“L’economia di mercato non è uno dei tanti sistemi possibili per realizzare la cooperazione economica fra gli esseri umani. Essa costituisce il solo strumento che permetta agli uomini di stabilire un sistema sociale di produzione a cui sia intimamente connessa la costante tendenza a servire nel migliore dei modi e al più basso costo i consumatori.” Parole e musica sono di Ludwig von Mises, lo spartito è Libertà e proprietà (Rubbettino/Facco), piccolo ma prezioso volume che condensa la relazione tenuta dall’economista austriaco in occasione della nona riunione della Mont Pèlerin Society ed altri quattro suoi brillanti saggi.

Incorniciato dalle pagine intense di The essential von Mises di Rothbard, il libro è un’anatomia di quelle due concezioni della libertà che si sono affrontate in passato e che ancora oggi incrociano le loro strade: la libertà dei liberali e la libertà dei socialisti. Sono due libertà incompatibili, ma solo la prima – quella dell’individuo nel mercato - è tangibile, mentre la seconda, quella preferita dai socialisti di tutti i partiti, è la strada dell’onnipotenza statale e dire questo non implica alcun giudizio di valore. Von Mises mette in luce la stella polare che guida il capitalismo e che tutti gli avversari del mercato sottovalutano o negano: la sovranità del consumatore. Quando scegliamo di comprare un libro di Goethe invece di un cd di Mozart, diamo agli imprenditori un indizio, una traccia che sta a loro seguire: “i socialisti vedono solo l’organizzazione gerarchica delle varie imprese e impianti e non riescono a rendersi conto che la ricerca del profitto costringe gli imprenditori a servire i consumatori.” Quella lunga teoria di critici del capitalismo che hanno fatto staffetta negli ultimi due secoli non si sono resi conti che la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica; viceversa, nel socialismo ( di ogni colore e grado) “inevitabilmente, insieme alla sovranità economica dei cittadini scompare anche quella politica. Al piano unico di produzione, che elimina qualsiasi scelta da parte dei consumatori, corrisponde, nella sfera costituzionale, il principio del partito unico.”

Tuttavia, se il socialismo reale sembra avere attualmente poche possibilità di essere rianimato, l’interventismo statale è ancora ben presente. Si tinge, anzi, di una veste scientifica e morale. Lo stato servirebbe per tutelare i cittadini dagli abusi di coloro che detengono il “potere economico”

Questa, però, è una visione fumettistica e riduttiva del mercato. Sono proprio le grandi imprese, le famigerate multinazionali – ci ricorda Mises – ad avere più bisogno del consenso dei consumatori, perchè la loro posizione è più rischiosa. Esse crescono a causa dell’interesse dei singoli individui nei confronti dei loro prodotti ma, se non ripensano costantemente il loro operato per soddisfare la domanda, rischiano di essere messe alla porta.

Nemmeno le richieste di “giustizia sociale” sono innocenti. Il sistema del profitto indirizza la produzione verso quegli imprenditori che sono maggiormente efficienti. Le politiche redistributive non fanno altro che ridurre l’efficienza del sistema economico, bloccando la creazione di quella ricchezza che finirebbe anche alle classi meno abbienti. Per quanto possa suonare paradossale, è proprio la disuguaglianza, e non la carità di stato, a tendere di più la mano ai poveri.

Ecco perchè, in sintesi, del capitalismo abbiamo bisogno. Non ci è servito solo per aumentare in modo straordinario la produttività e il benessere. Non lo abbiamo adottato solo perché ha abbattuto i privilegi e le caste del passato. L’economia di mercato si è radicata perchè ci ha consegnato maggiore libertà. Impossibile non essergliene grati.

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