Dal sito del corriere
http://www.corriere.it/politica/08_a...4f486ba6.shtml
salucc
Ciampi: Bossi? La Lega è cambiata
Subito riforme, Silvio non ha alibi
L'ex capo dello Stato: sorpreso dal successo del centrodestra
Presidente Ciampi, dopo i risultati del voto possiamo dichiarare chiusa la Seconda Repubblica?
«Prima, Seconda o Terza Repubblica sono definizioni che per me non hanno molto senso. Di sicuro, sia pur senza storicizzare su quei canoni la stagione che si apre adesso, siamo entrati in una fase più matura per la politica e le istituzioni. Credo che si possa riconoscerlo per almeno due motivi: 1) dalla campagna elettorale a ieri, tutto si è svolto nel massimo ordine e, sostanzialmente, nel rispetto dei diritti di ciascuno; 2) il bipolarismo si è consolidato, anche se a prezzo di dolorose esclusioni dal Parlamento». Allude alla scomparsa della sinistra cosiddetta «radicale»? «Sì. Partiti che offrivano, se non una vera e propria camera di compensazione del conflitto sociale, comunque un riferimento di rappresentanza per le frange più estreme. La loro uscita di scena rischia di aprire incognite pericolose».
Si aspettava un'affermazione così netta del centrodestra? «Eravamo tutti influenzati dall'idea che la legge elettorale non potesse consentire un simile scenario, dunque sono rimasto piuttosto sorpreso. Ora, i numeri incassati dai vincitori sono tali da legittimare non solo l'incarico a governare (per quello basta una preferenza in più), ma a farlo avendo alle spalle una larga maggioranza e con un'intera legislatura come orizzonte. Davanti a questa opportunità, che naturalmente vale per il centrodestra come per il centrosinistra, nessuno potrà accampare alibi. Le difficoltà sono enormi, ma l'Italia ha in sé le capacità per esprimersi al meglio, ciò che negli ultimi anni non era invece riuscita a fare». Quel deficit d'iniziativa che ha penalizzato l'esecutivo Prodi, imploso su se stesso anche per non aver avviato soluzioni strutturali? «Per la verità il Paese è bloccato da tempo, già da prima del biennio del centrosinistra. Certo, tra il 2006 e il 2008 la tenuta di Palazzo Chigi si è retta soltanto su fragilissimi fili ed era messa alla prova ogni giorno da compromessi, strappi, condizionamenti e mediazioni. Perciò quel governo ha sempre avuto il fiato corto e, nonostante la pazienza negoziale del premier, alla fine è caduto».
Quale dovrebbe essere la «missione » di Berlusconi? «L'emergenza assoluta è sul fronte dell'economia e su quello sociale, con riferimento particolare alle famiglie che si ritrovano a far quadrare i loro bilanci in condizioni di maggiori ristrettezze... Non possiamo permetterci ancora una posizione di retroguardia in Europa. Ma va accelerato pure il risanamento dei conti pubblici, che a cavallo del 2000 ha avuto una battuta d'arresto e che solo di recente era stato rimesso in moto. Servono poi programmi urgenti per rilanciare sviluppo e competitività, con investimenti su ricerca e istruzione pubblica. Il tutto tenendo conto di uno scenario mondiale globalizzato che presenta problemi di una profondità sconvolgente e destinati ad accentuarsi (vedi il fortissimo aumento dei prezzi delle materie prime alimentari, come grano e riso), con il rischio di conseguenze geopolitiche imprevedibili e preoccupanti. Dal dopoguerra non si è mai presentata una situazione così complessa, tale da richiedere una collaborazione internazionale in grado di produrre scelte politico-finanziarie lungimiranti e coerenti».
Non andrebbero messe nell'agenda delle priorità anche le riforme istituzionali? «Ovvio che sì. Durante la campagna elettorale sono uscite indicazioni importanti per una responsabilità bipartisan su questa materia, per riforme condivise, mirate a rafforzare le istituzioni e a snellire la macchina dello Stato. I leader dei due fronti si sono impegnati a farle, nelle settimane scorse. Le facciano. Ma nei confini dei due princìpi chiave della Carta costituzionale: libertà dei cittadini e unità del Paese». C'è chi teme che Bossi, forte del boom elettorale, tenga in ostaggio il governo e punti a una secessione di fatto. «Non vedo questo pericolo, non ci credo. Anche la Lega ha avuto una sua evoluzione. Ricordo alcune mie tappe, da Varese alla Val Brembana, e i dialoghi con tanti sindaci leghisti presenti con la loro fascia tricolore. Quel Nord rivendica un diritto sul quale siamo tutti d'accordo: il federalismo fiscale, che certo non nega i fondamentali diritti di solidarietà verso le parti più deboli dell'Italia. E qui non intendo una politica degli oboli, ma della solidarietà, così come è chiaramente affermata nella nostra Costituzione».
Dall'entourage di Berlusconi stavolta nessuno ha fatto echeggiare il grido «non faremo prigionieri». E' cambiato anche lui? «Le sue prime dichiarazioni dimostrano che è consapevole della gravità della sfida. E' vero, viviamo da 15 anni in una situazione politica complessa e di conflitto a volte artificialmente esasperato, al di là dell'obiettiva gravità dei problemi. Oggi servono soluzioni strutturali, che si possono costruire a patto di rianimare le volontà positive degli italiani, a partire da uno spirito di orgoglio e fiducia collettivi. Ripeto: i problemi interni e internazionali sono seri, ma dico no alla sfiducia e un no ancor più forte all'indifferenza. Sta a Berlusconi fare una buona squadra di ministri (e molti politici che non avevano esperienza ora ce l'hanno) e rendere più coesa l'Italia, che ha bisogno di essere governata con efficacia. Spero anche che il futuro premier mantenga saldo il nostro ancoraggio all'Europa, fuori dalla quale saremmo perduti ».
E della sconfitta del Partito democratico, che cosa pensa? Era davvero scontata? «Era una partita molto ardua, quella giocata da Walter Veltroni. Ha fatto un investimento sul futuro, che ha comunque prodotto un'innovazione importante, semplificando il nostro frammentato quadro politico e anche, per i toni da lui usati, disintossicando un po' il clima. Gliene va dato atto».
Marzio Breda
16 aprile 2008