L'interpretazione del libertario Sheldon Richman
Dal 1922 al 1925 il regime di Mussolini intraprese una politica economica basata sul laissez-faire sotto la guida del ministro delle finanze Alberto De Stefani. De Stefani ridusse le tasse, la burocrazia e le restrizioni al commercio e permise agli uomini d'affari di competere l'uno contro l'altro. Ma la sua opposizione al protezionismo e ai sussidi di stato lo allontanò da alcuni leader industriali, e De Stefani fu costretto a dimettersi. Dopo che Mussolini consolidò la dittatura nel 1925, l'Italia entrò in una nuova fase. Mussolini, come molti leader del tempo, credeva che l'economia non poteva operare in modo costruttivo senza la supervisione del governo. Anticipando gli eventi nella Germania nazista e in un certo qual modo nell'America del new deal, Mussolini cominciò un programma di massiccio deficit spending, opere pubbliche, e alla fine militarismo.
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Con l'avvicinarsi della seconda guerra mondiale, i segni del fallimento del fascismo erano palpapili: i consumi pro capite crollarono sotto i livelli del 1929, e la produzione industriale tra il 1929 e il 1939 aumentò solo del 15 per cento, meno degli altri paesi occidentali. La produttività del lavoro era bassa e i costi di produzione non competitivi. La colpa giace nello spostamento delle decisioni economiche dagli imprenditori ai burocrati governativi, e nell'allocazione di risorse fatta per decreto invece che mediante il libero mercato. Mussolini progettò il sistema per venire incontro alle esigenze dello stato, non dei consumatori, e alla fine questo non fu d'aiuto a nessuno dei due.