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    Predefinito La verità sulla questione meridionale

    L'INSABBIAMENTO CULTURALE
    DELLA
    "QUESTIONE MERIDIONALE"


    controstoria
    di CARLO COPPOLA

    Molti storici in epoca moderna hanno fatto luce sugli eventi che hanno caratterizzato l'unità d'Italia dimostrando, con certezza, che la cultura di "regime" stese, dai primi anni dell'unità, un velo pietoso sulle vicende "risorgimentali" e sul loro reale evolversi.

    Tutte le forme d'influenza sulla pubblica opinione furono messe in opera, per impedire che la sconfitta dei Borboni o la rivolta del popolo meridionale si colorasse di toni positivi.

    Si cercò di rendere patetica e ridicola la figura di Francesco II - il "Franceschiello" della vulgata – arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della Regina Maria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti i governi d'Europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una "santa" e allevato dai preti, con ogni probabilità non aveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, in seguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia di fotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di aver agito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitò scalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare la reputazione dei due sovrani in esilio.

    La memoria di Re Ferdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse di brutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone – interessatamente - d'essere stato - lui cattolicissimo - "la negazione di Dio".

    Soprattutto si minimizzò l'entità della ribellione che infiammava tutto il l'ex Regno di Napoli, riducendolo a "volgare brigantaggio", come si legge nei giornali dell'epoca (giornali, peraltro, pubblicati solo al nord in quanto la libertà di stampa fu abolita al sud fino al 31 dicembre 1865); nasce così la leggenda risorgimentale della "cattiveria" dei Borboni contrapposta alla "bontà" dei piemontesi e dei Savoia che riempirà le pagine dei libri scolastici.

    Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d'Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità.

    A mio parere le ragioni sono composite, ma riconducibili ad un concetto che il D'Azeglio enunciò nel secolo scorso "Abbiamo fatto l'Italia, adesso bisogna fare gli Italiani", e possono essere esemplificate nel seguente modo:

    a. Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dalla coscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevano diventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico" operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto, schiacciati prima o poi dall'esercito borbonico), sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile - nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte - e tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.
    Per contro si diede della deposta monarchia borbone un'immagine traviata e distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero".

    b. Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare del periodo fascista, proteso com'era al perseguimento di valori nazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe, per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo "revisionista", riconducendo anzi l'origine della nazione al periodo romano e saltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governo fascista ebbe l'indiscutibile merito di cercare di innescare un meccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da un punto di vista storico insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturale del regime.

    c. La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione del periodo fascista.

    La nazione emergeva, non bisogna dimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lotta avevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'Italia, il movimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (erano gli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente il momento di sollevare dubbi sulla veridicità della storia risorgimentale e alimentare così tesi separatiste.

    Si è arrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, in molti libri scolastici, la storia d'Italia e del meridione in particolare è vergognosamente mistificata.

    In campo economico la visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile, ancora più lontana dalla realtà effettuale.

    Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale".

    In realtà il problema centrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'Italia si fece, ma si fece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò, le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima i guasti di un processo di unificazione politica dell'Italia che fu attuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate.

    La formula del "piemontismo", vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che si fecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinarono un'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso.

    D'altronde le motivazioni politiche che avevano portato all'unità erano – come sempre accade – in subordine rispetto a quelle economiche.

    Se si parte dall'assunto, ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era ben solido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hanno innescato la sua rovina.

    Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.

    L'abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.

    Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendo conto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se ne conoscono le intime implicazioni.

    Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l'emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d'oro e d'argento insieme alle cosiddette "fedi di credito" e alle "polizze notate" alle quali però corrispondeva l'esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.

    Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della "convertibilità" della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l'istituto bancario emittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamenti dello stato.

    In parole povere la valuta piemontese era carta straccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile per sua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a se stessa in quanto la quantità d'oro o d'argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale).

    Quindi cita ancora lo Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d'Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi".

    A seguito dell'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall'ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell'oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.

    Tuttavia nella riserva della nuova Banca d'Italia, non risultò esserci tutto l'oro incamerato (si vedano a proposito gli Atti Parlamentari dell'epoca).

    Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi capitali rastrellati al sud.

    Ancora adesso, a ben vedere, il sistema creditizio del meridione risente dell'impostazione che allora si diede. Gli istituti di credito adottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud, effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gli investimenti nel settentrione.

    Il colpo di grazia all'economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d'Europa), all'irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all''armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d'Europa.

    Scrive ancora lo storico Zitara: "La retorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarre in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un'autosconfessione. Quando, alle fine, quelle "innovazioni", vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo.

    Bastò qualche mese perché le articolazioni manifatturiere del paese, che non avevano bisogno di ulteriori allargamenti di mercato per ben funzionare, venissero soffocate.

    L'agricoltura, che alimentava il commercio estero, una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevano all'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registrò una crescita smodata e incontrollabile e ci vollero ben venti anni perché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, lo Stato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto; peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degli austriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali".

    Per contro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastri economici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana, principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogi per l'assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo al Nord mentre il Sud finì per pagare sia le spese della guerra d'annessione, sia i costi divenuti astronomici dell'ammodernamento del settentrione.

    Il governo di Torino adottò nei confronti dell'ex Regno di Napoli una politica di mero sfruttamento di tipo "colonialista" tanto da far esclamare al deputato Francesco Noto nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861: "Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perú e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala".

    La politica dissennatamente liberistica del governo unitario portò, peraltro, la neonata e debolissima economia dell'Italia unita a un crack finanziario.

    Le grandi società d'affari francesi ed inglesi fecero invece, attraverso i loro mediatori piemontesi, affari d'oro.

    Nel 1866, nonostante il considerevole apporto aureo delle banche del sud, la moneta italiana fu costretta al "corso forzoso" cioè fu considerata dalle piazze finanziarie inconvertibile in oro. Segno inequivocabile di uno stato delle finanze disastroso e di un'inflazione stellare. I titoli di stato italiani arrivarono a valere due terzi del valore nominale, quando quelli emessi dal governo borbonico avevano un rendimento medio del 18%.

    Ci vorranno molti decenni perché l'Italia postunitaria, dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualche credibilità.

    L'odierna arretratezza economica del Meridione è figlia di quelle scelte scellerate e di almeno un cinquantennio di politica economica dissennata e assolutamente dimentica dell'ex Regno di Napoli da parte dello stato unitario.

    Si dovrà aspettare il periodo fascista per vedere intrapresa una qualche politica di sviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suo territorio attraverso la costruzione di strade, scuole, acquedotti (quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di una politica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcune linee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, - iniziata da Ferdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi e finalmente terminata da quello fascista.

    Ma il danni e i disastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva più e le sue forze più giovani e migliori erano emigrate all'estero.

    Nonostante gli interventi negli anni '50 del XX secolo con il piano Marshall (peraltro con nuove sperequazioni tra nord e sud), '60 e '70 con la Cassa per il Mezzogiorno e l'aiuto economico dell'Unione Europea ai giorni nostri, il divario che separa il Sud dal resto d'Italia è ancora notevole.

    La popolazione dell'ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del "brigantaggio", stremata da anni di guerra, di devastazioni e nefandezze d'ogni genere, per sopravvivere, darà vita alla grandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell''800, che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodo fascista e una diversificazione delle mete che diventeranno il Belgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri.

    Il Sud pagherà, ancora una volta, con il flusso finanziario generato dal lavoro e dal sacrificio degli emigranti meridionali, lo sviluppo dell'Italia industriale.

    Ritengo, in conclusione, che sia un diritto delle gente meridionale riappropriarsi di quel pezzo di storia patria che dopo il 1860 le fu strappato e un dovere del corpo insegnanti dello stato favorire un'analisi storica più oggettiva di quei fatti che tanto peso hanno avuto ed hanno ancora nello sviluppo sociale del Paese, anche attraverso una scelta dei testi scolastici più oculata ed imparziale.

    La guerra fra il nord ed il sud d'Italia non si combatte più sui campi di battaglia del Volturno, del Garigliano, sugli spalti di Gaeta o nelle campagne infestate dai "briganti", ma non per questo è meno viva; continua ancora oggi sul terreno di una cultura storica retriva e bugiarda che, alimentando una visione del sud "geneticamente" arretrato, produce un'ulteriore frattura tra due "etnie" che non si sono amate mai.

    Il dibattito ancora aperto e vivace sull'ipotesi di una Italia federalista, i toni accesi del Partito della Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gente del nord e quella del sud, nonostante il "rimescolamento" dovuto all'emigrazione interna, testimoniano quanto queste problematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime.

    Oggi l'unità dello stato, in un periodo dove il progresso passa attraverso enti politico-economici sopranazionali come la Comunità Europea, è certamente un valore da salvaguardare, ma al meridione è dovuta una politica ed una attenzione particolari, una politica legata ai suoi effettivi interessi, che valorizzi le sue enormi risorse e assecondi le sue vocazioni, a parziale indennizzo dei disastri e delle ingiustizie che l'unità vi ha apportato.

    L'enorme numero di morti che costò l'annessione, i 23 milioni di emigrati dal meridione dell'ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, a costo di immani sforzi, alla realizzazione di un'Italia moderna e vivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto che per 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli ha negato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano.

    di CARLO COPPOLA
    "Controstoria dell'Unità d'Italia"
    M.C.E. Editore

  2. #2
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    Ho letto molti libri sulla questione meridionale, questo articolo mi ha colpito molto, mi domando se tutto ciò non fosse avvenuto, ora il meridione soffrirebbe le piaghe che sta subendo da ben 140 anni? Come dice l'autore solo nel periodo Mussoliniano il meridione si trovò meglio economicamente.
    Riuscirà il Federalismo Fiscale a togliere ,o perlomeno a diminuire le piaghe del sud?

  3. #3
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    La mia non vuole essere una provocazione, ma solo una testimonianza di come si può insabbiare la storia.

  4. #4
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    da MAFIA POWER - NEL 1943, PER SBARCARE IN SICILIA, ANCHE GLI AMERICANI FURONO COSTRETTI A SCENDERE A PATTI CON COSA NOSTRA ACCETTANDO IL PRINCIPIO DI OMERTÀ – RAPPORTO DEI SERVIZI SEGRETI USA: “SOTTO IL FASCISMO LA MAFIA VENIVA TENUTA SOTTO CONTROLLO.

    Citazione:
    MAFIA POWER - NEL 1943, PER SBARCARE IN SICILIA, ANCHE GLI AMERICANI FURONO COSTRETTI A SCENDERE A PATTI CON COSA NOSTRA ACCETTANDO IL PRINCIPIO DI OMERTÀ – RAPPORTO DEI SERVIZI SEGRETI USA: “SOTTO IL FASCISMO LA MAFIA VENIVA TENUTA SOTTO CONTROLLO. OGGI E’ RINATA E SI E’ INFILTRATA NEL GOVERNO MILITARE ALLEATO”...

    Attilio Bolzoni per "la Repubblica"

    Gli americani erano arrivati in Sicilia in estate e avevano subito capito che era un luogo molto speciale. Al Quartier generale alleato di Algeri cominciarono però ad allarmarsi davvero verso l´inizio dell´autunno, quando decisero di spedire in missione a Palermo un giovane capitano dei servizi segreti: volevano un dettagliato rapporto «su un fenomeno che avrà gravi implicazioni per la situazione politica attuale e futura dell´isola e del resto d´Italia». Volevano capire cosa stava succedendo in quel pezzo irrequieto d´Europa liberata.

    Il capitano W. E. Scotten contattò le sue fonti nelle province occidentali dell´isola e, dopo qualche settimana, inviò una relazione ai superiori: «A parte le opinioni popolari o gli aspetti politici, questo è un problema estremamente importante: tutti coloro che non ne sono venuti a contatto diretto però hanno serie difficoltà a valutarlo». Fu così che il capitano Scotten scoprì la mafia. E fu così che gli Alleati scoprirono che lo sbarco del 10 luglio del 1943 aveva riportato nell´isola non soltanto la libertà ma anche i suoi vecchi padroni: i boss di Cosa Nostra.

    In quel rapporto che l´ufficiale della Military Intelligence inoltrò al brigadiere generale Julius Cecil Holmes - sei pagine custodite nei National Archives di Kew Gardens, alle porte di Londra - c´è la prova di un accordo cercato dagli agenti segreti statunitensi e britannici con la mafia siciliana. Uno dei primi, uno dei tanti.

    È un documento in cui si ritrovano le tracce di un negoziato fra gli apparati di sicurezza e le "famiglie", probabilmente la genesi di un patto che porterà nel nostro Paese - decennio dopo decennio e strage dopo strage - all´abitudine "trattativista", al dialogo permanente fra poteri politici e poteri criminali. Da Portella della Ginestra fino a Capaci, dalle spie inglesi agli uomini dei servizi di sicurezza italiani, un intrigo che affonda le sue radici nei mesi che seguirono l´Operazione Husky, nome in codice dell´invasione alleata dell´isola.

    È la storia che sembra cronaca. Vicende lontane che si intrecciano con l´attualità più inquietante, le carte del passato che in qualche modo spiegano un presente ancora avvolto nel mistero: lunghe e indisturbate latitanze di capi mafiosi, covi immancabilmente protetti, complicità fra alti funzionari dello Stato e assassini, massacri di Cosa Nostra e depistaggi, bombe di mafia e di Stato.

    Il capitano W. E. Scotten sapeva già tutto in quell´autunno di sessantasette anni fa, quando - terminata la sua missione in Sicilia - cominciò a stendere il rapporto da consegnare al generale Holmes che da Palermo dirigeva le grandi manovre belliche sul fronte mediterraneo. Il dossier porta la data del 29 ottobre 1943 (cartella del Foreign Office 371/37327, numero di protocollo R11483) ed è stato archiviato a Kew Gardens alla fine della guerra.

    Pubblicato per la prima volta dallo storico Rosario Mangiameli - nel 1980 - in "Annali della facoltà di Scienze politiche" dell´Università di Catania, oggi merita di essere riletto e interpretato per tutto ciò che sta affiorando in Italia sulle collusioni di Cosa Nostra. Oggetto del rapporto: «Memorandum sul problema della mafia in Sicilia». Sulla copertina del dossier, in poche righe ci sono le note di un funzionario del ministero degli Esteri inglese (la firma è illeggibile).

    Anche lui aveva ricevuto l´informativa di Scotten. Laconico il suo commento: «Il paragrafo 8 di questo rapporto sostiene che le attività della mafia sono risorte in maniera considerevole dalla data dello sbarco in Sicilia». Ma non era al paragrafo 8 il passaggio più riservato e tortuoso del resoconto di Scotten. Era al paragrafo 13, la parte del dossier che conteneva le «possibili soluzioni per affrontare il problema mafia». E dove, per la prima volta, compariva quella parola: negoziato.

    Dopo un´analisi della realtà criminale siciliana, il capitano Scotten suggeriva al generale Holmes come il Governo militare alleato avrebbe dovuto muoversi. E valutava tre ipotesi: «a) un´azione diretta, stringente e immediata per controllare la mafia; b) una tregua negoziata con i capimafia; c) l´abbandono di ogni tentativo di controllare la mafia in tutta l´isola e il [nostro] ritiro in piccole enclaves strategiche, attorno alle quali costituire cordoni protettivi e al cui interno esercitare un governo militare assoluto». L´ufficiale della Military Intelligence riferiva poi ai suoi superiori, nel dettaglio, la praticabilità delle tre soluzioni prospettate.

    Il primo punto è riportato al paragrafo numero 14: «La prima soluzione - il controllo della mafia, ndr - richiede un´azione fulminea e decisiva nell´arco di giorni o al massimo di settimane (...) e l´arresto simultaneo e concertato di cinque o seicento capifamiglia - senza curarsi della personalità e delle loro connessioni politiche - affinché siano deportati, senza alcuna traccia di processo, per tutta la durata della guerra (...)». Il secondo punto è al paragrafo numero 15.

    Ed è tutto dedicato alla trattativa con i boss di Cosa Nostra. Scrive Scotten: «La seconda soluzione sembra apparentemente quella il cui successo è meno garantito. Ma la sua buona riuscita dipende dall´estrema segretezza di fronte ai siciliani e al personale stesso del Governo Militare Alleato».

    E aggiunge il capitano: «Dipende anche dalla personalità del negoziatore e dalla sua abilità nel conquistare la fiducia di questi capimafia da contattare sui seguenti punti: 1) l´unico interesse degli Alleati nel governare la Sicilia consiste nella continuazione dello sforzo bellico; 2) gli Alleati non desiderano interferire negli affari interni della Sicilia e desiderano restituirne il governo al popolo siciliano al momento opportuno;

    3) gli Alleati acconsentono a non interferire con la mafia, a patto che questa accetti di desistere da tutte le attività riguardanti il movimento e il commercio di generi alimentari o di altri beni di prima necessità, oppure di prodotti che servono alla prosecuzione della guerra (...) e a patto che la mafia concordi nell´astenersi dall´interferire con il personale e le operazioni del Governo Militare Alleato».

    Che cosa, americani e inglesi, avrebbero potuto offrire in cambio? Scotten non ha dubbi: «Questo significa l´accettazione a un certo grado, da parte degli Alleati, del principio dell´omertà, un codice che la mafia comprende e rispetta interamente». In sostanza propone ai superiori un armistizio con i boss: loro non «interferiscono» con gli affari del Governo militare, gli Alleati chiudono gli occhi su tutto il resto.

    La terza soluzione ipotizzata dal capitano - ritirarsi in alcune zone della Sicilia e lasciare alla mafia il controllo del territorio - è giudicata dallo stesso ufficiale «debole» e «così da essere interpretata dal nemico [la Germania nazista], dal resto d´Italia e dagli altri Paesi occupati». Una via non praticabile per Scotten: «Ciò significherebbe consegnare la Sicilia per lungo tempo ai poteri criminali».

    Come poi sono andate le cose in Sicilia è noto. Gli Alleati non hanno abbandonato l´isola e non hanno mai deportato un solo mafioso. Al contrario. Molti capimafia sono stati i primi sindaci nei paesi della Sicilia liberata, altri boss hanno trafficato con i grandi capi del Governo militare alleato, gli aristocratici e i latifondisti legati a Cosa Nostra sono diventati i «rispettabili» signori che hanno governato l´isola subito dopo il fascismo.

    Gli appunti del capitano Scotten raccontano molto di quella stagione. Sul ritorno dei boss: «I contatti da me sostenuti con la popolazione siciliana, concordano pienamente sul seguente fatto: la mafia è rinata. Tale fenomeno non è sfuggito alla sezione Intelligence del Governo militare e all´inviato speciale del Dipartimento di Stato Usa Alfred Nester, ex console americano a Palermo (...) Il terrore della mafia sta rapidamente tornando e, secondo i miei informatori, la mafia si sta ora dotando di armi ed equipaggiamenti moderni, il problema si moltiplicherà creando difficoltà alla Polizia».

    Sulla capacità corruttiva di Cosa Nostra: «La popolazione siciliana non crede che i carabinieri o gli altri corpi di polizia siano in grado di affrontare la mafia. Li ritiene corrotti, deboli e, in molti casi, in combutta con la stessa mafia. Carabinieri e polizia ricevono individualmente una parte dei guadagni dei vari racket, ma anche intere porzioni di questi introiti».

    Sulle infiltrazioni nel Governo militare alleato: «Molti siciliani si lamentano del fatto, ed è la cosa più inquietante, che molti nostri interpreti di origine siciliana provengono direttamente da ambienti mafiosi statunitensi. La popolazione afferma che i nostri funzionari sono ingannati da interpreti e consiglieri corrotti, al punto che vi è il pericolo che essi diventino uno strumento inconsapevole in mano alla mafia».

    Alla fine del suo rapporto, il capitano della Military Intelligence descrive il clima che si respira nell´isola negli ultimi mesi del 1943: «Agli occhi dei siciliani, non solo il Governo Militare Alleato non è in grado di affrontare la mafia, ma è arrivato addirittura al punto da essere manipolato.

    Ecco perché al giorno d´oggi molti siciliani mettono a raffronto il Governo Militare Alleato e il Fascismo... Sotto il Fascismo la mafia non era stata interamente debellata, ma veniva almeno tenuta sotto controllo. Oggi invece cresce con una velocità allarmante e ha raggiunto addirittura una posizione di rilievo nel Governo militare alleato».

    Qualcuno avrà mai risposto per iscritto al capitano Scotten? In qualche scaffale di Kew Gardens si ritroverà mai un´altra carta con le decisioni prese dagli Alleati «per risolvere il problema della mafia»? Basterebbe qualche foglio ingiallito, basterebbe anche una sola pagina per scoprire fino a dove si è spinta la «soluzione B» proposta dall´agente segreto Scotten in missione in Sicilia.

  5. #5
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    Mafia & Alleati - Servizi segreti americani e sbarco in Sicilia by:

    Citazione:
    Ezio Costanzo

    Mafia & Alleati
    Servizi segreti americani e sbarco in Sicilia

    € 19.00

    pp. 256 + 48 tavole fuori testo con 150 fotografie e documenti inediti

    Premio "Rocco Chinnici" 2007

    Quali oscure operazioni di spionaggio si celavano dietro lo sbarco anglo-americano in Sicilia nell’estate del 1943?

    La conquista dell’isola fu sostenuta dalla collaborazione della mafia con i servizi segreti americani? E chi furono i protagonisti di questo accordo? Chi erano gli agenti segreti sbarcati con le truppe del generale Patton? E perché migliaia di soldati italiani si arresero già al primo giorno dell’invasione e la popolazione civile accolse con esagerata festosità gli Alleati?

    Mafia & Alleati rivela i retroscena di uno dei più controversi e romanzeschi capitoli del secondo conflitto mondiale, un enigma fitto di interrogativi che vanno dall’accordo tra intelligence americana e il boss mafioso Lucky Luciano per liberare il porto di New York dalle spie naziste e fornire notizie sulla Sicilia, al Piano Corvo, la pianificazione “politica” dello sbarco; dagli inquietanti ritratti dei mafiosi americani e siciliani che popolavano la scena del crimine durante la seconda guerra mondiale, agli uomini del Naval intelligence e dell’OSS e le loro operazioni segrete nell’isola; dall’insediamento del governo militare alleato alla riorganizzazione della mafia, alla delega dei poteri ai boss locali.

    Complimenti Europeo i tuoi scritti li ho presi su gogle, spero che tu non me ne voglia, ma quello che tu hai postato era il miglior articolo che ho trovato.

    Un cordiale saluto
    ADA

  6. #6
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    Questa è la storia del meridione.In un programma di MINOLI," LA STORIA SIAMO NOI" ha fatto vedere un pezzo di documentario dove la povera gente, al ritorno della mafia, scrisse sui muri, " IL SUD MUORE UN'ALTRA VOLTA", così coloro che non volevano avere a che fare con la mafia, si trasferirono , di nuovo nel settentrione, in Svizzera in Germania, coloro che rimasero in ITALIA, diventarono, i "famigerati " impiegati pubblici, oppure si arruolavano nella Polizia o nei Carabinieri, siccome avevamo perso la guerra chi entrava in polizia veniva mandato a fare servizio senza una pistola, gliela davano dopo un anno di fermo,Per anni lo stato disse che la mafia non cìera che erano solo dei piccoli malavitosi, ci hanno preso in giro, perchè che la MAFIA; LA CAMORRA erano operative e pericolse il cittadino, quello che viveva al sud lo sapeva eccome, Ci Vollero FALCONE e BORSELLINO, per far dichiarare alla Stato che la mafia non era un invenzione, ma un fatto reale e pericolossimo, tanto da essere chiamata, per come era organizzata," L'ANTISTATO" cioè lo stato nello stato.
    Nel periodo del BR l'allora Capo della Polizia Vincenzo Parisi, chiese di fare una legge, quella dei pentiti, ma quella legge doveva interessare solo le BR, per far si di smantellarle. cosa che avvenne, ma il governo di allora credette che la stessa legge fosse applicabile anche alla mafia, così oggi assistiamo, a fatti che sono inaccettabili, basta un pentito, per mandare in galera o diffamare persone perbene come CONTRADA, perchè appllicare questa legge vuol dire essere sicuri, avere riscontri, validissimi, prima d'incolpare qualcuno, lo vediamo, specialmente sotto le elezioni, ad orologeria esce un pentito che accusa di mafia il politico di turno che da fastidio. Ancora una volta le leggi non sono adeguate.

    Ma tornando al sud, vorrei fare una domanda, se tutto ciò fosse avvenuto al nord'? Avremmo una Lega che con il suo comportamento istiga l'odio fra italiani? EBBE ragione MUSSOLINI, quando dichiarò che la questione meridionale, era una questione NAZIONALE, fu l'unico a tentare e ci riuscì a fare dell'ITALIA UNITA , una NAZIONE.
    Io non ho niente contro la LEGA, mi va bene il federalismo fiscale, la politica contro l'immigrazione selvaggia, l'unica cosa che rimprovero alla LEGA è l'odio che suscita fra italiani e italiani.
    ADA

  7. #7
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    Scusatemi, se vi annoierete a leggere la ricostruzione storica del meridione, che sui testi scuola non appare mai, io spero che chi fa parte della Lega comprenda che i meridionali, hanno subito enormi ingiustizie dai potenti, e che loro non sono ricchi non hanno il papà che ha la fabrichetta, dove può sistemare i suoi figli, loro non hanno soluzioni per lavorare e star fuori contemporaneamente dalla malavita, perciò ci vorrebbe comprensione non derisione, Io spero che un giorno si arrivi a questo, ALLA COMPRENSIONE
    ADA
    Ultima modifica di Ada De Santis; 12-04-10 alle 13:49

  8. #8
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    infatti durante il ventennio il sud divenne un giardino. pare che dagll'argentina e dalla svizzera facessero a botte per emigrare a bitonto. mussolini però, per evitare che si infiltrasse qualche demoplutogiudomassone impedì alle navi di attraccare. decise quindi di attaccare la grecia (sembra strano ma è andata così)

    a cicli periodici, diciamo ogni mese, ecco che arriva un post su quanto fosse bello il sud prima dell'arrivo di garibaldi.

    nessuno mai che spieghi bene come facesse uno stato così forte a avanzato a soccombere di fronte a qualche centinaio di straccioni del nord, in genere disoccupati o pregiudicati, guidati da un becero avventuriero.
    ah, certo, fu sconfitto dalle foto pornografiche del re...

    ci vuole molta comprensione...

  9. #9
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    il problema del meridione sono i meridionali

  10. #10
    duca di rivoli
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    Predefinito Rif: La verità sulla questione meridionale

    Citazione Originariamente Scritto da dedelind Visualizza Messaggio
    il problema del meridione sono i meridionali
    no, ci vuole comprensione.
    ringrazia che non siano tutti mafiosi. infatti una buona percentuale fanno i carabinieri o altro lavoro statale.

 

 
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