Alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversatolo, una mostra ripercorre la carriera di Andy Warhol attraverso 140 opere. Tra serigrafie e memorabilia, spiccano i film undergroud che il padre della Pop Art girò tra gli anni '60 e '70



MAMIAMO DI TRAVERSETOLO (Parma) - "La bellezza di questo paese consiste nel fatto che l'America ha creato una tradizione per cui i consumatori ricchi comprano in sostanza le stesse cose dei poveri. Sediamo davanti al televisore e beviamo la Coca Cola, sapendo che il presidente beve Coca Cola, Lix Taylor beve Coca Cola: perciò pensiamo che anche noi possiamo bere Coca Cola". Una portentosa intuizione, quella di Andy Warhol, il padre della Pop Art che non a caso veniva considerato già all'inizio degli anni Sessanta il "Voltaire d'America" perché era riuscito ad offrire all'America ciò che si meritava: una minestra in scatola alla parete. D'altronde la sua svolta artistica fu segnata a New York nel momento in cui attinse ai messaggi ottici della pubblicità di massa per arricchire l'arte cosiddetta "elitaria" - la pittura e la scultura - lasciandosi ispirare dai supermercati di Queens, Bronx e Brooklin, piuttosto che dalle vetrine lussuose della Fifhth Avenue. Scatolame da bancone, etichette, fumetti, fotografie di stampa mondana e gossip, tutto questo diveniva il suo repertorio d'azione e nel giro di poco tempo la sua fama fu alle stelle. Da quell'intuizione folgorante prende le mosse la mostra "Andy Warhol. The New Factory" ospitata dalla Fondazione Magnani Rocca fino al 6 luglio, che attraverso circa 140 opere realizzate tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta orchestra un edulcorato e iper-pop omaggio a Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987), per rivivere l'atmosfera della Factory, la "fabbrica d'arte" da lui fondata. C'è tutta l'estetica di Andy Warhol condensata in questa rassegna, una summa concettuale e visiva della mente visionaria e ambiziosa dell'artista.

LA GALLERIA FOTOGRAFICA

L'arte, la vita, l'idea vincente di Andrew Warhola, di padre immigrato cecoslovacco, nato in Pennsylvania, appassionato lettore di Dick Tracy e Vogue, che scelse New York e l'East Village di Manhattan come quartier generale per i suoi capolavori. Si fluttua attraverso tutte le icone warholiane uniche e riconoscibilissime, ormai parte del patrimonio mentale e precognitivo dell'essere umano: il mito della triade capitolina bellezza-successo-potere, espresso dai ritratti di Marilyn, Liz Taylor, Elvis Presley, Jaqueline Kennedy, Mao, la visione del consumismo orchestrato tra Campbell's Soup, Brillo Box, Dollar Sign; la strategia dell'advertising, la ripetizione seriale dell'immagine, i simboli tragici di catastrofi e morte, tutti raccontati attraverso Suicide, Electric Chair, Vesuvio, incidenti stradali; il bel mondo della factory affollato di volti, ritratti di artisti, dealers, stilisti, amici. Perché, non a caso Warhol producer e manager, copy righter e new Yorker, fu l'inventore del concetto di factory e di un sistema di lavoro basato sulla collaborazione.

Segno clou di questi sodalizi sono i suoi film, non certo tradizionali e neppure da nouvelle vague, ma quintessenza di un controverso gusto underground. Tra gli anni Sessanta e Settanta, Warhol si concesse il lusso di dirigere e produrre una settantina di film, per lo più di carattere provocatorio e dissacrante nei confronti del cinema hollywoodiano: prodotti che all'epoca riscossero scarso successo ma che avrebbero fatto scuola presso le generazioni successive. Tra i nomi più improbabili, i più celebri sono Empire, My Hustler, The Chelsea Girls, Lonesome Cowboys, The Nude Restaurant, Vinyl, Flesh, Trash, tutti in mostra. Un percorso pluritematico dal carattere biografico a documentare una peripezia creativa di affermazione di un'arte socialmente nuova, facilmente avvicinabile dal grande pubblico perché faceva leva su elementi "commestibili" quali personaggi dello star system hollywoodiano e prodotti della vita di tutti i giorni cui nessuno poteva rimanere estraneo. Capace di sperimentare fruttuosamente tutti i linguaggi mediatici che la società consumistica gli ha messo a disposizione, dalla fotografia al cinema al diritto d'autore al marchio di fabbrica, alla pubblicità.

Una parata di celebrazioni di cose, persone e simboli ricorrenti nella business art di Andy Warhol, dove spiccano i poco noti primi lavori, tavole disegnate e colorate a mano, la serie In the Bottom of My Garden (1955), con figure di putti ispirate a libri per bambini, A Gold Book (1957), con disegni a "blotted line" ripresi da fotografie e riportati su carta dorata, Wild Raspberries (1959), un divertente libro di cucina con torte e cibi illustrati da Warhol e ricette di fantasia inventate dall'amica Suzy Frankfurt e trascritte a mano dalla madre dell'artista. Si passa per le celebrities, sino alla celebre e "terminale" The Last Supper, rivisitazione a suo modo del capolavoro di Leonardo, l'ultima operazione emblematica della sua produzione, nella quale l'antico modello artistico è costruito in un numero infinito di varianti che mescolano il mezzo fotomeccanico e quello manuale, la pittura sacra con i simboli più profani del presente, l'unicità dell'opera d'arte con la sua infinita riproducibilità. Operazione, questa, che comunque prendeva spunto da una formidabile intuizione da art business man, qual era Warhol. Mentre, nell'86, "L'ultima cena" si trovava in restauro, preclusa per molti anni a venire al grande pubblico, Warhol offriva in sostituzione una riproduzione serigrafica in grande formato. Su tutto aleggia il fantasma della multimedialità partorita dalla Factory, la "bottega d'arte" fondata da Warhol interessata alla produzione di esperimenti artistici di natura cinematografica, musicale ed editoriale. Ci sono apparati fotografici legati al noto gruppo rock di Lou Reed, The Velvet Underground, copertine di dischi, esemplari della rivista da lui fondata (Interview) con le copertine dedicate a divi come Marisa Berenson, Tom Cruise e John Travolta.

Notizie utili - "Andy Warhol. The New Factory", dal 16 marzo al 6 luglio, Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Parma - Mamiano di Traversetolo. La mostra è a cura della Fondazione Antonio Mazzotta.
Orari: martedì-domenica, 10-18 (la biglietteria chiude alle 17). Lunedì chiuso.
Informazioni Tel. 0521 848327 / 848148
Sito web: www.magnanirocca.it
Catalogo: Mazzotta.

(18 marzo 2008 ) di LAURA LARCAN www.repubblica.it