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Nessuno può chiedere a un ospedale cattolico aborto o eutanasia



Avverte padre Mozzetta in una tavola rotonda del dicastero per la Salute



di Marta Lago
ROMA, martedì, 22 aprile 2008 (ZENIT.org).- Mantenere la propria identità e la concezione dell'uomo e apportare il valore aggiunto proprio del cristianesimo: questo deve caratterizzare la presenza della sanità cattolica sul mercato, ha affermato padre Aurelio Mozzetta in una tavola rotonda organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute (www.healthpastoral.org).
“Ospedali cattolici, quale futuro?” è stato il tema di questa convocazione svoltasi a Roma giovedì scorso, in occasione della diffusione degli atti del III Congresso Mondiale dell'Associazione Internazionale delle Istituzioni Sanitarie Cattoliche (AISAC), celebrato dal 3 al 5 maggio 2007.
Invitato dal dicastero, il generale della Congregazione [ospedaliera] dei Figli dell'Immacolata Concezione ha affrontato, partendo dalla propria esperienza, la questione “La sanità cattolica tra carismi e mercato”.
Esiste un “valore aggiunto cristiano da offrire sul mercato”, ha ricordato padre Mozzetta: è proprio della sanità cattolica fornire “un servizio religioso puntuale e accurato, ed una consapevole prassi d'accoglienza del malato, mutuata da una esplicita 'filosofia cristiana' (pastorale) della salute”.
“Non vogliamo essere accomunati a coloro che fanno della salute una merce – aggiunge –: a parità di prestazioni, oggetto di libera concorrenza, la sanità cattolica si deve caratterizzare per la sua visione dell'uomo e dell'uomo infermo”.
E' dovuta la “competenza e qualità” dell'ospedale cattolico nella sua presenza sul mercato, “ma, nel rispetto della libertà religiosa e di pensiero, nessuno ci può chiedere di rinunciare alla nostra concezione di uomo e di Dio – avverte il sacerdote –, né di contraddire la nostra identità ecclesiale, né di eseguire aborti o praticare eutanasia”.
Concentrandosi sul vincolo tra sanità cattolica e congregazioni religiose, padre Mozzetta ha precisato alcuni concetti: le congregazioni compiono le opere della Chiesa. “Noi, che ci occupiamo di malati, possiamo farlo o perché la comunità ecclesiale ci dà le risorse per farlo oppure perché lavorando, secondo l'esempio dei Fondatori [di ogni congregazione], non solo ci prendiamo cura del malato, ma ricaviamo dalla nostra attività anche i mezzi per la sussistenza”.
Attualmente, ad ogni modo, la situazione è di crisi: di fronte alla complessità della permanenza sul mercato, i religiosi tendono a ridurre il proprio impegno diretto, restringendosi alle cappellanie, e “dichiarano la propria impossibilità a confrontarsi in termini competitivi, poiché ritengono che il mercato non sia cosa per loro e che essi non siano per il mercato”, osserva il superiore.
“Le istituzioni cattoliche perdono progressivamente la capacità di stare sul mercato, così che si finisce per cedere le strutture al business privato”.
Ad ogni modo, “lo specifico dei religiosi in sanità è molto di più della sola proprietà e della cappellania, e ci impegna ad una presenza capace d'accettare la sfida del mercato”, ha avvertito padre Mozzetta di fronte a rappresentanti – convocati dal dicastero per la Salute – di ordini religiosi ospedalieri, istituzioni vaticane ed ecclesiastiche, associazioni sanitarie cattoliche, istituti sanitari, istituti universitari e a esponenti dei media.
“Non vogliamo rinunciare alla 'proprietà', perché non siamo solo gestori o operai, ma depositari d'un mandato, e la proprietà è ricchezza nata dall'austerità e non da sfruttamento, ed è finalizzata alla carità; non vogliamo rinunciare alla 'gestione', perché non siamo solo padroni o dipendenti, ma portatori di valori altri e alti; né vogliamo rinunciare alla 'prestazione d'opera', la vicinanza al malato, perché non siamo solo padroni o gestori, ma apostoli della carità”.
Secondo padre Mozzetta, la presenza dei religiosi in campo sanitario significa un intervento realmente integrale che implichi “accoglienza e cura del malato, vicinanza, accompagnamento, attenzione spirituale, preparazione, professionalità, gestione, management, ricerca scientifica e produzione di farmaci, impegno di cultura ed anche presenza nella politica sanitaria”.
“Le congregazioni possono intervenire nello spazio di mercato se sanno stare in esso – sottolinea il sacerdote –, nel rispetto delle leggi economiche e con management preparati e competenti, dando per scontato che i singoli religiosi sappiano fornire prestazioni d'opera con qualificata competenza”.
“Unità, completezza e integralità dell'intervento sono i reali must della sanità religiosa, emergenti dalla radice dei nostri carismi e non da banali mosse di ripiego contro la crisi, l'invecchiamento, o la negazione dei nostri diritti da parte degli organismi pubblici”.
La vita religiosa è capace di “fare l'ospedale e gestirlo adeguatamente”, “metterlo sul mercato”, “prestare opera diretta, assistenza medica e assistenza spirituale”, “aggregare laici e religiosi intorno a un progetto” e “promuovere una nuova cultura della sanità”, osserva.
Consapevole del fatto che la questione “sanità e mercato” è una sfida per tutta la vita religiosa, ad esempio nella questione imprenditoriale, padre Mozzetta propone alcune soluzioni, partendo dal fatto che “una comunità religiosa non è un'impresa, ma può possedere e dirigere un'impresa”, con i dovuti requisiti etici e legali.
“Se i religiosi e i loro carismi vogliono stare sul mercato, devono confrontarsi con l'impresa”, constata.
In uno stesso contesto e luogo, nessuna congregazione vuole perdere la sua identità, così che “quello che dobbiamo unire non sono le congregazioni, ma le imprese delle congregazioni”, suggerisce.
Queste imprese “sono di proprietà delle diverse congregazioni, da esse dirette, ma da esse legalmente distinte”, così che “si può pensare a un progetto che le raccordi, che razionalizzi il sistema proprietario”, “che unifichi il management”, “che elimini le concorrenze indebite”.
Ciò, ha concluso, darebbe “maggior potere contrattuale verso gli enti pubblici, il sistema creditizio e le organizzazioni dei lavoratori” e “una più efficiente organizzazione del lavoro e dei servizi”, e supporrebbe un soggetto economico “in grado di valorizzare il patrimonio immobiliare, il risparmio e gli investimenti di tutti coloro che sono interessati a una finanza non solo genericamente etica, ma specificamente e dichiaratamente 'cattolica'”.