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  1. #1
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    Predefinito 25 Aprile cosa hanno fatto i nostri nonni?

    Dato che la Guerra Civile è stato un fatto quasi esclusivamente Nostro. (mi fa sorridere Napolitano che va a festeggiare il 25 aprile..)

    Vi chiedo cosa hanno fatto i vostri nonni/padri durante quei tragici anni.



    P.S. per "Partigiani" intendo anche qurlli arruolati nelle forze armate cobelligeranti.

  2. #2
    FumnàCioccià
    Ospite

    Predefinito

    ti diro cosa ha fatto il mio popolo

    Bruno Ziglioli



    I Cln in Valsesia*


    "l'impegno", a. XXIII, n. 2, dicembre 2003
    © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
    È consentito l'utilizzo solo citando la fonte.


    Una terra di confine

    È una terra strana, la Valsesia. È strana per la sua posizione di confine. I suoi abitanti sono border people, come dicono gli anglosassoni.
    C'è un confine "esterno", prima di tutto. I contrafforti del monte Rosa, con le loro cime superiori ai quattromila metri, sembrano sigillare ermeticamente la valle dal versante svizzero; eppure, sin dal XIII secolo, una popolazione di lingua tedesca, i walser, scese attraverso i più accessibili passi della Valle d'Aosta e fondò alcuni villaggi nei quali, a tutt'oggi, restano alcune tracce di bilinguismo nel dialetto e nella toponomastica ed altre, più forti, nell'architettura e nell'arte1.
    Poi, ci sono molti confini "interni", rispetto alla pianura ed alle sue città, e rispetto alle vallate adiacenti.
    Nei classici manuali di storia la Valsesia compare, al massimo, tre volte. Sino al 1713 territorio appartenente alla Lombardia spagnola, con la pace di Utrecht viene assegnata al duca di Savoia. La seconda apparizione segue di pochi decenni: il confine tra l'Impero napoleonico e il Regno d'Italia segue il corso della Sesia, e taglia in due la valle, lasciando divisi in due entità statali diverse comuni, villaggi, frazioni. La terza ed ultima volta è quella, appunto, della guerra partigiana.
    Da queste piccole annotazioni si può capire quali sono i confini "interni" che attraversano il territorio valsesiano.
    La "frontiera" più vistosa è quella tra Piemonte e Lombardia, sulla quale la Valsesia è sospesa in un equilibrio incerto. Fino al 1713, come alcune zone della Lomellina, la Valsesia è Lombardia al confine col Piemonte; poi, giocoforza, è Piemonte "al confine" con la Lombardia, nonostante la separi da essa, ad oriente, la val d'Ossola2. Ma è l'elemento lombardo che continua a prevalere. Per capirlo, è sufficiente ascoltare il dialetto, oppure farsi un giro nelle chiese e per i monumenti: il Sacro Monte e la chiesa della Madonna delle Grazie a Varallo, per esempio, con le opere del Ferrari e del Luini. Arte lombarda purissima. Il tracciato delle vie di comunicazione è altrettanto eloquente: la vicinanza geografica con Novara (altra città borderline tra Piemonte e Lombardia) e con Milano è ulteriormente evidenziata dalla maggiore accessibilità rispetto a Torino e a Vercelli, e questo è stato confermato anche nell'epoca delle ferrovie: l'unica strada ferrata della valle collega Varallo a Novara. Nell'esperienza personale di tutti i valligiani, la prima visita in una città media è quella fatta a Novara, quella in una grande città a Milano; Torino, generalmente, segue nel tempo. Persino l'odierno afflusso turistico è in prevalenza lombardo, milanese e pavese in particolare.
    Tutto questo ha prodotto lo strano sentimento, tra gli abitanti, di essere un caso a sé, di non essere pienamente inquadrabili in nessuna circoscrizione geografica o politica circostante, un sentimento per larga parte prepolitico che conduce alle volte ad una confusa richiesta autonomista, altre ad un velleitario spirito quasi autarchico, all'insegna del "se ci lasciassero fare, ce la caveremmo benissimo da soli".
    La Valsesia ha anche la sua piccola "capitale" decaduta: Varallo, posta al crocevia tra le valli e vallette collaterali e le vie d'accesso alla "bassa", è stata a lungo il centro del terziario, come diremmo oggi, dell'intera zona. Città commerciale, di mercato, di comunicazione e di servizi: la distinzione è netta rispetto all'economia rurale di montagna dei centri posti a monte, fatta di agricoltura povera e di pastorizia. Nel Seicento a Varallo viene fondato un ospedale, per lungo tempo l'unico della valle; fino agli inizi del Novecento vi ha sede un tribunale, poi la pretura con le carceri giudiziarie, la sottoprefettura, la compagnia dei carabinieri, l'insediamento industriale della manifattura Rotondi, il teatro, la pinacoteca, lo stabilimento idroterapico3.
    La decadenza è stata molto rapida, a vantaggio dell'altro centro motore della valle, Borgosesia, che ha assorbito quasi tutti i servizi e le attività commerciali e industriali. Situata più in basso, più vicina alla pianura, in un punto dove il fondovalle comincia ad aprirsi suggerendo spazi più ampi, come quelli che seguiranno di lì a pochi chilometri con le risaie, Borgosesia è stata più adeguata a rivestire il ruolo di "capitale" dopo la fine della civiltà montanara. Non vi è alcun dubbio, comunque, che all'epoca della guerra civile la percezione di Varallo come capoluogo politico e sociale fosse ancora molto forte, com'era ancora molto forte l'importanza della società alpestre.

    La Resistenza tra Novara e Vercelli

    La guerra civile. In nessun'altra epoca storica la Valsesia è stata direttamente attraversata da una simile ondata di violenza sul suo territorio. Nel 1800, una battaglia tra cisalpini e austriaci, alle porte di Varallo, ha fatto sì che il nome della cittadina venisse inciso sull'Arc de Triomphe a Parigi; ma è stata piccola cosa, duemilacinquecento cisalpini contro cinquecento austriaci, non c'è stata partita4. La popolazione, poi, la visse da spettatrice.
    Nei mesi tra la fine del 1943 e l'aprile del 1945, per la prima volta, gli abitanti della valle hanno visto la guerra entrare nelle proprie case, hanno visto il fronte attraversare ogni villaggio, hanno assistito alle fucilazioni, alle rappresaglie, ai rastrellamenti, alle deportazioni, con cadenza quotidiana. Da una parte i fascisti repubblicani ed i tedeschi, gente per la maggior parte venuta da fuori, estranei, com'erano estranei i signorotti feudali che tante ribellioni avevano provocato in un lontano passato. Dall'altra parte non un esercito straniero o estraneo, ma gruppi di persone vicine, valsesiani indigeni.
    Nel bene o nel male, volontariamente o forzatamente, la guerra civile e di liberazione ha rappresentato il più grande movimento di partecipazione popolare che abbia attraversato quelle montagne, nel senso che gli avvenimenti di quel periodo hanno pervaso la vita di tutti, condizionando l'esistenza e le scelte, immediate e future, anche di coloro che tennero una posizione più defilata, all'interno di quella che è stata definita "zona grigia".
    Ancora, per la prima volta la Valsesia sembra inserirsi da protagonista in un progetto più ampio di ridefinizione e ricostruzione dello Stato, di immissione delle masse nella vita politica, di coinvolgimento popolare nei meccanismi decisionali politici. Il senso di questo risulta molto chiaro ai dirigenti del movimento resistenziale; un libro come "Il Monte Rosa è sceso a Milano"5, scritto da Cino Moscatelli e da Pietro Secchia qualche anno dopo la fine della guerra, ne è un esempio lampante sin dal titolo. Il problema sarà appunto quello di rendere consapevole la popolazione di una valle chiusa, priva di una grande base industriale o di un milieu contadino organizzato.
    È possibile raccontare una storia della Resistenza in Valsesia su questa base, partendo in altre parole dal tentativo di costruire nuovi organismi di legittimità democratica e popolare in vista dell'edificazione dello Stato nuovo? Come viene ricercata questa legittimazione sul piano locale? Soprattutto, come ci si rapporta, nella ricerca di questa legittimazione, con la caratteristica posizione di confine di cui si è parlato? E con i conseguenti sentimenti di peculiarità locale?

    Il movimento resistenziale valsesiano si organizza spontaneamente già nel settembre del 1943, a Varallo, attorno ad un gruppo di operai della manifattura Rotondi. La manifattura è l'unico insediamento industriale cittadino di una qualche importanza; a nord di Varallo, l'industria è completamente assente, lascia il posto al piccolo artigianato manifatturiero tradizionale. Lo stabilimento si trova nella parte vecchia della città, al di là del torrente Mastallone, e le maestranze per la maggior parte risiedono nello stesso rione. Sono operai prevalentemente del posto, ma non solo: la manifattura ha provveduto a costruire convitti ed alloggi per lavoratori e lavoratrici provenienti da altre regioni, dal Bresciano, dal Friuli, dal Veneto.
    Attorno a questa industria ed al quartiere di Varallo Vecchio (si chiama proprio così, con l'aggettivo declinato al maschile), si sviluppa di conseguenza l'unico nucleo operaio organizzato e politicizzato, sin dalla fine dell'Ottocento6. È questo nucleo proletario che si confronta, negli anni venti, con le squadracce fasciste locali, i famigerati "Lupi della Valsesia" guidati da Carlo Gallarotti; qualche volta ci scapperà anche il morto7. Ridotto al silenzio negli anni della dittatura, mai davvero assimilato al fascismo (come d'altronde nelle fabbriche biellesi, torinesi e milanesi), il nucleo dei lavoratori della manifattura Rotondi si ritrova, nel settembre del 1943, attorno ad un obiettivo inizialmente molto concreto e minimale: consentire ed agevolare il passaggio in Svizzera dei prigionieri alleati liberatisi nei campi di concentramento della pianura vercellese e novarese all'indomani della confusione dell'8 settembre8.
    Ben presto questo piccolo gruppo di persone si tramuterà in una banda armata, si rifugerà sulle montagne che fanno da spartiacque tra Valsesia e Ossola e affronterà i primi reparti della Rsi inviati a prendere il possesso del territorio, la "Tagliamento" in particolare.
    La banda più strettamente valsesiana è quella guidata da un giovane operaio di Varallo, Pietro Rastelli; in seguito questa formazione prenderà il nome di 84a brigata Garibaldi "Strisciante Musati". Altre formazioni opereranno più in basso, verso la pianura; nella prima fase si tratta di gruppi sparsi e scoordinati: solo grazie ad un rivoluzionario addestrato come Cino Moscatelli si avrà una strutturazione militare più organizzata, con la costituzione del Comando zona Valsesia, all'interno del quale Moscatelli avrà il ruolo di commissario politico, lasciando il comando ad un ex militare di carriera: Eraldo Gastone9.
    Non esistono, in Valsesia, formazioni partigiane diverse dalle "Garibaldi", vale a dire che non fanno riferimento al Partito comunista; nessuna formazione "Gl", nessuna brigata "Matteotti", nessuna di autonomi, forse a causa di una scarsa militarizzazione del territorio che non ne favorisce lo sviluppo10.
    È importante sottolineare questa peculiarità difficilmente riscontrabile nelle altre valli alpine del Nord, tanto più sorprendente se si considera lo scarso peso operaio nella società valsesiana (rispetto, ad esempio, all'adiacente Biellese) e la tradizionale vocazione conservatrice e religiosa delle genti di montagna. Ciò non vuol dire che per entrare a far parte di una formazione valsesiana occorresse essere di provata fede comunista: le testimonianze raccolte e registrate tra i partigiani della brigata "Musati" sono state concordi nel disegnare percorsi molto diversificati verso l'arruolamento partigiano (il ricordo delle percosse del '21 solo per alcuni, soprattutto lo sbandamento dell'8 settembre, il rientro a casa fortunoso, l'ostilità verso gli invasori, la chiamata alle armi della Rsi e il forte desiderio di farla finita con la guerra, un sopruso subito dalla propria famiglia, il rifiuto del lavoro in Germania, ecc.), di cui solo una minoranza prende avvio da un presupposto politico di base11. Se educazione politica vi è stata per questi partigiani, essa è avvenuta all'interno delle formazioni, per opera dei commissari politici, non prima12.
    Nella prima parte della lotta l'ampiezza delle formazioni partigiane resta relativamente limitata a poche decine o a qualche centinaio di ribelli; questo processo di educazione, soggetto alle necessità stringenti della guerriglia e della clandestinità, resta quindi limitato agli appartenenti effettivi delle bande. Lo stesso collegamento con gli organismi clandestini del Cln provinciale finisce inesorabilmente per riguardare più la sfera militare e di lotta che non quella politica monopolizzata, come si è detto, dalla figura di Moscatelli.
    Questo non significa che i primi tentativi di legittimare un governo diverso, un nuovo modus agendi pubblico, in vista della costruzione di un nuovo rapporto di cittadinanza e di nuovi rapporti centro-periferia, non comincino a prendere forma. Le direttive del Clnai e del Cln regionale piemontese a questo riguardo trovano una prima possibilità di applicazione in Valsesia nel giugno del 1944, in una esperienza di "repubblica partigiana" meno nota di quella, celebre, dell'Ossola, ma per molti aspetti non meno significativa. È nel corso di questo mese che si sperimentano quelle forme di gestione politica ed amministrativa che verranno applicate, dopo la Liberazione, dai Cln comunali e dal Cln zonale della Valsesia.
    La vicenda della Valsesia libera, a differenza di quella della repubblica dell'Ossola, non è quasi per niente esplorata sul piano della storia politica ed amministrativa, e la documentazione non è altrettanto vasta. Tuttavia, possiamo ritenere che questa esperienza svolga una funzione di apripista rispetto a quella delle amministrazioni ciellenistiche ed all'ampliamento della base di sostegno e dell'opera di educazione democratica della popolazione13. La prova sta nel fatto che, nel corso di questa breve parentesi di libertà, le brigate partigiane aumentano significativamente di organico, ne entrano a far parte giovani e giovanissimi, stabilizzandosi fino agli ultimi giorni del conflitto, quando un nuovo fortissimo afflusso dell'ultima ora porterà, ad esempio la "Musati", a toccare le cinquecento unità14. Ma questa è, probabilmente, un'altra storia.

    Nel nostro racconto occorre fare un passo indietro. Le riforme amministrative della fine degli anni venti fecero sentire marcatamente i loro effetti in Valsesia. L'accorpamento comunale procedette in modo deciso: tutti i piccoli, antichi comuni che circondano Varallo vennero assorbiti dal Comune più grande; lo stesso accadde a Borgosesia e, in misura proporzionale, nei paesi dell'alta valle. Vennero messe a dura prova identità di campanile ben radicate, con un coraggio razionalizzante che purtroppo mancherà in epoca repubblicana: alcuni villaggi che allora furono accorpati a Varallo, durante l'epoca napoleonica erano stati addirittura annessi all'Impero francese, finendo quindi a far parte di un altro Stato rispetto al loro futuro "capoluogo".
    Non solo. Con la riforma del 1927 venne istituita la Provincia di Vercelli, in precedenza parte integrante del territorio provinciale di Novara. La nuova Provincia comprese, oltre al capoluogo, la bassa pianura risicola vercellese, Biella e l'area circostante, fino alle prime colline canavesane, fin quasi ad Ivrea. Il legislatore di allora, nel disegnare la nuova mappa amministrativa, decise anche di attribuire una lingua di territorio montano alla neonata Provincia, in modo da spingerla, parallelamente all'Ossola, fino al confine svizzero, fino ai contrafforti alpini.
    La Valsesia che, come si è detto, ha sempre esibito un legame privilegiato con Novara (e di qui con la Lombardia) sotto diversi aspetti, si trovò perciò a far parte di una circoscrizione provinciale avvertita come sostanzialmente estranea, lontana, indifferente, diversa socialmente, culturalmente ed economicamente, più difficile da raggiungere. È un legame che non sarà mai particolarmente sentito, non rappresenterà mai una fonte comune di identità, neppure oggi. Peraltro, la nuova carta amministrativa del 1927 non riuscì ad essere geograficamente coerente: dalla Provincia di Vercelli furono esclusi comuni come Prato Sesia, Grignasco, Romagnano, a tutti gli effetti appartenenti all'area della bassa Valsesia.
    In queste condizioni risulta comprensibile come, sin dall'inizio della guerra partigiana, le bande valsesiane si orientino in modo particolare verso le montagne e le pianure novaresi. Vercelli è laggiù, lontana; a fianco le valli ossolane forniscono un appoggio più vicino ed immediato. Sul versante est c'è il Biellese, più industriale, politicamente organizzato, molto più che non la Valsesia; è un mondo a parte, un abisso di atavica diffidenza ed ora anche un comando partigiano altrettanto carismatico, autonomo, forte, ma più strutturato. Il confronto sarà spesso difficile15.
    Lo sbilanciamento delle formazioni partigiane verso il Novarese, il Cusio e l'Ossola non pone problemi di sorta finché esse operano prive di un contesto politico di riferimento che fornisca l'abbozzo di una articolazione territoriale; nel momento in cui questo contesto viene disegnato, il problema della collocazione valsesiana tra Novara e Vercelli inevitabilmente emerge.
    Il Cln provinciale di Vercelli, in risposta ad una precedente richiesta relativa alla futura nomina di sindaci garibaldini da parte del Comando raggruppamento divisioni d'assalto "Garibaldi" della Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano, il 19 novembre 1944 scrive: "Sebbene il territorio della Valsesia sia incluso nell'ambito giurisdizionale della Provincia di Vercelli, in dipendenza di un complesso di ragioni che, in massima, si riallacciano alla situazione esistente nell'epoca anteriore alla costituzione della nuova Provincia di Vercelli, sussiste il fatto che l'attività politica cospirativa tuttora svolta nel territorio sunnominato continua a gravitare su Novara anziché su Vercelli. In merito a questa anormalità di ordine politico-amministrativo, Vercelli, e per essa questo Comitato provinciale, non ha mai inteso e tanto meno intende oggi sollevare una questione generale di competenza, come in effetti ne avrebbe pieno diritto. Tutto ciò perché non scorda che in questi tempi è innanzi tutto indispensabile la fusione armonica dei propositi e degli sforzi di tutti per convogliarli verso il fine supremo della lotta contro i nostri nemici, e che, per converso, sarebbe stolto e delittuoso disperdere comunque delle energie in meschine polemiche campanilistiche il cui unico risultato sarebbe quello di dividerci anziché tenerci riuniti. Tuttavia se Vercelli, di fronte al persistere di questo stato di fatto, si è assoggettata, senza discutere, a questa temporanea rinuncia, e ciò in omaggio, come dicemmo, ad una visione unitaria dei veri e concreti problemi che urgono, è però ovvio che, allorquando si sarà normalizzata la situazione, il territorio valsesiano, dal punto di vista politico-amministrativo, dovrà far capo a Vercelli e non più a Novara"16.
    È un documento cristallino: i vercellesi prendono atto a malincuore di una realtà che non possono ignorare, per salvaguardare le esigenze di lotta, ma deve essere chiaro che alla fine del conflitto la Valsesia non può che tornare nell'alveo della nuova Provincia, cioè Vercelli.
    Il Comando raggruppamento divisioni d'assalto "Garibaldi" della Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano risponde al Cln provinciale di Vercelli il 17 dicembre del 1944, con una lettera firmata dal commissario politico Cino Moscatelli e dal comandante militare "Ciro" (Eraldo Gastone): "Sebbene particolari contingenze di ordine militare, politico e amministrativo abbiano portato la Valsesia a gravitare sulla Provincia di Novara ciononpertanto l'autorità del vostro nobile consenso è particolarmente gradita dai garibaldini e dalla popolazione valligiana che vedono in voi, nell'ambito della Provincia, il presente e futuro organo dirigente del governo democratico e popolare"17.
    La situazione sembrerebbe dunque molto chiara: entrambe le parti concordano sulla temporaneità del legame della Valsesia con Novara, le formazioni valsesiane si riconoscono nel legame con Vercelli e si impegnano a ricondurre la valle in quell'ambito provinciale alla fine della guerra. Vengono istituiti degli organismi di collegamento tra formazioni valsesiane e Cln vercellese, e il Comando raggruppamento comunica a quest'ultimo i nominativi proposti per la carica di sindaco nelle future amministrazioni libere dei comuni di Varallo e Borgosesia18.
    Tutti d'accordo dunque. Non vi è traccia, negli archivi, di altre discussioni a questo riguardo nel periodo clandestino. Le formazioni garibaldine valsesiane terminano la guerra partecipando alla liberazione di Novara prima e di Milano poi, mantenendo così fede al legame con la Lombardia tramite il Novarese19. Il monte Rosa è sceso davvero a Milano. In tutta la valle si insediano le amministrazioni libere dei Cln, a Novara Cino Moscatelli viene nominato sindaco della giunta ciellenista e la Valsesia tutta, come da accordi, torna in effetti nell'alveo amministrativo che le era stato disegnato attorno dal legislatore fascista del 1927, cioè la Provincia di Vercelli.

    La nascita delle giunte comunali dei Cln

    Con la fine della lotta di liberazione, nei comuni della valle l'autorità politica viene assunta dai locali Cln comunali secondo lo schema indicato da una circolare del Cln provinciale di Vercelli risalente alla fine di aprile del 1945, intitolata "Norme ai Cln comunali": "Il Cln deve essere formato dai migliori esponenti dei 5 partiti antifascisti, che sono: Comunista, Socialista, Democratico Cristiano, Partito d'Azione e Liberale. Qualora uno o più partiti non fossero rappresentati mancando nel paese gli esponenti di detti partiti, il Cln non perde perciò la sua validità [...] La scelta di questi elementi deve essere fatta colla massima oculatezza e senza spirito di settarismo che va combattuto con tutte le forze [...] Il Cln così formato procede alla nomina del sindaco, del prosindaco o dei prosindaci e dei membri della giunta comunale, eletti con criterio di pariteticità, cioè rappresentanti le varie tendenze politiche del paese [...] Un presidente del Cln non è obbligatorio ed è senza voto"20.
    Negli archivi non vi è traccia dell'esistenza di Cln comunali clandestini in Valsesia nel periodo antecedente il 25 aprile. Le esigenze della guerra assorbivano tutte le energie e le risorse politiche sul territorio, e le relative funzioni di guida erano assunte direttamente dalle formazioni partigiane facenti capo al Cvl. Si può quindi ragionevolmente supporre che non solo le giunte, ma gli stessi Cln comunali si costituiscano in tutta la Valsesia solo dopo la Liberazione.
    Come vengono nominati i componenti dei comitati e delle amministrazioni? Per i comuni più grandi, con una presenza industriale consolidata ed una antica tradizione di militanza politica prefascista, il problema non si pone. Gli esponenti di spicco dei partiti prendono posto nei Cln e nelle giunte, lasciando i ruoli più importanti ai protagonisti di maggior rilievo della Resistenza; in questi comuni, insomma, lo schema di rappresentanza politica dei cinque partiti antifascisti funziona pienamente.
    La partecipazione diretta alla guerra partigiana, magari con ruoli di comando e di prestigio acquisiti sul campo, può essere una discriminante per l'accesso alle cariche di maggiore responsabilità. L'influenza delle formazioni armate nel suggerire il personale politico ciellenista non può che essere forte, soprattutto in questa prima fase: il sindaco di Varallo viene di fatto già nominato nel dicembre del 1944 dal Comando raggruppamento divisioni d'assalto "Garibaldi" della Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano, nella persona di Pietro Rastelli, comandante della brigata "Musati"21.
    A Varallo22, a Borgosesia23, a Serravalle Sesia24, tutte le caselle dei partiti che fanno parte del Clnai vengono riempite da un nome, ed anche la giunta municipale ne è da questo punto di vista uno specchio fedele.
    I problemi cominciano a sorgere per i piccoli comuni dell'alta valle, privi di insediamenti industriali e di una storia politica che fuoriesca dallo schema del notabilato e della parrocchia. In questi villaggi non vi sono sezioni di partito o gruppi politici organizzati: la difficoltà di trovare personale politico rispondente allo schema di rappresentanza del Cln può essere a volte insuperabile: ecco che allora, nei fogli prestampati utilizzati per notificare al Cln provinciale la costituzione del Cln comunale e della giunta, le caselle relative agli appartenenti a certi partiti cominciano a restare vuote, prive di indicazione; altre volte il nome del partito indicato a fianco del nome viene cancellato e viene aggiunta, al suo posto, la dicitura "senza partito" o "apolitico".
    All'estremo, nei comuni di Alagna25, Campertogno26 e Rima S. Giuseppe27, tutti i membri, tanto del Cln quanto della giunta, sono, inizialmente, "senza partito"; a Boccioleto28 ed a Riva Valdobbia29 il Cln è incompleto (nel primo caso manca il rappresentante democristiano e quello liberale, nel secondo mancano il comunista, il liberale e l'azionista) e la giunta è interamente formata da "senza partito"; a Mollia l'unico esponente "partitico" del Cln è quello espresso dalla Democrazia cristiana30. Negli altri comuni le lacune sono più sfumate: in generale mancano i rappresentanti di uno o due partiti (di solito, il liberale e l'azionista), la cui assenza non viene per niente coperta, lasciando quindi il Cln numericamente incompleto, oppure viene coperta da "apolitici".
    La possibilità che nei piccoli e piccolissimi centri non si potesse contare su rappresentanze partitiche complete in seno ai Cln era stata ampiamente prevista dai comitati di livello superiore. Un opuscoletto del periodo clandestino, dal titolo "Comitati di liberazione nazionale e giunte popolari. Una guida per i militanti del Movimento di liberazione nazionale (a cura del Comando generale delle brigate d'assalto "Garibaldi") recita: "Avviene spesso, nei comuni minori, che non esistano sul luogo rappresentanti qualificati di questo o di quel partito del Clnai; o anche, sovente, accade che esponenti dei partiti non ne esistano affatto. Questa non può e non deve essere, evidentemente, una ragione che impedisca la costituzione di un Cln comunale [...] Quel che importa, perché un Cln comunale possa costituirsi ed assolvere efficacemente alla sua funzione, non è il fatto che esso comprenda la rappresentanza di tutti i partiti del Clnai: nei comuni minori, con una vita politica ancora indifferenziata, una tale pretesa sarebbe anzi spesso del tutto artificiosa, e porterebbe solo questo o quell'esponente di interessi locali ad inalberare etichette politiche assolutamente estranee all'ambiente. Quel che invece importa è che il Cln comunale assicuri l'effettiva rappresentanza e direzione degli interessi e delle forze locali che effettivamente partecipano o sono suscettibili di essere attratte alla lotta di liberazione"31. Allo stesso modo, una circolare del Cln regionale piemontese indirizzata a tutti i Cln provinciali, periferici e di base prima della Liberazione spiega: "Nei Cln comunali devono entrare i rappresentanti dei partiti politici attivi in loco, e, integrandosi questi in giunte, i rappresentanti delle organizzazioni di massa e delle categorie sociali più numerose ed influenti. Dove non vi siano ancora elementi politici orientati verso un determinato partito, si può costituire il Cln comunale con elementi simpatizzanti che rientrino nel movimento del Cln, e che potranno in un secondo tempo orientarsi verso i singoli partiti politici"32. In effetti, col passare dei mesi, in alcuni dei comuni citati verranno effettuate delle integrazioni o delle sostituzioni, oppure alcuni degli esponenti "apolitici" dei Cln finiranno per riconoscersi in uno dei partiti antifascisti.
    Attraverso quale procedimento venivano quindi attribuiti i ruoli all'interno di questi comuni? Non ci è dato saperlo con certezza. In assenza di uno studio storico-sociale sugli uomini che hanno fatto parte dei Cln valsesiani possiamo fare delle supposizioni.
    Laddove era disponibile qualche elemento partigiano idoneo a ricoprire ruoli amministrativi e stimato dalla popolazione, è pensabile che esso venisse cooptato nel Cln o nella giunta, indipendentemente dalla sua appartenenza ad un partito; in assenza, è possibile che riemergesse una forma di notabilato montanaro, un notabilato, si noti, non necessariamente composto dalle figure borghesi della comunità (spesso non ve ne erano, trattandosi di villaggi alpestri o poco più), ma piuttosto da piccoli artigiani o commercianti conosciuti ed apprezzati dalla comunità per il loro concreto impegno in suo favore, o per la loro fama di uomini probi o, ancora, per la loro appartenenza ai gruppi familiari più influenti. Sarebbe interessante indagare quanto venga recuperato, nei paesi dell'alta Valsesia, il personale politico ed amministrativo prefascista, o dei primi anni del fascismo. Ad ogni buon conto, i verbali di costituzione del Cln e della giunta comunale di ciascun paese vengono inviati, oltre che agli organismi provinciali competenti per la ratifica delle nomine, anche al Cln di Varallo, il quale provvede ad indagare ed eventualmente a scremare le nomine considerate non affidabili o sospette; così è, ad esempio, nei riguardi del sindaco di Cravagliana33.

    Quale è la distinzione di ruolo e di funzioni tra i Cln comunali e le relative giunte? Da quanto detto sopra, è chiaro: il Cln comunale, organo rappresentativo dei partiti antifascisti e delle organizzazioni di massa e, tramite questi, espressione provvisoria della volontà del popolo, designa la giunta comunale quale organo amministrativo cittadino; dopo l'entrata in vigore degli accordi Medici Tornaquinci, nel maggio, il meccanismo rimane pressoché intatto, con l'aggiunta della ratifica prefettizia delle nomine e dell'approvazione dell'Amg, che generalmente si attiene alle designazioni ciellenistiche. Il Cln comunale è quindi, per la giunta, il duplice tramite della volontà popolare e degli orientamenti politici dei Cln di livello più elevato, attraverso l'azione di governo alleata; in altre parole, ne è una fonte di legittimazione. Quanto poi questa legittimazione basti a trasformarsi in effettiva legittimità popolare è argomento che affronteremo più avanti.
    Per quanto questa distinzione possa risultare precisa sulla carta, ben diversa è la realtà; prima di tutto, spesso manca una precisa distinzione tra i membri del Cln e i membri della giunta. Questo è vero in modo particolare per i piccoli comuni dell'alta valle: per essi già costituiva un problema trovare un minimo di personale politico per assicurare la gestione quotidiana, figuriamoci per creare due diversi organismi composti da diversi membri. Consultando i verbali ci accorgiamo così che, ad esempio, nei comuni di Rossa34, Rimella35, Balmuccia36, Rima S. Giuseppe37, Scopello38, Cln e giunta comunale quasi coincidono quanto a composizione. Tutti i comuni della valle sono comunque interessati da questa duplicità degli incarichi, almeno per ciò che riguarda qualche persona, compresi i centri maggiori: due membri del Cln comunale di Borgosesia lo sono anche della giunta39, a Serravalle Sesia è il sindaco stesso a fare anche parte del Cln40.
    D'altra parte, le istruzioni impartite dal Comando generale delle brigate d'assalto "Garibaldi" in vista dell'insurrezione indicavano che "là dove esista e funzioni sul luogo un Cln comunale [...] questo potrà assumere direttamente, all'atto della liberazione, la funzione di giunta popolare di amministrazione"41. Analoghe indicazioni, specchio fedele delle disposizioni del Clnai riguardanti l'assunzione diretta delle responsabilità di governo da parte dei Cln nella fase immediatamente post insurrezionale, provenivano dal Cln regionale del Piemonte42.
    In una situazione di questo tipo non può stupire il fatto che, oltre ad una sovrapposizione di persone e di incarichi, si verifichi anche una sovrapposizione di funzioni. Tutta la documentazione relativa ai Cln comunali valsesiani che abbiamo potuto esaminare ci dice, nel suo complesso, che i Cln comunali non si limitano ad una funzione consultiva di tramite e di coordinamento: agiscono loro stessi come veri e propri organi di amministrazione, emanando ordini ad aziende e privati, commissionando lavori pubblici, emettendo prestiti e sussidi, agendo da ufficio di collocamento per i partigiani smobilitati, richiedendo tasse ed esazioni, requisendo automezzi ed alloggi, occupandosi dell'edilizia pubblica e degli approvvigionamenti; insomma, come un vero e proprio organo concorrente a quello dell'amministrazione comunale, la giunta43. Tale atteggiamento prosegue anche nel pieno della "fase consultiva", ad accordi Medici Tornaquinci in pieno vigore, forse per la volontà di non rassegnarsi ad una mortificazione politica dei meriti acquisiti durante la lotta, sotto la spinta, dal giugno 1945, del governo Parri e delle funzioni per le quali esso chiede di essere coadiuvato dai Cln.
    Nei piccoli comuni, dove i componenti dei due organi coincidono largamente, questa "concorrenza" non può generare problemi: evidentemente, gli amministratori spesso preferiscono agire dietro lo schermo di un'autorità politica moralmente più elevata di quella di un semplice assessore comunale, utilizzando il Cln come un marchio di un legame con la lotta antifascista, con un movimento più ampio. Nei comuni maggiori, dove invece la coincidenza, per quanto presente, è più sporadica e riguarda solo una parte dei componenti, una divergenza più o meno forte è destinata ad emergere, e segnala alle autorità superiori la necessità di esigere un maggior rispetto di compiti e ruoli reciproci, tanto più in una fase in cui il Clnai si sforza, sotto l'impulso di Morandi, di aumentare il controllo sui Cln periferici.
    È quello che avviene nella tarda estate del 1945, quando una circolare del Cln provinciale vercellese a tutti i Cln comunali chiarisce: "Rammentiamo che i Cln sono organi esclusivamente consultivi: naturalmente rimane fermo ad essi il diritto ed il dovere di far sentire il peso delle proprie opinioni agli organi esecutivi che, non lo si dimentichi, sono emanazioni del Cln. Preso atto di questo, i Cln di base dovranno attenersi ad un incondizionato rispetto verso tutte le disposizioni emanate dagli organi legalmente costituiti e riconosciuti (polizia, Sepral, ecc.) onde evitare nel modo più assoluto conflitti di competenza. Si è diffusa la tendenza ad addossare al Cln provinciale qualsiasi questione, anche quelle che esorbitano completamente dalla sua competenza: questo comporta un cumulo di lavoro ed un notevole ritardo nel disbrigo delle pratiche, inconveniente questo cui si potrebbe ovviare con un più scrupoloso esame da parte dei Cln di base delle pratiche stesse e conseguenti inoltre alle autorità competenti ad evaderle"44.
    Dello stesso tenore è una circolare del Cln regionale piemontese del 6 settembre 1945, diretta a tutti i Cln provinciali e comunali; inoltre essa si riferisce specificatamente al problema di sovrapposizione degli incarichi: "In considerazione dell'importanza che l'opera dei Cln periferici ed in special modo comunali verrà ad assumere nella fase pre-costituente, si rende necessaria una più netta distinzione fra funzioni politiche ed amministrative, demandate le prime ai Cln, le seconde alle giunte (costituite dal sindaco e dal prescritto numero di assessori) in ciascun Comune. Ferme restando le situazioni locali di fatto, resta inteso che: 1) le funzioni del Cln non sono direttamente amministrative, amministratori diretti del Comune sono infatti il sindaco e gli assessori. Sindaco e assessori vengono nominati o rinnovati ogni qual volta se ne presenti la necessità dalle autorità competenti, generalmente su designazione del Cln, come organo che dà garanzia di rappresentare la volontà popolare abbinata ad una coscienza politica elevata. 2) Il Cln può procedere a tali designazioni valendosi per maggior garanzia di democraticità del parere dei rappresentanti di categorie e di organizzazioni che già abbia ammesso nel suo seno o che intenda comunque consultare a tal fine. 3) Il Cln non dovrebbe coincidere nei suoi membri (rappresentanti di partito) con i membri della giunta ed è preferibile perciò scindere nettamente i due organi, ove già ciò non avvenga. 4) Il Cln deve mantenere stretti rapporti di collaborazione con la giunta, e seguirne politicamente l'operato ai fini dell'unità democratica, riferendo ai Cln di ordine superiore delle eventuali divergenze non superabili in loco. In particolare la netta distinzione di funzioni sopra accennata è necessaria affinché i Cln possano assumersi i delicati e gravosi compiti che anche nel recente congresso hanno avocato a sé, e principalmente: a) organizzazione di cicli di riunioni non a carattere di partito per preparare la popolazione ai problemi della costituente; b) studio dei problemi specifici, ma di importanza generale, la cui risoluzione debba essere devoluta alla costituente; c) massima aderenza alla situazione politica locale, per poterla effettivamente controllare ai fini della piena libertà di propaganda e di voto"45. Quindi, la necessità di separare in modo più netto Cln e giunte comunali viene consigliata nella prospettiva di una razionalizzazione politica ed amministrativa in vista dell'Assemblea costituente.
    La circolare del Cln del Piemonte citata capita nel preciso momento in cui il presidente del Cln comunale di Serravalle Sesia richiede direttive al Cln provinciale di Vercelli (7 settembre 1945): "Questo comitato, pur avendo fatto del proprio meglio per assolvere le proprie mansioni e cooperare modestamente, nell'ambito della sua giurisdizione, alla ricostruzione della Patria, si è trovato e si trova ancor oggi nell'impossibilità di intervenire con cognizione di causa, in alcuni casi che si presentano di sovente, perché manca di direttive e norme precise che fissino e delimitino le proprie mansioni e competenze. Eppertanto, ad evitare eventuali interventi fuori legge o comunque non di propria competenza, od anche di prendere errate decisioni e provvedimenti non consentiti, prega codesto onor. Comitato provinciale di voler inviare a questo direttive e norme generali per il funzionamento regolare dei comitati locali, norme e direttive che, a tutt'oggi, non si sono ricevute, e che questo Comitato, per le ragioni sopra esposte, gradirebbe sapere esattamente onde assolvere, come sopra detto, i propri compiti non a mira di naso o di buon senso come fin'ora ha fatto"46.
    Lapidariamente, il Cln provinciale risponde il 4 ottobre senza quella precisione di norme e di direttive che probabilmente il presidente del Cln serravallese si attendeva: "Si comunica che, come già ebbe a spiegare un nostro rappresentante nella sua recente visita, il Comitato comunale [...] ha un carattere nettamente politico unitario di tutti i partiti antifascisti. Quindi rappresentando nella grande maggioranza la popolazione locale, dovrà seguire politicamente l'operato della giunta e del sindaco ed esserne il consultore"47.
    Il problema investe anche il convegno dei Cln della Valsesia, che si tiene a Varallo il 16 ottobre 1945. In quella sede, il rappresentante del Cln di Varallo afferma: "Se non esistessero i Cln accanto alle autorità municipali, si ritornerebbe ad un'amministrazione di carattere podestarile nella quale non esisterebbe alcuna risonanza dell'opinione pubblica, né controllo della stessa, sull'attività del sindaco e degli assessori". Un altro rappresentante del Cln zonale fa presente che "contrariamente alle disposizioni, nelle vallate alcuni membri del Cln fanno anche parte della giunta"; in un recente giro di ispezioni in valle ha appunto notato queste lacune. Un altro intervento chiarisce infine che: "la posizione dei Cln nei paesi di piccola importanza certe volte si confonde con la stessa giunta perché mancano gli elementi che si vogliano interessare della cosa pubblica. In conclusione la base, come sempre, è l'onestà. D'altra parte qualsiasi irregolarità che venga riscontrata deve essere denunciata al Cln provinciale"48.
    L'operazione di svuotamento delle funzioni e del ruolo dei Cln entra nel vivo anche in Valsesia, pur con qualche mese di ritardo rispetto ad altre zone dell'Italia liberata. Il 16 novembre anche l'Amg batte un colpo, con una lettera a tutti i Cln ed i sindaci della Provincia di Vercelli firmata dal provincial commissioner Grey: "1) Desidero rammentare a tutti i Cln che: a) il Cln è solo un corpo consultivo; b) il Cln non può emanare ordini od istruzioni in nome proprio; c) soltanto il sindaco può firmare un ordine od istruzioni, e diventa allora direttamente responsabile al prefetto e all'Amg; d) se il Cln trasgredisce ad ordini del Governo militare alleato con intimidazioni, minacce, o altrimenti, i suoi membri possono essere processati come individui dall'Amg; e) se il Cln agisce contrariamente alle leggi italiane, si può far causa contro i suoi membri come individui nei tribunali italiani. 2) Sono certo che i Cln conoscendo ora la propria posizione esatta, daranno la loro piena collaborazione ai sindaci nell'adempimento dei loro doveri in questo momento difficile, e non si metteranno in una posizione che potrebbe avere riflessi sul loro buon nome"49. Una strigliata coi fiocchi, anche se un po' tardiva: è evidente che il Governo militare alleato vuole recuperare il tempo perso, sottolineando con forza la sua totale intolleranza verso forme di governo del territorio che sfuggono al suo controllo.
    La separazione, bene o male, si compie. Molti Cln modificano la propria composizione in modo da evitare le sovrapposizioni di funzioni; tra gli altri, nel farlo, il Cln di Fobello l'11 dicembre lamenta che in alcuni altri comuni, come Breia, Cervatto, Rimella, si continui a rimandare la cosa50.
    È evidente che ora, alla fine del 1945, i Cln si trovano in una situazione svantaggiata rispetto alle giunte, che conquistano in modo esclusivo la potestà amministrativa. Privati dei loro poteri di fatto coercitivi e vincolanti, ridotti stavolta per davvero al rango di organi consultivi, i Cln comunali perdono mordente e producono sempre meno documentazione, rinchiudendosi nel dibattito politico che, per quanto ricco, spesso è privo di un riscontro pratico sul territorio. In altre parole, perdono il controllo dei problemi. Le dimissioni di Parri dalla guida dell'esecutivo e l'insediamento del gabinetto De Gasperi, nel novembre 1945, tolgono qualunque illusione sulla possibilità che il progetto di uno Stato nuovo costruito attorno all'esperienza ciellenistica possa, in qualche modo, essere recuperato.
    Una secca lettera del Cln di Varallo, datata 10 gennaio 1946 ed indirizzata alla giunta comunale della medesima città, ci dà la misura di come si sia modificata la forza e la capacità percettiva di quello che doveva essere l'organo di collegamento tra le amministrazioni del nuovo Stato liberato e le masse popolari: "Spettabile giunta comunale di Varallo, questo Comitato di liberazione desidera di essere consultato ogni qualvolta si presentano delle difficoltà che gravano sulla cittadinanza. Con ossequi"51.
    (1 - continua)
    Note


    * Saggio tratto dalla tesi di laurea Costruire la democrazia. I Cln comunali nella Valsesia (aprile 1945-aprile 1946), Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Scienze Politiche, a. a. 2001-2002, relatore prof.ssa Marina Tesoro.

    1 Federico Tonetti, Storia della Vallesesia e dell'alto Novarese, Borgosesia, Corradini, 1979, ristampa anastatica dell'edizione di Varallo 1875-1880, pp. 261-286.

    2 Rosario Villari, Storia moderna, Bari, Laterza, 1983 (1a ed. 1969), p. 241.

    3 Luigi Ravelli, Valsesia e Monte Rosa, Borgosesia, Corradini, 1983, ristampa anastatica dell'edizione di Varallo 1924, pp. 205-237.

    4 F. Tonetti, op. cit., pp. 569- 570.

    5 Pietro Secchia - Cino Moscatelli, Il Monte Rosa è sceso a Milano, Torino, Einaudi 1958.

    6 Luca Perrone, Varallo in guerra (1940-1945) attraverso il "Corriere Valsesiano" e la "Gazzetta della Valsesia", tesi di laurea, Università di Torino, a.a. 1998-1999, relatore Nicola Tranfaglia, pp. 80-92.

    7 Enrico Pagano, "Quello con la camicia alla Robespierre", in "l'impegno", a. XVII, n. 3, dicembre 1997, pp. 17-22.

    8 Pietro Rastelli, Battaglie della "Strisciante". Azioni di guerriglia in Valsesia dell'84a Brigata Garibaldi "Strisciante Musati" nel diario del suo comandante, Novara, Millennia, 1998, p. 7.

    9 Enzo Barbano, Il paese in rosso e nero, Varallo, Comune, 1985, p. 171.

    10 E. Pagano, Partigianato piemontese e società civile. I resistenti del Biellese e del Vercellese, in "l'impegno", a. XVIII, n. 1, aprile 1998, p. 9.

    11 Le testimonianze orali dei partigiani della brigata "Musati" sono state raccolte da Luca Perrone e Bruno Ziglioli nell'ambito di una ricerca su questa formazione partigiana, i cui risultati sono stati esposti al convegno "1940-1945 in Valsesia. Storia, società e memoria", organizzato dall'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli a Quarona il 18 ottobre 1997. Le registrazioni e le trascrizioni delle testimonianze sono in nostro possesso.

    12 Francesco Omodeo Zorini, La formazione del partigiano. Politica, cultura, educazione nelle brigate "Garibaldi", Borgosesia, Isrsc Vc, 1990, pp. 22-26.

    13 Massimo Legnani, Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane: studi e documenti, Milano, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 1968, pp. 154-163.

    14 P. Rastelli, op. cit., pp. 4-5.

    15 Alessandro Orsi, Un paese in guerra. La comunità di Crevacuore tra fascismo, Resistenza, dopoguerra, Borgosesia, Isrsc Bi-Vc, 2001 (1a ed. 1994), pp. 179-181.

    16 Isrsc Bi-Vc, Cln locali.

    17 Isrsc Bi-Vc, fondo Carlo Cerruti, b. 65, fasc. 2.

    18 Ibidem.

    19 E. Barbano, op. cit., p. 170.

    20 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    21 Isrsc Bi-Vc, fondo Carlo Cerruti, fasc. 2.

    22 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A6b.

    23 Isrsc Bi-Vc, Cln locali; Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. F40c.

    24 Isrsc Bi-Vc, Cln locali.

    25 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. F40a.

    26 Ibidem.

    27 Idem, fasc. A4c.

    28 Idem, fasc. F40a.

    29 Ibidem.

    30 Idem, fasc. A4c.

    31 Idem, fasc. A1a.

    32 Idem, fasc. A1b.

    33 Idem, fasc. A4a.

    34 Idem, fasc. A2b.

    35 Idem, fasc. A4b.

    36 Idem, fasc. A4c.

    37 Ibidem.

    38 Idem, fasc. F40a.

    39 Idem, fasc. F40c.

    40 Idem, fasc. A3a.

    41 Idem, fasc. A1a.

    42 Idem, fasc. A1b.

    43 Ad esempio, per quel che riguarda il Cln comunale di Varallo la documentazione relativa si trova in idem, fascc. A4b-c; A5a-b; A6a-b.

    44 Idem, fasc. F41b.

    45 Idem, fasc. F40c.

    46 Idem, fasc. A3a.

    47 Ibidem.

    48 Idem, fasc. A6b.

    49 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    50 Ibidem.

    51 Ibidem.

  3. #3
    FumnàCioccià
    Ospite

    Predefinito

    .

    Bruno Ziglioli



    I Cln in Valsesia*
    II parte


    "l'impegno", a. XXIV, n. 1, giugno 2004
    © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
    È consentito l'utilizzo solo citando la fonte.


    La questione della Provincia

    Nello scorrere l'ampia e caotica documentazione disponibile sui Cln della Valsesia, balza immediatamente agli occhi una stranezza. Per un certo periodo di tempo, tutte le questioni riguardanti la costituzione, la composizione ed il funzionamento degli organi di autogoverno municipale vengono inviati per la notifica o la ratifica a tre organismi diversi: al Cln provinciale di Vercelli, a quello di Novara ed a quello comunale di Varallo. I primi due sono Cln di livello superiore, il secondo in teoria è dello stesso livello di tutti gli altri Cln di base. Le domande che ci si pongono sono allora due: a quale Cln provinciale fanno riferimento i comuni valsesiani? Qual è il ruolo di Varallo?
    Abbiamo visto che, nel corso della guerra di liberazione, la Valsesia, appartenente dal 1927 alla Provincia di Vercelli, viene "prestata", nel vero senso della parola, al Cln clandestino di Novara, con l'esplicita richiesta e l'esplicito impegno del suo ritorno a Vercelli dopo la fine delle ostilità. Le cose andranno davvero così lisce? È evidente che si sono ingenerate delle aspettative, tanto da parte valsesiana che da parte novarese, riguardo a una solidificazione della situazione di fatto, ad un ritorno al prefascismo.
    D'altro canto, lo stesso Cln novarese sembra dare per scontata la permanenza definitiva della Valsesia nella sua orbita, inviando ordini, direttive e comunicazioni varie ai comuni della zona.
    Così, ad esempio, il 30 aprile il Cln novarese emana disposizioni relative ai fermi di civili ed ai deferimenti al tribunale di emergenza anche ai Cln valligiani1; allo stesso modo, ogniqualvolta gli vengono sottoposte delle nomine da ratificare, il Cln novarese procede come se ne avesse piena autorità: è quello che ad esempio avviene il 9 maggio con il Cln comunale di Borgosesia2.
    Il Cln provinciale di Novara continua, per tutti i mesi di maggio e giugno, ad occuparsi della Valsesia anche nell'ambito dell'epurazione3, della polizia4, della liquidazione dei danni di guerra5, della disciplina delle imposte6, dei problemi dell'alimentazione7, della requisizione di automezzi8, ecc.; tutte funzioni che svolge, nello stesso tempo, il Cln provinciale di Vercelli.
    Molti cittadini o aziende della Valsesia si rivolgono con naturalezza al Cln ed alle autorità novaresi per inoltrare suppliche o ricorsi; ad esempio, nel mese di maggio la ditta Loro Piana di Quarona chiede al prefetto ed al Cln di Novara di essere esentata dal pagamento di un contributo di lire 50.000 impostole dal Cln locale; il Cln novarese scrive quindi al comitato di Quarona, raccomandandogli di essere equo con questa ditta in considerazione delle elargizioni che essa aveva volontariamente effettuato nel periodo della guerra9.
    Qual è dunque la Provincia di cui si fa parte? L'equivoco è alimentato ad arte dagli organismi politici valsesiani e novaresi, che sulla questione dell'appartenenza provinciale della Valsesia stanno in realtà giocando una delicata partita.
    In effetti, i Cln comunali dei maggiori centri della valle hanno il preciso obiettivo di riportare definitivamente la Valsesia nell'orbita della Provincia di Novara. Una lettera del Cln comunale di Quarona al prefetto di Novara dei primi giorni di maggio, recita: "Questo Clnai interpretando la concorde volontà di tutto il popolo fa istanza affinché sia effettuato il passaggio di questo Comune dalla Provincia di Vercelli a quella di Novara"10.
    Il 2 maggio è il Cln varallese a scrivere al prefetto di Novara: "Interpretando i desideri unanimi delle popolazioni di Varallo e della Valsesia tutta, preghiamo la s. v. di interessarsi acciocché la Valsesia faccia parte, come per il passato prefascista, della Provincia di Novara. Crediamo inutile perché ben noti a tutti, anche alle autorità centrali, specificare i motivi che rendono necessario ed urgente questo provvedimento"11.
    In questo modo sollecitate, negli infuocati giorni che seguono l'insurrezione, le autorità novaresi mettono tutti di fronte ad un fatto compiuto ed emanano, il 3 maggio, un decreto di annessione della Valsesia alla loro Provincia, come riportato dalla stampa locale: "Novara, 3 maggio 1945. La giunta di governo, composta dal prefetto, dal questore, dal presidente dell'amministrazione provinciale, dal sindaco, dal presidente del Clnp e da tutti i membri del Cln di Novara, riunita in data 3 maggio alle ore 14.30, delibera di accettare la richiesta fatta dalla popolazione unanime della Valsesia, che tanti eroi e tanti martiri ha dato per la liberazione della nostra Provincia, deliberando l'annessione della Valsesia, nei limiti che saranno definiti, alla Provincia di Novara.
    Il prefetto di Novara, presa visione della plebiscitaria richiesta della Valsesia e della deliberazione della giunta di governo, decreta che da oggi la Valsesia fa parte della Provincia di Novara"12.
    Il Cln vercellese non tarda a reagire a questa amputazione di una parte di territorio che considera legittimamente di sua competenza; già il 7 maggio scrive infatti ai Cln di Varallo e Borgosesia: "Il Comitato di liberazione nazionale di Vercelli vi invita a seguire soltanto le direttive di questo Comitato, unico organo di governo per tutta la Provincia di Vercelli. Qualsiasi disposizione impartita da enti di qualunque genere estranei alla Provincia di Vercelli non deve essere eseguita, poiché la regione della Valsesia dipende unicamente dall'amministrazione della Provincia di Vercelli. Nel contempo vi facciamo presente i provvedimenti presi in questi giorni e che interessano la Valsesia: 1) invio di generi alimentari vari e di prima necessità; 2) immediato riattivamento delle vie di comunicazione, ricostruzione ponti, ecc.; 3) distribuzione straordinaria di tabacchi; 4) riattivazione servizio postale"13.
    Oltre a riaffermare la propria competenza e giurisdizione, insomma, il Cln vercellese agita verso la Valsesia la carota di un interessamento particolare. A dire il vero, a giudicare da una relazione del 16 maggio 1945 di un ispettore del Cln provinciale di Novara, il Cln vercellese, temendone il distacco, verso la Valsesia agita anche il bastone; questa relazione è anche interessante per capire la complessità geografica e politica della valle: "In Valsesia e in special modo a Borgosesia chiedono che venga chiarita la posizione di questa zona riguardo il trapasso di Provincia. Pongono in primo piano la questione alimentare, secondo loro sarebbe opportuno continuare sotto la giurisdizione di Vercelli in quanto che questa Provincia dispone di una riserva alimentare superiore a quella di Novara. Però come giustamente fanno presente [...] Vercelli è obbligata a fornire la Valsesia ma lo fa, appunto per questa ragione di un prossimo distacco, col contagocce. Anche per ciò che riguarda questioni sindacali devono dipendere da Vercelli, da Novara o da Biella. La struttura industriale specie della zona di Borgosesia, è uguale a quella di Biella, dunque sarebbe opportuno intervenire che i contratti sindacali della Valsesia, se proprio non possono essere decisi dalla Camera del lavoro di Novara (è stata l'unica che finora si è interessata di quella zona dandone le direttive) sia lasciata di competenza alla Camera del lavoro di Biella. La cosa rimane un po' in antitesi alla richiesta di giurisdizione di Vercelli per ciò che riguarda interesse alimentare, ma chiedono se si può arrivare ad una specie di compromesso con tutte e tre le camere del lavoro"14.
    La Valsesia, insomma, non ha nessuna intenzione di legarsi mani e piedi neppure con Novara; la sua partita è su più tavoli: cerca di sfruttare la sua posizione di crocevia per ottenere le condizioni più favorevoli a seconda del settore e vorrebbe dipendere sul piano politico da Novara, dato il legame con Moscatelli e con le forze partigiane, sul piano alimentare da Vercelli, date le maggiori risorse agricole, e su quello sindacale da Biella, data la maggiore forza e organizzazione del movimento operaio biellese.
    È una scommessa che presenta delle opportunità ma anche dei rischi, che può portare vantaggi ma che allo stesso tempo può essere foriera di confusione e di tensioni; fatto sta che, per il momento, la giunta di governo novarese recede dai suoi propositi, e lo comunica ai giornali: "Si porta a conoscenza degli enti interessati e della popolazione che l'annessione della Valsesia alla Provincia di Novara, annessione di cui anche la stampa ha dato notizia, è tuttora allo stato di progetto, che sarà ad ogni effetto esecutivo solo quando il governo centrale, forte del plebiscito di richieste, che stanno provenendo dai comuni della Valsesia, lo avranno tradotto in un provvedimento formale, per quel principio democratico che lo caratterizza. Intanto ogni iniziativa locale contrastante con l'attuale distinzione di competenza territoriale fra gli organi provinciali di Novara e di Vercelli deve essere evitata"15.

    La distinzione di competenza tra le due province, in realtà, continua ad essere tutt'altro che chiara; anche se formalmente si è dovuta fare una marcia indietro doverosa quanto ipocrita (si veda il citato decreto di annessione: non si tratta certo della formulazione di un'ipotesi progettuale), le pressioni e le ambiguità di fatto non cessano.
    Un dattiloscritto anonimo, intitolato "Osservazioni sul funzionamento del Cln di Varallo" e databile attorno alla seconda metà di maggio del 1945, disegna un quadro impietoso. Al punto 1 scrive: "Mancano direttive precise ed istruzioni dettagliate, non solo, ma anche regna confusione dal fatto che le sporadiche norme vengono date, e spesso contrastanti, sia da Vercelli che da Novara. A tali effetti, da quale Provincia si dipende?"; al punto 4 leggiamo: "La polizia, nonostante l'ordine che sia affidata ai carabinieri, è soggetta a eccessive interferenze da parte del Comando di presidio, che giudica, multa, vuole coartare il giudizio della Commissione di epurazione. Ha anche eseguito una fucilazione senza garanzia di giudizio e libera e trattiene prigionieri di sua iniziativa anche contro il parere della polizia"16.
    Il Comando del presidio, essendo una forza partigiana, dipende dal Comando zona militare Valsesia, con sede a Novara, cioè da Moscatelli, e non potrebbe certo effettuare funzioni di polizia che sono attribuite, tramite la stazione dei carabinieri, al Comando gruppo carabinieri ed alla Questura di Vercelli; le attività del presidio sono perciò un cuneo dei "novaresi" sugli affari di polizia della Valsesia, sulle procedure di epurazione, sul controllo della popolazione.
    L'invio a Varallo di quindici agenti di polizia da parte della Questura di Novara, in concorrenza con la stazione dei carabinieri, aumenta la confusione e la tensione al punto da costringere il Cln di Varallo a prendere una posizione più netta, con una comunicazione riservata del 19 maggio indirizzata al Cln di Vercelli, ai Cln comunali valsesiani, al Comando di polizia di Varallo ed al Comando di presidio di Varallo: "Questo Cln venuto a conoscenza dei deprecabili fatti successi al Comando di presidio, esprime la sua disapprovazione e li deplora. Codesto Comando non avendo tenuto conto delle precise disposizioni impartite si dovrà ritenere pienamente responsabile dei fatti avvenuti mentre questo Cln declina ogni responsabilità in merito. Si avverte che il Cln è l'organo rappresentativo del governo e che ogni iniziativa deve essere a lui sottoposta e da lui ordinata. Si diffida che chiunque non si attenga a quanto sopra sarà denunziato alle competenti autorità per le eventuali sanzioni. Il Cln avverte che, allo stato delle cose, la Valsesia continua per ora a far parte di fatto e di diritto della Provincia di Vercelli in attesa di superiori disposizioni. Ne consegue: 1) che per disposizioni avute dalla Prefettura di Vercelli, il comandante dei servizi di polizia è l'attuale comandante dei carabinieri; 2) che gli ordini provenienti dalle autorità di Novara o loro emissari, qualunque essi siano, non hanno validità per incompetenza di territorio; 3) debbono perciò essere inviati a Novara i quindici uomini della polizia qui pervenuti; 4) per disposizione della Prefettura di Vercelli deve essere d'urgenza inviato un elenco nominativo di tutte le persone arrestate, trattenute, o in campo di concentramento, oggi presenti: questo elenco deve essere mantenuto continuamente aggiornato; 5) la polizia per i criminali e la commissione di epurazione devono, con la massima sollecitudine, fare le relative istruttorie dei detenuti, e inviarle unitamente agli imputati alle autorità di Vercelli per essere giudicati dai soli organi competenti alla emissione del giudizio"17.
    Tre giorni dopo, il 21 maggio, il presidente del Cln di Varallo Zaquini solleva la questione in una lettera personale a Moscatelli: "Caro Cino, ritengo opportuno fornire qualche informazione circa la situazione attuale di questa zona. Polizia: c'è un po' di confusione creata dalla particolare situazione della Valsesia nei confronti delle due province. Mentre infatti Ballarani18 ha rapporti col Comando carabinieri di Vercelli, si è parlato di unificazione della polizia, da Novara ci è pervenuta una squadra di quindici uomini inviati dalla Questura di costì. A Varallo attualmente ci sono pertanto: carabinieri alle dipendenze di Ballarani, polizia politica di Marcodini dipendenti dalla Questura di Novara, guardie di finanza alle dipendenze di un brigadiere, inviate da Vercelli e che fino all'ultimo giorno sono state alle dipendenze dei comandi repubblicani, ed alla repubblica hanno prestato giuramento. Cln: anche per questo si ripete la situazione della polizia. Ordini e ispezioni da Novara, istruzioni e commissioni da Vercelli. Osservo (tra parentesi) che i signori di Vercelli sono comparsi quando l'organizzazione partigiana aveva già costituito il Cln in periodo di combattimento e di collaborazioni coi partigiani, e che ora pretenderebbero impartire ordini e direttive. D'altra parte si osserva che almeno finora l'approvvigionamento di alimentari è più facile ed abbondante facendo capo a Vercelli che non a Novara"19.
    Moscatelli si pronuncia il 22 maggio con una comunicazione riservata del Comando zona militare Valsesia diretta al Cln di Varallo, ai Cln della Valsesia, al Cln di Vercelli ed al Comando presidio di Varallo: "A mezzo del Comando presidio di Varallo, abbiamo presa visione del vostro foglio del 19/5/45. Non approviamo il contenuto della stessa, in quanto la Valsesia, sia per ragioni geografiche che per spontanea elezione della popolazione deve necessariamente dipendere dalla Provincia di Novara. Concordiamo sul fatto che il comandante dei carabinieri sia comandante dei servizi di polizia. Per quanto si riferisce ai quindici agenti di polizia inviati a Varallo è ovvio che debbano restare in quanto il servizio di carabinieri è insufficiente non solo a garantire l'ordine, ma anche a custodire i prigionieri civili e militari. Sono state date disposizioni affinché il nucleo di agenti prenda immediatamente contatto con il Comando dei carabinieri. Il Comando presidio partigiano di Varallo è stato sciolto"20.
    È una lettera che conferma il ruolo di Moscatelli quale sponda per la pretesa valsesiana di dipendere da Novara, e svela anche, più sottilmente, che gli ambienti maggiormente interessati a questo siano quelli partigiani. Il passaggio della Valsesia con Novara consentirebbe infatti loro di mantenere un rapporto, una copertura, una direzione da parte del loro glorioso comandante.
    Il 23 maggio 1945 il Cln di Varallo riassume lo stato delle cose, come risulta dal verbale della sua seduta: "In relazione poi all'appartenenza della Valsesia alla Provincia di Novara o di Vercelli, il Cln pur confermando che il desiderio della maggioranza della popolazione è quello di ritornare a far parte della circoscrizione di Novara, prende atto che, come appare dalle smentite pubblicate dalla stampa novarese, il decreto del prefetto di Novara relativo all'annessione della Valsesia, va considerato sospeso, e che, agli effetti alimentari ed amministrativi, la zona Valsesia dipende tuttora da Vercelli. Pure dalla Questura di Vercelli dipende il locale Comando dei carabinieri. Invece dal Comando zona Valsesia, con sede in Novara, dipendono finora: a) il Comando presidio militare locale; b) le eventuali formazioni di appartenenti al Cvl presenti in zona; c) la polizia partigiana (politica). In merito al presidio locale il Cln incarica la segreteria di esperire precise notizie in merito al suo scioglimento, per seguire i provvedimenti consequenziali. Il Cln esprime il desiderio che avvenga una unificazione delle polizie tutte, compresa la Finanza e la Guardia forestale, e si riserva di comunicare tale desiderio a chi di dovere"21.
    Che la volontà di rinserrare il legame con Novara provenga soprattutto dagli ambienti partigiani e comunisti lo si deduce anche dal riflesso che la disputa ha sulla vita politica del Pci e sulla sua articolazione territoriale. In questo senso è interessante una lettera, priva di firma ma attribuibile a membri comunisti del Cln provinciale vercellese, scritta per l'appunto da Vercelli il 26 maggio 1945 ed indirizzata alla segreteria del Pci di Vercelli e, per conoscenza, "al compagno Grassi del Pci di Torino": "La situazione che si va creando in questa Provincia è una delle più caotiche. Il Biellese non solo non collabora e non segue le direttive di questo Cln, ma invade anche l'ex circondario di Vercelli, spingendo i propri ispettori fino a Buronzo e pretendendo che i paesi da essi toccati non seguano le direttive date da questo Cln provinciale.
    La situazione, in Valsesia poi è ancora peggiore e malgrado la revoca da parte del prefetto di Novara del decreto di annessione di quella regione, Moscatelli impedisce a noi ogni contatto politico e di Cln con quella vallata che noi però continuiamo a rifornire regolarmente di alimenti. Unica ricchezza di quella vallata è il legname e noi del Cln provinciale fummo a Varallo ad una riunione di negozianti per fissare un prezzo equo di detta materia per provvedere in tempo al fabbisogno invernale delle città di pianura.
    È intervenuto un nostro compagno del Cln locale il quale ha sconsigliato i negozianti a rifornire Vercelli invitandoli a ricevere ordini solo da Moscatelli. Tutte le volte che abbiamo invitato a Varallo i Cln di base valsesiani ad una riunione per impartire direttive abbiamo trovato il Cln di Varallo chiuso a chiave ed i membri assenti. Mandati a chiamare ed interrogati essi, dopo reticenze più o meno lunghe, ci fecero capire che Moscatelli vuole così"22.
    Facciamo un po' d'ordine, e torniamo alle domande poste all'inizio del paragrafo. Quali sono les enjeux di tutta questa disputa? Quali gli scopi?
    Certo, il ritorno all'ordine prefascista, al periodo precedente la riforma del 1927, attraverso il ripristino di equilibri territoriali, economici, culturali sentiti come propri, come più naturali dalla popolazione, è una prima ragione da non sottovalutare. D'altra parte, lo vedremo più avanti, è la stessa che spinge alcune amministrazioni comunali a proporre il ripristino delle preesistenti municipalità accorpate ai centri maggiori, ed ora ridotte al ruolo di frazioni.
    Abbiamo detto all'inizio di come la Valsesia sia stata accorpata a Vercelli, staccandola da Novara, "contro natura". Ma vi sono probabilmente altre due ragioni più importanti ed immediate, alle quali abbiamo già avuto modo di accennare.
    La prima riguarda il controllo del territorio valsesiano da parte delle ex formazioni combattenti partigiane e comuniste. Collegarsi con Novara significa collegarsi con Moscatelli, tanto più se si considera la posizione privilegiata che la dimensione provinciale assume tanto nella struttura ciellenistica quanto nell'amministrazione alleata; significa, agli occhi dei partigiani, garantire il monopolio politico dei garibaldini, perpetuare il dettato ed i valori della lotta partigiana, promuoverne gli uomini, utilizzarla come strumento di penetrazione politica in una zona di radicate tradizioni moderate. Da questo punto di vista è eloquente la citata lettera al Pci di Vercelli: a Varallo, e più in generale in Valsesia, non si muove foglia senza l'assenso di Moscatelli, i Cln non collaborano in assenza di sue indicazioni, ed invitano la popolazione a fare altrettanto. In tal senso, la disputa relativa alla circoscrizione provinciale appare anche come il pretesto per non riconoscere, nei fatti, le autorità vercellesi, di qualunque natura esse siano, considerate completamente estranee non solo alla lotta di liberazione ed al partigianato in Valsesia, ma anche alla vita ed alla società locali; vengono insomma viste come elementi perturbatori di un equilibrio politico che fa perno sulla lotta partigiana e che, al centro, ha la figura ed il carisma di Moscatelli.
    Una seconda ragione, anch'essa già abbozzata, sta nella fondamentale percezione di alterità della Valsesia rispetto ai milieu circostanti. Proprio in quanto crocevia tra Novarese, Vercellese, Biellese, tra Piemonte vero e proprio ed una "piemontesità" quasi, per così dire, "lombarda", la Valsesia si autorappresenta come un caso a sé, come un mondo a parte, e come tale con un sentimento del diritto all'autogoverno confuso ma radicato.
    La partecipazione in prima fila alla lotta partigiana fornisce, agli occhi dei Cln, l'occasione e la legittimità per pretendere una qualche forma di autonomia rispetto a tutte le possibili opzioni circostanti, tanto da Novara quanto da Vercelli. Ecco che allora la rivendicazione dell'appartenenza alla Provincia di Novara diventa uno strumento di pressione, allo scopo di ottenere una sfera di autonomia locale che riconosca l'alterità della vallata; una tale richiesta autonomistica emerge in modo nettissimo dal dibattito che sulla stampa locale si svolge per tutta la durata delle giunte ciellenistiche, prospettando anche ipotesi decisamente sproporzionate.
    Scrive ad esempio il "Corriere Valsesiano" del 25 maggio 1945: "Secondo quanto si legge e si sente, sarebbe in progetto un profondo mutamento nello Stato, con la attuazione di un grande decentramento e la costituzione di autonomie regionali [...] Pare che nella creazione delle autonomie locali si dovrebbe seguire il criterio delle regioni [...] Le regioni sono una creazione piuttosto artificiosa, che non trova grande conferma nelle condizioni locali obiettive. D'altra parte, quanto diverse le condizioni delle varie parti del cosiddetto Piemonte! Di fronte a città popolatissime vi sono comuni come Claviere e Carcoforo con poco più di cento abitanti; grasse pianure come quelle della bassa e i magri pascoli della montagna; centri industriali e paesi agricoli e di emigrazione. È ragionevole supporre che assai difficile sarà conciliare gli interessi degli uni con quelli degli altri; e altrettanto facile pensare che le zone povere saranno come le Cenerentole della regione [...] Dobbiamo quindi desiderare che le ripartizioni regionali vengano fatte secondo altri criteri e più obiettivi, cioè secondo considerazioni di omogeneità nella loro costituzione [...] Abbiamo appreso che la Valle d'Aosta ha già prevista la costituzione di una organizzazione regionale, limitata alla valle [...] e abbiamo pensato che il problema si presenti anche per noi attuale e concreto. Infatti le condizioni geografiche ed etniche della nostra e di quella regione hanno molti punti di affinità, e le due regioni hanno comuni le tradizioni di una ultrasecolare e larga autonomia amministrativa. La Valle d'Aosta e la nostra valle, poi, non possono dirsi essere complementari di altre regioni; come neppure può sostenersi che la nostra valle abbia particolari ragioni, sia economiche che sentimentali, di attaccamento con altre regioni o città. Perché dunque non si potrebbe pensare attuabile anche per la nostra valle quello che si fa in Valle d'Aosta? [...] Non pochi né lievi sarebbero i vantaggi di poter sbrigare in loco tutte le pratiche amministrative e di vederle trattate da gente del luogo, largamente sensibile ai bisogni, e non da funzionari, il più delle volte estranei a noi, sovente ostili, di rado compiacenti e compresi delle nostre condizioni"23.
    Qualche numero dopo, lo stesso giornale insiste sullo stesso tema: "Ci sembra [...] opportuno considerare la possibilità di chiedere pure per la nostra valle lo stesso trattamento che viene fatto alla molto affine Valle d'Aosta. Dopo un lungo periodo di asservimento a un potere centrale o provinciale, dai quali ben poco ottenemmo, mentre molto abbiamo dato e molto più ci venne chiesto, la possibilità di muoverci e di provvedere noi ai nostri bisogni senza intervento di estranei, spesso incompetenti, il più delle volte male informati, ci parrebbe un vero risorgere alla vita"24.
    Dietro la pretesa fuori misura di una soluzione regionalistica per la Valsesia (con tutte le forzature che ne conseguono nel paragone con la Valle d'Aosta) si nasconde insomma l'eterno adagio delle genti di montagna, secondo il quale "[...] noi, abituati da secoli nella nostra povertà a risolvere da noi i nostri fastidi, male ci adattiamo ad essere incanalati, imbottigliati in correnti che non son nostre. Vogliamo vedere noi, discutere noi i nostri problemi"25.

    Si è detto più sopra che, oltre ad inviare lettere, richieste di ratifica, notificazioni varie ai due Cln provinciali, i Cln valsesiani ne inviavano una copia anche al Cln di Varallo. In effetti Varallo si pone, sin dai primi giorni, come una sorta di "Cln provinciale" di fatto: vaglia le altrui decisioni, le ratifica oppure le cassa, indaga e richiede informazioni ai fini dell'epurazione, dirige le operazioni di approvvigionamento e di ammasso, fornisce indicazioni politiche, emana ordini, direttive e circolari a tutti gli altri Cln comunali della valle, e questo senza avere, di diritto, nessuna posizione di preminenza riconosciuta26.
    I Cln minori accettano questo rapporto con naturalezza, non protestano e non vi si sottraggono, riconoscendo implicitamente l'autorità del Cln di Varallo come loro guida; è significativo però che nella documentazione relativa ai piccoli Cln non vi sia traccia della discussione relativa alla Provincia. In realtà la manovra è tesa ad instaurare, di fatto o di diritto, una sorta di piccolo Cln provinciale facente capo a Varallo, da sempre "capoluogo" della valle; un capoluogo, a dire il vero, avvertito nell'alta valle come più naturale, ma non per questo del tutto affine (dal punto di vista sociale, economico, culturale).
    Chi acquisterebbe davvero la preminenza sono i Cln dei comuni maggiori, quello di Varallo in primis e poi gli altri (Quarona, Borgosesia, Serravalle Sesia), in grado, per tradizione industriale, organizzazione politica ed importanza economica, di confrontarsi con esso su un piano di parità. Per i Cln dei comuni minori, invece, si tratta solo di scegliere a quale "capoluogo" essere soggetti, e naturalmente la scelta cade sul più prossimo e tradizionale.
    La manovra riesce. A partire da fine maggio-inizio giugno del 1945 il Cln di Varallo ottiene dal Cln provinciale di Vercelli lo status di Cln di zona, pur continuando, nello stesso tempo, a svolgere le funzioni di Cln comunale27. Ottiene anche la possibilità di trasformare la sua commissione comunale di epurazione in "Commissione provinciale di epurazione - sezione per la Valsesia". In questo modo viene formalizzata tanto l'autonomia decisionale ed operativa da Vercelli e da Novara quanto la preminenza del Cln varallese sugli altri Cln comunali della Valsesia; d'ora in poi, gli ordini che emaneranno da questo avranno un valore effettivo, in quanto provenienti da un Cln di livello superiore. A queste condizioni, si può anche accettare il permanere della valle sotto la giurisdizione vercellese.
    La discussione relativa alla collocazione provinciale della valle parrebbe chiudersi con l'intervento del segretario generale della giunta consultiva regionale del Cln regionale del Piemonte, il 20 giugno, che scrive al Cln provinciale di Novara: "La giunta regionale consultiva di governo richiama l'attenzione del Cln di Novara sull'inconveniente lamentato da diverse parti e concernente lo sconfinamento territoriale delle autorità novaresi nei confronti della Valsesia. Prega il Cln provinciale di Novara di voler intervenire presso le autorità dallo stesso dipendenti affinché vogliano mantenersi nei limiti delle loro funzioni senza esorbitarne ed evitando così di creare interferenze ed inconvenienti deprecabili"28.
    Qualche sacca di ambiguità continua a permanere. Il 14 luglio, al convegno di tutti i Cln comunali della Provincia di Novara, partecipano anche i delegati di Cln di Borgosesia e Quarona: quest'ultimo interviene anche nel dibattito29; al di là di questo episodio, si può dire che, con la costituzione del Cln di Varallo come Cln zonale, e poi con il progressivo indebolimento della prospettiva ciellenistica, la questione perde la sua importanza. L'ultima eco che se ne ha è dovuta ad una lettera inviata a "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" da un lettore che si firma "Uno scoffone"30, e pubblicata il 17 novembre 1945: "È bene che si sappia che tutti i valsesiani, fin dal primo giorno in cui la loro terra venne da colui che aveva 'sempre ragione' avulsa dalla vicina Novara, hanno fermamente desiderato, sperato e creduto di ritornarvi un giorno [...] Se da parte di qualcuno si nutrissero dubbi al riguardo, basterebbe indire una votazione fra tutti i valsesiani; il risultato - si può prevederlo fin d'ora senza tema di errare - si rivelerebbe semplicemente schiacciante"31.

    Prosegue, invece, il dibattito sulla posizione autonoma della valle e sulle successive rivendicazioni da sostenere; scrive Mario Penotti su "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" il 14 dicembre 1945: "Parliamoci chiaro, senza paura e senza maschera [...] Noi vogliamo l'autonomia della Valsesia. Lo reclama un diritto storico, lo reclama la configurazione geografica, lo reclama il bene di un popolo. E quando questo popolo sarà consenziente della vitalità di un tale programma, vana sarà ogni promessa adescatrice della pianura, vano sarà ogni sventolio di chimerici miraggi.
    Invano ci faranno obiezione che la nostra vallata non ha le risorse della Valle d'Aosta: pessimismo troppo interessato. Abbiamo fiorenti industrie, abbiamo ridenti colli, foreste e selve sterminate, pascoli promettenti. Niente paura quando questa autonomia racchiude lanifici, manifatture, cartiere, carbone bianco, industrie tessili, un turismo ancora vergine e da sfruttare. Noi chiediamo soltanto la collaborazione degli uomini di buona volontà, l'adesione di tutti i partiti politici, l'entusiasmo dei partigiani, lo spirito eroico dei reduci, la buona parola del clero, la forza dei comuni, l'aiuto materiale dei commercianti e degli industriali. E allora la grande ora potrà dirsi vicina"32.
    Retorica a parte, in questo periodo le velleità regionalistiche stanno lasciando il posto ad una più concreta richiesta di maggiore autonomia per i comuni rurali; in questo senso si dirige l'esposto che la neonata Unione valsesiana agricoltori indirizza al ministro degli Interni il 16 dicembre 1945, in cui si chiede il "ritorno di tutti i comuni rurali all'autonomia e ciò per disposizione di legge o in seguito a domanda di tutti i comuni che intendono liberarsi dal grande centro amministrativo, ovvero in subordine una modifica nella costituzione della consulta municipale, concedendo ai comuni rurali aggregati di proporre in seno alla stessa un loro rappresentante a difesa dei propri interessi"33.
    Il tema viene sviluppato sul piano economico qualche settimana dopo, in un articolo firmato da Ezio Perazzoli: "Occorre insistere sull'autonomia in vista anche di un grave fenomeno economico: lo spopolamento montano, che non vuol dire solo lo spopolamento dei comuni della montagna, ma anche delle frazioni dei comuni della bassa Valsesia [...] Perché comuni e frazioni si vanno spopolando? Perché al tenore di vita, ben diverso dall'antico, nessuno ha mai pensato di provvedere mutando di pari passo le condizioni ambientali [...] Ad allontanare la popolazione da codesti centri concorre pure il fatto che per la mancanza di strade, che proprio cocciutamente non si provvede a costruire per i comuni rurali, la vita rincara [...] Ora una reazione a questa spinta negativa viene appunto dall'autonomia comunale. L'amministrazione dovendo solo pensare a un Comune ne studia meglio e più intensamente le sue necessità e vi provvede, cosicché coll'autonomia più sicuramente si possono risolvere le questioni riguardanti specialmente la viabilità e le comunicazioni [...] L'autonomia comunale può imporsi per quel miglioramento economico che vuol dire benessere, che vuol dire risorgimento della nostra valle, e ciò senza dubbio potremo ottenere liberandoci dai grandi centri amministrativi"34.
    La prospettiva di una maggiore autonomia per i comuni montani è sicuramente pragmatica ed interessante, colpisce al cuore del problema molto più che non il sogno di una "Regione Valsesia", si riallaccia davvero ad una tradizione amministrativa radicata; essa però ormai si pone con un piede fuori dall'esperienza ciellenista in Valsesia, ormai quasi giunta al tramonto e per troppo tempo legata alla dimensione provinciale della questione.

    Il problema della legittimazione popolare

    Le tre ragioni della polemica intorno all'appartenenza provinciale della Valsesia vanno considerate in interconnessione reciproca, come diversi aspetti di un medesimo obiettivo: legittimare, agli occhi della popolazione, la preminenza ed il ruolo politico dei Cln e, all'interno di questi, dei partigiani garibaldini, come autentici rappresentanti delle istanze e dei bisogni locali, consacrati dalla guerra di liberazione, che a sua volta viene vista dai suoi partecipanti come un potente fattore di legittimazione politica. L'intreccio di questi temi è evidente, per esempio, nell'articolo intitolato "Valsesia nostra" e pubblicato dal "Corriere Valsesiano" il 19 maggio 1945, a commento del decreto di annessione a Novara: "Era tra i preferiti sistemi del defunto governo quello di emettere provvedimenti a getto continuo, anche se privi d'ogni ragione d'essere. I capi provincia dovevano pur far vedere a Roma che facevano qualche cosa, che si guadagnavano lo stipendio, e il sistema dei decreti divenne una vera mania. Di tale mania fu appunto vittima nel 1927 la Valsesia, che venne d'autorità, senza che in merito venissero minimamente interpellate le popolazioni interessate, distolta dalla giurisdizione provinciale di Novara ed accollata alla Provincia di Vercelli. Tutta la rete stradale e ferroviaria che collega la Valsesia ai centri maggiori indica chiaramente quali sono le direttrici del traffico tra montagna e pianura, ma queste erano per i prefettoni gallonati quisquilie di ben poca importanza.
    I garibaldini, che nella Valsesia eroica e partigiana hanno per diciannove mesi combattuto aspramente il nemico nazifascista, avendo vissuto a contatto intimo con il popolo valsesiano, ne conoscono a fondo le aspirazioni, e ad esaudire quella più viva ha immediatamente provveduto il loro capo rimettendo, come si dice, le cose a posto. Questo atto politico ed economico ad un tempo, innanzi tutto è inteso ad abrogare una disposizione fascista e poi tende a dimostrare che i garibaldini non dimenticano, come non dimenticheranno mai, quello che per loro ha sofferto e fatto la Valsesia. Nell'opera di ricostruzione già in atto, infatti, la Valsesia sarà tra le zone dove più attivamente si opererà a riedificare le case bruciate, le baite rase al suolo, poiché questo è un vero e proprio debito che i garibaldini hanno contratto con questa eroica regione, di cui tutti noi, oggi, ci sentiamo come figli. Per diciannove lunghi mesi i montanari della Valsesia hanno dato, senza recriminazioni, perché i garibaldini potessero vivere ed è giusto che oggi, nella vittoria raggiunta, i garibaldini ricordino e facciano quanto è in loro potere per dimostrare la loro profonda gratitudine al popolo valsesiano"35.
    Abbiamo detto come i Cln si propongano, in quanto formati dall'intero arco dei partiti antifascisti, come organi "rappresentanti di tutte le forze vive del Paese"36, "rappresentativi delle masse", che "cureranno e prepareranno lo sviluppo di un vero regime democratico e getteranno le basi del futuro sistema rappresentativo della nazione"37. A questo scopo, oltre alla rappresentanza partitica, i Cln di base debbono essere integrati dai rappresentanti delle "organizzazioni di massa" (Gruppo difesa della donna, Fronte della gioventù, Cvl, rappresentanti sindacali e contadini). Il collegamento con le varie realtà operanti nei comuni, poi, si dovrebbe completare con la costituzione di Cln di fabbrica e di Cln rionali o di frazione.
    Tutto questo è sufficiente a dare una legittimità effettiva, agli occhi della cittadinanza, ai nuovi organismi di governo? A conferire loro autorità? In contesti come quelli di una valle alpina come la Valsesia, certamente no. Se già nei comuni di maggiori dimensioni parlare di "masse" e di loro rappresentanza sembra decisamente esagerato, ci si può immaginare quanto poco questo termine significhi qualcosa nei piccoli centri dell'alta valle.
    Nei comuni minori, lo si è visto, già lo schema di rappresentanza partitica non funziona, e in molti di essi è necessario ricorrere a personale "senza partito" dotato di una qualche autorevolezza; la "rappresentanza delle masse" qui salta del tutto, per assenza delle masse stesse, e da questo punto di vista i relativi Cln comunali restano, nella maggior parte dei casi, a composizione incompleta. Nei centri più grandi, invece, la rappresentanza dei partiti è in grado di essere agevolmente espressa, ed anche quella delle "organizzazioni di massa".
    In un contesto in cui "la massa" è comunque un concetto troppo ampio, dato la scarso insediamento industriale e la scala comunque ridotta, c'è da domandarsi se ed attraverso quali altre vie i Cln cerchino una legittimazione popolare più diretta; per rispondere può essere utile esaminare come alcuni Cln, due di altrettanti centri maggiori (Varallo in modo particolare, e Serravalle Sesia) e cinque di piccoli comuni dell'alta valle (Campertogno, Rimasco, Scopello, Boccioleto e Riva Valdobbia), si comportano di fronte a crisi delle giunte comunali, e quali interventi vengono messi in atto per risolverle.

    Partiamo da Varallo. Il 26 luglio 1945 le commissioni interne delle fabbriche della città (manifattura Rotondi, manifattura Grober, fabbrica Stainer, officina Caramella) e centosessantaquattro persone sottoscrivono una lettera di dura polemica nei confronti delle autorità municipali, e la indirizzano al Cln comunale: "I sottoscritti, in rappresentanza della popolazione di Varallo, inoltrano a questo Cln il presente esposto. Dalle locali autorità per gli approvvigionamenti, era stato preso il provvedimento di distribuire per tre giorni alla settimana farina di polenta in sostituzione del pane. Da inchiesta eseguita da apposita commissione, composta di operai, è risultato che tale provvedimento non veniva rispettato dagli albergatori locali, poiché nelle giornate su accennate, si somministrava pane bianco a volontà. Da più precisi accertamenti eseguiti presso gli uffici della Sepral di Vercelli, risultava che tale provvedimento non era stato emanato dall'autorità provinciale, ma soltanto da quella locale per smaltire farina di polenta che si trovava in eccedenza, non per cause dipendenti da sproporzionata assegnazione, bensì da irregolare funzionamento del servizio approvvigionamenti, irregolarità maggiormente incompatibile poiché i responsabili sono loro stessi commercianti. La medesima commissione recatasi presso gli uffici del Monopolio, constatava che le mancate o ritardate assegnazioni erano dovute unicamente a negligenza dell'incaricato per gli approvvigionamenti, sig. Burla, il quale non si interessava a fare le richieste utili, o quanto meno a provvedere per il ritiro.
    Si fa presente che è da parecchi mesi che tutte le assegnazioni sono quanto mai irregolari. In considerazione di quanto sopra si esige che: 1) il sig. Angelino incaricato per gli approvvigionamenti, sia destituito da ogni carica pubblica, cariche maggiormente incompatibili per la sua qualità di commerciante; 2) il sig. Grassi, assessore comunale, membro del Cln, che virtualmente si accaparra cariche ed incarichi, dimostrando un arrivismo incompatibile con la sua capacità e qualità di partigiano, avendo dimostrato scarso senso di comprensione dei bisogni e necessità della popolazione che ama definirlo col titolo di 'Marsupiale', avendo dimostrato di essere completamente sprovvisto di senso di responsabilità poiché durante l'inchiesta per i sopraddetti argomenti banchettava in pubblico, sia destituito da tutte le cariche pubbliche; 3) il sig. Burla, incaricato per gli approvvigionamenti di generi di monopolio, venga ugualmente destituito per negligenza dovuta a disinteressamento causa lo scarso rendimento di tale appalto (questo da dichiarazione verbale dello stesso sig. Burla); 4) il sig. Pietro Grober venga destituito da qualsiasi carica pubblica per scarso senso sociale, per collaborazione coi nazifascisti coi quali ostentava in pubblico troppa amicizia, per scarso senso di decoro mostrandosi sovente in pubblico in stato di ubriachezza. Appellandosi ai principi di equità e di giustizia che devono caratterizzare ogni azione attuale, per far sì che non perduri l'impressione che le cariche pubbliche siano affidate ad elementi indegni o peggio profittatori, confidiamo che il presente esposto venga favorevolmente accolto onde evitare eventuali dimostrazioni o disordini da parte della popolazione e delle maestranze degli stabilimenti locali"38.
    Si tratta di parole forti, espresse da una parte della popolazione della quale l'amministrazione partigiana non può non tenere conto (le commissioni operaie), contro persone di primo piano della nuova municipalità e della vita economica e politica cittadina, ed investono in pieno l'intera giunta municipale.
    Quest'ultima, il 30 luglio, emette un comunicato col quale, dopo aver annotato che "il Cln, pur trasmettendo l'esposto, teneva a dichiarare che non intendeva scendere nel merito del suo contenuto", replica alle accuse: "La giunta municipale, mentre si riserva esplicitamente e formalmente di prendere in prossima riunione straordinaria tutti quei provvedimenti che sembreranno opportuni, ritiene necessario comunicare fin d'ora: 1) che i sigg. Angelino e Burla non rivestono alcuna carica pubblica, ma esercitano semplicemente un servizio di pubblica utilità; 2) che essi hanno dichiarato che provvederanno nel senso e nel modo da loro meglio visto, alla dimostrazione della infondatezza dei rilievi mossi a loro carico, ed alla tutela della loro onorabilità; 3) che nei loro confronti il Comune, in base a quanto gli consta, non ritiene di dover fare proprie le osservazioni contenute nell'esposto; 4) che in particolare, la decisione relativa alle distribuzioni di farina da polenta era imposta dalle assegnazioni avute per il mese di luglio e dall'imprevedibilità ed imprevisto mancato assorbimento della farina da polenta da parte del consumo, mentre non era nella facoltà della ditta distributrice l'ammettere al consumo la farina da pane assegnata per l'agosto e l'ottenere assegnazione suppletiva di farina bianca; 5) che l'assessore supplente Pietro Grober, avuto sentore della elaborazione dell'esposto in parola, aveva in precedenza comunicato al sindaco le sue dimissioni con lettera"39.
    È una difesa su tutta la linea delle persone attaccate dall'esposto. Il comunicato si chiude con un accenno polemico nei confronti del Cln comunale: "La giunta, che è stata nominata a suo tempo dall'autorità prefettizia su designazione del Cln dal quale ha derivato i suoi poteri, terrà conto, nelle sue ulteriori decisioni, del fatto che l'esposto in questione è stato raccolto e trasmesso dal Cln, legittima espressione della volontà popolare; anche se il Cln stesso, venendo meno a quanto dovrebbe essere una sua precisa incombenza, si è risparmiato l'esame ed il vaglio delle cose, ha preferito evitare di pronunciarsi in materia e si è accontentato di fungere da semplice intermediario"40.
    L'obiezione è, a dir poco, fondata. Il Cln è o non è il tramite del popolo verso l'amministrazione? La giunta comunale non deve a lui la sua designazione, la sua legittimità, il suo valore democratico? Come è possibile dunque, si domandano i membri della giunta, che un esposto di questo tipo venga semplicemente girato loro dal Cln, come se la cosa non lo riguardasse direttamente, come se non tirasse in causa proprio i fondamenti dell'esistenza e delle funzioni del Cln stesso?
    Di fronte al perdurante e pilatesco silenzio del Cln comunale (neppure dai suoi verbali di riunione e dalla stampa risulta una sua presa di posizione in proposito41), alla giunta non resta che rassegnare le dimissioni, il 4 agosto 1945, come risulta dal relativo verbale: "Gli assessori presenti [...] ritenuto che l'esposto presentato da alcune commissioni di fabbrica e da alcuni cittadini, quasi tutti operai, pervenne ad opera del Cln, che questa giunta considera quale legittima espressione della volontà popolare; ritenuto che con tale esposto si pone in dubbio la capacità e la rettitudine di alcuni assessori comunali e dell'insieme dell'organizzazione preposta alla civica amministrazione ed agli approvvigionamenti alimentari; mentre respingono perentoriamente e deplorano la formulazione imprecisa e non documentata delle gratuite accuse; ritengono che sia preciso compito del Cln di entrare nel merito dell'esposto e di trarne e formularne la conclusione, anziché limitarsi, come ha fatto, ad agire da semplice intermediario; deliberano di rassegnare collettivamente nelle mani del sindaco le loro dimissioni da assessori comunali di Varallo"42.
    Di fronte al precipitare della situazione, il Cln si pronuncia e si giustifica il giorno successivo, 5 agosto, riunendosi in seduta straordinaria. Ecco un estratto del relativo verbale: "Il memoriale esaminato dai componenti del Cln in effetti non venne discusso, in quanto le commissioni di fabbrica insistettero perché fosse presentato alla giunta immediatamente. Fu osservato da alcuni membri del Cln [...] che detto memoriale era nella forma e nella sostanza alquanto spinto in relazione alle accuse mosse ad alcuni membri della giunta. Era intendimento che detto memoriale benché presentato alla giunta avrebbe dovuto formare oggetto di discussione sia in sede di giunta che in sede di Cln avanti di darne pubblicità. E dacchè la giunta nella sua seduta straordinaria del 4 corr. ha rimesso il memoriale al Cln per la sua disamina, si inizia senz'altro il suo esame per darne parere conclusivo. 1) In merito alla distribuzione disposta dalla giunta di farina di granoturco in luogo di pane per la durata di giorni tre consecutivi (il che ha dato luogo a lamentele da parte della popolazione con manifestazioni avanti al palazzo municipale, non del tutto ingiustificate, sia perché la razione di farina di granoturco era di soli 80 grammi in luogo di grammi 100 - del che però, da indagini esperite non si può far colpa al distributore che ha dovuto attenersi a disposizioni superiori - sia anche perché la distribuzione di farina di granoturco per la durata di tre giorni consecutivi avrebbe dovuto effettuarsi in modo alternato tanto da non portare nocumento alla sufficiente nutrizione della popolazione) si osserva che non sussistono accuse di particolare rilievo. Un membro del Cln spiega che venne effettuata un'inchiesta a Vercelli presso la Sepral. Questa, mentre ai richiedenti esponeva che da parte del signor Angelino non era stata fatta una richiesta superiore di farina di grano (mentre detto ente era disposto a dare quanto l'assessore agli approvvigionamenti avrebbe domandato come maggiore assegnazione) interpellata dal signor Angelino ha dato una diversa spiegazione.
    Si osserva tuttavia che esisteva una sproporzione fra i quantitativi di farina di granoturco e quella di frumento in distribuzione e che anzi avrebbe dovuto esserci un maggior controllo ed una migliore regolamentazione nella distribuzione di farina di frumento e di farina di granoturco. Pertanto nei confronti del rag. Angelino Secondo, si ritiene non sussista alcuna effettiva colpevolezza, ma soltanto una lieve leggerezza nei controlli di distribuzione di farina. Si rileva pure che il signor Angelino non riveste alcuna carica pubblica. 2) In merito alle accuse mosse al signor Grassi Ezio si fa presente che non esistono elementi seri che possano intaccare in qualsiasi modo la sua onorabilità ed anche la sua incompatibilità nella sua qualità di partigiano. A queste conclusioni il rappresentante del Pc oppone il suo dissenso per alcuni atteggiamenti del signor Grassi, antipopolari, assunti sia con articoli sul giornale locale, sia con risposte mal date alle commissioni di fabbrica43. 3) In merito all'operato del signor Aldo Burla, si dà atto che non esistono in effetti elementi di accusa per negligenza e disinteressamento, e si riserva di rimettersi al giudizio, da rendere di pubblica ragione, che sarà dato dal suo ispettorato. 4) In merito al signor Grober Pietro, ed alle accuse che gli si sono mosse, sentito l'interessato e da informazioni di indubbia fede partigiana il Cln ritiene assolutamente infondate le accuse mosse al detto signor Grober. Si esclude nel modo più assoluto che le persone di cui sopra si possano comunque tacciare di profittatori e di disonesti, e si insiste anzi nel rilevare che trattasi di persone degne della massima considerazione"44.
    Con questa posizione tutto sommato mediana, il Cln varallese riesce a trarsi d'impaccio da una situazione potenzialmente rischiosa: se infatti si fosse schierato a totale difesa dell'operato della giunta contro il parere delle commissioni di fabbrica, avrebbe perso il suo connotato di tramite della volontà del popolo e delle masse, o quantomeno lo avrebbero perso i suoi componenti, che avrebbero dovuto seguire la giunta nelle sue dimissioni; d'altra parte era ormai troppo tardi per sposare appieno le tesi delle commissioni di fabbrica, di cui inizialmente il Cln è stato solo un tramite notarile verso l'amministrazione comunale. Anche in quest'ipotesi, insomma, avrebbe dimostrato la sua inefficienza quale cinghia di trasmissione e filtro delle istanze popolari. Saggiamente, dal suo punto di vista, il Cln di Varallo sceglie invece di comprendere e giustificare le ragioni del diffuso malcontento, e nello stesso tempo evita di polemizzare apertamente con l'amministrazione e di attribuirle la responsabilità delle inefficienze oltre un certo limite; gli strali che le commissioni di fabbrica avevano indirizzato verso l'onestà personale di alcuni componenti della giunta sono formalmente respinti.
    In questo modo il Cln cittadino mantiene la sua posizione originaria, senza rimanere impigliato in una crisi che avrebbe potuto riguardare anch'esso, una volta "scavalcato" dalle commissioni di fabbrica; può allora riprendere il suo ruolo di legittimazione democratica dell'amministrazione comunale. Il 7 agosto il sindaco di Varallo invita il Cln "a proporre [...] con tutta urgenza i nomi dei quattro assessori effettivi e dei due assessori supplenti da comunicare al prefetto per sostituire i dimissionari"45.
    L'ultima presa di posizione del Cln varallese sulla vicenda è del 9 agosto, e viene resa pubblica con l'invio ai giornali locali di un comunicato intitolato "Fine di una polemica": "Il Cln [...] mentre invita la popolazione a far opera di collaborazione evitando dannose polemiche e questioni di carattere personale, ritiene esaurite le indagini in merito alle accuse formulate dalle commissioni di fabbrica, colle seguenti conclusioni: si esclude nel modo più assoluto che i signori Angelino Secondo, Grober Pietro, Grassi Ezio, Burla Aldo, si possano tacciare di profittatori e disonesti e si rileva anzi trattarsi di persone della massima considerazione. Nella fattispecie a carico del rag. Angelino Secondo non sussiste alcuna effettiva colpevolezza per quanto riguarda la distribuzione della farina di granoturco; a carico del signor Grassi Ezio non esistono elementi che possano intaccare in qualsiasi modo la sua onorabilità di cittadino e di partigiano; che quanto riguarda il signor Grober Pietro è risultato essere stato fattivo collaboratore del movimento partigiano dal suo sorgere e fino alla Liberazione; ed infine che, da comunicazioni ricevute da questo Cln anche dal suo ispettore compartimentale, si deve escludere che il signor Burla Aldo abbia comunque operato con negligenza e disinteressamento nella condotta del suo ufficio. Il Cln si è riservato di indicare i nominativi per la formazione della nuova giunta"46.
    L'onorabilità delle persone coinvolte nella polemica sarà anche fatta salva, ma ciò non toglie che il Cln si guarda bene dal riproporre i nominativi dei due assessori uscenti "sfiduciati" dalle commissioni operaie, che vengono infatti sostituiti (come risulta dal decreto di nomina della nuova giunta municipale emanato dal prefetto di Vercelli il 22 agosto 1945)47; le commissioni di fabbrica, in qualche modo, l'hanno spuntata ed il Cln non ha potuto far altro che prenderne atto, pena la sua delegittimazione.
    Commenta la "Gazzetta della Valsesia": "Ci si chiede: perché il Cln, quello stesso che ha rivolto parole di giustificazione e di lode agli assessori, ora ha fatta sua la protesta presentata dagli operai? E si riserva poi di indicare i nominativi per la formazione della nuova giunta? Se la giunta è pienamente giustificata, perché non sono state respinte le dimissioni degli assessori? Frattanto il popolo, il vero popolo, anche quello che non ha apertamente protestato, ha avuto un pane né migliore né più abbondante: ha soltanto constatato amaramente che il prezzo del pane è aumentato a lire 17,50 al chilogrammo. Però al popolo è sempre data la possibilità di... ballare. E questo vi par poco?"48.
    Questa vicenda fa evidentemente riflettere i componenti del Comitato di liberazione di Varallo se negli stessi giorni, il 22 agosto, in un esposto inviato alla segreteria degli ispettori del Cln provinciale in vista di un convegno dei Cln della provincia, scrivono: "[...] questo Cln ha sempre ascoltati i suggerimenti della popolazione venendole incontro con ogni sua possibilità [...] Ma fa presente che la sua opera di convinzione non è più sufficiente: gli sono necessari ampi poteri che siano tutelati dalla legge"49. Una richiesta che, dato il contesto più generale di esautoramento dell'esperienza dei Cln, appare a dir poco velleitaria.

    A Varallo il Cln riesce a mantenere dunque più o meno intatto il suo ruolo politico, pur messo parzialmente in mora dall'intervento delle commissioni di fabbrica, e a salvare la forma procedurale della designazione della giunta municipale sotto la propria competenza.
    Nei piccoli centri dell'alta valle, data l'assenza di "organizzazioni di massa" di qualsivoglia genere e le dimensioni ridotte, non c'è molto spazio per una funzione di filtro o di mediazione tra la funzione amministrativa vera e propria e la funzione di indirizzo politico; spesso, in questi comuni, la sovrapposizione di cariche tra appartenenti ai Cln e membri delle giunte è massiccia. Le disposizioni della fine dell'estate del 1945, stabilendo con maggior forza la separazione tra questi due organi, tra le loro rispettive sfere di competenza ed il loro personale, mettono spesso in crisi tanto gli uni quanto gli altri. Come ovviare a questi problemi rinnovando le amministrazioni civiche in modo che siano investite da una effettiva legittimazione popolare?
    Il 20 settembre 1945 un membro del Cln comunale di Campertogno, Adriano Grosso, scrive al Cln di Varallo una lettera con oggetto "Riordinamento del Cln locale": "Porto a conoscenza di codesto Cln di Varallo quale centro di zona quanto segue: 1) il Cln locale attualmente è così composto: a) dallo scrivente solo regolare rappresentante del partito della Democrazia Cristiana con autorizzazione del suo partito; b) da due altri membri che si dicono apolitici; 2) in data 19/9/1945 lo scrivente ha messo al corrente il Cln provinciale di questo stato di cose e ha avuto l'incarico di mettersi in contatto con codesto centro di zona affinché si provveda al riordinamento e alla messa in efficienza di questo Cln; 3) da quello saputo a Vercelli, un membro del Cln non può fare parte contemporaneamente del Cln e della giunta comunale. Qui a Campertogno simile caso si presenta; 4) il Cln locale non si occupa di nessun interesse del Comune, i due membri del Cln avendo prima della nomina del rappresentante della Democrazia Cristiana affidato ogni attività alla giunta comunale e per tale motivo, il Cln locale non esisteva; 5) lo scrivente fa presente di aver fatto esposto della situazione al membro del Cln di Varallo signor Giuseppe Rastelli, il quale potrà riferire in merito, a meno che sia necessaria la mia venuta in Varallo onde dare maggiori schiarimenti; 6) detto riordinamento ha carattere di urgenza dato che fra giorni l'attuale sindaco (apolitico e per altre ragioni) verrà sostituito e che per tale motivo è bene necessaria la riattività del Cln; 7) è bene segnalare che la giunta comunale di Campertogno è composta attualmente oltre che tutti i suoi membri sono apolitici che tre di loro sono vicini parenti col sindaco (cognati). Gradirò dunque un vero interessamento di codesto centro di zona onde poter riferire al Comitato provinciale e comunicare la formazione del Cln riordinato"50.
    Al di là delle imprecisioni storiche oltre che grammaticali (il Cln di Campertogno esisteva già dai primi di maggio, come risulta dal prospetto della composizione dei Cln comunali51), quello citato è un documento di un certo interesse, perché ci dà conto del tentativo di riordinare e di "politicizzare" maggiormente i Cln locali dei piccoli centri, nel momento in cui la loro funzione si deve a tutti gli effetti pratici ridursi a quella di organi consultivi; l'unica possibilità che in un tale frangente i Cln dell'alta valle possano avere ancora un qualche senso sta proprio nella loro valenza politica; in assenza di questa, sprofonderebbero nelle dispute personali.
    Il Cln di zona invia un ispettore a Campertogno, ed il 28 settembre scrive a quel Cln comunale: "La recente visita del nostro ispettore ha dato esito discreto. Sono emerse le seguenti irregolarità che tuttavia riteniamo doversi soltanto alla mancanza di correnti politiche: 1) il Cln essendo organo prettamente politico deve esser composto dai rappresentanti dei vari partiti; 2) il Cln deve assistere nelle loro funzioni il sindaco e la giunta. È consigliabile la non appartenenza dei membri del Cln alla giunta. Tenuto conto però delle difficoltà incontrate da codesto Cln, si giustifica la contemporaneità degli incarichi. Si approva e anzi si consiglia la elezione popolare dei nuovi componenti della giunta. Naturalmente il Cln deve interessarsi sulla regolarità delle eventuali elezioni di amministrazione"52.
    Di questa ispezione il Cln di zona dà conto anche al Cln provinciale il 29 settembre: "Il Cln di Campertogno composto di tre elementi di cui uno democristiano e due apolitici si trovava in difficoltà per incomprensione e motivi personali. Il nostro ispettore è riuscito ad appianare le divergenze. Poiché l'attuale sindaco di Campertogno dovrà essere sostituito e la giunta rifatta si è proposta ed è stata accettata la nomina dei nuovi amministratori, per elezioni popolari. Il Cln di Campertogno si rende garante della regolarità dell'avvenimento politico"53.

    Ecco la parola che ha aleggiato tanto a lungo senza essere mai pronunciata: elezioni. A dire il vero la possibilità di procedere alla nomina delle giunte comunali tramite consultazione popolare diretta era già stata prevista in passato.
    Il già citato opuscoletto "Comitati di liberazione nazionale e giunte popolari - Una guida per i militanti del Movimento di liberazione nazionale", a cura del Comando generale delle brigate d'assalto "Garibaldi", risalente al periodo clandestino, recita: "[...] la giunta [...] dovrà essere sempre costituita secondo i criteri di rappresentanza democratica [...], in corrispondenza alla effettiva composizione sociale e politica della popolazione del Comune. Ovunque ciò sia possibile, d'altronde, per la costituzione della giunta popolare di amministrazione si procederà per via di una diretta consultazione ed elezione popolare, esista o non esista sul luogo un Cln. Ciò è spesso e immediatamente possibile - una esperienza ormai larga lo prova - specie nei comuni minori In tal caso il Cln, quando esista, avrà il compito di promuovere, di dirigere e di controllare nei suoi risultati la consultazione popolare"54. È da rilevare che, secondo questo opuscolo, in tale prospettiva la presenza di un Cln diventa solo eventuale.
    Una circolare a tutti i Cln provinciali, periferici e di base della segreteria del Cln regionale piemontese, anch'esso già citato e anch'esso risalente al periodo clandestino, dice, allo stesso modo: "Per quanto riguarda l'integrazione del Cln comunale in giunta, e la convocazione dell'assemblea comunale popolare a liberazione avvenuta, in ogni luogo ove ciò sia possibile bisognerà che il Cln comunale convochi tutte le forze ed i ceti del paese per arrivare ad una consultazione democratica che pur nelle forme rudimentali in cui sarà attuata potrà garantire che sindaci, giunta ed assemblea siano veramente l'espressione della volontà democratica del Comune. Questo è possibile nei comuni minori; per i comuni maggiori dove è impossibile la consultazione diretta della popolazione, saranno i vari Cln periferici e di base, le associazioni delle varie categorie professionali, dei vari interessi, gli organismi di massa, le associazioni resistenziali, ecc. che dovranno, nel modo più democratico possibile, esprimere le forze rappresentative per la costituzione dell'assemblea comunale popolare"55. In Valsesia, almeno fino al settembre 1945, si è sempre optato per questa seconda strada, pur con tutte le difficoltà e le lacune che presenta tanto nei comuni più grandi quanto, e soprattutto, in quelli più piccoli.

    Non abbiamo trovato documenti che ci raccontino minuziosamente come, nel concreto, si sia svolta la consultazione popolare in quel di Campertogno. Sappiamo solo quel che ci dice una lettera inviata il 7 ottobre da quel Cln comunale al Cln provinciale di Vercelli ed al Cln di zona di Varallo: "[...] si comunica che riunito il Comitato al completo si è proceduto alla designazione del nuovo sindaco nella persona del sign. Mazza avvocato Luigi fu Carlo nato a Casale Monferrato il 25 ottobre 1877 ora qui abitante. Riuniti i capifamiglia del paese alla proposta di nominare sindaco il sign. Mazza tutti, nessuno eccettuato, approvarono la nomina"56. Quindi, una procedura in due tempi: una designazione da parte del Cln ed una ratifica non da parte di tutti gli abitanti, ma da parte dei soli capifamiglia.
    Il ricorso ai capifamiglia si riscontra anche nel Comune di Rimasco nel novembre del 1945. Di questa elezione abbiamo un verbale dettagliato, che riportiamo integralmente per il suo grande interesse: "Verbale di nomina del nuovo sindaco e della giunta comunale di Rimasco. Con uno spirito prettamente democratico ed al fine di lasciare al popolo, divenuto ormai padrone dopo un ventennio di forzato silenzio di manifestare la propria volontà, le libere scelte dei suoi amministratori, si è proceduto oggi 18 novembre 1945 in Rimasco ad un rinnovamento generale dei membri della giunta comunale e del sindaco finora in carica e dimissionari. Si è pensato quindi di mettere per tale scopo in opera il sistema delle libere elezioni, distribuendo ad ogni capo famiglia una scheda nella quale dovevano essere scritti cinque nomi di propria scelta da proporsi per il nuovo sindaco, due assessori effettivi e due assessori supplenti costituenti la giunta comunale.
    Distribuite le schede e fissate le modalità per la loro compilazione e la consegna in busta chiusa al segretario comunale entro oggi domenica 18 corrente alle ore 12 in municipio, dette schede vennero introdotte in apposita urna onde procedere al successivo spoglio e formare, secondo la graduatoria scalare, la serie dei cinque nominativi risultanti dalle votazioni popolari.
    Alle ore 14 dello stesso giorno, nello stesso locale del municipio ed alla presenza dei seguenti signori: Martire Umberto fu Delfino, sindaco dimissionario; Pensa Ettore fu Bartolomeo, rappresentante del Cln locale; Pugnetti Giovanni fu Bartolomeo, rappresentante del Cln locale; Antonietti Giulio fu Giuseppe, residente in Rimasco centro, testimonio; Bettoni Amedeo fu Agostino, residente in Rimasco centro, testimonio; Scalvini Antonio di Giovanni, residente in Rimasco centro, testimonio; Ragozzi Benito fu Carlo, residente in Ferrate fraz. Rimasco, testimonio; Ragozzi Cesare di nn, residente in Ferrate fraz. Rimasco, testimonio; De Ambrogi geom. Orazio, segretario comunale di Rimasco; si è dissigillata l'urna e si è iniziato lo spoglio delle schede presentate. Il segretario comunale apre ad una ad una le buste, legge ad alta voce i nominativi in esse scritti, ne prende man mano annotazione e le fa girare per la verifica a tutti i presenti. Al termine dello spoglio di tutte le schede presentate, l'esito delle votazioni risultante è il seguente: signor Martire Umberto fu Delfino voti 78; signor Ragozzi Gerolamo fu Giuseppe voti 48; signor Ragozzi Renato fu Carlo voti 29; signor Bettoni Amedeo fu Agostino voti 26; signor Preti Romeo fu Lorenzo voti 22.
    Per cui la nuova amministrazione comunale di Rimasco a datare dal giorno 18 novembre 1945 viene così formata: signor Martire Umberto fu Delfino - sindaco; signor Ragozzi Gerolamo fu Giuseppe - 1o assessore e vice sindaco; signor Ragozzi Renato fu Carlo - 2o assessore effettivo; signor Bettoni Amedeo fu Agostino - 1o assessore supplente; Signor Preti Romeo fu Lorenzo - 2o assessore supplente. Dopo solenne promessa davanti ai presenti rappresentanti la volontà di tutto il popolo di Rimasco, di reggere le sorti del Comune con attività, impegno ed entusiasmo, cercando di conservare quanto è stato conquistato di libertà e giustizia, il presente verbale, dopo lettura, viene da tutti sottoscritto, e trasmesso per la debita approvazione alle competenti autorità superiori. Letto, firmato e sottoscritto" (seguono le firme di tutti i presenti)57.
    Si presti attenzione a tre particolari: in primo luogo, all'apparente assenza di una precedente designazione da parte del Cln, o di qualsivoglia intervento da parte di questo; in secondo luogo, al fatto che risulta essere eletto il sindaco uscente e dimissionario; infine, al fatto che ai capifamiglia sia consentito di portarsi la scheda elettorale a casa per poi riconsegnarla entro le 12 in municipio, in modo che possano, se lo vogliono, discutere comodamente la scelta con le proprie famiglie.

    "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" del 21 dicembre 1945 riporta la seguente notizia: "In seguito a dissensi che non furono potuti sanare, la giunta comunale nominata dal Cln si è dimessa, e domenica 16 corr. - seguendo l'esempio delle elezioni fatte circa un mese fa a Rimasco con spirito prettamente democratico - tutti i capifamiglia di Scopello sono stati invitati a procedere, con votazione segreta, alla libera designazione dei nuovi amministratori. Il sistema è stato trovato rispondente all'idea di tutti, e si può dire che quasi l'assoluta maggioranza dei capifamiglia si è presentata in municipio a portare la sua scheda con scritti cinque nomi a sua scelta. Dallo spoglio delle schede e in base alla graduatoria dei voti, la nuova giunta comunale è stata così composta: sindaco Comola Enrico; vicesindaco Dazza Giuseppe; assessori Cottura Carlo, Viotti Giovanni e Ferrari Ernani"58.
    Non sempre ci si trova di fronte a tutta questa esibita concordia; a Boccioleto gli amministratori comunali si oppongono alla procedura di elezione tramite consultazione dei capifamiglia, giudicandola illegittima, e rivendicano quale unica forma legittima di designazione la nomina prefettizia e alleata. Leggiamo su "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" del 4 gennaio 1946: "Affisso qui e a Fervento, tutti hanno potuto leggere il seguente manifesto: 'Il Cln di Boccioleto, sicuro interprete della volontà della popolazione, chiede che la giunta comunale che regge le sorti del paese sia rinnovata e venga nominata col sistema democratico della designazione fatta dai capifamiglia'. Anche noi dunque siamo in piena crisi [...] e di essa se ne è avuta un'eco anche nel recente congresso provinciale socialista di Vercelli, nel quale furono precisate le ragioni della crisi e la necessità che la giunta venga cambiata e nominata (come già fatto a Rimasco e a Scopello) col sistema democratico della scelta fatta liberamente dai capifamiglia. È ciò che avverrà, e sembra che le elezioni verranno fatte il 13 gennaio"59.
    In realtà il 13 gennaio non si tiene alcuna elezione, ed il 15 gennaio 1946 un membro di quel Cln scrive al prefetto di Vercelli, al Cln provinciale di Vercelli ed al sindaco di Boccioleto: "Il sottoscritto Robinschon Enrico fu Gottardo, residente a Boccioleto, rappresentante nel Cln di cotesto comune del Partito socialista u. p. espone: per ragioni di varia natura, e in particolare per metodi di accentramento di autorità, e per attività invisa alla popolazione, in quanto antidemocratica, gran parte dei cittadini di Boccioleto, ed in ogni caso la maggioranza di essi, hanno manifestato individualmente ed in pubbliche riunioni delle gravi lamentele nei confronti delle autorità comunali e particolarmente del sindaco e del vice sindaco per cui il Cln locale, come portavoce dell'opinione pubblica aveva fatto voti, e manifestato l'intenzione a che fosse proceduto, mediante libere elezioni da parte dei padri di famiglia, alla nuova giunta comunale, ed alla designazione del sindaco e vice sindaco. In tal senso il Cln aveva formulato una mozione, e aveva predisposto per l'esecuzione di questo appello elettorale. Per contro mentre la giunta era propensa alle dimissioni per la sua ricostituzione su basi democratiche, sindaco e vice sindaco si sono opposti a tale designazione da parte del popolo di Boccioleto, adducendo che solo il prefetto aveva i poteri per sostituirli con altri cittadini del luogo. Di fronte a tale opposizione che denota in queste autorità ancora una mentalità residuata dal fascismo, il Cln nella sua grande maggioranza ha assegnato le dimissioni, e alle medesime il sottoscritto si associa in segno di protesta contro l'atteggiamento antidemocratico delle sunnominate autorità locali. Nel contempo formula precisa richiesta affinché vengano presi i provvedimenti del caso a tutela e salvaguardia degli interessi e della volontà della grande maggioranza della popolazione di Boccioleto"60.
    Una piccola nota di precauzione: con l'avvicinarsi della tornata elettorale amministrativa del 1946 diventa più difficile capire, in mancanza di una documentazione dettagliata, dove le dispute derivino da difficoltà politiche locali effettive e dove invece siano uno strumento di campagna elettorale.
    Infine, abbiamo anche un esempio inverso a quelli visti, di una sorta di "mozione di sfiducia". A Riva Valdobbia, alla fine di febbraio, il sindaco ha fatto sospendere la vendita del pane ai terrieri della val Vogna perché si sono astenuti dal prestare la loro opera per la spalatura della neve; agli stessi viene anche intimato di versare 200 lire ciascuno perché alla spalatura si possa procedere diversamente. Ne nasce un dissidio con la popolazione e col Cln di zona61, che pare sfociare in una consultazione contro la giunta, come sembra di poter dedurre da una lettera scritta il 2 febbraio 1946 dal prefetto di Vercelli al presidente del Cln provinciale: "Il sindaco e la giunta comunale di Riva Valdobbia hanno presentato le dimissioni, in seguito ad un voto di sfiducia sul loro operato, emesso da una parte della popolazione del Comune. Dovendosi procedere alla sostituzione dei dimissionari, pregherei la s. v. ill.ma di interessare il Cln del posto, affinché avanzi nuove candidature; salvo che, vagliate le tendenze locali e la genesi del voto (che sembrerebbe essere stato promosso dall'ex sindaco Jachetti Michele) non appaia più conveniente mantenere l'attuale amministrazione, facendo pressioni in tal senso sui titolari in carica"62.

    Nei comuni maggiori della valle continua invece ad essere utilizzato il metodo consueto di nomina attraverso il Cln ed i suoi partiti. A Serravalle Sesia, il 19 febbraio 1946, a seguito delle dimissioni dei membri socialisti della giunta, il sindaco comunista si dimette anch'esso, comunicandolo al Cln ed al proprio partito. Il Pci, a sua volta, il 25 gennaio conferma al presidente del Cln le avvenute dimissioni del primo cittadino. Per le nuove nomine, il Cln comunale invita le sezioni dei partiti antifascisti presenti nel suo territorio (comunista, socialista, democristiana, azionista) a designare cinque persone ciascuna per ricostituire il consiglio comunale. Queste venti persone, radunate presso la sede del Cln serravallese, provvederanno il 31 gennaio a nominare la nuova giunta comunale63.
    Un'annotazione che riguarda il Comune di Varallo: abbiamo detto come, alla fine degli anni venti, ad esso siano stati accorpati numerosi comuni circostanti, che si ridussero quindi al ruolo di sue frazioni. Si tratta di comunità sparse sulle pendici circostanti, in tutto e per tutto simili, quanto a economia, struttura sociale e dimensione, ai paesi dell'alta valle, con un forte senso di identità e di appartenenza che la riforma fascista non è riuscita a sradicare, ed è presente ancora oggi. È naturale che, dopo la caduta del regime, emerga in esse la richiesta di riacquistare il proprio status amministrativo, come è naturale che il loro modo di esprimersi politicamente sia lo stesso degli altri piccoli centri di cui abbiamo parlato.
    "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" pubblica, il 21 dicembre 1945, questa notizia: "Domenica 16 dicembre i capifamiglia degli undici ex comuni aggregati (Camasco, Cervarolo, Civiasco, Crevola, Locarno, Morca, Morondo, Parone, Roccapietra, Valmaggia, Vocca) che, diciotto anni or sono, furono annessi dal regime fascista al Comune di Varallo contro la volontà unanime e contro gli interessi delle stesse popolazioni, si sono adunati spontaneamente per consultarsi a vicenda e discutere sui problemi di più vitale interesse per le singole frazioni. Primo fra tutti, quello dell'autonomia comunale. Per ottenere la quale, e al più presto possibile, gli stessi capifamiglia, facendosi interpreti entusiasti di quelli che sono i legittimi desideri delle rispettive popolazioni, hanno redatto e sottoscritto, liberissimamente, una richiesta referendum indirizzata al prefetto della Provincia. Inutile aggiungere che la sottoscrizione ha registrato l'assoluta totalità dei capifamiglia sottoscritti nella maggior parte degli ex comuni, e negli altri la stragrande maggioranza (95 e 97 per cento!). I 'desiderata' degli ex comuni e i risultati precisi di questa prima consultazione popolare saranno comunicati prossimamente ed ufficialmente alla superiore autorità provinciale e alla stessa giunta comunale di Varallo, già verbalmente informata di ogni cosa. Tutto fa sperare - e di motivi ce ne sono molti e più che sufficienti - che la libertà riconquistata, per la quale anche queste laboriose e pacifiche comunità valsesiane hanno dato sangue, sofferenze, privazioni e, in parte, i loro stessi beni, tutto fa vivamente sperare in un sollecito ritorno della loro auspicata e meritata indipendenza comunale"64.
    La giunta comunale di Varallo, pur con qualche precauzione di ordine territoriale, ascolta la richiesta dei capifamiglia delle frazioni, e qualche settimana dopo delibera di conseguenza: "Varallo, 24 gennaio 1946. La giunta comunale di Varallo, visto che la soppressione degli undici ex comuni [...] aggregati a Varallo con r. d. 17 gennaio 1929 n. 121, venne disposta con atto di imperio di pretto stile fascista, in dispregio di ogni più elementare rispetto della volontà delle popolazioni interessate; rilevando anche essere d'avviso che, con il ritorno alla propria autonomia comunale, le frazioni o quanto meno la maggior parte di esse, verranno a trovarsi in seri imbarazzi per far fronte agli enormemente accresciuti costi di tutti i servizi pubblici, compresi quelli assolutamente indispensabili, data la scarsità delle risorse locali; fatta un'esplicita ed ampia riserva per quanto riguarda la delimitazione dei confini con le varie frazioni [...]; con l'augurio che la riconquistata autonomia non allenti ma renda anzi più cordialmente intensi i rapporti tra le popolazioni interessate, in uno spirito di democratica solidarietà valsesiana, e sia suscitatrice di tante feconde iniziative locali brutalmente soffocate dal malgoverno fascista; all'unanimità delibera di: 1) non opporsi alla richiesta di ricostituzione degli ex comuni [...]; 2) chiedere alle competenti autorità che la delimitazione dei confini tra questo capoluogo ed i rinnovati comuni venga fatta d'intesa con questa amministrazione, tenendo conto delle insopprimibili necessità del capoluogo"65.
    In questo caso non ci troviamo di fronte ad una crisi della giunta che richieda la nomina di nuovi amministratori; è interessante però rilevare che, nel gennaio 1946, l'amministrazione varallese accetta di confrontarsi con la volontà delle frazioni espressa attraverso un voto dei capifamiglia, un metodo utilizzato sinora solo nei piccoli comuni dell'alta valle. Della questione si interesserà anche il democristiano (e valsesiano) Giulio Pastore, membro della Consulta, in un'interrogazione al ministro degli Interni in cui chiede quali provvedimenti esso intenda adottare per agevolare la ricostituzione degli ex comuni soppressi dal fascismo66.
    Le prime vere elezioni amministrative in Valsesia sono ormai davvero alle porte, e per tutti coloro che avevano creduto realmente, dopo l'esperienza delle giunte cielleniste, alla possibilità di una vittoria delle forze legate alla lotta partigiana, sarà un risveglio piuttosto amaro.

    NOTE
    Note


    * Saggio tratto dalla tesi di laurea Costruire la democrazia. I Cln comunali nella Valsesia (aprile 1945-aprile 1946), Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Scienze Politiche, a. a. 2001-2002, relatore prof.ssa Marina Tesoro.

    1 Isrsc Bi-Vc, Novara.

    2 Isrp, Cln provinciale di Novara, fasc. E19b.

    3 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A1a.

    4 Ibidem.

    5 Isrp, Cln provinciale di Novara, fasc. E19b.

    6 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A1b.

    7 Idem, fasc. F40c.

    8 Ibidem.

    9 Isrp, Cln provinciale di Novara, fasc. E19b.

    10 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A1a.

    11 Idem, fasc. A5a.

    12 La Valsesia è tornata a fare parte della Provincia di Novara, in "Corriere Valsesiano", a. L, n. 8, 14 maggio 1945.

    13 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    14 Isrp, Cln provinciale di Novara, fasc. E19c.

    15 La Valsesia con Vercelli, in "Gazzetta della Valsesia", a. XIX, n. 12, 19 maggio 1945.

    16 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A3c.

    17 Idem, fasc. A1a.

    18 Ballarani è il maresciallo comandante la stazione dei carabinieri di Varallo.

    19 Isrsc Bi-Vc, Documenti vari dal 1 gennaio 1945 al 15 dicembre 1945.

    20 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    21 Idem, fasc. A6b.

    22 Isrsc Bi-Vc, Documenti vari dal 1 gennaio 1945 al 15 dicembre 1945.

    23 L'autonomia e noi valsesiani, in "Corriere Valsesiano", a. L, n. 10, 25 maggio 1945.

    24 L'autonomia della Valle d'Aosta e i suoi riflessi in Valsesia, in "Corriere Valsesiano", a. L, n. 14, 16 giugno 1945.

    25 E per noi montanini?, in "Gazzetta della Valsesia", a. XIX, n. 13, 26 maggio 1945.

    26 Ad esempio, vedi la documentazione in Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fascc. A3c; A4a-b-c.

    27 Non è possibile fornire una datazione più precisa di questa trasformazione, non essendo stato ritrovato il documento di investitura; la fascia temporale indicata sembra però essere del tutto accettabile, ed è stata dedotta dalla modificazione delle diciture e delle intestazioni nelle lettere inviate al e dal Cln varallese, da "Cln comunale di Varallo", a "Cln di zona Valsesia". L'assenza di una annotazione puntuale in tal senso dagli stessi verbali del Cln varallese, che si limitano anch'essi a modificare semplicemente la dicitura, ci dà peraltro la misura della naturalezza con cui il cambiamento di status viene accolto; la stessa cosa può dirsi a riguardo della stampa locale: il cambio di dicitura viene registrato nel periodo che intercorre tra la pubblicazione del "Corriere Valsesiano" del 25 maggio e quella del numero successivo, il 2 giugno 1945.

    28 Isrp, Cln provinciale di Novara, fasc. E19c.

    29 Ibidem.

    30 Lo "scoffone" è un tradizionale tipo di pantofola artigianale valsesiana.

    31 Vogliono un plebiscito?, in "Valsesia libera - Corriere Valsesiano", a. L, n. 37, 17 novembre 1945.

    32 Sulla buona strada, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. L, n. 41, 14 dicembre 1945.

    33 Per l'autonomia dei Comuni rurali, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. LI, n. 1, 4 gennaio 1946.

    34 Autonomia comunale e spopolamento montano, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. LI, n. doppio 5-6, 31 gennaio 1946.

    35 Valsesia nostra, in "Corriere Valsesiano", Varallo, a. L, n. 9, 19 maggio 1945.

    36 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    37 Isrsc Bi-Vc, fondo Carlo Cerruti, fasc. 3.

    38 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4b.

    39 Ibidem.

    40 Ibidem.

    41 Per i verbali di riunione vedi Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A6b; per la stampa locale vedi "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. L, nn. 21, 22, 23, 24; "Gazzetta della Valsesia", a. XIX, nn. 21, 22, 23; da notare che entrambi i giornali pubblicano tutti i comunicati citati tranne il testo dell'esposto delle commissioni operaie.

    42 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4b.

    43 Grassi rappresentava il Partito liberale, come peraltro anche Grober.

    44 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4b.

    45 Ibidem.

    46 Idem, fasc. A6b.

    47 Idem, fasc. A4b.

    48 Interrogativi, in "Gazzetta della Valsesia", a. XIX, n. 23, 25 agosto 1945.

    49 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4b.

    50 Idem, fasc. A4c.

    51 Idem, fasc. F40a.

    52 Idem, fasc. A4c.

    53 Ibidem.

    54 Idem, fasc. A1a.

    55 Idem, fasc. A1b.

    56 Idem, fasc. F40d.

    57 Idem, fasc. A4c.

    58 Scopello. La nuova giunta comunale, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. L, n. 42, 21 dicembre 1945.

    59 Boccioleto: noi vogliamo una nuova Giunta comunale!, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", Varallo, a. LI, n. 1, 4 gennaio 1946.

    60 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. F40c.

    61 Isrp, Cln provinciale di Vercelli, fasc. F22c; Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    62 Isrp, Cln comunali della Provincia di Vercelli, fasc. A1b.

    63 Idem, fasc. A3a.

    64 Democrazia in atto. Verso l'autonomia degli ex comuni annessi a Varallo, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. L, n. 42, 21 dicembre 1945.

    65 Varallo. La giunta comunale perfettamente d'accordo di restituire la richiesta autonomia agli ex comuni, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", a. LI, n. doppio 5-6, 31 gennaio 1946.

    66 Per l'autonomia degli ex comuni, in "Gazzetta della Valsesia", a. XX, n. 9, 2 marzo 1946.






  4. #4
    FumnàCioccià
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    ..

    Bruno Ziglioli



    Ipotesi per una sconfitta
    Il fallimento dell'esperienza dei Cln valsesiani*


    "l'impegno", a. XXIV, n. 2, dicembre 2004
    © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
    È consentito l'utilizzo solo citando la fonte.


    Un destino segnato

    Una prima considerazione che si può fare sull'esperienza dei Cln valsesiani è che, banalmente, il loro destino seguì quello della parabola del Clnai; in altre parole essi si avviarono ad una sconfitta più generale, quella di un movimento, o quanto meno di una parte di esso, che ad un certo punto mirò a diventare la struttura originaria attorno a cui costruire un nuovo modello di Stato che superasse definitivamente tanto il modello fascista, quanto i lasciti gerarchici dell'esperienza liberale.
    La storiografia consolidata tende ad indicare come questo disegno si avvii al fallimento sin dalle sue origini, minato dalle contraddizioni interne dell'organizzazione stessa, dalle diversissime posizioni e prospettive politiche dei partiti che ne facevano parte, con una curva discendente che, seppure intervallata da soprassalti di unità e da momenti favorevoli, porta ineluttabilmente alla sconfitta finale.
    Tanto gli Alleati quanto il governo di Roma puntarono decisamente ad una tranquillizzante restaurazione degli assetti politici ed amministrativi prefascisti e ad evitare pericolosi "salti nel buio" rivoluzionari in una condizione di prostrazione e di miseria del paese, i primi per il timore di una nuova deriva greca in un territorio che gli accordi internazionali avevano affidato alla sfera di influenza americana, il secondo per la riemersione ed il rafforzamento delle posizioni moderate e continuiste, spesso venate (è il caso dei cattolici) da nostalgie di tipo neocorporativo.
    La lotta partigiana, condotta in condizioni difficilissime sia sul piano militare che su quello politico, ed esposta alla brutale violenza nazista e fascista, sembrò fornire, agli occhi di chi l'aveva guidata, una posizione di forza e di legittimazione che non poteva essere messa facilmente in discussione dopo la Liberazione. Fu una delle tante illusioni ottiche di quel periodo, una deformazione delle reali posizioni di forza dovuta ad una percezione sfalsata del valore che gli altri interlocutori (Roma, gli Alleati) attribuivano alla guerra condotta nel Nord occupato ed al recupero della dignità nazionale ad essa indissolubilmente legato. Gli accordi del dicembre 1944 e del marzo 1945 svuotarono efficacemente i Cln di ogni potenzialità politica di governo ed aprirono gli occhi a tutti quelli che avevano immaginato diversamente; l'insurrezione diventò così l'estremo tentativo di assumere un ruolo di fatto, di porre in essere sul territorio un governo che potesse essere accettato non più o non tanto perché legittimato dai venti mesi di guerra, ma per il semplice fatto che esisteva, che manteneva l'ordine, che amministrava coi suoi uomini appositamente designati a ricoprire tutte le cariche.
    L'illusione non durò neanche un mese: alla metà di maggio l'Amg (il Governo militare alleato) assunse tutti i poteri nel territorio liberato ed i Cln, con l'entrata in vigore degli accordi Medici Tornaquinci, dovettero forzatamente rifugiarsi in quella "funzione consultiva" dai contorni piuttosto vaghi che in essi era prevista. Da un lato questa funzione lasciò qualche margine di intervento: la designazione dei sindaci e delle giunte continuò ad essere fatta dai Cln, e spesso le nomine prefettizie e le successive ratifiche alleate seguirono le loro indicazioni, conservando quindi una sorta di fonte di legittimazione promanante dai comitati; dall'altro lato però non solo questa fonte di legittimazione era indiretta e la designazione non vincolante, ma la sua prosecuzione rientrava perfettamente in una logica di cauto e progressivo ritorno alla normalità che passò proprio attraverso la sua eliminazione.
    Non è un caso se si scelse di far precedere il voto amministrativo a quello politico per l'Assemblea costituente. In fondo, quel sindaco di Boccioleto che rifiutò di rassegnare le dimissioni su richiesta del Cln, rivendicando la propria nomina prefettizia ed alleata, dimostrava di avere un maggiore senso della realtà del Cln stesso.

    Detto questo, non si deve però giungere alla conclusione che la sconfitta del disegno ciellenistico derivasse esclusivamente da cause "esterne", da forze non controllabili direttamente dal movimento che imposero, da una posizione di superiorità politica ed anche militare, l'annullamento del progetto politico che a quel movimento si ancorava. Vi furono delle cause "interne", legate alla natura ed all'evoluzione stessa del Clnai, ai suoi problemi ed alle sue contraddizioni.
    La più macroscopica di queste stava nel fatto che non era mai esistito un disegno del Clnai, nella sua interezza di organo collegiale, per l'assunzione piena e duratura dei poteri politici per il rinnovamento dello Stato; questo progetto nacque certo dal suo seno, ma fu sempre e soltanto l'ambito d'azione di una parte di esso, della sinistra in senso lato, e non del Clnai in quanto tale. Se per un certo periodo iniziale le forze moderate restarono silenti e parteciparono unanimemente con la sinistra alla direzione dell'organismo, sotto la spinta della necessità primaria della lotta e della sopravvivenza, esse non tardarono a prendere forza e coraggio, a far sentire la loro voce contro quello che videro come un disegno egemonico dell'ala sinistra dello schieramento antifascista, ed a contestare con più vigore le posizioni più avanzate, incalzate in questo senso dal sostegno alleato e romano; gli accordi Medici Tornaquinci furono anche (se non soprattutto) una loro vittoria.
    Si può ben intuire quale possa essere il destino di un progetto che pone al suo centro un'organizzazione pluralista quando esso non è neppure condiviso da una parte molto consistente dell'organizzazione stessa, per di più in un contesto di polarizzazione politica.
    I Cln mancarono del coraggio per fare un salto di qualità e diventare davvero organi di governo, seppure in fieri; l'equilibrio della coalizione antifascista era delicatissimo ed un allungo troppo deciso avrebbe potuto lacerarlo. Laddove si trovò il coraggio, è il caso di Firenze, gli Alleati ebbero molte più cautele e difficoltà ad annullare quanto era stato conquistato, e dovettero accettare la situazione esistente per un tempo più lungo che altrove.
    L'esperienza della collaborazione col governo Parri non deve trarre in inganno: anzi, proprio in questa parentesi i Cln dimostrarono tutta una serie di limiti organizzativi e strutturali che, oltre a deludere lo stesso presidente del Consiglio, condussero il Clnai ad una riorganizzazione in senso centralistico che annullerà quella peculiare tendenza alla valorizzazione delle autonomie locali che gli era propria e che aveva costituito forse il tratto più vistoso di discontinuità con l'assetto amministrativo precedente. Così facendo, il Clnai in qualche modo tradì se stesso e si incamminò con le proprie gambe verso la fine e l'annullamento della propria esperienza.

    In effetti, nonostante i tentativi decisi e generosi di dare una struttura solida e ben articolata al movimento, i Cln evidenziarono, alla prova dei fatti, molte deficienze e problemi sia propri, cioè legati alla scarsa coordinazione, all'inefficienza ed alla mancanza di collegamenti sul territorio tra il Clnai ed i Cln periferici e di questi fra loro, sia per l'appunto "esterni", cioè legati al quadro normativo ed amministrativo in cui, volenti o nolenti, si trovarono ad operare, e che ingenerarono una sensazione di impotenza tra i loro dirigenti. Si tratta di problemi che hanno una valenza generale, nel senso che sono riscontrabili pressoché ovunque nel Nord liberato. Per quel che riguarda in modo specifico il territorio valsesiano, la questione dell'epurazione e il problema degli ammassi ne sono una chiara esemplificazione; sono due temi ai quali ci sembra necessario accennare proprio allo scopo di mettere in evidenza come la storia del declino dei comitati valsesiani si inserisca con coerenza e a pieno titolo in quella più ampia dei Cln.
    In relazione all'epurazione, a Varallo, dall'estate del 1945, agiva una sezione staccata della commissione provinciale di epurazione di Vercelli. La documentazione che abbiamo avuto modo di consultare all'archivio dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea ci ha mostrato come l'epurazione in Valsesia fosse stata oggetto di uno sforzo straordinario; interi fascicoli sono ad essa dedicati, soprattutto per ciò che riguarda i comuni di Varallo e Quarona, tanto da occupare buona parte della documentazione disponibile, a dimostrazione di una determinazione e di una volontà molto forti di fare i conti col passato regime1.
    Sia la sezione valsesiana della commissione provinciale, sia i vari Cln svolsero un lavoro di indagine e di istruttoria forse un po' ingenuo ma sicuramente molto ampio, cui si dedicarono con molta cura, raccogliendo e domandando informazioni, procedendo ad interrogatori, preparando atti d'accusa e vagliando memoriali difensivi, intrattenendo regolari rapporti con le forze di polizia, ricevendo petizioni di accusa o di difesa da gruppi di cittadini, contattando città o paesi lontani, di altre regioni, per segnalare la presenza di fascisti repubblicani che avevano operato in Valsesia o, viceversa, per ottenere indicazioni su persone residenti in Valsesia ma originarie di laggiù.
    Su "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" vennero pubblicati i nomi sotto indagine, con la richiesta alla popolazione di collaborare; intanto, sulla rubrica "Voci dal popolo" dello stesso foglio, un gran numero di missive contestava l'eccessiva lentezza e la scarsa drasticità delle procedure. Alle volte i Cln si trovarono a dover mediare tra accuse di fascismo che nascondevano, neanche troppo velatamente, conti in sospeso e questioni personali che ora si cercava di ricoprire con una patina politica; altre, a dover prendere le difese di vecchi iscritti al Pnf che non si erano mai dimostrati fanatici e che soprattutto non si erano iscritti al Pfr, ma che avevano probabilmente dovuto prendere, a suo tempo, la cosiddetta "tessera del pane".
    In un solo caso ci si interessò a fatti che risalivano all'origine del fascismo: a Quarona, infatti, aveva operato nei primi anni venti una squadraccia fascista molto violenta, spesso incaricata di spedizioni punitive anche in altre province, i "Lupi della Valsesia". Il locale Cln comunale diramò richieste di informazioni ad alcuni comuni di altre zone in cui la squadraccia aveva operato, cercò di ricostruire le vicende che la videro protagonista, segnalò i fatti ai carabinieri ed interrogò i suoi appartenenti superstiti, che se la cavarono, molto concretamente, col pagamento al Cln comunale di cifre che variavano dalle 2.000 alle 5.000 lire; curiosa è la formula rituale con cui si chiudevano tutti i verbali di interrogatorio: "Conscio di avere agito male è disposto a versare al comitato di questo Comune lire..."2.
    Il pagamento di una somma di denaro rappresentò la forma con cui i Cln comunali chiusero direttamente i conti pendenti coi fascisti più tiepidi, o con quelli che non avevano particolari responsabilità dirette col regime e con la repressione partigiana; in altre parole, veniva punito un reato d'opinione che, probabilmente, non avrebbe retto alcuna accusa di fronte alla commissione provinciale; gli interessati pagarono senza fiatare, forse intimoriti dal vento di cui non comprendevano ancora bene la direzione ma che, dati gli accadimenti, doveva sembrare loro non poco sfavorevole.
    I Cln comunali provvidero poi direttamente all'epurazione delle maestranze compromesse con Salò nelle industrie locali, richiedendone l'immediata sostituzione con elementi partigiani. Infine, i Cln comunali interrogarono le ragazze che avevano intrecciato relazioni amorose con militi delle brigate nere o con tedeschi, spesso soffermandosi su particolari morbosi, provvedendo, anche in questo caso direttamente, a comminare loro una sanzione, generalmente l'epurazione dall'attività stagionale di mondariso3. Colpisce, ma non più di tanto, in questa breve casistica, la completa mancanza di ogni traccia di attività epurativa negli organi dell'amministrazione locale, dai segretari comunali in giù.
    In tutti gli altri casi, la documentazione raccolta venne inviata a Vercelli in attesa di un pronunciamento che sarebbe stato, nella maggior parte dei casi, favorevole ai sospettati. "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" pubblicò, il 31 gennaio 1946, il rendiconto dell'attività svolta dalla commissione di epurazione valsesiana dal giugno al 31 dicembre 1945: "Totale denunce e schede presentate ed esaminate: 537; archiviate a seguito di istruttoria: 406; avviate al dibattimento a seguito di istruttoria: 78; funzionari sospesi in corso di istruttoria: 2; funzionari sospesi a seguito di dibattimento: 9; funzionari assolti a seguito di dibattimento: 67; procedure tuttora in corso di istruttoria: 53"4. È il suggello e la dimostrazione di uno sforzo tanto grande quanto vano ed inconcludente, in Valsesia come altrove.

    Nel caso dei conferimenti, degli ammassi e, più in generale, degli approvvigionamenti alimentari il discorso non cambia molto5. Il Cln zonale si affannò, dietro continua pressione degli organismi provinciali, a sollecitare le amministrazioni comunali della Valsesia tutta a far rispettare agli allevatori, agli agricoltori ed ai proprietari terrieri le quote stabilite di conferimenti di burro, carne, legna da ardere. I sindaci, coralmente, risposero in modo negativo, adducendo di non avere possibilità di procedere alla requisizione, di non avere elementi per accertare chi avesse adempiuto agli obblighi e chi no, di non poter provvedere in quanto la quasi totalità del bestiame si trovava fuori paese a svernare, oppure più direttamente lamentando l'insufficienza di grassi nel territorio comunale e chiedendo non solo di essere esonerati dagli obblighi dei conferimenti, ma addirittura di creare nel loro comune un centro di raccolta.
    Vi fu chi lamentava la difficoltà di far rispettare le disposizioni relative al burro a causa del prezzo troppo basso di questo alimento, mentre il suo rialzo fu proprio una delle cose che il Cln varallese cercò di reprimere con più energia. Esso non si limitò solo a insistere formalmente con i sindaci: richiese loro resoconti sull'attività svolta, gli trasmise i nominativi di coloro che erano sospettati di nascondere capi di bestiame, presentò denunce ed esposti ai carabinieri ed alla Guardia di Finanza, minacciò di pubblicizzare con ogni mezzo le inadempienze.
    Allo stesso tempo, per assicurare a Varallo ed alla valle gli approvvigionamenti esterni, provenienti dalla pianura, il Cln di zona esercitò pressioni sulla Sepral, scrisse lettere di protesta sulla sua inefficienza, invitò la popolazione a mobilitarsi ed a protestare a sua volta, contattò Cln di altre regioni (ad esempio, quello provinciale di Imperia) proponendo scambi di beni (in questo caso, si propose uno scambio di olio contro stoffe, o in alternativa contro legname o riso), istituì uno spaccio comunale nell'estate 1945.
    La questione era particolarmente importante e delicata, e poteva avere risvolti politici "pericolosi": non dimentichiamo che la crisi della giunta comunale di Varallo del luglio 1945 fu determinata proprio da una protesta delle commissioni operaie sulla gestione degli approvvigionamenti alimentari. Anche in questo caso, nonostante tutti gli sforzi profusi, i risultati dovettero essere piuttosto modesti se ancora il 17 ottobre 1945, in una relazione del Cln di Varallo al Cln provinciale, ci si lamentò degli insuccessi e della difficoltà ad imporre i conferimenti, arrivando a proporre, per invogliare i proprietari ed i produttori, di premiare gli adempienti con l'assegnazione di stoffe, scarpe, concimi chimici e macchine scrematrici6. Un anonimo contadino della frazione Cervarolo di Varallo scrisse il 17 novembre 1945 a "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano": "Sono passati in questi giorni gli addetti all'alimentazione per far portare il latte all'ammasso, con disappunto dei produttori, i quali non hanno poi tutti i torti. Fra latte, burro e bovini portati all'ammasso, il contadino di montagna che ha una, o due, o anche tre bestie nella stalla, è stato salassato a dovere durante la guerra"7.
    L'insuccesso degli ammassi, qui come ovunque, è grave, tanto più che questo era uno dei settori per i quali il governo Parri aveva chiesto l'esplicita collaborazione dei Cln, mettendone alla prova la solidità organizzativa e ricevendone indietro un risultato tutt'altro che soddisfacente; in questo frangente la struttura ciellenista mise in tutta evidenza i suoi limiti. In una situazione di scarsità di beni e di povertà diffusa, non riuscì infatti a far valere nessun tipo di autorità morale per indurre alla solidarietà reciproca: la mancanza di un potere coercitivo vero e proprio ed il dover solo ricorrere ad una sorta di moral suasion, per quanto energica, fecero il resto.

    A dire il vero, il Cln zonale di Varallo e, più in generale, i Cln valsesiani, riuscirono ad esercitare una funzione di governo locale e di amministrazione quasi diretta, ben oltre l'instaurazione dell'amministrazione alleata. Anche in altre zone vi era stata una sorta di inerzia nei primi tempi di governo dell'Amg, nella convinzione che la spoliazione dei poteri fosse poco più che un atto formale, non in grado di intaccare la legittimità acquisita con la lotta partigiana. Nel caso valsesiano però la confusione tra organi di amministrazione e Cln permase fin quasi all'autunno del 1945, quando una serie di citate circolari del Cln regionale, di quello provinciale e, buona ultima, dell'Amg (il 16 novembre!) richiamarono energicamente all'ordine i Cln valligiani e quello zonale di Varallo in particolare riguardo alla loro funzione strettamente consultiva. Evidentemente, la pressione deve essere stata forte perché, quasi di colpo, la documentazione prodotta dai Cln si ridusse drasticamente, mentre era stata copiosa fino a qualche settimana prima; sembra quasi che si fossero resi conto d'improvviso, e in un'unica soluzione, delle mutate condizioni politiche generali che nel resto del Nord avevano preso il sopravvento dalla metà di maggio. Come fu possibile questo inusuale prolungamento nel tempo, che confinava con la velleità?
    Una prima ipotesi è relativa al posizionamento geografico della valle, nettamente decentrato rispetto al centro di esercizio del potere alleato e prefettizio, cioè Vercelli. È possibile che la connotazione periferica della Valsesia rispetto al capoluogo provinciale abbia allentato, per così dire, le redini del controllo sull'attività politica da parte dell'Amg e che questo abbia consentito una certa libertà d'azione dei comitati locali che altrove non è stata possibile; un indizio consistente in tale direzione sta nell'assenza di richiami e, in generale, di corrispondenza, con l'amministrazione alleata nella documentazione disponibile dei Cln valsesiani: la prima (e unica) traccia lasciata è, per l'appunto, la lettera del 16 novembre 1945. Per saperlo con certezza, occorrerebbe svolgere uno studio sulle carte degli Alleati, studio che rivestirebbe una grande importanza per meglio comprendere tutto l'insieme delle relazioni politiche ed amministrative di allora. Timidamente, quindi, avanziamo un'altra ipotesi, che in fondo è un completamento, un allargamento, di quella appena esposta.
    La battaglia relativa alla richiesta valsesiana di tornare sotto la giurisdizione della Provincia di Novara si concluse con la costituzione del Cln di zona Valsesia: fu una chiara rivendicazione autonomistica. La parziale vittoria dei Cln valligiani (la valle infatti ottenne il Cln zonale ma rimase con Vercelli) potrebbe aver loro dato l'illusione di avere davvero ottenuto quest'autonomia, sul piano amministrativo e non solamente, come in effetti fu, su quello di un'organizzazione ormai priva di qualunque autorità politica legale che non fosse meramente consultiva. In altre parole, il Cln varallese potrebbe essersi convinto di aver conquistato il diritto di amministrare liberamente la valle, mentre aveva solo ottenuto di poter agire, nella sua opera di "consulenza" politica, un po' più autonomamente dalle direttive del Cln vercellese.
    Il fatto è che i Cln valsesiani avevano puntato sul cavallo sbagliato: la Provincia, che sembrava rivestire, nelle concezioni e nelle strutture cielleniste, un rilievo cruciale, non assunse una grande importanza sul piano dell'autonomia locale dopo la guerra. Tornò ad essere, al contrario, la dimensione privilegiata del controllo dello Stato sugli enti intermedi, attraverso la figura del prefetto: gli stessi Alleati la concepirono solo in questo senso. Proprio nel periodo in cui i Cln valsesiani ebbero le maggiori possibilità di azione e di governo si persero invece nella disputa provinciale ed in velleità indipendentistiche, arrivando troppo tardi a rendersi conto che le vere chiavi di volta dell'autonomia locale avrebbero potuto essere i comuni, le municipalità; così, mentre sulla stampa si dibatteva addirittura sulla possibilità per la valle di ottenere uno status regionale, la polemica sulla Provincia non fece altro che creare problemi e confusione, senza portare ad alcun risultato concreto.
    La posizione incerta della vallata, al contrario, provocò non pochi svantaggi; scrive la "Gazzetta della Valsesia" il 20 ottobre 1945: "Dopo un brutto periodo di entusiasmo e di euforia, i valsesiani dovettero fare la conoscenza di una nuova, dura realtà. Le necessità di ricostruzione e di riattamento risultarono ingenti, ma nessuna autorità né governativa né provinciale si occupò delle sorti e delle esigenze della valle [...] A complicare le cose si aggiunse la questione dell'auspicato ritorno della Valsesia alla Provincia di Novara cosicché, mentre Vercelli prese a considerare la vallata quasi avulsa dal suo corpo provinciale, Novara non la poté ritenere ancora sua"8.
    Novara o Vercelli: la prima soluzione forse sarebbe stata più consona alla storia della Valsesia e, nell'immediato, avrebbe assicurato un più stretto controllo politico dei partigiani sulla valle; in prospettiva, sul piano dell'autonomia locale e del "peso" della Valsesia, probabilmente non avrebbe fatto una gran differenza. L'autonomia dei Cln valsesiani rispetto a quello vercellese, di lì a poco, non sarebbe interessata più a nessuno.

    Il richiamo all'ordine ed alla netta distinzione di funzioni da parte dei Cln di livello superiore coincise temporalmente con il progetto di Rodolfo Morandi, presidente del Clnai, di ristrutturare l'organizzazione ciellenistica in chiave burocratica e centralizzata, e fu perfettamente coerente con esso. I Cln di tutta l'Italia del Nord, e con loro quello valsesiano, si avviavano verso il tramonto. In Valsesia, la documentazione successiva ci informa solo della preparazione delle elezioni amministrative, previste per il 31 marzo 1946. Una lettera del Cln provinciale di Vercelli al Cln varallese del 27 febbraio 1946 ribadiva l'impegno per il quale "la campagna elettorale dovrà essere effettuata col più assoluto rispetto della libertà democratica, di stampa, di pensiero, di parola" ed invita a premere sugli organi di stampa per invitarli "a rendersi conto della delicatezza della loro missione e a tenere, specialmente in questi mesi difficili, quella opportuna moderatezza tanto necessaria"9.
    La "Gazzetta della Valsesia" il 9 marzo 1946 scriveva: "Le elezioni amministrative inizieranno finalmente il periodo (almeno vivamente lo speriamo) di una vera democrazia. Tutti i cittadini, uomini e donne, esprimeranno la loro volontà e cesserà l'attuale stato di cose per cui, senza volere sollevare speciali accuse, le amministrazioni furono tenute non certo per volontà popolare. Particolari esigenze scaturite dal periodo della Liberazione non hanno forse permesso la libera consultazione del popolo (quantunque in certi paesi l'amministrazione sia stata affidata a determinati individui scelti dal voto popolare) e quindi hanno tenuto il governo gli uomini che avevano acquistato maggiori benemerenze nella causa di liberazione [...] Questi sono titoli che, a parità di condizioni, possono ottenere la preferenza, ma mai da soli dare diritto alla scelta. In un governo democratico, ogni uomo deve essere riconosciuto per quello che vale"10. Il voto amministrativo è dunque l'ultimo termometro per misurare quanto l'esperienza della guerra di liberazione e l'opera politica dei Cln, o perlomeno della loro parte più legata all'esperienza partigiana, si fossero radicati in Valsesia, al di là delle illusioni, degli equivoci e delle forzature dei mesi precedenti.

    Le elezioni comunali del marzo 1946

    Il voto si svolse ovunque, in Valsesia, col sistema maggioritario, in quanto la legge elettorale comunale varata all'inizio del 1946 prevedeva il ricorso al sistema proporzionale solo nei comuni con una popolazione superiore ai trentamila abitanti.
    I risultati, nei comuni dell'alta valle, confermarono una tendenza già verificata con l'instaurazione delle giunte dei Cln, cioè uno scarsissimo radicamento delle forze politiche organizzate ed il ricorso a candidati "senza partito"11. In ben dodici comuni dell'alta valle tutte le liste presentate si definirono indipendenti così come, naturalmente, gli eletti.
    A Balmuccia si fronteggiarono una lista indipendente di centro ed una indipendente di sinistra; a Campertogno tre liste indipendenti, due di centro ed una di sinistra; a Carcoforo due liste indipendenti senza altra qualificazione; a Cervatto due gruppi indipendenti di centro; a Mollia un gruppo di indipendenti di sinistra ed un gruppo di indipendenti di destra; a Piode una lista indipendente di centro, una indipendente di destra ed una indipendente di sinistra; a Rassa tre liste di indipendenti di centro; a Rima S. Giuseppe una lista di indipendenti di centro ed una lista di indipendenti di sinistra; a Rimasco due liste di indipendenti di centro ed una di indipendenti di destra; a Rimella due liste di indipendenti di centro; a Scopa tre liste di indipendenti senza altra qualificazione; a Scopello una lista indipendente di centro ed una lista indipendente di sinistra. Per quanto possano valere queste qualificazioni politiche, ovunque, in questi comuni, vinsero i gruppi indipendenti di centro tranne a Piode, dove vinse la lista composta da indipendenti di sinistra, ed a Mollia, dove a prevalere fu la lista di indipendenti di destra.
    In un altro "blocco" di comuni, anch'essi quasi tutti dell'alta valle, si fronteggiarono due o più liste, di cui una sola con un chiaro ed esplicito riferimento partitico: ad Alagna Valsesia una lista Dc contro una di indipendenti di centro (quest'ultima vincente); a Boccioleto addirittura quattro liste, una Dc (vincente) e tre indipendenti, di cui una di sinistra; a Cellio una lista di indipendenti di centro e di destra contro una lista social-comunista (vincente); a Cravagliana una lista Dc (vincente) contro due liste indipendenti, una di destra, l'altra di sinistra; a Fobello una lista Dc (vincente) contro una di indipendenti di sinistra; a Rossa una lista Dc (vincente) e due liste di indipendenti "apolitici"; a Riva Valdobbia una lista Dc (vincente) ed una indipendente di centro; a Sabbia una lista Dc (vincente) e due liste indipendenti, una di centro e l'altra di sinistra; a Valduggia una lista social-comunista ed una di indipendenti di destra (vincente).
    Infine i quattro comuni maggiori, Varallo, Quarona, Borgosesia e Serravalle, gli unici in cui siano chiaramente individuabili le tracce dell'appartenenza partitica in tutti gli schieramenti in lizza. A Varallo la lista Dc (comprendente anche liberali ed indipendenti) ottenne 2.608 voti contro 1.590 della lista social-comunista e sedici eletti su venti; i quattro eletti dell'opposizione furono tre socialisti ed un comunista. A Quarona il blocco social-comunista vinse con 1.042 voti contro i 471 della Dc, ottenendo dodici eletti su quindici, di cui sette comunisti e cinque socialisti. A Borgosesia socialisti e comunisti si presentarono divisi, ottenendo i primi 1.507 voti, i secondi 1.335 e, pur se la somma dei loro voti quasi doppiava quelli ottenuti dalla lista Dc (1.842), quest'ultima, in forza del sistema maggioritario, vinse ed ottenne ventiquattro consiglieri su trenta (i restanti quattro furono tutti del Psiup); alla competizione partecipò anche una lista indipendente che ottenne 676 voti. Infine, a Serravalle Sesia la lista social-comunista ottenne 1.750 voti contro i 660 della Dc ed i 232 del Partito d'Azione (è la sua unica presenza in queste elezioni valsesiane); otto consiglieri eletti appartenevano al Pci, otto al Psiup, i restanti quattro alla Dc.
    È interessante notare come a Campertogno il nuovo consiglio comunale, interamente composto da indipendenti, comprendesse nel suo seno ben undici persone su quindici che già, a diverso titolo, avevano fatto parte o del Cln o dell'amministrazione comunale nell'anno precedente, tra cui i due sindaci che si erano succeduti, l'ultimo dei quali, Luigi Mazza, era stato eletto col voto dei capifamiglia nell'ottobre del 1945.
    A Rimasco, altro comune in cui si era proceduto all'elezione dell'amministrazione comunale nel novembre 1945, attraverso il voto dei capifamiglia, il sindaco espresso allora fu il primo degli eletti nella consultazione del 31 marzo, e venne nominato sindaco; lo stesso accadde a Scopello.
    A Boccioleto il vicesindaco, di cui il Cln chiese le dimissioni perché inviso alla popolazione, risultò essere il primo degli eletti, nella lista Dc (ai tempi delle amministrazioni ciellenistiche si era dichiarato "senza partito", come tutta la giunta); anch'egli venne nominato sindaco.
    A Varallo sei consiglieri eletti su venti avevano fatto parte del Cln o del consiglio precedente; il sindaco uscente, Pietro Rastelli, comandante della brigata partigiana "Musati" fu l'ultimo degli eletti, e l'unico del Partito comunista. A Quarona l'intera giunta comunale uscente venne rieletta nel consiglio. A Borgosesia, a causa della vittoria democristiana, non venne eletto nessun appartenente né del Cln né della giunta uscente, tranne appunto l'unico assessore Dc, Alfredo Pignatta, che raccolse il maggior numero di preferenze ed ottenne poi la nomina a sindaco. Infine, a Serravalle Sesia otto consiglieri eletti su venti avevano ricoperto qualche carica nel Cln o nell'amministrazione precedente: fra loro, il presidente del Cln, il vicesindaco uscente (che nella nuova amministrazione assunse la carica di sindaco) e tre assessori uscenti.
    La valle, da queste elezioni, uscì spaccata in due. Nella parte nord, da Alagna fino a Varallo compresa, la Dc acquistò il controllo di quasi tutte le amministrazioni comunali, vuoi direttamente dove si presentò coi suoi uomini ed il suo simbolo, vuoi indirettamente attraverso la vittoria di gruppi indipendenti di centro da essa facilmente controllabili e rapidamente assimilabili; in alta valle, a nord di Varallo, i partiti diversi dalla Dc erano del tutto inesistenti e i democristiani stessi non riuscirono ad essere presenti coi propri iscritti in una quota consistente di comuni. A sud di Varallo la situazione si ribalta del tutto: le sinistre ebbero una schiacciante maggioranza, anche a Borgosesia, dove persero a vantaggio della Dc solo a causa della divisione tra socialisti e comunisti. I contorni territoriali di questa spaccatura sono molto netti, sembrano quasi ripercorrere le antiche distinzioni, operanti fin dal XIV secolo, fra l'Alta e la Bassa Corte, imperniate rispettivamente su Varallo e Borgosesia12.

    La divisione politica della valle

    Come commentare questa spaccatura orizzontale dei comportamenti elettorali in Valsesia? In realtà le "aree" politiche in cui bisogna dividere la valle per analizzare il voto non sono due, ma tre: l'alta valle, senza industrie e senza partiti, in cui vinsero quasi ovunque liste "indipendenti di centro", la bassa valle, industrializzata e con solide radici politiche, in cui vinse la sinistra, e Varallo, dove un certo grado di industrializzazione e di partecipazione partitica era, ancorché scarso, presente, dove stravinse il partito cattolico.
    Partiamo dall'alta valle. Qui i Cln non erano mai esistiti. O meglio: erano esistiti degli organi chiamati Cln e delle giunte comunali da essi designate, ma si trattava semplicemente di amministrazioni straordinarie che riempivano un vuoto provvisorio di potere nell'ambito comunale. Quello che vogliamo dire è che non potevano politicamente rientrare nel movimento ciellenista inteso come coalizione nazionale dei partiti antifascisti. Le logiche che stavano dietro alla loro esistenza erano altre, e più antiche, rispetto a quelle della lotta partigiana, anche perché l'esperienza resistenziale, benché avesse coinvolto tutto il territorio, non aveva attinto dall'alta valle particolari forze od energie: gli apporti della popolazione locale al partigianato erano stati infatti quantitativamente ridottissimi13.
    Nell'area dell'alta valle, senza tracce di industrializzazione, prevaleva una subcultura tipica dei gruppi chiusi con un fortissimo senso dell'appartenenza locale, ed il radicamento partitico era inversamente proporzionale al ruolo del clero e dei piccoli potentati locali, costituiti da gruppi familiari numerosi, spesso in lite fra loro, ma unanimi nel respingere o nel rallentare le novità. Si può facilmente ipotizzare che le varie liste di "indipendenti" facessero capo all'uno o all'altro di questi gruppi.
    La particolare forma di comunitarismo chiuso che caratterizzava questi villaggi è bene espressa da una lettera inviata da Cervatto a "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano" nel gennaio 1946, firmata Un tapinà 'd Cervat (un poveretto di Cervatto): "Di che vi lamentate, o cari cervattesi? Guardatevi intorno. I confronti con gli altri paesi non sono possibili, da tutti è conosciuta la nostra situazione. Mai è mancato il timor di Dio e mai si è spenta la fiamma del patriottismo, il sentimento del dovere non è scomparso per lasciar posto all'egoismo. Tutti i nostri reduci sono al proprio focolare e le nostre risorse locali intatte; tutti lavorano e la concordia regna ovunque. La giunta comunale parla per ultima e brevemente delle prossime elezioni: sa di avere una maggioranza a prova di bomba, può dormire, e possiamo dormire anche noi, fra due guanciali. Elementi tutti giovani nell'amministrazione comunale, nel culto, nell'insegnamento scolastico, ecc. danno affidamento di ogni possibile attività per il benessere del paese. I bottegai, tabaccai, macellai, ecc. fanno del loro meglio per porre termine alle nostre esigenze di tesseramento (si prega di non fraintendere la frase...). Il sesso giovane femminile, sotto la buona guida di generosa persona, ora del paese, ha già dato buona prova di saper fare e fare molto bene nelle funzioni religiose colla Schola Cantorum, così pure in campo ricreativo e domestico [...] Per il passato erasi notato l'affievolirsi dell'energia morale e dell'idealità cristiana. Si tratta di vedere a chi o a che cosa se ne debba imputare la colpa. Molti l'attribuiscono al mancato timor di Dio, ma questa decadenza, che è vera soltanto per una piccola minoranza, è per il resto, assai più che non si creda, una leggenda. L'indirizzo odierno, l'impulso, la spontaneità dell'ispirazione del nostro nuovo parroco ci fanno ora ritrovare sempre affollata la Casa di Dio. Sono ancora insegnate ai fanciulli le stesse preghiere recitate dagli avi e ancora conservate integre le tradizioni del paese [...] Ai nostri giovani una raccomandazione: [...] noi abbiamo la migliore delle fortune, cioè quella di essere tutti uniti e concordi, e questo è tutto per un paese [...] Non bisogna perdere la genialità dell'impulso, la spontaneità dell'ispirazione e la sicurezza dell'esercizio di cui l'autorità civile ed ecclesiastica vi sono di esempio. I vecchi che hanno toccato o sono per toccare la frontiera saranno vostri collaboratori"14.
    Il ricorso al voto dei capifamiglia per rinnovare le giunte "cielleniste" (a pochissimi mesi dalle elezioni a suffragio universale), già utilizzato in alcune zone del basso Piemonte durante il periodo delle repubbliche partigiane15, è l'espressione di una ruralità patriarcale che affonda le sue radici in altri tempi; sembrano quasi rivivere le assemblee che decidevano le ribellioni contro i conti di Biandrate, feudatari della Valsesia, nel Duecento16, o quella che decise la rivolta di Giacomo Preti di Boccioleto contro Varallo, nel 151817. La logica strettamente endogena che caratterizzò tanto il periodo successivo alla Liberazione quanto le elezioni comunali del marzo 1946, e poi la scelta democristiana e monarchica di due mesi dopo, il 2 giugno, rappresentano una forma di difesa contro il cambiamento, con il parroco e le gerarchie familiari di guardia a difesa dello status quo. Rochat e Massobrio, parlando della costituzione del corpo degli Alpini, nel 1872, e della sua peculiare forma di reclutamento su base territoriale, annotano: "Le vallate alpine erano tutte saldamente conservatrici, cattoliche e monarchiche, caratterizzate da una piccola proprietà contadina poverissima, ma incapace di ribellarsi"18.

    La bassa valle, all'estremo opposto, aveva un impianto socio-economico più moderno, un'industrializzazione radicata, una caratterizzazione demografica che risentiva di un'immigrazione legata al primo sviluppo industriale; la presenza operaia era salda, così come quella dei partiti, con una spiccata tradizione socialista. La presenza partigiana era stata relativamente consistente. A tutto ciò non era estranea la vicinanza con le valli del Biellese, al cui incrocio con la Valsesia sorgevano gli abitati di Borgosesia e Serravalle, e con la sua classe operaia solida e combattiva, con il suo movimento partigiano forte e strutturato, che in parte graviterà anche su quest'area19.
    Varallo rappresenta la sintesi delle caratteristiche dell'intera valle con, da un lato, un notabilato conservatore e fedele alla tradizione, dall'altro un tessuto frazionale di recente acquisizione con caratteristiche del tutto assimilabili a quelle dell'alta valle e, dall'altro ancora, una classe operaia quantitativamente rilevante, anche se non come nei centri posti più a valle; la partecipazione locale alla lotta partigiana era stata piuttosto consistente. La frattura tra le due "anime" politiche della Valsesia passava esattamente da Varallo o, più esattamente, dal ponte sul torrente Mastallone, che separava il rione operaio di Varallo Vecchio, a nord, dal resto dell'abitato, a sud. Per questo è particolarmente interessante esaminare come, proprio a Varallo, il Cln seppe o poté mediare tra queste due anime, l'una più vicina allo spirito industriale della bassa valle, l'altra più vicina alla montagna.
    In sintesi, possiamo dire che il Cln varallese non riuscì a compiere quest'opera. Con le comunità dell'alta valle, nella sua attribuzione di Cln di zona, a dire il vero non ci provò neppure, come anche nei riguardi delle sue stesse frazioni: si limitò a prendere atto delle situazioni esistenti, al limite a sollecitare qualche cambiamento in una direzione più "politica" e "ciellenistica", ma sembrava in realtà ampiamente rassegnato ad accettare il secolare contesto montano per quello che era, comprendendo chiaramente l'impossibilità di modificarlo con un tratto di penna; l'avallo e l'approvazione che diede alle elezioni attraverso il voto dei capifamiglia ce lo dimostra.
    A Varallo, invece, l'organizzazione ciellenistica si dispiegò in modo completo e secondo le strutture tipiche di questo movimento, coi rappresentanti di tutti i partiti e delle cosiddette organizzazioni di massa; anzi, abbiamo visto come questo Cln svolgesse un'opera diretta di amministrazione, quasi in concorrenza con quella municipale, per un periodo molto più lungo dell'interregno che separa il 25 aprile dall'instaurazione dell'Amg: in altri termini, ebbe più tempo a disposizione. Ed allora perché fallì? Fallì perché, in un contesto come quello varallese, lo strumento ciellenistico non era adeguato al contraddittorio substrato sociale, ed i dirigenti del movimento faticarono a rendersene conto.
    Da una parte, il notabilato borghese e liberale non poteva che essere diffidente verso l'espressione di una lotta partigiana che aveva visto agire solo formazioni garibaldine, cioè di ispirazione comunista, e verso un'amministrazione comunale che da un sindaco comunista era guidata. Si trattava di un notabilato composto non solo da professionisti e possidenti, ma anche e soprattutto da piccoli imprenditori artigiani, che costituivano il tessuto economico "storico" del borgo, al di fuori della fabbrica "recente". Con queste categorie il Cln non riuscì ad adattare la strategia di comunicazione e si comportò esattamente come se si trattasse di grandi aziende. Così, quando il Cln varallese scrisse alla direzione della Manifattura Rotondi per chiedere, in tono abbastanza perentorio, l'assunzione od il licenziamento di operai, la loro messa in congedo, la concessione di premi e sussidi oppure forniture di materiale, questa, senza troppe polemiche, si adeguò, forse per un modo più burocratico di procedere, forse per non correre rischi di agitazioni al proprio interno in un periodo ancora piuttosto confuso20.
    Ben diversamente andarono le cose quando lo stesso genere di ordini fu impartito ai piccoli imprenditori artigiani. Alla fine di giugno del 1945, ad esempio, il Cln varallese ordinò al titolare della tipografia Testa di licenziare un operaio, Remo Vietti, perché potesse lavorare per il Cln stesso, e richiese che gli venissero versate tutte le indennità, come se questo licenziamento fosse un atto volontario ed arbitrario del titolare. Quest'ultimo protestò e rispose di essere disponibile a versare solo una parte dell'indennità, ma il Cln insistette.
    Ecco allora cosa scrisse al Cln il signor Testa, il 7 luglio (i riferimenti sono relativi alla sua precedente missiva, di cui si è detto): "[...] Questa ditta non approva quanto cotesto comitato ha in animo di disporre a favore dell'operaio in oggetto [...] Avverte che qualora cotesto On. Comitato non volesse attenersi allo spirito ed alla sostanza della citata lettera, come coscienza e giustizia reclama, la intestata ditta incaricherà per la liquidazione della pratica la ora sorgente 'Unione Piccola Industria e Artigiani' che è in via di costituzione in questa città per la difesa e tutela degli interessi di ogni singolo datore di lavoro come giustizia vuole in un regime democratico per la tutela e difesa degli interessi dei prestatori d'opera [...] Il firmatario è figlio di un autentico garibaldino che combatté a Bezzecca nel 1866 lasciando in eredità ai suoi quattro figli un ricco patrimonio spirituale e cioè una scia luminosa di onestà, rettitudine ed operosità attiva e fattiva svolta silenziosamente in grande umiltà"21. Richiami ai valori di onestà e giustizia, alla solidarietà artigiana, al lavoro operoso, ai miti risorgimentali con un riferimento velenoso ai garibaldini, quelli "veri": probabilmente questa lettera rappresenta in modo completo come il milieu medio-borghese di Varallo vedeva il mondo ed i partigiani.
    Dall'altra parte, l'ambiente operaio gravitante sulla Manifattura Rotondi era di antica tradizione socialista, ma anch'esso era percorso da contrasti politici che lo avrebbero portato ad una precoce divisione sindacale (non si dimentichi che Giulio Pastore aveva radici varallesi, e di Varallo fu anche sindaco negli anni cinquanta)22.
    Alla manifattura operava un Cln aziendale che, oltre a non aver lasciato tracce nella documentazione visionata, non deve essere stato considerato particolarmente rappresentativo dalle maestranze se, per inoltrare l'esposto che a luglio portò alle dimissioni della giunta comunale, furono utilizzate al suo posto le commissioni interne, un tipo di organo aziendale già previsto dalle leggi della Rsi23 che in seguito, al di fuori dell'esperienza ciellenistica, seppe imporre il proprio ruolo ed assumere un'identità chiaramente definita24.
    Anche in occasione di uno sciopero di protesta contro la crisi del governo Parri, nel novembre 194525, e di un altro finalizzato all'applicazione del contratto biellese agli operai tessili valsesiani, nel gennaio 194626, a muoversi furono solo le commissioni interne, almeno stando alle cronache giornalistiche.
    Il fatto è che in una situazione frammentata come quella varallese, in bilico tra identità tradizionale e territoriale ed identità di classe, tra appartenenza sociale ed appartenenza rionale, tra gerarchia tradizionale e clericale e civiltà industriale, il modo di raffigurare la realtà e la sfera politica implicito nella struttura ciellenistica non fu in grado di farsi rappresentante di nessuna delle due "anime" coesistenti. Così come Varallo è la sintesi delle due "anime" della Valsesia, così anche il Cln locale avrebbe forse dovuto, per avere qualche speranza di essere efficace, essere una sintesi del modello di Cln della bassa valle, legato alla politica, ai partiti, alla fabbrica, e di quello dell'alta valle, legato al territorio ed alle famiglie; invece, non seppe essere compiutamente né l'uno né l'altro.
    Gli esponenti varallesi sembra che ne avessero avuto una vaga e tardiva percezione quando decisero, all'inizio di novembre del 1945, di costituire i Cln frazionali, fino ad allora mai nominati27: essi forse avrebbero potuto essere uno strumento di mediazione tra le due "anime", collegandosi direttamente a delle realtà territoriali molto sentite, nell'ambito cittadino, sotto il profilo dell'appartenenza. Non era più sufficiente; le frazioni poco dopo chiesero un vero e proprio ritorno alla condizione di comuni e l'amministrazione, non essendo riuscita ad aprire in precedenza un canale di dialogo con esse, non poté che prenderne cautamente atto; si trattava comunque di interventi decisamente fuori tempo massimo.
    Note


    * Saggio tratto dalla tesi di laurea Costruire la democrazia. I Cln comunali nella Valsesia (aprile 1945-aprile 1946), Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Scienze Politiche, a. a. 2001-2002, relatore prof.ssa Marina Tesoro.

    1 I documenti sull'epurazione a Varallo sono in Isrp, Cln comunali della provincia di Vercelli, fascc. A4a, A4b, A4c; per Quarona si veda idem, fasc. A1a.

    2 Per i verbali di interrogatorio si veda ibidem.

    3 Per i relativi verbali si veda ibidem.

    4 Commissione di epurazione. Sezione per la Valsesia, in "Valsesia Libera - Corriere Val-sesiano" , Varallo, a. LI, numero doppio 5-6, 31 gennaio 1946.

    5 I documenti del Cln zonale di Varallo su ammassi e conferimenti sono in Isrp, Cln comunali della provincia di Vercelli, fascc. A4a, A4b; A5a.

    6 Idem, fasc. A3c.

    7 Cervarolo. Quando finiranno le nostre pene?, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", Varallo, a. L, n. 37, 17 novembre 1945.

    8 La lotta non è finita per l'eroica Valsesia, in "Gazzetta della Valsesia", Varallo a. XIX, n. 31, 20 ottobre 1945.

    9 Isrp, Cln comunali della provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    10 Elezioni amministrative, in "Gazzetta della Valsesia", Varallo, a. XX, n. 10, 9 marzo 1946.

    11 I risultati delle elezioni amministrative del 31 marzo 1946 e le qualificazioni politiche dei partecipanti e degli eletti sono tratti dai dati ufficiali del Ministero degli Interni, Prefettura di Vercelli (disponibili su microfilm all'Isrsc Bi-Vc, bobine 16 e 17); dal "Corriere Valsesiano", Varallo, a. LI, n. 19, 19 aprile 1946; dalla "Gazzetta della Valsesia", Varallo, a. XX, n. 14, 6 aprile 1946.

    12 Federico Tonetti, Storia della Vallesesia e dell'Alto Novarese, Borgosesia, Corradini, ristampa anastatica dell'edizione di Varallo 1875-1880, pp. 358-360.

    13 Enrico Pagano, Il referendum del 2 giugno 1946 in provincia di Vercelli, in "l'impegno, a. XVI, n. 2, agosto 1996, p. 6.

    14 Cervatto. Anno 1946, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", Varallo, a. LI, n. 2, 11 gennaio 1946.

    15 Ettore Rotelli, L'avvento della Regione in Italia, Milano, Giuffré, 1967, p. 30.

    16 F. Tonetti, op. cit., pp. 229-251.

    17 Idem, pp. 415-421.

    18 Giorgio Rochat - Giulio Massobrio, Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi, 1978, p. 14.

    19 Alessandro Orsi, Un paese in guerra. La comunità di Crevacuore tra fascismo, Resistenza, dopoguerra, Borgosesia, Isrsc Bi-Vc, 2001 (1a ed. 1994), passim.

    20 Buona parte della documentazione relativa ai rapporti tra Cln di Varallo e manifattura Rotondi è in Isrp, Cln comunali della provincia di Vercelli, fasc. A4c.

    21 Idem, fasc. A4a.

    22 E. Pagano, art. cit., p. 7.

    23 Gaetano Grassi (a cura di), "Verso il governo del popolo". Atti e documenti del Clnai 1943-1946, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 63.

    24 Pierangelo Lombardi, I Cln e la ripresa della via democratica a Pavia, Milano, La Pietra, 1983, p. 112.

    25 Sciopero alla Rotondi, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", Varallo, a. L, n. 39, 1 dicembre 1945.

    26 È rientrato lo sciopero dei tessili, in "Valsesia Libera - Corriere Valsesiano", Varallo, a. LI, n. 3, 18 gennaio 1946.

    27 Isrp, Cln comunali della provincia di Vercelli, fasc. A3c.



  5. #5
    FumnàCioccià
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    ma noi memori sempre ci riproveremo a riprendere la NOSTRA autonomia .

    il che vuol dire INDIPENDENZA.

    25 APRILE 2008 VALSESIA LIBERA

  6. #6
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    Dalla parte paterna erano fascisti, dalla parte materna fornivano aiuto ai partigiani, non lo so con precisione ma forse anche materiale

  7. #7
    duosiciliano
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    Citazione Originariamente Scritto da JuvSP Visualizza Messaggio
    Dato che la Guerra Civile è stato un fatto quasi esclusivamente Nostro. (mi fa sorridere Napolitano che va a festeggiare il 25 aprile..)

    Vi chiedo cosa hanno fatto i vostri nonni/padri durante quei tragici anni.



    P.S. per "Partigiani" intendo anche qurlli arruolati nelle forze armate cobelligeranti.
    Napolitano mi hà deluso dal momento che, una volta insediatosi al quirinale, non ha dichiarato la manifesta illegittimità dello stato italiano(naturalmente non mi aspettavo niente di simile). Come duosiciliano era un atto dovuto e, credo ben accetto anche da voi.

    Sulla resistenza beh i vecchi dalle mie parti me ne hanno raccontata più di una..comunque c'è da dire che anche il fascismo è stato un fatto quasi esclusivamente vostro. In oltre ti ricordo che i primi a ribellarsi spontaneamente ai nasifascisti furono proprio i popolani napoletani con le "quattro giornate", degni eredi dei "briganti" post unitari, lasciati un pò troppo soli dagli altri popoli occupati a combattere contro i savoia e la massoneria internazionale.......Senza polemica era solo per precisare. In realtà sembra che vogliamo le stesse cose per motivi diversi

  8. #8
    duosiciliano
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    Predefinito Interessante articolo di Nicola Zitara

    DAL SITO ELEAML-FORA RIVISTA ELETTRONICA DIRETTA DA NICOLA ZITARA
    http://www.eleaml.org/nicola/attuali...25_aprile.html


    La retorica del 25 aprile

    (scarica l'articolo in formato RTF o in formato PDF)


    Siderno, 23 aprile 2006


    Il pane che mangiamo non ci viene dalla Toscopadana, ma è frutto del nostro lavoro, del lavoro dei nostri padri e madri, e in termini politici della nostra schiavitù. Non è nostro, invece, il 25 aprile, il giorno in cui i tedeschi, che occupvno la Padana, chiesero la resa alle forze angloamericane che li avevano sconfitti.
    Fra i combattenti antinazisti c’erano anche i partigiani toscopadani, fra cui qualche meridionale che, tagliato fuori dal suo paese, a causa del fronte di Cassino, si era dato alla macchia per sottrarsi alla deportazione in Germania. Ma ciò non basta a fare nostro il 25 aprile. Solo il servilismo e un’insulsa retorica può farcelo celebrare come nostro.
    Certo servilismo. Infatti, soltanto questo può spiegare come la stessa cosa fatta dalle popolazioni meridionali contro gli invasori e saccheggiatori francesi, prima, e poi contro gli invasori e saccheggiatori sabaudi, debba chiamarsi brigantaggio, e perché Frabrizio Ruffo, uno degli uomini migliori e dei più abili condottieri che il Sud abbia mai prodotto non debba avere i riconoscimenti che ottiene un bullo resistenziale del tipo Giorgio Bocca..
    C’era una data, il 4 novembre, che gli italiani e gli italici celebravano assieme giustamente, perché il sangue dei meridionali e dei toscopadani si era mescolato per gli stessi rivoli di morte sulle giogaie alpine, per difendere Milano e Venezia da un ritorno del tallone tedesco e riportare alla Padana le terre trentine e giuliane, e le belle città di Trento e Trieste.
    Era il giorno che celebrava il dono che i contadini meridionali avevano fatto alla patria, da cui speravano un riconoscimento egualitario. Ma la celebrazione è stata retrocessa nel calendario delle festività nazionali in posizione secondaria. I marmorei monumenti ai caduti, obolo dei superstiti al ricordo dell’immane carneficina, troneggiano ancora su ogni piazza d’Italia a simboleggiare un passato senza ricordo. Prima o poi un qualche ministro bossista li farà rimuovere, in quanto non appartenenti al comune sentire.
    E a ragione. Infatti il sogno mazziniano di fare l’Italia-una, con Roma capitale a saldare i due tronconi, se vitalità aveva avuto nell’olocausto delle plebi in grigioverde, si spense nel 1943, allorché gli angloamericani furono bloccati nella loro avanzata un centinaio di chilometri a nord di Napoli. Il Sud ebbe la sua liberazione due anni prima, mentre la Toscopadana pativa mille sofferenze umane e familiari.
    Fu la dura esperienza della guerra civile che portò i padani a ripudiare le basi ideologiche dello stato sabaudo su cui avevano organizzato lo stato nazionale e con cui aveva assoggettato il Sud nel 1860, e le stesse basi ideologiche del fascismo, con cui avevano rinsaldato il sistema padanista dopo il Biennio rosso.
    Repubblica, Democrazia, Resistenza, Bella ciao. Il 25 aprile del 1945 inaugura la nuova dittatura di Milano sul paese. Riccardo Lombardi, un socialista catanese che è il prefetto politico di Milano, fa e disfà i governi romani del Comitato di Liberazione Nazionale. Neanche la favolosa rimonta democristiana, due anni dopo, porta al riequilibrio il paese diviso e scompaginato. Il ministro del tesoro, Einaudi, spinge ogni briciola delle risorse nazionali verso la Padana da ricostruire.
    Gli operai di Milano e di Torino hanno nuovamente il loro lavoro, quelli di Napoli cantano alla luna. Lo stato finanzia i mezzadri rossi dell’Emilia e della Romagna, mentre le regioni che restano fuori del giro resistenziale, partendo dal Triveneto e scendendo attraverso le Marche e il Lazio fino al Sud, spalancano i confini alla fuga di una parte considerevole della loro popolazione.
    Un dualismo nazionale di tale portata è possibile soltanto se la retorica è disseminata in ogni ganglio della società civile. La nefasta opera dei maestri elementari, già sperimentata con Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele e Mussolini, viene rimessa in opera a favore della Resistenza.
    La Toscopadana torna a trionfare, mentre il Sud, una botta dopo l’altra, cade in ginocchio e sputa sangue dalla bocca. Ormai, a sua difesa non ha più neppure l’umile lavoro del contadino, la sua fame, e meno che mai il prodigioso monopolio mondiale delle produzioni agrumarie.
    Certo il Sud serve tuttora alla Padana come massa di consumatori, come fruitore e finanziatore di valuta estera fift fift con il banchiere, che sfrutta la sua miracolosa capacità di narcotrafficare, nonché come produttore di truppa di pronto impiego, di carabinieri, di giudici e commissari di polizia. E se qualche volta il paese vacilla perché ha subodorato l’inganno resistenziale, la presa per i fondelli si affina e arriva qualcuno a sventolare il tricolore e a intonare l’inno di Mameli.
    Non sono un moralista, ma soltanto un uomo di questa terra che, essendo vissuto a lungo, ha visto inganni e dolori. Tutte le nazioni antiche e moderne – dall’Egitto dei faraoni agli odierni Stati Uniti d’America - hanno sofferto e soffrono dei mali di cui ho fatto soltanto un breve elenco emozionale. Però non è scritto da nessuna parte che gli uomini elevati a cittadini debbano essere dei “coglioni”, secondo l’efficace definizione di un milanese che non traligna dalla migliore antropologia ambrosiana. Bossi no, in verità. Fa, infatti, leghe e leghisti a Catania e periferia calabrese.
    La lotta politica prevede i ribelli, gli scontenti, i delusi, gli avversari; la lotta per la libertà contempla la rivolta, l’insurrezione, la rivoluzione. Da nessuna parte è scritto che le popolazioni meridionali, casomai volessero una o l’altra di dette cose, debbano chiedere la benedizione del cardinale di Milano, l’assenso del segretario della CGIL e dell’acrobatico incassatore di beffe berlusconiane, D’Alema, nonché il parere di Eugenio Scalfari e il placet di Alberto, Filippo, Carlo, Luca Maria Cordero di Monteprezzemolo.
    Se il simpatico Bertinotti s’impappina in contorsioni riformistiche e si avvinghia in danze tarantolate per farsi accettare dai manager al servizio della famiglia Agnelli, dovremmo pur poter ridacchiare - e non perché la cosa è un inestetismo, ma perché le non celestiali parabole del riformismo padano sono ammirevolmente divertenti.
    Il Meridione emunto è un paese che rappresenta ancora un terzo della popolazione dello stato. In detto emunto paese, un terzo della popolazione non ha mai visto un lavoro. Cosa mai ci può importare se la Fiat chiude o resta aperta, quando, nonostante il dato relativo alla nostra disoccupazione, il governo si adopera a stuzzicare gli extracomunitari ad approdare sulle nostre amate sponde?
    E ancora: la domenica di Pasqua, due illustri giornalisti e commentari di ‘la Repubblica’, Alberto Statera e Ilvo Diamanti, hanno spiegato a Prodi e a tutta la sinistra che le più illustri regioni padane, le più nobili terre d’Italia, hanno votato a maggioranza Berlusconi perché lì la gente ha temuto che la sinistra al governo potesse tassare le case e le rendite finanziarie (Bot e depositi bancari). I due, con il fazzoletto in mano, hanno invitato Prodi e il suo futuro governo a non dare un simile dispiacere alla parte più moderna e produttiva del paese.
    Ovviamente l’interfaccia nascosta del discorso dice che a pagare saranno sempre i sudici Ciccio e Cola, magari attraverso un consistente aumento dell’IVA che, come imposta, quanto si è più ricchi tanto meno incide. La patria è in pericolo. Ma questa volta non ci chiede di mandare contadini in grigioverde a difendere le Alpi. Bastano le tasse.


    Nicola Zitara

  9. #9
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  10. #10
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    Io, come i miei avi ogni anno nei secoli, vado a festeggiare il 25 Aprile, San Marco, giorno di festa nazionale per i Veneti

 

 
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