Io personalmente lo leggo negativamente, visto che il Papa sta dando pessima prova di sé sin dal suo esordio in terra americana. E non sto parlando della questione del "papa in sinagoga", che pure ha la sua rilevanza.
Ho già segnalato l'equivoco sulla "laicità americana", che, per lui, assurgerebbe a modello.
Destano ancor più meraviglia, per non dire sdegno, le sue parole alla Casa Bianca, dinanzi a Bush. Per lui, "
i principi che governano la vita politica e sociale (degli USA)
sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore" e che gli estensori dei documenti costitutivi "
si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la “verità evidente per se stessa” che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura".
Io davvero sono rimasto allibito. Non so se a spingerlo a dire queste cose è l'ignoranza o la malafede. Entrambe, però, sono inaccettabili per un successore di Pietro.
Infatti, avrebbe dovuto sapere che il fondamento dello stato americano è squisitamente massonico, impostato sull'idea di separatismo Stato-Chiesa. La prima Nazione che applicò questo principio furono giusto gli Stati Uniti d’America. Diversi dei suoi cosiddetti padri fondatori erano, non a caso, essi stessi dei massoni come George Washington, Thomas Jefferson (che di fede era pure unitariano, ossia appartenente ad una corrente protestantica negatrice della Trinità), Benjamin Franklin, Ethan Allen, John Hancock, John Paul Jones, Paul Revere, Robert Livingston, e 35 altri meno conosciuti che erano firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza e/o della Costituzione statunitense.
Ed i riferimenti a "dio" contenuti in quei documenti, come bisogna intenderli?
Secondo la lettura massonica. Quel "dio" non è il Dio cristiano, in quanto si tratta di un monoteismo nel quale non si precisa chi sia il dio unico (il grande architetto dell’universo), e che può essere il Tutto come nel panteismo o il Nulla come nella cabala, può essere il Creatore o il Demiurgo, ecc.; insomma un dio unico ed evanescente, senza volto, indefinito, di cui poco si conosce, che sarebbe l’unico vero elemento comune. Questo era il dio a cui si riferivano i padri fondatori americani e che Bendetto XVI ignora o finge di ignorare.
Deprimente è poi, ancora, il suo parallelo tra Giovanni Paolo II e George Washington.
Non tanto per Giovanni Paolo II, che non reputo degno di memoria.
Ciò che mi ha lasciato senza parole è il fatto che si voglia - da parte di Benedetto XVI - far passare l'idea che, in fondo, il rilievo pubblico della religione era già in Washington.
Riportando la convinzione di quest'ultimo, riferisce la "
convinzione del Presidente Washington, espressa nel suo discorso d’addio, che la religione e la moralità costituiscono “sostegni indispensabili” per la prosperità politica". Peccato però che la nozione che aveva il primo presidente USA di religione fosse un tantino diversa da quella intesa da Benedetto XVI. Egli intendeva, infatti, una religione talmente evanescente - in quanto ruotante su quell'idea massonica del gran architetto dell'universo - e di stampo naturalistico che essa ha ben poco a che fare con la nozione di religione che ha la fede cattolica. Insomma, una "religione" da intendere più come religiosità senza dogmi, che consente agli uomini di ritrovarsi in loggia come "fratelli".
Trovo inoltre nelle parole di Benedetto XVI pure l'eresia dell'americanismo, stigmatizzato dal grandissimo Papa Leone XIII. Afferma, infatti, il nostro: "
La libertà non è solo un dono, ma anche un appello alla responsabilità personale. Gli americani lo sanno per esperienza - quasi ogni città di questo Paese possiede i suoi monumenti che rendono omaggio a quanti hanno sacrificato la loro vita in difesa della libertà, sia nella propria terra che altrove. La difesa della libertà chiama a coltivare la virtù, l’autodisciplina, il sacrificio per il bene comune ed un senso di responsabilità nei confronti dei meno fortunati. Esige inoltre il coraggio di impegnarsi nella vita civile, portando nel pubblico ragionevole dibattito le proprie credenze religiose e i propri valori più profondi. In una parola, la libertà è sempre nuova. Si tratta di una sfida posta ad ogni generazione, e deve essere costantemente vinta a favore della causa del bene (cfr Spe salvi, 24).". Il nostro fa un'esaltazione della libertà religiosa che porterebbe al dinamismo, al moto.
Ma le cose per la Chiesa cattolica stanno diversamente. Per comprendere ciò è necessaria una piccola premessa. Alla fine dell’800, per l’esattezza nel 1893, si svolgeva a Chicago il famoso
Congresso delle religioni. Non è un caso che esso si tenesse, appunto, negli Stati Uniti che era (ed è) il paese indifferentista per eccellenza, dove si mostra un grande (ed apparente) senso di religiosità, ma nel quale nessuno è legato ai dogmi. Leone XIII condannò il movimento, nell’ambito del cattolicesimo, che sosteneva l’idea di questo Congresso e che auspicava un aggiornamento della Chiesa ai tempi moderni rappresentati ed incarnati dagli allora nascenti Stati Uniti (cfr. LEONE XIII, Lett. ap.
Testem benevolentiam, Al card. James Gibbons di Baltimora, 22 gennaio 1899, in ASS, 31 [1898-1899], 474-478, nonché in Acta Leonis XIII, XI (1900), 5 ss.). Secondo l’impostazione eretica stigmatizzata dalla Chiesa, essa, in altre parole, doveva cessare, in un modo o nell’altro, di essere una religione d’autorità, per diventare, come il protestantesimo, una religione di libertà. Si esaltavano inoltre le “virtù” moderne dell’azione, più adatte ai tempi moderni delle soprannaturali rispetto a quelle passive, quali l’obbedienza o lo spirito di sacrificio; si insegnava che le virtù passive legate alla vita religiosa non si confacevano all’uomo contemporaneo; che la presenza dello Spirito Santo rendeva non necessaria una guida esterna e autoritaria; che la Chiesa doveva essere più indulgente nei confronti dei più deboli e che occorrevano nuovi strumenti per convertire gli infedeli (cfr. F. MALGERI, Leone XIII, in Enciclopedia dei Papi, III, Roma, 2000, 592). Scriveva quel venerato Pontefice «
Il fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l’antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il “deposito della fede”. Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo».
Il movimento, diffusosi in Europa, assunse il nome di “modernismo”, in quanto auspicava un adattamento della Chiesa ad un mondo secolarizzato. Come sottolineava don Luigi Sturzo, «
la parola americanismo rimase nella cronaca ecclesiastica, ma fu ben tosto soverchiata dalla parola modernismo, che indicò tutte le tendenze a modernizzare la Chiesa in materia dogmatica, biblica, storica e disciplinare» (L. STURZO, Chiesa e Stato, II, Bologna 1978, 150. Cfr. F. MALGERI, op. loc. cit.).
Ecco, nelle parole di Benedetto XVI sembrano riecheggiare le teorie di quell'eresia americanista, da cui nacque, poi, il modernismo. Che tristezza ....