Quello di oggi sarà un primo maggio come i precedenti, simile a quelli che già abbiamo visto negli anni scorsi: con il solito gran concerto “dei lavoratori” e la consueta retorica del sindacalese più stantio. E sarà naturalmente un primo maggio con molti musei chiusi, ferrovie e autobus fermi, siti unici al mondo inaccessibili. Con il risultato che ci toccherà l’ennesima umiliazione di fronte a turisti giunti dalla California o dall’Australia impossibilitati ad ammirare agli Uffizi i quadri del Botticelli o di Michelangelo.
È la solita Italia, certo, ma ormai davvero fuori tempo massimo, perché è giunto il momento di prendere atto che non si può continuare in questa maniera. Con il Paese fermo e troppi ritardi accumulati in ogni settore, quei brutti vizi italici che untempo erano ammissibili ora non lo sono più.
È anche un problema di giustizia, perché se perfino le Coop hanno accettato la logica del mercato e oggi apriranno per soddisfare le esigenze del consumatore, è bene che venga meno questa frattura un privato che si sforza d’incontrare i consumatori e quel settore pubblico che troppo spesso mette al centro gli interessi dei dipendenti.

Chiudere oggi anche solo un museo è un gesto grave anche alla luce della perdita d’immagine che l’Italia sta scontando. Quanti operano nel turismo stanno toccando con mano le conseguenze dolorose del disastro di Napoli e proprio per ciò quest’anno sarebbe stato opportuno imprimere una svolta. Ai cumuli brucianti e alle mozzarelle “inquinate” si sarebbe dovuta opporre l’immagine di un Paese capace di sfruttare al meglio quelli che Gianni de Michelis, anni fa, chiamò i nostri “giacimenti culturali”.

Se la cultura e l’arte possono essere per l’Italia quello che il petrolio è per gli emirati arabi, bisogna però che chi si muove per ammirare i nostri capolavori sia accolto nel migliore dei modi. L’errore dei musei chiusi, allora, deve indurre a un ripensamento complessivo della politica culturale.
Bisogna partire da una constatazione elementare: dal fatto che oggi, ad esempio a Firenze, abbiamo importanti pinacoteche chiuse, ma sono aperti gli alberghi e i ristoranti. Perché? Semplicemente perché sono privati. Ma allora bisogna coinvolgere professionisti e imprese anche nella tutela, nella cura e nella gestione del nostro più prezioso patrimonio storico e artistico.

La lezione va imparata, una volta per tutte, Anche emulando – in tutto o in parte – quanto negli ultimi anni è stato fatto a Treviso, prima, e a Brescia, poi, dove gli enti locali hanno dato a un professionista la gestione di eventi espositivi (le ultime iniziative hanno riguardato gli impressionisti e la pittura americana) che hanno attirato centinaia di migliaia di persone.
Come ogni cosa, la valorizzazione dell’arte esige imprenditorialità, abilità promozionale, spirito d’iniziativa. I musei italiani chiusi nella festività del primo maggio, allora, dicono molto più di quanto non appaia, e chiamano a scelte innovative da parte del futuro governo.

Da Il Tempo, 1 maggio 2008

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