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  1. #21
    Guardia Rossa
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    Citazione Originariamente Scritto da Feliks Visualizza Messaggio
    la globalizzazione e il commercio internazionale sono una cosa buona.
    beh... ok per il commercio internazionale, ma sulla globalizzazione qualche dubbio l'ho

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da Feliks Visualizza Messaggio
    la globalizzazione e il commercio internazionale sono una cosa buona. la divisione internazionale del lavoro non è affatto in contraddizione con il socialismo, ANZI

    sono i fasci e i leghisti ad essere antiglobal, visto che si frustrano i loro miserabili sogni autarchici
    Ma cosa vuoi autarcare...si tratta di sapersi arrangiare. Pensi, ad esempio per l'energia, che l'intera Europa sarà mai autarchica? No non lo sarà mai. Però può essere autonoma (o sovrana, come piace ad altri), in modo che non siano gli emiri o Putin a decidere che strategia adotterà l'Europa.
    Lo stesso dicasi per il commercio in generale.

    La tua affermazione comunque è alquanto discutibile: quindi delocalizziamo non tanto i mercati quanto la produzione, spostiamoci continuamente dove la manodopera costa meno (e magari sottobanco diamo qualche mazzetta affinchè non ci siano troppi diritti, che fanno aumentare i costi...) e poi rivendiamo i prodotti a prezzi abnormi in cerca del massimo profitto.
    Eventuali disoccupati o fabbriche chiuse non ci interessano. E' così?

    Invece di sparare sentenze, magari dovresti provare a vedere cosa dicono gli altri, prima di bollarli.

  3. #23
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    Citazione Originariamente Scritto da Stan Ruinas Visualizza Messaggio
    ma questo è da stamani che ti fà impazzire....ma così ti distruggerai !
    E' stata una botta...il comunismo liberista...non sono ancora preparato a queste formidabili combinazioni!

  4. #24
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    Dibattito in Cina sulla globalizzazione

    Per chi ha una idea del Partito Comunista Cinese come un monolita totalitario ecco un riassunto delle posizioni che si confrontano apertamente all'interno di questo Partito. Naturalmente quando si parla di posizioni "liberiste" non si intende posizioni che mettano in discussione il socialismo in Cina ma posizioni più favorevole al "mercato socialista"

    Gli intellettuali cinesi e il dibattito sulla globalizzazione

    di Maurizio Marinelli


    Per decenni la tendenza generale negli studi sulla Cina contemporanea è stata quella di pensare la Cina, di osservarla e di rappresentarla come un'entita' monolitica e di utilizzare il paradigma della "differenza" nella disperata, e vana, ricerca di un'assolutezza definitoria. Il vento dell'Orientalismo così come quello dell'Occidentalismo(1) hanno costruito l'idea della "Cina" e del cosiddetto "Occidente" come due sistemi di rappresentazione distinti e incomunicabili in quanto dominati da imperativi, prospettive e pregiudizi ideologici, razziali e religiosi, funzionali al mantenimento di un codice binario di visione del mondo.
    Recentemente, il criterio della "differenza", sia come referente concettuale che come categoria descrittiva, è stato assorbito e sviscerato tanto dagli "Studi post-coloniali" quanto da quelli Culturali: partendo dalle formulazioni di studiosi quali, tra gli altri, Derrida e Lyotard(2), si è arrivati a riconoscere le enormi differenze tra le modalità di indagine critica dell'Oriente rispetto all'Occidente. Tuttavia, questa nuova visione, se non analizza COME questa "differenza" si è prodotta e COME si configura all'interno dei rispettivi universi epistemologici, rischia di riprodurre un'altra versione della dicotomia proiettiva tra un Oriente creato ad uso e consumo dell'Occidente e il suo alterego.
    Marie Louise Pratt(3) sostiene che la globalizzazione, così come la democratizzazione e la decolonizzazione, costituisce uno dei tre processi storici che stanno cambiando il nostro modo di studiare la letteratura e la cultura. Nel caso della Cina, la narrativa del "villaggio globale", la cui visione era stata anticipata da Marshall McLuhan4 negli anni Sessanta, fornisce, a nostro avviso, un interessante campo d'indagine, che consente al contempo di sfatare lo stereotipo della Cina "Impero immobile" e di indagare il terreno dialettico tra le diverse posizioni del Governo cinese e degli intellettuali.

    1 - Il Lessico della globalizzazione

    In Occidente la globalizzazione viene solitamente presentata, da un punto di vista storico-geopolitico, come il nuovo ordine mondiale che ha sostituito il periodo della guerra fredda e, nell'immaginario collettivo, la parola globalizzazione evoca immediatamente tre capisaldi: vittoria del modello capitalista, rapidità della comunicazione tecnologica e internet. A cavallo del XXI secolo, il capitale è divenuto l'icona suprema della globalizzazione e si è diffusa una visione che celebra la crescita degli scambi del capitale globale e l'integrazione di tutti i paesi (ma proprio tutti?) nel commercio internazionale. Sembra che la globalizzazione, con il conseguente corollario dell'onnipresenza e onnipotenza del mercato a livello planetario, abbia reso irrilevante la consistenza degli stati nazionali. Ma è proprio vero che la globalizzazione, che non è solamente un fenomeno economico ma ha assunto sempre più una forte e precisa valenza politica e culturale, comporterebbe una nemesi storica dei governi nazionali e un loro superamento grazie alla costruzione di un'unica e universale identità sovranazionale? L'analisi del discorso sulla globalizzazione in Cina, a partire dalla decostruzione semantica, sembrerebbe indicare esattamente il contrario.
    In Cina il termine che è stato coniato all'inizio degli anni Novanta per tradurre il concetto di "globalizzazione" è quanqiuhua. Si tratta di un neologismo con un'apparente vaga e forse sinistra risonanza taoista che, ad un'analisi piu' accurata, rivela in realtà una precisa connotazione di stampo confuciano. è un composto di tre caratteri, il primo dei quali significa "tutto (quan)", il secondo "globo terrestre (qiu)", accompagnati dal suffisso finale equivalente all'italiano -zione (hua in cinese). Questo composto sembra fare da contraltare al concetto della "Cina intera", espresso nella lingua cinese come quanzhongguo che significa letteralmente "tutto il Paese di mezzo" ma anche "tutto il centro del mondo (civile)". Quest'analisi lessicale ci riconduce, in maniera inequivocabile, a quello che rappresenta l'altro polo per eccellenza dell'acceso dibattito innescato negli anni Novanta sul tema della globalizzazione: l'idea dell'individualità nazionale che, nel caso della Cina, assume una precisa valenza nei termini di integrità culturale e politica.(5)
    Ma vediamo innanzitutto la posizione ufficiale: dal 1998 a oggi il Presidente della Repubblica Popolare cinese (nonchè Segretario generale del PCC) Jiang Zemin e il Primo Ministro Zhu Rongji hanno trattato il tema della globalizzazione in numerose occasioni, associando il termine "quanqiuhua" alla controversa questione dell'ingresso della Cina nell'Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC/WTO)6 e sottolineando la necessità di prepararsi per adeguarsi alla non meglio precisata "nuova situazione".
    ...
    Wang Hui, editore della rivista Dushu (Studiare), si domanda se sia possibile creare una società moderna in una forma storica che si allontani dal capitalismo o seguire un percorso di modernizzazione che possa riflettersi sulla modernità. La sua risposta è univoca: recuperare l'eredità di Mao. Wang Hui sostiene, in un saggio pubblicato nel maggio 1997, che il pensiero socialista di Mao incarna una teoria della modernità in aperta e compiuta antitesi rispetto alla modernizzazione di stampo capitalista.
    Le posizioni espresse da Wang Hui e da Han Yuhai hanno dato il via, negli ultimi anni, a un accesso dibattito scatenato tra i campioni del "liberismo (ziyouzhuyi)" e la "nuova sinistra" su diversi modelli di modernizzazione. I pensatori liberisti sono particolarmente numerosi all'interno dell'Accademia Cinese delle Scienze sociali: esultanti dinanzi alle politiche riformiste di stampo liberista intraprese dalla leadership politica post-maoista, specialmente negli anni Novanta, questi intellettuali le sostengono e propongono un'ulteriore espansione (anche in senso politico) ritenendo che questa modernizzazione - alias globalizzazione - porterà l'economia cinese alla completa integrazione nel mercato globale e la Cina a far parte della cosiddetta civiltà universale. Gli intellettuali "liberisti" procedono da una rivalutazione dell'espansione del capitale internazionale, contestualizzandola nello sviluppo storico degli ultimi quattro secoli, e presentano la vittoria del capitale globale come la vittoria della civiltà sull'ignoranza nella lotta tra le forze della modernizzazione e quelle del sottosviluppo.
    Dall'altra parte della barricata, la tesi di Wang Hui non costituisce un caso isolato, ma al contrario si trova in linea con altri esponenti della "nuova sinistra", alcuni dei quali lavorano anch'essi all'interno dell'Accademia Cinese delle Scienze sociali.La principale accusa mossa nei confronti dei "liberisti" è quella di eludere i punti salienti della discussione sull'adozione di un modello di sviluppo sociale ed economico liberista che genera numerosi problemi a livello locale, in particolare la diseguaglianza sociale. Li Tuo, per esempio pone una provocatoria serie di domande: "Di fronte alla 'globalizzazionè, in quale tipo di contesto si deve posizionare lo sviluppo del nostro paese? Come deve (la Cina) trattare la questione della 'globalizzazionè? Come deve rispondere (la Cina) ai vari quesiti sollevati dal processo di modernizzazione? Come devono essere trattate le diverse teorie sulla modernizzazione e sviluppo? Dobbiamo formulare una posizione di auto-coscienza dopo un'analisi critica di queste teorie cosicché possiamo decidere quale di esse meglio risponde alle nostre necessità? O dobbiamo formulare gradualmente una nostra personale teoria dello sviluppo?"
    La resistenza all'influenza della Globalizzazione (con la G maiuscola) rappresenta certamente un agente catalizzatore e, sul finire degli anni Novanta, sembrerebbe avere accomunato su posizioni sostanzialmente analoghe neo-maoisti e nazionalisti radicali. Tuttavia, all'interno del discorso sulla globalizzazione si raccolgono numerose sotto-tematiche, sfaccettature che richiedono un'analisi più approfondita e sulle quali le posizioni di questi intellettuali si trovano in disaccordo. Li Tuo, per esempio, è stato più' volte criticato in quanto ritenuto portavoce di una posizione elitistica e autoreferenziale, considerata, dai suoi detrattori, tipica di intellettuali che risiedono e lavorano a Pechino o all'estero. Dopo aver destrutturato i valori dell'Illuminismo, Li Tuo, assorbito nel progetto di formulare un'idea unica ed esclusiva della "Cinesità", sembra in questo modo ripercorrere gli stilemi della "differenza" ad ogni costo e, quando giunge a teorizzare l'unicità del percorso cinese alla modernità e allo sviluppo, rischia di creare la visione di un nuovo assoluto: l'unico (nuovo) "corretto" illuminismo.

    3 - Globalizzazione e/o globalizzazioni possibili

    Così come accade in molti articoli ufficiali, anche nelle posizioni di numerosi intellettuali il termine quanqiuhua viene utilizzato per riferirsi a quella che potremmo definire "globalizzazione economica", limitata all'idea della creazione di un mercato globale che sembrerebbe avere una specificità e un'assolutezza meramente economico-finanziaria. Tuttavia, altri intellettuali, quali ad esempio Han Shaogong, sembrano suggerire una distinzione tra il termine quanqiuhua che si riferisce alla sfera economica e l'espressione quanqiuyitihua, utilizzata per indicare una globalizzazione integrale che comporta un'omogeneizzazione economico-politico e culturale. Artisti, quali Ren Jian e Wang Jin, con le loro opere, puntano anch'essi il dito contro la perdita di identità culturale e denunciano la seduzione del consumismo sfrenato e del materialismo individualista che la modernizzazione globale (e globalizzante) ha portato con sè, rischiando di "McDonaldizzare" ogni aspetto della vita pubblica e culturale.
    Nel dibattito aperto tra gli intellettuali meno legati all'establishment, il termine quanqiuhua giunge a toccare il nodo del rapporto tra globalizzazione del mercato e quella che è la sua forza motrice, la conditio sine qua non per la sua esistenza e il raggiungimento dei suoi obiettivi: la globalizzazione dell'informazione. Quest'ultima richiede a sua volta libertà di stampa, di pubblicazione, libertà d'accesso alle nuove tecnologie multimediali; si è allora cominciato a parlare anche di "istruzione internazionale (guoji jiaoyu)" e alcuni intellettuali hanno sottolineato come la globalizzazione debba necessariamente prevedere un cambiamento del sistema giuridico e delle istituzioni politiche in senso democratico.
    Un tratto comune alle varie posizioni - ufficiale e non - è rappresentato dall'enfasi posta sul "comportamento": per non perdere il treno della "quarta ondata della globalizzazione" occorre "congiungersi e muoversi in sintonia con le norme internazionali (yu guoji jiegui)", come recita uno degli slogan più in voga degli ultimi anni.
    La quarta globalizzazione sarebbe quella attuale dopo che la prima, determinata dalla scoperta dell'America, la seconda, segnata dall'imperialismo occidentale in Asia, e la terza, seguita alla fine della seconda guerra mondiale, non hanno - questa è la tesi ufficiale cinese - se non marginalmente interessato la Cina.

    Globalizzazione significa quindi internazionalizzazione?

    ...
    Su questo punto esiste probabilmente una scollatura tra la posizione ufficiale e la tensione soggettiva rappresentata da alcuni intellettuali.
    Nel mese d'aprile 2001 a Shanghai, la città internazionale per eccellenza, nonché sede nell'ottobre dello stesso anno del vertice APEC, venne lanciata una vera e propria campagna di "educazione civica". L'obiettivo dichiarato era quello di preparare i cittadini alla "nuova civiltà" (xin wenming), in altre parole di "propagare e promuovere" (questo è il significato etimologico del termine cinese xuanchuan da noi volgarmente tradotto "propaganda") i "valori" necessari per accogliere il "nuovo soffio" che avrebbe investito il paese ora entrato a pieno titolo nell'OMC. Soffio, così come tutta l'ampia gamma di agenti atmosferici, nel machiavellico glossario politico cinese significa "linea politica" più' adatta al momento e, in questo caso, sta per "globalizzazione" alla cinese.22
    Ma per alcuni - pochi - pensatori liberali questo tipo di "globalizzazione" rappresenta un limite: essi propongono una "globalizzazione a tutto campo (quanfangweide quanqiuhua)" e si fanno promotori dei cosiddetti "valori globali (quanqiu jiazhi)", teoricamente condivisi da tutte le nazioni del mondo. Questi intellettuali sembrano andare aldilà del preteso sillogismo "norme internazionali" = "alta tecnologia e riforme economiche", così come riescono ad andare oltre la critica e il ripudio dei cosiddetti "valori occidentali (xifang jiazhi)", alimentata dal crescente trend nazionalista da loro considerato "irrazionale" (feilixing minzhuzhuyi). Dall'altra parte della barricata - ma in una specie di continuum tipicamente cinese che consente la quadratura del cerchio - troviamo altri intellettuali (assai più numerosi) che sottolineano la vicinanza del concetto di "globalizzazione" con l'ideale confuciano del raggiungimento della "Grande armonia (datong)". Quella che era la "preoccupazione finale (zhongji guanhuai)" secondo il confucianesimo, viene associata da questi esponenti del "liberalismo confuciano (rujia ziyouzhuyi)" ai concetti occidentali di libertà e democrazia. La globalizzazione, sostenuta e diretta dall'ideale della "grande armonia" e dai "valori asiatici (yazhou jiazhi)" è diventata, in questo modo, una globalizzazione dalle caratteristiche cinesi, finalizzata a garantire la "stabilità e armonia" interna e, al contempo, tesa (quantomeno fino al fatidico 11 settembre 2001) a segnare il nuovo mainstream per la cultura mondiale del XXI secolo, opportunamente, ma forse prematuramente, ribattezzato il "secolo cinese".
    La sfida della globalizzazione è aperta, e le recenti decisioni di approvare l'ingresso della Cina nell'OMC e di destinare a Pechino le Olimpiadi del 2008 forniranno nei prossimi anni nuovi interessanti elementi di indagine per valutare l'attendibilità dell'una o dell'altra posizione. Non dimentichiamoci, tuttavia, che la posta in gioco è molto alta: si tratta del costo sociale che la globalizzazione comporterà per un paese che sta assumendo sempre maggior peso nel panorama internazionale ma che rimane governato da un Partito unico, la cui legittimità poggia su una strenua difesa dell'individualità nazionale in funzione stabilizzatrice.

    Note

    Per il ruolo del "nazionalismo" in Cina negli anni Novanta, i due momenti salienti possono essere riassunti nella pubblicazione, l'11 dicembre 1990 sul Renmin Ribao, dell'articolo di He Xin, "Shijie jingji xingshi yu Zhongguo jingji wenti" (La situazione economica mondiale e i problemi economici cinesi), e, nel 1996, del testo (il primo di una lunga serie) Zhongguo keyi shuo bu -Lengzhanhou shidaide zhengzhi yu qinggan jueze (La Cina può dire di no: scelte politiche ed emotive nell'era del dopo-Guerra Fredda), Beijing: Zhonghua Gongshang, 1996
    http://www.politicaonline.net/forum/...d.php?t=220304

  5. #25
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    Nooooooo! Ho svegliato la bestia!!!

    Dai che non ho voglia di leggere questi mattoni...mi ha pure svegliato il postino stamattina, quel porco!

    Insomma, qui non si parla di articoli, si parla delle affermazioni di un tale che sembrano uscite dalla bocca di un liberista.

  6. #26
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    La grossa differenza fra lo sviluppo economico cinese attuale e quello occidentale è che, finora, la Cina non ha avuto bisogno di invadere altri paesi. Lo sviluppo del capitalismo europeo e americano è coinciso con la conquista di gran parte del resto del mondo. La Cina stessa fu costretta da uno stato liberale avanzato ad accettare l'oppio come moneta di scambio dopo una guerra vinta grazie alla recentissima superiorità tecnologica britannica.
    Fino a metà del Settecento (Adam Smith ne parla nella Ricchezza delle Nazioni) la Cina era almeno altrettanto ricca dell'Europa e di gran lunga più pacifica. Per secoli l'Impero era stato il centro dell'economia mondiale con costanti flussi verso i mercanti e funzionari cinesi i quali, dal canto loro, non avevano bisogno di nulla dall'Europa.
    La Cina fu 'aperta' al commercio mondiale manu militari ed era troppo vasta per reagire come fece il Giappone. Due secoli di catastrofi sono sfociati nell'attuale modello di sviluppo che, maglrado le sue criticità e possibili punti di rottura, sta funzionando alla grande. Per quanto riguarda il cattivo esempio ai paesi del Terzo Mondo, beh, almeno i cinesi danno qualcosa in cambio, a differenza del FMI e della World Bank (insomma, degli Usa) che si limitavano a imporre politiche economiche pro-americani senza dare nulla in cambio. Ora, grazie al boom cinese, ci sono aree dell'Africa che stanno conoscendo la prima crescita economica da decenni a questa parte.
    Insomma, l'ironia della faccenda è che abbiamo imposto la globalizzazione al mondo ed adesso esce fuori che davvero era un'ottima idea e infatti i cinesi, gli indiani, i brasiliani, i messicani, i sudafricani etc se ne stanno avvantaggiando a spese nostre. E noi a rosicare!!!!

  7. #27
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow Visualizza Messaggio
    Insomma, l'ironia della faccenda è che abbiamo imposto la globalizzazione al mondo ed adesso esce fuori che davvero era un'ottima idea e infatti i cinesi, gli indiani, i brasiliani, i messicani, i sudafricani etc se ne stanno avvantaggiando a spese nostre. E noi a rosicare!!!!
    se vabbeh.. questa raccontala agli operai della Tata, quelli che producono l'automobile da 1700euro

    la globalizzazione neoliberista attuale non proprio per niente una ottima idea, è una vera merda che permette ai Paesi imperialisti di trasferire facilmente i loro capitali nei Paesi sottosviluppati per abbattere i costi di produzione... e nel 99% di questi Paesi coloro che si avantaggiano della globalizzazione sono delle elite, mentre il resto della popolazione vive nella merda più totale

  8. #28
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    Citazione Originariamente Scritto da Leader Maximo Visualizza Messaggio
    se vabbeh.. questa raccontala agli operai della Tata, quelli che producono l'automobile da 1700euro

    la globalizzazione neoliberista attuale non proprio per niente una ottima idea, è una vera merda che permette ai Paesi imperialisti di trasferire facilmente i loro capitali nei Paesi sottosviluppati per abbattere i costi di produzione... e nel 99% di questi Paesi coloro che si avantaggiano della globalizzazione sono delle elite, mentre il resto della popolazione vive nella merda più totale
    anche questa è ideologia regressista, anche un pò razzista. per te gli indiani e i cinesi devono rimanere a coltivare un pugnetto di riso e a morirsi di fame e di colera. gli operai che producono la tata da 1700 euro ti squarterebbero se potessero. in campagna ci torni tu!

    boh, forse c'avete una conoscenza del marxismo un pò superficiale, ma lo sviluppo mondiale del capitalismo è condizione necessaria al socialismo.

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da Feliks Visualizza Messaggio
    anche questa è ideologia regressista, anche un pò razzista.

    boh, forse c'avete una conoscenza del marxismo un pò superficiale, ma lo sviluppo mondiale del capitalismo è condizione necessaria al socialismo.
    ideologia regressista e razzista?? ma fammi il piacere

    visto che citi il marxismo, una ripassatina a "Imperialismo, fase suprema del capitalismo" di Lenin??

    mi piacerebbe conoscere questi ottimi risultati della globalizzazione neoliberista in Messico, Brasile, India, etc... ah già, ora potranno produrre etanolo per far circolare le NOSTRE automobili e pagheranno maggiormente i generi alimentari.

  10. #30
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    Citazione Originariamente Scritto da Feliks Visualizza Messaggio
    gli operai che producono la tata da 1700 euro ti squarterebbero se potessero. in campagna ci torni tu!
    sticazzi... forse ti sei perso la loro "manifestazione sindacale" non molto tempo fa' dove bruciavano manichini fuori dalla fabbrica e sbraitavano che la macchina da 1700 euro era fatta sulla loro pelle

    http://www.omniauto.it/magazine/4340...contro-la-nano

 

 
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