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    Predefinito amare il tibet odiando i monaci

    FEUDALESIMO BONARIO: IL MITO DEL TIBET
    Postato il Mercoledi 19 Marzo 2008 (19:00) di davide

    DI MICHAEL PARENTI

    Da un capo all'altro dei secoli è prevalsa una dolorosa simbiosi fra
    religione e violenza. Le storie della cristianità, del giudaismo,
    dell'induismo e dell'islamismo sono pesantemente legate a vendette
    micidiali e distruttive, persecuzioni e guerre. Più volte, gli
    appartenenti ad una confessione religiosa hanno rivendicato e
    vantato un mandato divino per terrorizzare e massacrare eretici,
    infedeli ed altri peccatori.

    Alcuni hanno obiettato che il buddismo è diverso, che occupa una
    posizione antitetica rispetto alla violenza cronica delle altre
    confessioni religiose. In verità, così com'è praticato da molti
    negli Stati Uniti, il buddismo è più una disciplina "spirituale" e
    psicologica che non una teologia nel senso consueto del termine.
    Esso offre tecniche meditative e auto-terapie che si ritiene
    favoriscano l' "illuminazione" e l'armonia dell'interiorità. Ma,
    come ogni altro sistema di valori, di convinzioni, il buddismo deve
    essere valutato non soltanto dalle sue dottrine, ma dall'effettivo
    comportamento dei suoi seguaci.



    Eccezionalità del buddismo?

    Un colpo d'occhio alla storia rivela che le organizzazioni buddiste
    non fanno eccezione alle persecuzioni violente che hanno così
    caratterizzato i gruppi religiosi nel corso delle epoche storiche.
    In Tibet, dall'inizio del diciassettesimo secolo e sino al secolo
    successivo inoltrato, sette buddiste in conflitto si impegnarono in
    ostilità armate ed esecuzioni sommarie. (1) Nel ventesimo secolo,
    dalla Thailandia alla Birmania alla Corea al Giappone, i buddisti si
    sono scontrati fra loro e con i non buddisti. In Sri Lanka, enormi
    battaglie in nome del buddismo sono parte integrante della storia
    cingalese. (2)

    Soltanto pochi anni fa, in Corea del Sud, migliaia di monaci
    dell'ordine buddista Chogye – che, secondo l'opinione generale erano
    dedicati ad una ricerca meditativa alla ricerca dell'illuminazione
    spirituale – si combatterono con pugni, pietre, bombe incendiarie, e
    randelli, in battaglie campali che continuavano per settimane.
    Stavano rivaleggiando per il controllo dell'ordine monastico, il
    maggiore della Corea del Sud, con il suo budget annuo di 9.2 milioni
    di dollari, i suoi milioni di dollari aggiuntivi in proprietà, e il
    privilegio di nominare 1700 monaci per mansioni varie. Le risse
    distrussero in parte i principali santuari buddisti e lasciarono
    dozzine di monaci feriti, alcuni dei quali in maniera seria.

    Entrambe le fazioni che lottavano per la supremazia ricercavano il
    sostegno della nazione. In effetti, i cittadini coreani sembravano
    disdegnare entrambe le parti, essendo dell'opinione che non aveva
    importanza quale consorteria avrebbe preso controllo di un ordine,
    poiché avrebbe comunque impiegato le donazioni dei fedeli per
    accumulare ricchezze, comprese case ed auto costose. Secondo un
    notiziario di cronaca, la confusione all'interno dell'ordine
    buddista Chogye (molta della quale portata sugli schermi televisivi
    coreani): "ha mandato in frantumi l'immagine dell'Illuminismo
    Buddista". (3)

    Ma molti buddisti odierni negli Stati Uniti farebbero obiezione,
    affermando che nulla di ciò si applicherebbe al caso del Dalai Lama
    e del Tibet da lui presieduto prima della spaccatura cinese del
    1959. Il Tibet in cui credono, quello del Dalai Lama, era un mondo
    orientato verso un orizzonte spirituale, scevro da stili di vita
    egoistici, libero dal vuoto materialismo, da inutili ricerche e dai
    vizi corrotti che assediano la società moderna industrializzata. I
    media occidentali, insieme a uno stuolo di libri di viaggi, romanzi
    e film di Hollywood hanno dipinto la teocrazia tibetana come una
    vera Shangri-La e il Dalai Lama come un santo saggio, "il più grande
    essere umano vivente", come lo ha descritto con grandissimo
    entusiasmo l'attore Richard Gere. (4)

    Lo stesso Dalai Lama ha dato adito a tali immagini idealizzate sul
    Tibet, mediante affermazioni come: "La civiltà tibetana ha una ricca
    e lunga storia. L'influenza persuasiva del buddismo e le asperità di
    una vita fra gli ampi spazi aperti di un ambiente incorrotto, ha
    avuto come risultato una società dedicata alla pace e all'armonia.
    Provavamo diletto nella libertà e nella contentezza, nell'essere
    paghi." (5)

    Ma la storia del Tibet appare un po' diversa. Nel tredicesimo
    secolo, l'imperatore Kublai Khan creò il primo Grande Lama, che
    avrebbe dovuto presiedere tutti gli altri Lama, così come farebbe un
    papa con i suoi vescovi. Parecchi secoli dopo, l'imperatore della
    Cina inviò un esercito in Tibet per sostenere il Grande Lama, un
    ambizioso venticinquenne che si autoconferì il titolo di Dalai
    (Oceano) Lama, signore di tutto il Tibet. Ecco un'ironia storica: il
    primo Dalai Lama fu investito della propria carica da un esercito
    cinese. Per elevare la sua autorità oltre la sfida mondana,
    temporale, il primo Dalai Lama confiscò monasteri che non
    appartenevano alla sua setta, e si crede anche che abbia distrutto
    scritti buddisti contrastanti con la sua pretesa di divinità.

    Il Dalai Lama che gli successe ricercò una vita sibaritica (ndt:
    termine che indica un eccesso di lusso e mollezza, "degno di un
    sibarita"), da individuo raffinato e dedito ai piaceri, godendo di
    molte concubine, organizzando feste, scrivendo poesie erotiche e
    comportandosi in altri modi, che dovrebbero sembrare sconvenienti
    per una incarnazione degli dei.

    Per questo la sua figura, in seguito è stata "oscurata" dai suoi
    monaci. In 170 anni, malgrado il loro stato riconosciuto come dei,
    cinque Lama di Dalai sono stato assassinati dai loro gran sacerdoti
    o da loro altri cortigiani non violenti buddistici. (7)

    Shangri-La (per signori e Lama)

    Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non
    soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In
    realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce
    necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia
    tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l'ultima
    volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora
    organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari
    lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come
    Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che "una
    grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la
    maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze… Inoltre, monaci e
    Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze
    tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e
    nell'usura." (8)

    Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri
    del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300
    grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei
    monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli
    di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero
    più basso era povero come la classe contadina dalla quale
    discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all'interno
    del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero
    cristiano dell'Europa medievale. Insieme al clero superiore, i
    leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu
    il comandante in capo dell'esercito tibetano, che possedeva 4.000
    chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro
    del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9) L'Antico Tibet è stato
    rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come "una
    nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo
    osservava spontaneamente le leggi del karma." (10) In realtà era
    dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni,
    che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con
    l'incarico di mantenere l'ordine e catturare i servi della gleba
    fuggitivi. (11)

    I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro
    famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci.
    Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering,
    un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini
    essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di
    ripetute violenze sessuali perpetrate durante l'infanzia, non molto
    tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all'età di nove anni.
    (12)

    Nell'Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui
    stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero
    aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la "classe
    media", famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti.
    Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi
    schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La
    loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)
    Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su
    una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi
    della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto
    una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al
    sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano
    in genere fare a meno dell'istruzione e delle cure mediche.
    Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i
    monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un'aristocrazia
    secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in
    effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali
    prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si
    potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il
    suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un
    servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia.
    I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a
    tortura e morte. (14)

    Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella
    stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare
    fra il meglio della popolazione femminile di servitù della
    gleba: "Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente
    prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui
    desiderava." Esse "erano soltanto schiave senza alcun diritto." (15)
    La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I
    proprietari terrieri avevano l'autorità legale di catturare e
    impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di
    quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un
    servo di ventiquattro anni, anch'egli fuggiasco, intervistato da
    Anna Louise Strong, accoglieva con favore l'intervento cinese come
    una "liberazione". Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di
    non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da
    traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace
    di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli
    racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini
    del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero
    molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro
    di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già
    quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con
    due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei
    piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il
    sorvegliante disse: "Questo è soltanto sangue dal naso; forse
    prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello." Mi
    picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua
    con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i
    sensi per due ore…" (16)

    Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a
    lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per
    tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba
    erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la
    messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che
    provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta,
    a seconda delle pretese del padrone. "Era un efficiente sistema di
    sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e
    religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per
    coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava
    dall'accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la
    sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la
    manodopera in un contesto di mercato." (17)
    La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée
    (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime
    onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il
    matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano
    soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro
    cortile, per tenere animali domestici o dell'aia, per il possesso di
    un vaso di fiori, o per l'aver messo un campanello ad un animale.
    C'erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far
    rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata
    per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava.
    Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale.
    Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa
    della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio
    nella loro ricerca di un'occupazione, pagavano una tassa di
    transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano
    loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni
    debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I
    debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la
    riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal
    monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)
    Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e
    rafforzarono l'ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e
    agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro
    comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite
    precedenti. Dovevano quindi accettare la miseria della loro
    esistenza presente come un'espiazione e in anticipo, solo così il
    loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati,
    se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano
    naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una
    dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

    Torture e mutilazioni in Shangri-La

    Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese
    l'asportazione dell'occhio e della lingua, l'azzoppamento e
    l'amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni
    principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad
    altri "criminali". Viaggiando attraverso il Tibet negli anni '60,
    Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh
    Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un
    monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani
    mutilate. Spiega che non è più un buddista: "Quando un sacro Lama
    disse loro di accecarmi, pensai che non c'era alcun bene nella
    religione." (19)
    Alcuni visitatori occidentali nell'Antico Tibet hanno fatto notare
    l'elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista
    sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e
    poi "abbandonati a Dio" nella gelida notte a morire. "I paralleli
    fra il Tibet e l'Europa medievale sono impressionanti," conclude Tom
    Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)

    Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna
    Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da
    tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani.
    C'erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola
    misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e
    spezzare mani. Per strappare gli occhi, c'era uno speciale copricapo
    di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così
    che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle
    orbite, facilitandone l'asportazione. C'erano congegni per tagliare
    le rotule e i talloni, o per azzoppare. C'erano tizzoni ardenti,
    scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

    L'esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che
    erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni
    per furto. C'era il pastore il cui padrone vantava un debito nei
    suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare.
    Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per
    questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge,
    che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono
    staccate le mani. C'erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi
    e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata
    violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)

    Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio
    informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L.
    Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati
    all' "intollerabile tirannia dei monaci" e alle superstizioni
    diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le
    persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama
    come una "macchina da sopraffazione" e un "ostacolo ad ogni
    progresso umano." Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore
    inglese, il Capitano W.F.T. O'Connor notava che "i grandi
    proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all'interno
    del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c'è appello,"
    mentre il popolo è "oppresso dalla più mostruosa crescita di
    monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto." I
    governatori tibetani, come quelli europei durante il
    medioevo, "forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo,
    inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di
    superstizione" fra la gente comune. (23)

    Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: "…il monaco
    buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle
    persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi
    dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della
    strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa
    dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per
    aumentare la loro influenza e ricchezza..." (24)

    Occupazione e rivolta

    I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la
    sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente
    autogoverno sotto l'autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto
    alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre
    le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto
    nell'amministrazione interna "per promuovere le riforme sociali."
    Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più
    sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra
    le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi
    d'interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.

    Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente
    occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel
    trasformare l'economia feudale del Tibet in conformità con gli
    obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con
    il Dalai Lama e con la causa dell'indipendenza tibetana, ammette
    che "contrariamente all'opinione corrente in Occidente", i
    cinesi "perseguivano una politica moderata. Avevano cura di mostrare
    rispetto per la cultura e la religione tibetane" e "permettevano ai
    vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il
    1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà
    aristocratica o monastica, ma venne permesso ai signori feudali di
    esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei
    contadini a loro vincolati ereditariamente." (25) Non più tardi del
    1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica
    progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in
    Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portato a
    termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre,
    se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)

    Nondimeno però, l'autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai
    signori e ai Lama. Ciò che li infastidiva più di ogni altra cosa non
    era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano
    visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il
    Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27)
    Effettivamente, l'approvazione del governo reazionario del
    Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell'attuale
    Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu
    investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata
    di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in
    conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i
    signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano
    comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo,
    ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le
    loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia
    altamente privilegiata.

    Nel 1956-57 bande armate tibetane tesero un'imboscata al convoglio
    dell'Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa
    ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA, comprendente
    armi, provviste e l'addestramento militare per le unità di commando
    del Tibet. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare
    le basi di sostegno in Nepal, compiendo numerosi ponti aerei per le
    operazioni di guerriglia condotte all'interno del Tibet. (29) Nel
    frattempo negli Stati Uniti, la Società Americana per un'Asia
    Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa
    di resistenza del Tibet. Il fratello maggiore del Dalai Lama,
    Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo in questo gruppo. Molti
    dei commando del Tibet e gli agenti che la CIA aveva paracadutato
    nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi.
    Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese,
    secondo una relazione della CIA. (30)
    La ridotta guarnigione dell'EPL in Tibet non avrebbe mai potuto
    catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei
    tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la
    resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il
    Tibet. "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti
    dell'esercito del Tibet hanno sostenuto la rivolta, ma la
    maggioranza della popolazione non l'ha fatto e questo ha sancito il
    suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)

    Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una
    conclusione simile: "Gli insorti del Tibet non sono mai riusciti a
    raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della
    popolazione, per non dire niente della maggioranza di essa. Per
    quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di
    Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il
    tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)
    Alla fine la resistenza si sgretolò.

    I Comunisti rovesciano il Feudalesimo

    Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova
    oppressione furono introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di
    fatto hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba
    e l'utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema
    delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la
    disoccupazione e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che
    esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il
    monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi
    d'irrigazione per l'acqua e portato l'energia elettrica a Lhasa.
    Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e
    le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)
    Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha
    riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer ha
    scritto un libro di successo sulle sue esperienze in Tibet, che è
    diventato un film di Hollywood. (Solo dopo si è saputo che Harrer
    era stato un sergente nazista sotto Hitler. (34)
    Egli narra che i tibetani resisterono orgogliosamente contro i
    cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza... Erano
    predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati
    puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare
    alla costruzione di strade e ponti. Furono poi ulteriormente
    umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell'arrivo
    dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento
    originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)

    Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai
    signori e dai Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai
    contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano
    state possedute una volta dai nobili furono date alle comuni dei
    poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati
    nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure
    e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu
    pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un
    notevole incremento della produzione contadina. (36)

    Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine
    al clero. Ma la gente non fu più costretta a omaggiare o fare regali
    obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati
    costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere
    ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia
    di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita
    civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi
    governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai
    servizi di nozze ed ai funerali. (37)

    Le denunce fatte dal Dalai Lama circa le sterilizzazioni di massa e
    la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai
    trovato conferme da alcuna prova.

    Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere,
    Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milioni di
    tibetani sarebbero morti come conseguenza dell'"occupazione cinese".
    (38)
    Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i
    numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.

    Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell'arrivo dei
    cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo
    la cifra di 1.274.000 abitanti.
    Altre valutazioni avevano conteggiato circa due milioni di tibetani
    abitanti il paese. (39)
    Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio
    degli anni 60 e parti enormi della campagna, effettivamente quasi
    tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme
    campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui
    però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet
    non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare
    materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il
    proprio tempo e attività, senza fare nient'altro.
    Le autorità cinesi ammettono "errori" nel passato, specialmente
    durante la rivoluzione culturale 1966-76, quando le persecuzioni
    religiose raggiunsero un alto livello sia in Cina che nel Tibet.
    Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i
    tibetani incarcerati. Durante il "grande balzo in avanti", la
    collettivizzazione dell'agricoltura, la coltivazione forzata del
    grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi.
    Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva ottenuto la completa
    pacificazione della situazione nel Tibet" ed ha provato a modificare
    e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni
    precedenti." (40)

    Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate
    ad assegnare al Tibet un grado sempre più grande di autonomia e di
    auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso di coltivare propri
    appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta,
    scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per
    mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le
    comunicazioni con il mondo esterno ed i controlli di frontiera
    furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti
    in India e Nepal. (41)

    Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA

    Per i Lama dell'alta società tibetana ed i signori, l'intervento
    comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono
    all'estero, come il Dalai Lama, che scappò in un'operazione
    organizzata direttamente dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che
    avrebbero dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che
    rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si
    trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.
    Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong
    visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che
    addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o
    preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900
    studenti del Tibet presenti, la maggior parte erano servi in fuga e
    ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibet, inviate
    dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti
    favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che
    divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente.
    Una nota del direttore dell'istituto diceva: "Quelli provenienti
    dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono
    superiori. Si risentono di dover portare le proprie valigie, fare i
    propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un
    incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che
    facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa; altri alla
    fine l'accettano.
    Il servo all'inizio ha paura degli altri e non può sedere con
    facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi
    prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a
    sentire differenze e non riescono a mescolarsi. Soltanto con il
    tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si
    mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone,
    criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)
    Intanto fu fatto un patto nauseante dagli emigrati tibetani con
    l'Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il
    mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica.
    Dall'inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato
    segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come
    accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari
    Esteri USA nel 1998. Quando questo fatto è stato pubblicizzato,
    l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo
    che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli
    anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per
    contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé
    186.000 dollari, rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato
    dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e
    anche altri esiliati tibetani. (43)

    Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno
    lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare.
    (44)
    Nonostante abbia sempre presentato sé stesso come difensore dei
    diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel
    1989, il Dalai Lama ha sempre continuato a frequentare e avuto come
    consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario,
    durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer
    ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama
    mentre abbracciava il famoso senatore reazionario Repubblicano Jesse
    Helms, sotto il titolo: "Buddista Affascina l'Eroe della Destra
    Religiosa." (45)
    Nel mese di aprile del 1999, con Margaret Thatcher, il papa Giovanni
    Paolo II ed il primo George Bush, il Dalai Lama ha fatto appello al
    governo britannico per liberare Augusto Pinochet, l'ex dittatore
    fascista del Cile e cliente da molto tempo della CIA, arrestato
    mentre visitava l'Inghilterra. Ha sollecitato che a Pinochet sia
    permesso ritornare alla sua patria e non costringerlo ad andare in
    Spagna dove era ricercato dai giudici spagnoli per crimini contro
    umanità.

    Oggi, principalmente attraverso il "Fondo per lo sviluppo della
    democrazia" ed altri canali che sono rami della CIA, il Congresso
    degli Stati Uniti continua ad assegnare i 2 milioni di dollari
    annuali per i tibetani in India, con altri milioni supplementari
    per "le attività di democrazia" all'interno della Comunità tibetana
    in esilio. Il Dalai Lama inoltre ottiene i soldi dal finanziere
    George Soros, che sovvenziona la creatura della CIA Radio Free
    Europa/ Radio Liberty e altri istituti. (46)

    La questione culturale

    Ci è stato detto che quando il Dalai Lama governava il Tibet, la
    gente viveva in simbiosi armoniosa con i loro signori monastici e
    secolari, in un ordine sociale costituito da una cultura
    profondamente spirituale e nonviolenta. La relazione profonda del
    contadino al sistema di credenza sacra avrebbe loro dato una
    tranquilla stabilità, ispirata da insegnamenti religiosi umanitari e
    pacifici. Uno di questi è paragonato, nell'immagine idealizzata
    dell'Europa feudale, come presentato dai cattolici conservatori
    quali G. K. Chesterton e Hilaire Belloc. Per loro, la cristianità
    medioevale era un mondo di contadini contenti che vivono nel legame
    profondo dello spirito con la loro chiesa, sotto la protezione del
    loro signori. (47)

    Siamo invitati ancora ad accettare una cultura particolare
    relativamente alle proprie condizioni, che significa accettarla come
    presentata dalle classi dominanti, da coloro che da essa traggono i
    maggiori profitti.

    L'immagine della Shangri-La del Tibet non ha nessuna rassomiglianza
    con la realtà storica, poi trasformata in un'immagine romanticizzata
    dell'Europa medioevale. Si potrebbe dire che come cittadini del
    mondo moderno non possiamo afferrare le equazioni di felicità e
    dolore, contentezza ed abitudini, che caratterizzano di più "lo
    spirituale" e le società "tradizionali". Ciò può essere
    comprensibile e può spiegare perchè alcuni di noi idealizzano tali
    società. Ma ancora, un occhio sgorbiato è un occhio sgorbiato; una
    fustigazione è una fustigazione; e lo sfruttamento opprimente dei
    servi e degli schiavi è ancora una brutale ingiustizia di classe,
    qualunque abbellimento culturale si tenti. C'è una differenza fra un
    legame spirituale e la schiavitù umana, anche quando entrambi
    esistono parallelamente.

    Sicuramente ci sono molte cose da deplorare circa l'intervento
    cinese. Negli anni 90, l'etnia Han, il più grande gruppo etnico, che
    rappresenta oltre il 95 per cento della popolazione generale della
    Cina, ha cominciato a muoversi in numero notevole verso il Tibet e
    varie province occidentali. (48)
    Questi riassestamenti demografici hanno avuto sicuramente effetti
    sulle culture indigene della Cina e del Tibet occidentali… Alcuni
    dirigenti cinesi nel Tibet hanno assunto troppo spesso un
    atteggiamento di superiorità verso la popolazione indigena. Alcuni
    osservano i loro vicini tibetani come retrogradi e pigri,
    necessitanti di sviluppo economico e "educazione patriottica."
    … Durante gli anni 90 diversi tibetani secondo molte informazioni
    sono stati arrestati, per attività separatiste e legami con
    la "sovversione politica."... (49)
    …. Nel frattempo, la storia, la cultura e la religione tibetane sono
    trascurate nelle scuole. I materiali didattici sono comunque ancora
    in tibetano, anche se molto è indirizzato verso la storia cinese e
    le sue culture…(50)

    Il nuovo ordine ha molti sostenitori.
    Un articolo del Washington Post del 1999 scriveva che il Dalai Lama
    continua ad essere riverito nel Tibet, ma. . . pochi tibetani
    accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici
    corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa
    dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non
    hanno interesse nella cessione della terra che avevano ottenuto
    durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan
    aristocratici feudali. Gli ex schiavi del Tibet dicono anche che non
    desiderano che i loro precedenti padroni tornino al potere.

    "Già ho vissuto una volta quella vita prima," ha detto Wangchuk, un
    ex schiavo di 67 anni con indosso i suoi vestiti migliori per il suo
    pellegrinaggio annuale a Shigatse, uno dei luoghi più sacri del
    buddismo tibetano. Ha detto che adorava il Dalai Lama, ma ha
    aggiunto, "non posso essere libero sotto il comunismo cinese, ma la
    mia vita è migliore di quando ero uno schiavo."(51) Nel sostenere il
    rovesciamento cinese della teocrazia feudale del Dalai Lama non devo
    approvare ogni cosa fatta circa il ruolo cinese nel Tibet. Questo
    punto è capito raramente dagli odierni aderenti della Shangri-La
    nell'occidente.
    Il contrario è inoltre allineare. Criticare l'invasione cinese non
    significa che dobbiamo romanticizzare il regime feudale precedente.
    Una protesta comune fra i seguaci buddisti nell'ovest è che la
    cultura religiosa del Tibet sta per essere distrutta dalle autorità
    cinesi. Questo potrebbe essere.
    Ma ciò che tratto qui è la presunta natura spirituale, ammirevole e
    primitiva di quella cultura pre-invasione. In breve, possiamo
    sostenere la libertà e l'indipendenza religiose per il Tibet senza
    dovere abbracciare la mitologia di un paradiso perduto. Per
    concludere, vorrei sottolineare che la critica proposta qui non è
    intesa come attacco personale al Dalai Lama. Egli appare sempre come
    un individuo abbastanza piacevole, che parla spesso di pace, di
    amore e di nonviolenza.

    Nel 1994, in un'intervista con Melvyn Goldstein, ha voluto ricordare
    che fin da giovane egli era sempre stato per la costruzione di
    scuole, "macchine" e strade nel suo paese. Sostenne che aveva
    pensato che gli obblighi e le tasse imposti ai contadini "siano
    stati estremamente difettosi." Ed ha provato antipatia per il fatto
    che la gente era stata strozzata con i vecchi debiti, a volte
    passati di generazione in generazione. (52)
    Inoltre ha creato "un governo in esilio" con una Costituzione
    scritta, un'assemblea rappresentativa ed altri aspetti democratici.
    (53)
    Come molti sovrani di un tempo, il Dalai Lama dà l'impressione di
    essere più più preparato a parlare di potere invece che di
    esercitarlo. Se si tiene conto che ci ha messo quarant'anni di
    esilio, un'occupazione cinese per arrivare a proporre la democrazia
    per il Tibet e a criticare l'autocrazia feudale di cui lui stesso
    era la massima apoteosi.
    Ma la sua critica del vecchio ordine arriva troppo in ritardo per
    convincere i tibetani. Molti di loro desiderano che possa tornare
    nel paese, ma sembra che relativamente pochi desiderino un ritorno
    all'ordine sociale che lui ha rappresentato.

    In un libro pubblicato nel 1996, il Dalai Lama profferì una
    clamorosa dichiarazione che fece venire i brividi alla Comunità
    dell'esilio. Si legge in un capitolo: di tutte le teorie economiche
    moderne, il sistema economico marxista è fondato su principi morali,
    mentre il capitalismo è interessato soltanto al guadagno e al
    profitto. Il marxismo è indirizzato alla distribuzione della
    ricchezza su una base uguale e alla giusta utilizzazione dei mezzi
    di produzione. Inoltre esso è anche concepito sugli interessi della
    classe lavoratrice che è la maggioranza della popolazione, così come
    per il destino degli sfruttati e di quelli che hanno più bisogno,
    inoltre si preoccupa del destino di chi non è privilegiato e per le
    vittime dello sfruttamento imposto dalla minoranza. Per questi
    motivi il sistema fa appello a me e mi sembra giusto... Per questo
    motivo penso a me come mezzo marxista e mezzo buddista. (54)
    E più recentemente nel 2001, mentre visitava la California, ha
    sottolineato che "il Tibet, è materialmente molto, molto indietro.
    Spiritualmente è abbastanza ricco. Ma la spiritualità non può
    riempire i nostri stomaci."
    Questo è un messaggio a cui dovrebbero fare attenzione i ricchi e
    benestanti proseliti occidentali del buddismo che ritengono che esso
    non può essere confuso con considerazioni materiali, mentre
    romanticizzano il Tibet feudale. Al di là del buddismo e del Dalai
    Lama, quello che ho provato a sfidare è il mito del Tibet,
    l'immagine di un paradiso perduto, un ordine sociale che era poco
    più di un teocrazia dispotica e retrograda, fondata sulla schiavitù
    e sulla povertà, danneggiando così lo spirito dell'uomo, dove le più
    grandi ricchezze sono state accumulate da pochi potenti che vivevano
    al di sopra degli altri, approfittando del lavoro, del sangue e del
    sudore della maggioranza.
    Per la maggior parte degli aristocratici tibetani in esilio, quello
    è il mondo a cui vorrebbero ardentemente ritornare. Esso è molto
    lontano dallo Shangri-La.

    Michael Parenti
    Versione dal francese:

    Fonte:www.michelcollon.info
    Link: http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2005-08-
    24%20119:05&log=invites
    21.11.2005

    Versione italiana:

    Fonte: www.resistenze.org/

    Traduzione di ENRICO VIGNA, revisione a cura AM

    Note:

    1. Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet,
    and the Dalai Lama (Berkeley: University of California Press, 1995),
    6-16.
    2. Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley:
    University of California Press, 2000), 113.
    3. Kyong-Hwa Seok, "Korean monk gangs battle for temple turf," San
    Francisco Examiner, December 3, 1998.
    4. Gere quoted in "Our Little Secret," CounterPunch, 1-15 November
    1997.
    5. Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of

  2. #2
    Signore di Trieste
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    mi sembra che alla fine il dalai lama lo dipinge bene

    piu che altro vivevano in epoca feudale è logico che stavano male

  3. #3
    passero' a dDuck
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    mi spieghi dove sulla terra c'e' stata una societa' feudale paritaria e democratica ?

    e' chiaro che il tibet, come il resto del mondo dove e doveva uscire da un mondo medioevale, ma non vedo perche lo devono fare gli stranieri cinesi ?

  4. #4
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    sarà la 10° volta che viene citato questo Parenti.

    Visto che lui non è stato in tibet prima del 1950 mi chiedo che fonti ha preso?
    Io i libri sul tibet credo di averli letti quasi tutti ...(e sto parlando sempre di libri anteriori al 1950) e non vengono citate tutte queste notizie,con l'eccezione di "7 anni in tibet" laddove effettivamente viene riportato che i banditi che infestavano parte del tibet ed attaccavano i viaggiatori venivano puniti con il taglio delle braccia (un braccio la 1° cattura il 2° ai recidivi)
    quindi abbiamo gli americani che descrivono il tibet come un paradiso perduto e i filocinesi che parlano di un inferno medioevale.......
    ..non vi sembrano giudizi politici piu che storici?

    Temo che una vera ricostruzione sarà impossibile visto che ormai abbiamo solo piccole immagini e ricostruzioni di un paese 10 volte l'italia con altitudini medie di 4000 metri e da girare a piedi o a dorso di yak

  5. #5
    anche se tutti, io no
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    Chideo scusa, ero sinceramente interessato a leggere il sermone, ma dopo la prima ora mi sono venuti dei fastidisosi crampi al cervello per la staticità del concetto, ovvero religione sinonimo di violenza, feudalesimo, oscurantismo.
    Un solo commento (chi ha letto il sermone dev''essere spossato e anche un po' catatonico)
    Se uno ha delle idee proprie, perché non eprimerle? Perché riportare chilometrici pistolotti altrui? Non è, in realtà, che le idee gli mancano?

  6. #6
    passero' a dDuck
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    poi il tibet sara' stato una societa' medioevale !!!
    ma aveva il diritto di uscirne da solo, o doveva essere invaso da un esercito superiore alla sua stessa popolazione ?

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da tartarini1970 Visualizza Messaggio
    poi il tibet sara' stato una societa' medioevale !!!
    ma aveva il diritto di uscirne da solo, o doveva essere invaso da un esercito superiore alla sua stessa popolazione ?
    sì e secondo te ne usciva, con l'1% della popolkazione che deteneva tutto il potere?
    poi seguendo il tuo ragionamento anche la breccia di porta pia è un atto illegittimo e quindi dovremmo restituire la capitale italiana al papa.

  8. #8
    人牛俱忘
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    Citazione Originariamente Scritto da Aretim Visualizza Messaggio
    poi seguendo il tuo ragionamento anche la breccia di porta pia è un atto illegittimo e quindi dovremmo restituire la capitale italiana al papa.
    un bel pezzo se lo sono tenuto

  9. #9
    anche se tutti, io no
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    Caro Aretim, l'argomento che bisogna eliminare l'oscurantismo feudale era quello delle potenze coloniali europee, e perfino la propaganda fascista lo usò a proposito della necessità di liberare l'Etiopia dal feudalesimo del Negus.
    Il punto però non è questo. Il punto è che non sta bene sparare e incarcerare la gente che protesta. Se i cinesi in Tibet fanno, questo, la barbarie va denunciata. E' un ben meschino esercizio quello di trovare "distinguo", giustificazioni storico-geografiche o altre menate che non giustificano proprio niente, tanto meno il sangue dei morti ammazzati.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da euvitt Visualizza Messaggio
    un bel pezzo se lo sono tenuto
    eh sì, quello è vero, purtroppo

 

 
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