alla Lega: Bossi e Berlusconi sono ancora invisi alla stragrande maggioranza dell'elettorato".

    A parte la analisi dell'Osservatorio e della Fondazione Nord-Est studi sul fenomeno non esistono ancora. Bisogna rifarsi alle ipotesi degli osservatori, ai pochi sondaggi ad hoc e ai segnali che vengono dai territori. Nel 'Rapporto tra gli italiani e lo Stato', tra le regioni antagoniste verso il Sud Diamanti inserisce anche il Lazio (dati 2006), dove la popolazione che non vede di buon occhio il Sud supera la quota del 15 per cento. Pure i marchigiani, interrogati dal laboratorio di studi politici LaPolis, dichiarano di non volersi trasferire per nessuno motivo sotto il Tevere: su 539 persone solo due andrebbero volentieri in Basilicata, 15 in Campania, otto in Calabria, zero in Molise. L'unica eccezione è la Sicilia, che cattura più consensi di Veneto e Piemonte.

    Sulla montante insofferenza antimeridionale stanno lanciando grida d'allarme anche i politici più attenti. Riccardo Illy nel suo ultimo libro ('Così perdiamo il Nord') torna a parlare di rischio-secessione, e altri big del centrosinistra hanno fatto intendere a Walter Veltroni che con Antonio Bassolino ancora al suo posto è inevitabile perdere voti non solo a Napoli, ma anche in Padania. Nel mirino dei nordisti non c'è solo 'O governatore, ma altri signori delle preferenze poco graditi all'elettorato settentrionale. "Le vicende della famiglia Mastella e i cannoli di Totò Cuffaro", ragiona Trigilia, "hanno contribuito a veicolare un'immagine negativa dei politici meridionali".Un peccato. Perché all'inizio degli anni '90 la fine dell'intervento straordinario e la prima stagione dei sindaci 'virtuosi' (lo stesso Bassolino, Italo Falcomatà a Reggio Calabria, Leoluca Orlando a Palermo, Enzo Bianco a Catania) aveva riavvicinato le due zone del Paese, dopo anni in cui la Lega Nord aveva soffiato sul fuoco del razzismo. Contemporaneamente il 'Rinascimento' e il risveglio della società civile si accompagnò, per la prima volta dal dopoguerra, a un trend economico positivo: dal 1996 al 2002 il Pil sudista ha camminato più del prodotto interno del Nord, riducendo - seppur di poco - il differenziale tra i redditi.

    Il vento a poppa era in realtà una brezza, e dura poco più di un lustro. Crescita zero, criminalità in rimonta, sprechi a non finire hanno rimesso indietro le lancette dell'orologio. Nella vulgata il Sud è di nuovo 'perduto', i cultori del 'non-c'è-più-niente-da-fare' tornano in maggioranza. "Aveva ragione Giorgio Bocca", si sfogano i meridionalisti al chiuso dei salotti di Napoli e Palermo. I dati danno fiato agli scenari più neri, e credibilità a chi parla non di un'Italia a due velocità, ma di due Paesi distinti e separati, con caratteristiche economiche, sociali e culturali sempre più distanti. L'Italia è in basso a tutte le classifiche socio-economiche esclusivamente a causa del Mezzogiorno, che abbassa (export a parte) la media nazionale: secondo dati Istat, Eurostat e Svimez al netto del Mezzogiorno, il Centro-Nord da solo occuperebbe spesso le prime posizioni tra i 27 dell'Unione europea.

    Il prodotto interno lordo pro capite da Roma in su ha sfiorato nel 2006 i 29 mila euro: solo Austria, Olanda, Danimarca e Irlanda hanno fatto meglio. La Lombardia sarebbe seconda solo a Dublino. Il Sud, da solo, arranca invece al 19 posto, allo stesso livello di Ungheria ed Estonia. Per quanto riguarda il sistema produttivo (investimenti fissi, tasso di industrializzazione), Veneto e Lombardia sarebbero in testa alle classifiche, mentre il Lazio ha performance eccezionali nel terziario avanzato. Persino Jaques Attali, presidente della commissione per le Riforme voluta da Sarkozy, ha messo il dito sulla piaga: "Quello che mi preoccupa di più è il digital divide che spacca l'Italia in due: questo gap, più di ogni altro, può portare un colpo mortale alla vostra unità nazionale". Una condizione paradossale, dal momento che tutti gli economisti considerano il Sud il principale volano per far tornare a crescere il Paese. "Lo sviluppo in Europa si gioca sulle aree deboli e sottoutilizzate", dice Luca Bianchi della Svimez. Il 'sorpasso' spagnolo si è realizzato grazie al boom del Pil in Andalusia e nella Murcia, ex zone depresse che dal 2000 hanno registrato picchi di crescita del 6,6 e 6,9 per cento annuo, trascinando tutta la nazione. Nello stesso periodo l'Italia ha fatto segnare un modesto 1,2 per cento, e il Sud la ricchezza è salita appena dello 0,8. Un niente.

    Altro leit motiv delle critiche antisudiste è il tema delle tasse. Imposte altissime che drenano risorse al Nord e vengono redistribuite, e a volte letteralmente gettate, nel Mezzogiorno. Non è un caso che il vero traguardo di Bossi sia il federalismo fiscale, leggi che consentano di trattenere gran parte delle risorse nei territori in cui sono state create. "Una secessione invisibile, morbida, un'autonomia di fatto: è questo l'obiettivo di una parte importante del Settentrione. La novità è che oggi la separazione è praticata, e non dichiarata come in passato", chiosa Diamanti.

    Un dato è certo: se il federalismo delle tasse è un pallino di Giulio Tremonti, probabile successore di Tommaso Padoa-Schioppa, la 'devolution della monnezza', come dice Andrea Camilleri, funziona benissimo. "Il Nord non ha preso i rifiuti perché campani, li avrebbero invece importati se fossero stati lombardo-veneti", ha protestato lo scrittore siciliano, "ma io mi chiedo: siamo tutti italiani, oppure no?".

    http://espresso.repubblica.it/dettag...oco/2007607//0



    direi che nell'italia di oggi sempre più arretrata e meridionale gli italiani siete soprattutto voi..noi torniamo volentieri a essere come natura e secoli di storia ci avevano fatto, vale a dire piemontesi, lombardi, veneti..e fanculo alla vostra italia!
    tenetevi pure la denominazione, che è ormai in tutto il mondo sinonimo di mafia,pizza, mandolino, facce olivastre, parassitismo e tarantella...

 

 
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