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  1. #61
    Μάρκος Βαφειάδης
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    Intervento di Gianni Fresu al Comitato politico nazionale PRC 20-21 aprile 2008




    È difficile descrivere le sensazioni provocate da questo autentico terremoto politico che ha investito il nostro partito. Tuttavia, le valutazioni emotive non servirebbero a nulla e quella che ci ha investito non è una catastrofe naturale, un fenomeno ineluttabile, bensì un fatto politico le cui cause, concrete e razionali, vanno indagate con precisione se si vuole realmente cambiare registro. Partendo da questa semplice considerazione mi ha lasciato letteralmente interdetto la relazione del compagno Giordano. Non un cenno di autocritica, non un dubbio sul fatto che forse la trionfale storia di “innovazioni e contaminazioni” seguita nell’ultimo decennio dal PRC, in fin dei conti, non è stata tanto trionfale.

    Tutta l’analisi di Giordano è incentrata sulle responsabilità del PD. Che le forze moderate del paese avessero un progetto di modernizzazione capitalistica, di «rivoluzione passiva», basata sull’espulsione del conflitto sociale dalla cittadella politica, è un dato acclarato sin dai “gloriosi anni” della “concertazione” (dai governi tecnici del 92-93 in poi), dunque perché stupirsi oggi dell’obbiettivo perseguito e raggiunto da Veltroni? Forse il nostro Partito ha fatto troppo affidamento sul quel quadro politico, smarrendo per strada la sua autonomia e la sua capacità di esistere a prescindere da quelle forze; probabilmente non è stata una gran trovata l’aver affermato che il movimento avesse spostato a sinistra il baricentro delle forze moderate e che dunque si poteva entrare nell’Unione senza preoccuparsi del come, perché e per fare cosa. Le elezioni si sono incaricate di dimostrare quanto tutto l’impianto tattico e strategico del Congresso di Venezia fosse fallimentare. Questa sconfitta non è un terremoto né un fenomeno attribuibile al caso, alla cattiveria di Veltroni o alla follia degli operai che votano Lega.

    Ma il problema ha una radice ben più profonda e remota nel tempo. In tutti questi anni il leit motive

    “innovatore” della maggioranza è stato picconare, pezzo per pezzo, la ragione sociale della nostra organizzazione attraverso un percorso teorico e politico ingloriosamente inabissatosi nei flutti di un oceano ben più grande e complesso delle sue previsioni.

    Se uniamo i punti fondamentali del percorso politico del PRC ne viene fuori una linea a zig zag. Abbiamo affermato tutto e il suo contrario, seguendo mode, vezzi e fenomeni puramente congiunturali. Nel nostro Partito abbiamo, di volta in volta, innalzato altari sacri ai vari Toni Negri e Marco Revelli, siamo stati zapatisti, disobbedienti, non-violenti, quindi “realisti iper-istituzionali”. Abbiamo demolito il Partito e i circoli, definendoli «polverosi musei dell’agire politico novecentesco», indicando sempre altrove il “nuovo” terreno dell’agire politico, per poi stupirci, alla conferenza d’organizzazione, che il partito si era volatilizzato. Tutto l’eclettismo ideologico, l’attualismo, la mistica del “saper fare” contrapposta agli «inutili ferrivecchi ideologici del Novecento», hanno avuto come unico obiettivo la demolizione dell’identità che ci portavamo in dote dalla vituperata storia del movimento operaio, salvo scoprire che in una società come quella odierna l’identità, se messa a frutto con intelligenza, è un patrimonio politico inestimabile. Pensiamo al caso della Lega.

    Non solo, abbiamo condotto questa linea attraverso campagne annuali, sul modello del Partito radicale, sempre slegate tra loro e mai coordinate da un’idea forte capace di renderle progetto sociale e politico. Come stupirci se le classi subalterne del nostro paese non ci hanno capito? La nostra linea, fatta di svolte e contro-svolte, è stata guidata dall’intuizione intellettuale di un singolo leader dalle sue infinite «mosse del cavallo», dalla sua pervicace convinzione che, ogni volta, fosse possibile far saltare il banco attraverso i colpi di teatro, l’oratoria seducente, l’effetto dirompente e carismatico della sua leadership. A Rimini sembrava di essere alla vigilia di una rivoluzione, si affermava che tra centro destra e centro sinistra non vi fossero più gradazioni di differenza, che il movimento era tutto e il fine nulla! Appena due anni dopo, contrordine! «Entrare nell’Unione senza sé e senza ma», ecco il nuovo credo! Per chi non condivideva l’ottimismo enfatico del capo per le svolte c’era sempre la sua indicazione verso la porta e altri partiti ai quali iscriversi. Stessa schizofrenia nei rapporti a sinistra dove si è oscillato tra la competizione senza esclusione di colpi, (ingresso nell’Unione concordato con le forze moderate, primarie, assetti di governo, Sinistra europea), alla proposta di un partito unico all’interno del quale quella dei comunisti doveva essere solo una «tendenza culturale». Come stupirci della disaffezione verso il nostro Partito se è da otto anni che si ripropone il tema del suo «superamento», prima nei movimenti, poi nella Sinistra europea, quindi nella Sinistra Arcobaleno?

    Si è tentato di trasformare la storia del PRC nella biografia, politica e persino interiore, del suo leader. Ciò che rimane nel guardare il timor panico di questo CPN è lo spettacolo di un gruppo dirigente che pare composto di tanti apprendisti stregoni orfani del loro grande sciamano, che cercano invano di evocarne lo spirito affidandosi alle stesse formule magiche di un tempo.



    In tutti questi anni alle invocazioni per un Segretario di sintesi e una linea condivisa, si è risposto che «in politica la sintesi non esiste», che il Partito si governa a maggioranza, anche solo con un voto in più. Proprio per tutte queste ragioni è inaccettabile la litania ripetuta a sfinimento (anche da Giordano) sull’ «assunzione collettiva di responsabilità», le giaculatorie rassicuranti immancabilmente concluse con la proposizione “abbiamo perso tutti”. Non è così. In questi anni è stata condotta una crociata violenta e sistematica contro il dissenso interno, sono state agevolate e suggerite le scissioni, è stato fatto un uso spregiudicato delle strutture del Partito e dei ruoli istituzionali senza il minimo rispetto dei numeri congressuali, in base all’assurda logica maggioritaria “chi ha la maggioranza decide!”. Bene ciò valeva quando quella maggioranza aveva, o riteneva di avere, il vento in poppa e ciò deve valere anche ora nel momento del bilancio.

    Bisogna voltare pagina. Ripartire dal processo della Rifondazione comunista, senza arrestare il processo di unità a sinistra ma avendo chiaro che due dei quattro soggetti della cosiddetta Sinistra Arcobaleno già non esistono più e guardano in direzione del PD. Personalmente ho rispetto per Paul Ginsbourg, Tortorella e Agnoletto, ma francamente non credo che costruire un soggetto unico con loro produrrebbe il cambiamento di cui abbiamo bisogno. In Italia abbiamo due partiti comunisti, da lì credo si debba partire nel consolidamento dei processi unitari. L’autonomia comunista resta, a mio avviso, il primo strumento per raggiungere l’unità della sinistra, compresa quella sommersa o annegata, senza gettare via il patrimonio di diciassette anni di militanza e lotte, senza rinnegare l’intuizione fondamentale che nel ’91 ci portò a rifiutare la Bolognina. Bene ora ripartiamo da noi, dalla Rifondazione comunista, senza avere l’illusione di essere autosufficienti ma al contempo senza ritenere che il meglio sia sempre altrove.

    http://www.lernesto.it/index.aspx?m=...Articolo=17254

  2. #62
    email non funzionante
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    ragà mi spiegate sinteticamente cosa sostengono i 4 documenti???

    quello di giordano di proseguire con la sinistra arcobaleno.....quello di ferrero e grassi di ritornare rifondazione....poi??

  3. #63
    Meglio meno ma meglio
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    Comitato Politico Nazionale del PRC, 19-20 Aprile 2008
    Scritto da La redazione

    Proposta di Ordine del Giorno conclusivo

    Una svolta operaia
    per una nuova Rifondazione Comunista

    L'esito del voto che ha cancellato la sinistra dal parlamento italiano deve, pur nella sua profonda negatività, essere occasione di una riflessione profonda sul nostro partito, la sua linea e la sua stessa natura.

    Che una sconfitta ci sarebbe stata, era scritto in partenza. Un'esperienza di governo fallimentare, terminata ingloriosamente per mano di Mastella e Dini; una rottura col Pd subìta con rassegnazione da parte dei gruppi dirigenti dell'Arcobaleno, che in buona parte hanno continuato a piagnucolare per la protervia di Veltroni che non ha voluto stringere accordi (e c'è chi continua anche dopo il voto con lo stesso ritornello); una campagna elettorale zoppicante, parole d'ordine vaghe e contraddittorie. Tutto questo lasciava presagire un esito negativo, ma i numeri, smentendo anche i sondaggi più negativi, dicono che si è aggiunto qualcosa di più.

    Alla semplice domanda: "C'è un solo motivo per cui valga la pena di votare l'Arcobaleno?" oltre due milioni e settecentomila elettori che nel 2006 avevano votato le forze dell'Arcobaleno (senza contare Sinistra democratica) non hanno saputo dare risposta. Il voto della sinistra è esploso in frammenti, chi nell'astensione, chi nelle liste del Pcl e di Sinistra critica, chi nel "voto utile" al Pd, chi infine nel voto a Di Pietro e alla Lega nord. Il terreno è franato sotto i piedi di un gruppo dirigente che fino all'ultimo minuto non ha dimostrato di avere il minimo sentore di quanto si stava preparando.

    È la fine di un'epoca.

    La nettezza della vittoria di Berlusconi si accompagna a una radicalizzazione a destra che si esprime nel voto alla Lega e alla Destra di Storace. In questo risultato sicuramente la parte del leone l'hanno fatta i due anni di governo Prodi e il rapido deteriorarsi delle condizioni sociali, di vita e di lavoro di milioni di persone.

    Tuttavia non possiamo nasconderci che in questo voto si manifestano anche processi di più lungo periodo.


    La crescita del voto operaio alla Lega, che torna a mietere consensi anche in zone come l'Emilia Romagna, unito a una crescita dell'astensionismo in molte zone operaie, è un segnale che deve far riflettere, così come il successo dell'Italia dei valori, che rappresenta l'anima più demagogica e reazionaria dell'alleanza guidata da Veltroni. Non è solo voto di protesta, è anche il frutto di un lungo lavoro di "semina" compiuto dalla Lega, spesso in collaborazione competitiva con i neofascisti di Forza Nuova. Per anni il veleno razzista è stato disseminato nella società senza trovare una risposta forte e convincente da parte della sinistra e con l'accondiscendenza delle forze che poi hanno costituito il Pd. Se la destra razzista frequenta quotidianamente i quartieri periferici mentre la sinistra lancia appelli alla fraternità dai salottini di Via Veneto, come stupirsi di questi numeri? La classe operaia, si dice, ha abbandonato la sinistra. Sì, almeno in larga parte. Ma questo è stato possibile solo perché prima la sinistra ha drammaticamente abbandonato la classe operaia a sè stessa.

    Un ulteriore elemento da segnalare è il voto alla Destra, che si segnala per la sua forte componente giovanile. Paragonando il voto di Camera e Senato è il partito che in proporzione al proprio elettorato ha il maggior voto giovanile. Con una destra saldamente al governo e con un Pd a fare un'"opposizione" che su molti temi potrebbe avere posizioni persino più liberiste e filopadronali di Tremonti, con una burocrazia sindacale in ginocchio e una sinistra a pezzi, è fin troppo facile capire che sui lavoratori si scaricherà una pressione pesantissima. Dobbiamo esserne coscienti, si preparano tempi molto duri. La possibilità di esplosioni della lotta di classe è implicita, ma dobbiamo sapere che la ripresa delle mobilitazioni del protagonismo operaio si dovrà fare strada in una situazione politica e sociale assai difficile.

    La sconfitta dell'Arcobaleno produrrà una severa selezione a tutti i livelli. Non parliamo qui di quei dirigenti dei Verdi e di Sinistra democratica che già si preparano a veleggiare verso il Partito democratico o i socialisti. Parliamo della crisi del Prc, che è l'epicentro della crisi della sinistra. La volontà di riscatto che anima la parte più vitale del Prc deve essere la base per una elaborazione politica e teorica all'altezza della sfida. I circoli, le federazioni, i gruppi dirigenti del Prc devono diventare luoghi di dibattito politico serio, di riflessione approfondita sulle condizioni di lavoro e di vita di quei milioni di lavoratori che percepiscono la sinistra come sideralmente lontana dai loro bisogni. Dobbiamo aprire, o riaprire, una discussione seria sulle esperienze storiche del movimento operaio e comunista, sulle basi teoriche del marxismo, sulle esperienze di punta della lotta di classe a livello internazionale, a partire da quelle latinoamericane, che oggi possono aiutarci a riproporre la questione del superamento del capitalismo e di una società socialista basata sui bisogni e non sul profitto.

    Su queste basi, in un partito che ponga al centro la militanza e lo spirito di sacrificio, sarà allora possibile anche parlare di una vera democrazia interna, di controllo della base sui vertici, della formazione di una nuova generazione di quadri e di militanti. Ma questo non è ancora sufficiente. Non basta studiare e conoscere contraddizioni e bisogni: è necessario che questa analisi porti a risposte politiche e organizzative, pena trasformarci in semplice commentatori passivi della crisi sociale. La svolta operaia significa non solo orientarsi ai luoghi di lavoro, ma assumere fino in fondo la necessità di una completa indipendenza di classe del partito e del suo programma, il che significa concretamente indipendenza e antagonismo non solo rispetto alle destre oggi al governo, ma anche rispetto al Partito democratico e al blocco di interessi da esso rappresentato.

    Anche fuori dal parlamento, il problema politico di fondo rimane aperto. Dobbiamo scegliere tra chi pensa che la sinistra debba comunque, in un modo o nell'altro, costruirsi in una logica di alleanza col Pd, di fronte comune contro le destre, in sostanza di proseguire sulla strada degli scorsi anni, e chi invece ritiene che la natura padronale e confindustriale del Pd ne faccia un nostro avversario strategico. Proponiamo che il Prc assuma con nettezza questa seconda posizione. Non si ricostruirà mai una sinistra di classe, reale espressione dei lavoratori, con un consenso di massa, fino a quando non si romperà definitivamente questo cordone ombelicale.

    Sappiamo bene che non basta agitare slogan o parole d'ordine di sinistra, per quanto corrette, per risalire la china. Le condizioni obiettive, il maturare della coscienza di massa, ha le sue regole e i suoi tempi che non dipendono principalmente dall'azione di un partito, per giunta piccolo, ma dipendono soprattutto dagli avvenimenti, dall'esperienza viva che milioni di lavoratori compiono ogni giorno. Per rompere la presa della destra nel nostro paese e il duopolio Pd-Pdl non basteranno tante belle parole, ma sarà necessario un forte movimento di massa dei lavoratori, che ne scuota l'egemonia nella società, che faccia emergere un punto di riferimento forte sul quale una prospettiva comunista possa trovare credibilità e autorità.

    Questa fase difficile deve essere attraversata fino in fondo, in tutte le sue pieghe, dobbiamo usare le difficoltà attuali per imparare a calarci nel profondo delle contraddizioni, per partecipare passo per passo a questa traversata, per far crescere un nuovo tipo di militante comunista, che rompa oggi con il lascito fallimentare della stagione del governismo e della liquidazione politica e ideologica, per potere domani svolgere un ruolo di primo piano nel riscatto che tutti insieme prepareremo.

    Per invertire la rotta è indispensabile che il partito abbandoni ogni velleità di costituire un soggetto politico amorfo e distante dalle masse quale è l'Arcobaleno. Come va abbandonata la pratica di imporre dall'alto scelte che hanno dimostrato il loro carattere fallimentare. Non solo è imprescindibile che arrivino le dimissioni del gruppo dirigente convocando immediatamente il congresso, è altresì necessario riflettere sul futuro della rifondazione comunista. Da questo punto di vista non è pensabile che la riesumazione della Sinistra europea rappresenti un'alternativa credibile. L'Arcobaleno si è imposto proprio a partire dall'insuccesso della sezione italiana della sinistra europea. Dall'altra parte la proposta della Confederazione oltre ad essere debole risulta sempre meno credibile alla luce dell'esodo che si produrrà inevitabilmente dall'Arcobaleno verso le sponde del Pd.

    E' tutt'altra la direzione che deve essere intrapresa. Si tratta di partire dalla rifondazione comunista, da una nuova rifondazione da rilanciare con un paziente e umile lavoro a partire dai luoghi di lavoro, dalle periferie, dal conflitto ovunque si produca. Solo a partire da un lavoro centrato sul nostro partito che punti a far emergere e a far pesare le forze sane e i settori proletari e più combattivi è possibile aprire un'interlocuzione con le altre forze anticapitalistiche includendo i compagni del Pcl, di Sinistra Critica e anche del Pdci.

    La proposta di unità comunista che viene avanzata da Diliberto non può ridursi a un problema di simboli, che ovviamente non esauriscono la questione di un progetto politico rivoluzionario e anticapitalista.

    Ai compagni del Pdci dobbiamo chiedere cosa intendono quando dicono che è stata superata la rottura del '98. E cioè se hanno accantonato l'idea di "unità delle forze democratiche" per abbracciare una politica di indipendenza dalle forze della borghesia e di conflitto strategico dei comunisti contro il Pd. Altrimenti l'unità comunista sarebbe destinata a trasformarsi in un progetto minoritario e settario incapace di incidere nella realtà sociale e suscitare grandi entusiasmi nei settori più vitali e dinamici della società.

    L'ipotesi che sottoponiamo al giudizio dei militanti è quella di una nuova rifondazione comunista che a partire dalle migliori tradizioni del movimento operaio, da una vera e propria svolta operaia, nell'elaborazione, nei programmi e anche nella vita del partito, mettendo al centro la militanza e la partecipazione, selezionando gruppi dirigenti capaci di ricostruire il radicamento di classe del partito, sia in grado di rivolgersi a tutti gli oppressi e di riscattare questa sconfitta drammatica.

    Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda.



    http://www.marxismo.net/content/view/2715/104/

  4. #64
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    Predefinito Sconfitta catastrofica

    Di colpo tutti i nodi sono giunti al pettine.

    Nonostante l’impegno militante e spassionato di tante compagne e compagni, la sconfitta della Sinistra Arcobaleno è di dimensioni catastrofiche, un vero e proprio tracollo, una sconfitta storica. Con tre milioni di voti persi in soli due anni, la Sinistra Arcobaleno scende al 3% e non elegge nessun parlamentare. Senza dimenticare la vittoria del centro-destra e la crescita di una forza razzista e xenofoba come la Lega.

    Rifondazione Comunista, la forza politica che più di altri ha creduto nel progetto della Sinistra Arcobaleno, ne esce distrutta nel morale e nelle prospettive. Questo è il risultato della linea collettiva di tutto il gruppo dirigente che ha gestito in questi anni il Prc, non di questo o quel singolo dirigente.

    Le cause principali


    La causa principale del tracollo elettorale risiede con ogni evidenza nella linea della partecipazione al governo, decisa al Congresso di Venezia con il 59% di voti contro il 41%, respingendo ogni proposta di sintesi e di gestione unitaria del partito, mettendo con supponenza e arroganza l’ampia minoranza del Prc fuori dalla segreteria nazionale e dalla gestione del partito.


    La partecipazione al governo, motivata con la tesi risibile della permeabilità del centro-sinistra ai movimenti, ha deluso tutte le aspettative di cambiamento e di giustizia sociale. Il governo Prodi è stato permeabile non ai movimenti ma solo ai banchieri della Ue, alla Nato, agli Usa e al Vaticano, più aggressivi che mai. Un governo che, con la nostra partecipazione e corresponsabilità, ha tradito i lavoratori, i precari e i pensionati: invece che aumentare i salari e le pensioni e ridurre la povertà e l’insicurezza sociale crescente, ha favorito, sotto i dettami di Confindustria e del Fondo Monetario Internazionale, solo le grandi imprese, banche e assicurazioni. Ha eliminato il cuneo fiscale, regalando miliardi di euro alle imprese, e ha prodotto un accordo concertativo su pensioni e welfare, sdoganando la legge 30 senza abrogarla e aumentando ulteriormente l’età pensionabile senza abolire lo scalone Maroni, come promesso in campagna elettorale. Un governo che, con la nostra partecipazione e corresponsabilità, ha tradito gli immigrati introducendo nuove vessazioni securitarie, senza abrogare la legge Bossi-Fini e senza dare il diritto di voto. E’ venuto meno agli impegni elettorali sui diritti civili non riuscendo neanche ad approvare una legge sulle coppie di fatto, per la subalternità alle pressioni del Vaticano. Ha deluso il movimento per la pace, aumentando vertiginosamente le spese militari, proseguendo la missione di guerra italiana in Afghanistan, acconsentendo alla installazione dello scudo stellare di Bush, alla base americana di Vicenza e all’indipendenza del Kosovo, in obbedienza agli ordini della Nato e dell’imperialismo americano. Per parlare solo delle questioni principali, senza voler dire niente della Tav in Val di Susa, della vicenda dei rifiuti in Campania, dei provvedimenti securitari del centro-sinistra a Bologna, Firenze ed altre città.


    Il fatto è che, come era chiaro fin dall’inizio, non vi erano i rapporti di forza nella società perché i comunisti e le sinistre potessero dal governo ottenere risultati, e quindi bisognava evitare accuratamente di confondere le proprie responsabilità con quelle delle forze riformiste e moderate, pur evitando contemporaneamente di far tornare a vincere le destre. Si poteva fare, non si è voluto fare. La profonda delusione e il crollo di fiducia, che si erano avvertiti sin dai primi provvedimenti del governo, ha prodotto l’attuale vittoria della destra ed ha colpito soprattutto le forze di sinistra e in particolare Rifondazione Comunista.


    I segnali di rottura con il nostro elettorato e con i movimenti erano chiari da tempo. Già le elezioni amministrative di un anno fa avevano visto la perdita secca di due terzi del nostro elettorato rispetto al 2006, così come la riuscita manifestazione contro Bush autoconvocata dai movimenti e il contemporaneo fallimento di Piazza del Popolo erano il chiaro segnale di una rottura profonda con i movimenti. Per non parlare dell’accoglienza a Mirafiori. Fenomeni che avrebbero potuto e dovuto aprire una seria riflessione. E invece tutto il gruppo dirigente che ha gestito il Partito (quindi con una responsabilità collettiva, non attribuibile solo al presidente della Camera o al segretario del Partito) è rimasto sordo e cieco di fronte a questi fenomeni. Il vero e proprio disgusto per la politica non era riconducibile alla generica “crisi della politica”, come si è andato dicendo per due anni per sviare l’attenzione dalle cause vere, ma si trattava e si tratta di una sfiducia per la sinistra e in particolare per le forze della sinistra più radicale, che hanno dimostrato la più grande incoerenza rispetto alle promesse. Non c’è da meravigliarsi se, dopo due anni di partecipazione subalterna nel governo, i voti del Prc siano andati nell’astensione o nel voto di protesta della Lega.


    Il simbolo


    Se alla delusione popolare per la partecipazione al governo si aggiunge la decisione di presentare un simbolo sconosciuto, assolutamente opposto a quella connessione sentimentale col nostro popolo di cui spesso si parla a sproposito, si capisce come mai la perdita dei voti è stata così rilevante. Peraltro la decisione di presentare il simbolo della Sinistra Arcobaleno è stata presa cancellando del tutto la partecipazione degli iscritti, dei circoli e delle federazioni, con una logica autoritaria giunta persino a interrompere e rinviare il congresso già avviato, per paura del confronto democratico con la base.

    Clamoroso è stato l’errore di cancellare il simbolo dei due partiti che assieme superavano nel 2006 l’8%. Che di errore non si è trattato da parte del gruppo dirigente del Prc, ma di pervicace volontà di superamento dell’identità e dell’autonomia comunista, come si è visto persino dalle continue dichiarazioni del candidato premier in piena campagna elettorale a favore della trasformazione della Sinistra Arcobaleno in un nuovo soggetto politico non più comunista e della riduzione del comunismo ad una delle tante tendenze culturali dentro la Sinistra Arcobaleno.

    Le cause di lungo periodo


    Tuttavia le cause di questo crollo sono di lungo periodo. Un metro di ghiaccio non si forma in una sola notte di neve. Sia la partecipazione al governo, sia la diluizione di Rifondazione Comunista nella Sinistra Arcobaleno vengono da lontano, da un lungo processo di snaturamento della natura comunista, anticapitalista e di classe del partito. La negazione della centralità della contraddizione fra capitale e lavoro e l’abbandono del radicamento sociale e nei luoghi di lavoro, l’abbandono della concezione dell’imperialismo e del sostegno ai popoli che resistono alle aggressioni imperialiste (con l’adesione ideologica alla teoria della non-violenza in ogni luogo e in ogni tempo, che ha indotto addirittura ad una riduzione dell’impegno per la causa palestinese), il disinteresse per l’organizzazione del partito, dei circoli e delle federazioni, sostituita con lo schiacciamento sulle istituzioni e con le derive leaderistiche e mass-mediatiche. Sono anni che questo gruppo dirigente, tutto, opera nei fatti in direzione del superamento dell’autonomia comunista dentro nuovi soggetti politici genericamente di sinistra, come per esempio è stata, prima della Sinistra Arcobaleno, la costruzione della Sinistra Europea. Solo di una cosa non si parla neanche più, della natura comunista del partito, del comunismo, il cui solo accenno porta ad etichettature, a sciocche accuse (“identitari”) e a discriminazioni vere e proprie.

    Sulle cause per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della rifondazione comunista sia finita nella debacle del 13 e 14 aprile, bisognerà aprire una riflessione più approfondita e collettiva.



    Cambiare radicalmente linea politica, progetto e gruppi dirigenti.


    Cosa fare. Innanzitutto è necessario guardare in faccia la realtà, anche se essa è molto brutta, altrimenti le soluzioni sono peggio del male. La sconfitta è pesantissima. Il morale delle compagne e dei compagni è pessimo. C’è grande sconforto, paura, rabbia. Non ce la si cava con qualche pannicello caldo. Se non c’è una rottura di continuità, se non c’è un progetto nuovo, motivante, di rilancio dell’impresa che cominciammo 18 anni fa, se non c’è un cambiamento radicale di dirigenti e di gestione del partito (da una gestione autoritaria e burocratica ad una gestione collegiale e democratica), Rifondazione Comunista rischia di morire. E per questo cambiamento radicale è necessaria una profonda autocritica, senza alcuna reticenza, l’opposto di ciò che ancora fanno tutti i dirigenti in questi giorni, che continuano a ripetere – burocraticamente, come se nulla fosse accaduto – formule vuote e astratte, le stesse formule che hanno portato alla sconfitta. La sconfitta è troppo grave perché se ne possa uscire solo polemizzando con il candidato premier, Fausto Bertinotti. La Sinistra Arcobaleno è fallita in tutte le sue formulazioni (partito unico, soggetto unitario e plurale, federazione, confederazione, eccetera), sia dal punto di vista elettorale che politico. La pesantezza della sconfitta ci dice che per risalire la china è necessario investire non nella continuità, ma nella discontinuità, nel cambiamento radicale di linea, di progetto e di gruppi dirigenti. Questa linea, questo progetto e questi dirigenti che hanno portato Rifondazione Comunista e l’intera sinistra nel baratro, nonostante fossero stati ripetutamente messi sull’avviso, non sono più credibili. Bisogna cambiare. Bisogna andare in direzione opposta alla diluizione dell’identità e dell’autonomia comunista, della natura di classe ed anticapitalista del partito. Non di meno comunismo abbiamo bisogno, ma di più comunismo.

    Salvare il PRC per un nuovo partito comunista


    Salvare Rifondazione Comunista è importante. Noi vogliamo contribuire a farlo assieme a tutti coloro che sono disponibili, a partire dall’imminente Congresso. Ma è del tutto evidente che questo non è in sé affatto sufficiente, soprattutto oggi dopo una disfatta di queste dimensioni. Si salva ciò che resta del patrimonio importante di Rifondazione Comunista, di militanza, di esperienze e di capacità di costruire lotte e vertenze, solo se la si ricolloca in un più vasto processo unitario a sinistra di riunificazione di tutti i comunisti in un partito comunista più grande e più forte, non autoreferenziale ma capace di parlare a tanta parte del popolo di sinistra oggi senza riferimenti, di promuovere un più vasto schieramento anticapitalistico, per riaprire una nuova stagione dei movimenti e del conflitto sociale, per una lunga fase di lotta e di opposizione (vera, non “costruttiva”) a tutte le politiche neoliberiste e di guerra, sia che vengano dalla destra sia che vengano dal Pd. Il che significa anche promuovere una verifica della nostra partecipazione alle giunte locali.


    Di fronte ad una sconfitta e ad una crisi di tali dimensioni non c’è alternativa alla ripresa del progetto, con tutte le comuniste e i comunisti disponibili, anche con storie e sensibilità diverse, della rifondazione/ricostruzione di un partito comunista in Italia, com’era nel progetto originario, niente affatto conservatore o nostalgico, del 1991. Dopo la pesantissima sconfitta elettorale della sinistra, a questa strada non c’è alternativa. L’alternativa o è l’approdo verso una sorta di area di sinistra nel Partito Democratico (come sembra emergere dalla discussione che attraversa Sd, i Verdi e la Sinistra Europea) oppure l’alternativa può essere una ulteriore breve fase declinante, di esaurimento senza sbocchi in lotte intestine fra piccoli gruppi minoritari e del tutto marginali.


    Invece, ritornare nella società per riavviare un processo partecipato, dal basso, di rifondazione/ricostruzione unitaria di una nuova forza comunista, con tutti coloro che anche fuori del Prc sono disponibili, non nostalgica ma adeguata ai tempi, di classe ma anche interna ai movimenti pacifisti, ambientalisti, femministi, antirazzisti: questo è l’unico progetto in grado di non disperdere del tutto il nostro patrimonio, di rigenerare entusiasmo e rimotivare migliaia di compagne e di compagni, come nei momenti migliori del nostro Partito. Sappiamo che il lavoro di ricostruzione è arduo e di lunga lena, ma la manifestazione del 20 ottobre, il milione di persone in piazza sotto la marea di bandiere rosse, promossa dai due partiti comunisti e da altre forze della sinistra alternativa e di classe, è un’esperienza che sia pure sciaguratamente dissipata in pochi mesi dal gruppo dirigente che ha gestito il Prc, ci dice che possiamo farcela.



    Belletti Gilda, Benni Guido, Bettarello Claudio, Catone Andrea, D’Angelo Pasquale, Giannini Fosco, Malerba Matteo, Manocchio Antonello, Maringiò Francesco, Masella Leonardo, Merlin Vladimiro, Miniati Adriana, Orlandini Olido, Pegolo Gianluigi, Rancati Claudia, Schavecher Nadia, Sconciaforni Roberto, Sema Giuliana, Sorini Fausto, Trapassi Marco, Verruggio Marco.


    Compagne e compagni provenienti dalle vecchie mozioni I, II, III e IV del Congresso di Venezia
    http://www.lernesto.it/index.aspx?m=...Articolo=17248

  5. #65
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    Documento approvato dal Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista. 19/20 aprile 2008
    Aprile 20, 2008


    La sconfitta elettorale che abbiamo subito nelle elezioni del 13 e 14 aprile ha dimensioni storiche. Per la prima volta nell’Italia repubblicana la sinistra non è rappresentata in Parlamento. Tutto questo mentre la destra populista di Berlusconi vince con grande consenso popolare e al suo interno una forza xenofoba come la Lega raddoppia i suoi consensi cambiando ulteriormente il panorama politico del nord Italia.
    Le cause della nostra sconfitta vanno indagate a fondo perché riguardano l’essenziale, cioè il nostro rapporto con la società, con i mutamenti sociali di fondo. Non si esce dalla situazione in cui siamo senza un approfondito lavoro di inchiesta, di lettura partecipata delle dinamiche sociali. Questo lavoro dovrà caratterizzare il nostro impegno politico nella prossima fase. Riteniamo infatti che il punto centrale che ha pesato sul negativo risultato elettorale è il fatto che nel concreto contesto politico, istituzionale e sociale, non è stata riconosciuto l’utilità sociale della sinistra.
    E’ quindi sulla nostra utilità sociale, sul ruolo che la sinistra ha nella società che occorre riflettere e proporre per rientrare in gioco.
    Nell’immediato non si può non vedere come abbia pesato negativamente la nostra incapacità di utilizzare la presenza in maggioranza e la partecipazione al governo per dare una risposta ai principali problemi sociali del paese. La risicata vittoria del 2006 non chiedeva solo, per avere un senso, la sconfitta di Berlusconi, ma anche la sconfitta delle politiche berlusconiane. Il governo e la maggioranza nel loro operare concreto non hanno risposto a questa esigenza e si sono al contrario piegati alle esigenze dei poteri forti su tutte le principali questioni sociali: redistribuzione del reddito, lotta alla precarietà, tassazione delle rendite, laicità dello stato per non fare che alcuni esempi. La nostra azione politica si è mostrata inefficace e in questo contesto è maturata la non percezione dell’utilità sociale della sinistra. Si è così consumata una crisi, la cui profondità non abbiamo saputo vedere, del nostro rapporto con il paese reale e in particolare con i movimenti e con le lotte. L’utilità dell’esperienza di governo come possibilità per invertire le politiche degli ultimi quindici anni si è rivelata, alla luce dei fatti, impossibile da realizzare e la nostra permanenza nel governo si è trasformata in un problema sia per noi che per i movimenti.
    A questo si è sommato il sistema elettorale bipolare e la campagna mediatica sul voto utile portata avanti non solo dai PD e PdL ma dal complesso dei mezzi di comunicazione di massa. Le elezioni sono state cioè un punto di passaggio per la costruzione di quel bipolarismo tra simili che è l’obiettivo delle classi dominanti di questo paese da almeno un quindicennio. Rendere le istituzioni impermeabili al conflitto sociale e rendere la politica uno strumento inservibile per l’emancipazione degli strati subalterni è l’obiettivo di questo bipolarismo che ha agito pesantemente nella campagna elettorale.
    E’ evidente inoltre che il modo in cui ci siamo presentati alle elezioni non ha funzionato. Di questo mancato funzionamento si danno letture tra di loro diverse e persino diametralmente opposte, ma il punto politico fondamentale è che comunque l’operazione è fallita, e che agli occhi di tutti è risultata una operazione politicista che non ha intercettato la crisi sociale.
    Il complesso di questi elementi, l’incapacità a trasmettere l’utilità sociale di una nostra affermazione, ha fatto si che noi abbiamo perso voti in tutte le direzioni: verso il non voto da parte di chi pensa che “siete tutti uguali”.
    Verso il PD da parte di chi, pur condividendo i nostri contenuti, ha ritenuto quello un voto più utile per battere Berlusconi.
    Addirittura verso la Lega da parte di ceti proletari che sentendosi non difesi dalla sinistra hanno pensato che visto che non si riescono a cambiare con un’azione generale le cose più importanti, almeno si migliorano le cose “a casa propria”.

    Ripartire dal sociale
    Questa sconfitta storica non è avvenuta in una fase di stabilizzazione economica e sociale. Noi non siamo dentro un ciclo di crescita economica che riduce le contraddizioni sociali. Al contrario siamo in una fase di crisi, con una insicurezza sociale e personale che sfiora l’angoscia. In quel sentirsi soli di fronte al pericolo è stato sconfitto il nostro progetto e la destra ha vinto le elezioni.
    Il punto è però che queste contraddizioni nella prossima fase sono destinate ad aumentare. Problemi di salario, precarietà, casa, ristrutturazione mercantile del welfare, aggressione del territorio e sua militarizzazione, sono destinati ad aumentare. Il nodo è se di fronte a questo inasprirsi della crisi sociale sarà la destra populista a farla da padrona con la proposta della guerra tra i poveri e la costruzione di capri espiatori, oppure se saremo in grado di ricostruire forme di solidarietà, di conflitto, di movimento, capaci di ricostruire una identità e una utilità sociale della sinistra.
    A partire da questo punto di fondo occorre definire attraverso quali strumenti si riorganizza il campo politico della sinistra. E’ infatti evidente che il rischio che stiamo correndo è che, dopo la sconfitta nella società, ci sia la disgregazione del tessuto militante e l’ evaporazione della sinistra politica in una babele di linguaggi e di proposte.
    Il punto non è quindi l’accelerazione non si sa bene vero che cosa, ma la definizione di percorsi concreti, che ridiano un senso di appartenenza ad una comunità e che siano efficaci socialmente.
    1 - In primo luogo occorre rilanciare il PRC come corpo collettivo. Il tema della rifondazione comunista non sta dietro di noi ma dinnanzi a noi nella sua dimensione di progetto politico, culturale, sociale e nella sua dimensione comunitaria. Riattivare il Partito della Rifondazione Comunista come progetto politico necessario alla sinistra in Italia per l’oggi e per il domani è un punto decisivo da cui non si può prescindere, in tutti i suoi aspetti, dal tesseramento all’iniziativa sociale, politica e culturale. Riattivare il Partito della Rifondazione Comunista dando certezze alle donne e agli uomini che hanno scelto di appartenere a questa comunità e dunque sgombrando il campo dalle ipotesi di dissolvenza e superamento, che hanno connotato la fase che abbiamo alle spalle, si sono esplicitate durante la campagna elettorale, contribuendo al disorientamento e alla demotivazione.
    Riattivare Rifondazione Comunista, riaffermando un’etica della politica, nella coerenza tra ciò che si enuncia e ciò che si pratica come nel quotidiano esercizio e rafforzamento della democrazia interna, rilanciando il percorso di Carrara. Riattivare il conflitto di genere dentro il partito, perché diventi realmente un soggetto sessuato in cui le donne non siano né fiori all’occhiello, né quote. Un partito che assuma il femminismo come punto di vista da cui rileggere il mondo e si faccia attraversare quotidianamente dalla critica delle donne alla politica. Occorre sapere con precisione che il PRC è strumento indispensabile ma non sufficiente per la ricostruzione di una ampia sinistra anticapitalista in questo paese. Indispensabile e non sufficiente: i due termini non delineano uno spazio geometrico ma una cultura politica da cui siano banditi tanto il settarismo quanto il liquidazionismo.
    2 - Contemporaneamente occorre porsi il compito di riaggregare il campo della sinistra. La domanda di unità che è emersa nel corso della campagna elettorale e che emerge oggi va raccolta perché è una grande risorsa per uscire dalla sconfitta. Il PRC è indispensabile ma non sufficiente, sia perché la sinistra politica è più ampia dei soli comunisti, sia perché le forme concrete di impegno a sinistra vanno ben oltre quelle codificate dall’appartenenza ad un partito. Movimenti, comitati, collettivi, associazioni, militanza sindacale, vertenze territoriali ed ambientali: mille sono i modi in cui si fa politica oggi a sinistra. Pensiamo solo a cos’è il No Dal Molin a Vicenza o il No TAV in Val di Susa.
    Aggregare quindi il campo della sinistra a partire dalla valorizzazione di ciò che, a tutti i livelli, esiste e delle esperienze innovative che in questi anni ci sono state: basti pensare alla Sinistra Europea che proprio su questa idea è nata e ha fatto i suoi primi passi in questi anni.
    Ripartire dalla costruzione di spazi comuni della sinistra, di forme concrete di lavoro di inchiesta, di lavoro politico sociale e culturale sul territorio per costruire un percorso, non fagocitato da scadenze elettorali, che punti alla costruzione. dell’unità possibile di tutte le forze disponibili sulla base di contenuti, obiettivi, pratiche realmente condivisi. Un percorso unitario rivolto a tutti coloro che hanno sostenuto la Sinistra Arcobaleno e non solo. Un processo di aggregazione unitario che eviti la spaccatura tra chi propone la costituente della sinistra e chi propone la costituente comunista. Sono due proposte che frammenterebbero ulteriormente la sinistra, avrebbero effetti disgregatori nello stesso corpo di Rifondazione, il cui progetto politico è per noi prioritario rilanciare, dividerebbero la nostra gente sulla base di riferimenti ideologici privi di una consistente base politica. Due proposte che non affrontano il nodo principale: come ricostruire l’utilità sociale della sinistra.
    Occorre partire subito con un percorso di riaggregazione, le cui forme e modalità saranno riconsegnate alla libera discussione di tutte e di tutti nel percorso congressuale, che non commetta gli errori di politicismo e di verticismo che abbiamo avuto nella fase precedente. La sinistra può nascere solo come strumento di partecipazione, solo se le sue organizzazioni sono guidate dai principi democratici e dalla trasparenza, senza il predominio degli apparati, con le loro logiche di cooptazione. Per questo indichiamo la costruzione di una discussione, sia interna al partito che coinvolgente tutta l’area della sinistra arcobaleno, come priorità politica delle prossime settimane. Occorre riprendere la discussione.
    Indichiamo parimenti la partecipazione a tutte le manifestazioni del 25 aprile e del 1° maggio presenti sul territorio con u messaggio chiaro:
    La destra populista cresce sui bassi salari, sulla precarietà, sulla mancanza di case e di servizi.
    Costruiamo l’opposizione sociale al governo Berlusconi.

    Imma Barbarossa, Roberta Fantozzi, Loredana Fraleone, Fabio Amato, Ugo Boghetta, Bianca Bracci Torsi, Stefania Brai, Alberto Burgio, Maria Campese, Giovanna Capelli, Guido Cappelloni, Carlo Cartocci, Bruno Casati, Aurelio Crippa, Paolo Ferrero, Eleonora Forenza, Claudio Grassi, Ramon Mantovani, Laura Marchetti, Citto Maselli, Giovanni Russo Spena, Bruno Steri, Luigi Vinci

    paoloferrero.it

  6. #66
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    Salvare il PRC per un nuovo partito comunista


    Salvare Rifondazione Comunista è importante. Noi vogliamo contribuire a farlo assieme a tutti coloro che sono disponibili, a partire dall’imminente Congresso. Ma è del tutto evidente che questo non è in sé affatto sufficiente, soprattutto oggi dopo una disfatta di queste dimensioni. Si salva ciò che resta del patrimonio importante di Rifondazione Comunista, di militanza, di esperienze e di capacità di costruire lotte e vertenze, solo se la si ricolloca in un più vasto processo unitario a sinistra di riunificazione di tutti i comunisti in un partito comunista più grande e più forte, non autoreferenziale ma capace di parlare a tanta parte del popolo di sinistra oggi senza riferimenti, di promuovere un più vasto schieramento anticapitalistico, per riaprire una nuova stagione dei movimenti e del conflitto sociale, per una lunga fase di lotta e di opposizione (vera, non “costruttiva”) a tutte le politiche neoliberiste e di guerra, sia che vengano dalla destra sia che vengano dal Pd. Il che significa anche promuovere una verifica della nostra partecipazione alle giunte locali.
    sintesi perfetta della posizione che qui, da mesi ormai, vado proponendo..

    La porteremo al congresso e la faremo "parlare" anche tra i comunisti e le comuniste che non sono nel prc...

    per metterli insieme e far vivere la rifondazione oltre gli inganni e gli imbrogli di Ferrero e di Giordano

  7. #67
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  8. #68
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    Citazione Originariamente Scritto da Myrddin-Merlino Visualizza Messaggio
    Tutti questi che parlano di unità dei comunisti, vorrei proprio sapere quante e quali iniziative unitarie organizzano effettivamente con i compagni d el pdci
    i 'compagni' del pdci in campagna elettorale si sono defilati e, quando si era fortunati, in qualche circostanza hanno fatto finta di fare qualcosa.
    Persino a volantinare in fiat, hanno fatto di tutto per stare lontani da noi, così potevano volantinare meglio il 'faccione' di diliberto.
    Con il loro atteggiamento, oso dire settario, non invogliano certo a produrre iniziative in comune, anche se a parole, sembrano volere le stesse cose che vogliamo noi. Purtroppo nella pratica non fanno niente.
    Questi sono i compagni del pdci con cui ho a che fare sul mio territorio e in tutta sincerità faccio fatica a immaginarmi un qualsiasi progetto unitario con loro.
    Non mi ispirano nessun tipo di fiducia.

 

 
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