Intervista-shock della ex campionessa Usa, top della racchetta nei primi anni ottanta
Jaeger, la tennista diventata suora "Contro mio padre e il circuito"
"Offrono anche cocaina e steroidi: ecco perché ho mollato"
"Prima della finale di Wimbledon fui buttata fuori dalla stanza"
Andrea Jaeger alla fine degli anni settanta
ROMA - "Ecco perché sono diventata suora... quando ero nel circuito professionistico del tennis ho sempre sognato che qualcuno mi prendesse sotto braccio e mi dicesse: 'Ricordati, sei una grande tennista talentuosa ma adesso è ora che tu impari anche qualcosa della vita e non solo del tennis". Da numero uno della racchetta a sorella Andrea, membro di spicco della Chiesa anglicana dominicana. Dai completini da tennis con annesse lunghe code di capelli biondi che scendevano ben oltre le spalle, all'abito nero da suora che copre tutto, anche i capelli. Eppure mai come ora, Andrea Jaeger, 42 anni, è stata felice.
Qualcuno forse la ricorderà: tra il 1982 e il 1983 la allora ragazzina americana di Chicago è stata n.2 del mondo, si era permessa di battere Chris Evert e Martina Navratilova e Billie Jean King addirittura sul centrale di Wimbledon. Serviva da Dio e a rete osava lanciarsi e tuffarsi su tutte le palle. In soli sei anni, dal 1979 (aveva solo 14 anni, ma la famiglia aveva bisogno di soldi) al 1985, giocando come professionista ha accumulato un montepremi da un milione e mezzo di dollari (di allora) senza contare sponsor e pubblicità. Nel 1980, per dirne una, è stata la più giovane tennista nella storia ad entrare nel tabellone di Wimbledon.
Poi l'incidente alla spalla, nel 1985. Insuperabile - fu detto - fino al punto da ritirarsi dal circuito. Per entrare però in un altro: quello filantropico prima e spirituale poi che il 16 settembre 2006, tra lo sconcerto della famiglia, l'ha portata a prendere i voti e a diventare suora. "Ho sempre sentito il bisogno dentro di me di aiutare gli altri, fin da quando ero piccola", raccontò. E molti ricordano della ragazzina dai lunghi capelli biondi che tirava botte da orbi in tutti gli angoli del campo che nel tempo libero durante i tornei andava a visitare gli ospedali e i bambini ricoverati.
E la nuova vita di sister Andrea è sempre stata uno di quei misteri che ogni tanto avvolgono le nevrotiche vite dei tennisti. Ora il mistero si dissolve grazie ad "una commovente intervista" in cui il giornalista del Mail on Sunday, Peter Robertson, è riuscito a farle raccontare "come la sua nuova vita nella chiesa Episcopale l'abbia aiutata a riconciliarsi con un passato che mi aveva profondamente turbata". Come il rapporto con il padre-padrone-allenatore, una figura che continua a fare disastri tra le giovani promesse del tennis. Il padre di Andrea, ex pugile di origine tedesca, era un signore che, per esempio, nel 1983, la notte prima della finale di Wimbledon, pensò bene di mettere la figlia, già numero 2 del ranking, a dormire fuori dalla porta perché non si era allenata come lui aveva previsto. "Spinta dal padre - scrive il Mail - Andrea ha perso la sua infanzia e ha dovuto combattere con le regole spietate del circuito del tennis".
"Ma io, invece - racconta sister Andrea dal quartier generale dell'ordine religioso in Colorado - ho sempre sentito dentro di me la chiamata ad aiutare quelli che hanno bisogno. E' nella mia anima fin da quando ero bambina".
L'intervista è il racconto di una fede coltivata in segreto: "I miei genitori non andavano in chiesa e non c'era una Bibbia nella nostra casa, ma per qualche ragione sentivo che Dio mi aveva fatto il regalo della fede. Ho imparato le preghiere da sola, forse dalla tv, e nessuno della mia famiglia sapeva che io pregavo ogni giorno".
Il racconto di una serenità ritrovata: "La mia giornata è molto intensa, sveglia alle 4, un'ora di preghiere e studi spirituali e poi alle sei si comincia: programmi, iniziative. Ho tre abiti da suora perché li sporco spesso e in fretta, li uso molto ma sono ancora goffa. Mi muovo veloce, corro e salto e talvolta la veste mi resta impigliata... Insomma immagino che sia il modo di Dio per dirmi che va tutto bene, che in fondo io ero quella che si lanciava sulle palle sul campo da tennis".
Poi il padre: "I miei genitori non mi hanno spinto al tennis. Mio padre Roland e mia madre amavano giocare e io passavo ore a guardarli. Allora ho voluto giocare anch'io. Ho vinto il mio primo torneo a 9 anni, a 13 quelli del college. I miei però facevano molti sacrifici e allora decisi di diventare professionista a 14 anni (...). E' molto difficile quando un genitore diventa il tuo coach perché in nome dell'agonismo entrambi perdono il lato affettivo tra genitore e figlio. Mio padre è cresciuto in Germania in un'epoca in cui la disciplina era intesa in modo diverso. Lui è stato educato ed è stato cresciuto a colpi di cintura. E allo stesso modo voleva insegnarmi valori e principi. Ma io queste cose le volevo imparare da Dio e non con le botte e le punizioni. Non credo però di aver mai avuto paura di lui".
Sorella Andrea indugia molto nel racconto di quello che successe la sera prima della finale di Wimbledon contro Martina Navratilova. Era il 1983, Andrea aveva 18 anni appena compiuti. "Il pomeriggio prima della finale litigai con mio padre. Stava per picchiarmi e io usciì dalla stanza sapendo che non avrebbe avuto il coraggio di farlo in pubblico. Martina era alloggiata nell'appartamento di fianco, entrai e cercai di chiamare un taxi. Il trainer di Martina cercò di aiutarmi con qualche numero di telefono ma lei mi guardò appena di sfuggita. Mi dette molto fastidio vedere che il match del giorno dopo era più importante di una ragazzina che chiedeva aiuto. 'Mio Dio - mi dissi - si sta concentrando nel suo istinto-killer e io l'ho disturbata'".
Andò che il giorno dopo Andrea perse 6/0-6/1 senza mai giocare. E quando la Navratilova fu sollecitata dai giornalisti sull'episodio rispose: "Jaeger aveva paura che suo padre la potesse picchiare durante la notte. Il mio coach l'ha aiutata a trovare un taxi... era a posto così".
Papà Roland è morto da qualche anno ma "non ha mai saputo veramente cosa fosse il circuito del tennis. Cocaina? Steroidi? E' capitato di tutto. Per questo ho sempre cercato più un modo per uscirne che un modo per starci più a lungo possibile".
(20 aprile 2008)
http://www.repubblica.it/2008/01/sez...ea-jaeger.html