Originariamente Scritto da
Giò91
« Ma quale è dunque il fine e il frutto di questa non dirò “milizia”, ma piuttosto “malizia” mondana, se l’uccisione pecca mortalmente e l’ucciso muore eternamente? Invero, a dirla con l’Apostolo, “chi ara deve arare con speranza, e chi trebbia con speranza di avere parte del frutto” (I Cor., 9,10). Che cos’è dunque, o Cavalieri, questa incredibile passione, questa intollerabile pazzia di guerreggiare con tante spese e tante fatiche senza alcun altro guiderdone che la morte o il peccato? Coprite di seta i cavalli e rivestite di non so che genere di straccetti colorati le corazze; dipingete le lancie, scudi e selle; ornate d’oro, d’argento e di gemme le briglie e gli speroni; e in tanta pompa correte, con vergognoso furore e impudente stupidità, alla morte.
Sono insegne militari, queste, o femminei ornamenti? Forse che il ferro del nemico avrà paura dell’oro, rispetterà le gemme, non potrà attraversare la seta? In fondo, e voi stessi lo sperimentate di continuo, al combattente sono soprattutto necessarie tre cose: che sia abile, alacre e circospetto nel guardarsi, rapido nel cavalcare, pronto nel ferire. Voi al contrario vi curate come donne i capelli fino a disgustare chi vi vede, vi coprite con sopravvesti lunghe e drappeggiate che vi impicciano i movimenti, seppellite le tenere e delicate mani in ampi e comodi guanti… Né tra voi sorge quasi mai guerra o contesa che non sia originata da un moto irrazionale d’ira o da un vuoto desiderio di gloria o dall’avidità di ricchezze terrene.
Certamente, uccidere o morire per motivi del genere non è cosa da fare con tranquillità. I cavalieri di Cristo combattono invece le battaglie del loro Signore e non temono né di peccare uccidendo i nemici, né di dannarsi se sono essi a morire: poiché la morte, quando e data o ricevuta nel nome di Cristo, non comporta alcun peccato e fa guadagnare molta gloria. Nel primo caso infatti si vince per Cristo, nell’altro si vince Cristo stesso: il quale accoglie volentieri la morte del nemico come atto di giustizia, e più volentieri ancora offre se stesso come consolazione al Cavaliere caduto. Il Cavaliere poi, posso affermarlo, uccide sicuro e muore più sicuro ancora: giova a se stesso quando muore, a Cristo quando uccide. Non è infatti senza ragione che porta la spada: egli è ministro di Dio in punizione dei malvagi e in lode dei buoni. Quando uccide il malvagio egli non è “omicida”, ma – per così dire – “malicida”, ed è stimato senza dubbio vindice di Cristo su quelli che fanno il male a difensore dei cristiani. E quando muore, si sa che egli non è perito, ma è – piuttosto – giunto alla meta. La morte che egli dispensa è infatti un guadagno per Cristo: quella che egli riceve è il guadagno suo personale. Nella morte del pagano il cristiano si gloria, perché Cristo è glorificato. Nella morte del cristiano si dimostra quanto magnanimo sia stato il re che ha ingaggiato il Cavaliere »
fonte:
http://www.medievale.it/new_site/p03_003.asp