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Defender
Julius Evola non è certo una figura della cultura politica assimilabile a Reagan, alla Tatcher, men che meno a Burke.
Anche dai tradizionalisti come De Maistre De Bonald lo separa un abisso, d'altra parte sempre rivendicato dai suoi discepoli e ammiratori.
Il Barone è la quintessenza dell'impresentabilità e così tutti i suoi "affini", da Massimo Scaligero, suo mentore, a Filippani Ronconi, da Romualdi a Rauti.
Eppure il suo accento sulla spiritualità e sulla necessità di superare il materialismo (origine sia del liber(al)ismo sia del comunismo) credo possa essere condiviso anche da chi si riconosce più nel conservatorismo dell'evoluzione "morbida" della società e della Chiesa più che nel tradizionalismo di non necessarie ascendenze cristiane e del richiamo all'ultima e sulfurea incarnazione del Deutsches Reich.
Voi che al conservatorismo vi rifate, come vi ponete di fronte ad un autore che, a detta di Pietro Ignazi, nel 1994 era ancora il riferimento culturale cardine dell'intera, neonata Alleanza Nazionale?