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    Predefinito Il centrodestra scivola sul "salvaliste". Gelo tra Pdl e Lega

    Domani in aula abbiamo le ratifiche di trattati internazionali, quelle dovrebbero passare...". La frase tra l'ironico e lo sconsolato è di un parlamentare pidielle che a tarda sera lascia Montecitorio dopo il "patatrac". E il "patatrac" è l'azzeramento del decreto salvaliste. Quello sul quale il premier ci ha messo la faccia - e il caso è quello noto dell'esclusione della lista Pdl a Roma e provincia dalle regionali - provocando perfino qualche attrito col Quirinale.
    Ieri alla Camera la maggioranza è andata sotto, battuta per otto voti, su un emendamento del Pd contro il provvedimento del governo. E al primo voto, sul primo articolo del testo. Finora non era mai accaduto e se sul piano giuridico la cosa non dovrebbe avere conseguenze pesanti perché adesso la via d'uscita è una norma in tempi rapidi che faccia salvi gli effetti del decreto non convertito in legge per il tempo in cui è rimasto in vigore, sul piano politico crea tensione, dentro il Pdl ma anche tra Pdl e Lega.
    In ballo c'è ancora il caso Lazio perché su quel decreto il Tar ha deciso la riammissione della lista Sgarbi collegata alla candidata presidente del Pdl (oggi neoeletta governatore) Renata Polverini. Certo, sul piano giuridico, il rischio di una battaglia a suon di ricorsi è sempre dietro l'angolo e ieri lo si è capito quando il radicale Cappato ha preso la palla al balzo per chiedere che in Lombardia si torni alle urne o quando Pd, Idv e Udc hanno sparato ad alzo zero sul passo falso della maggioranza, ma è altrettanto vero che infilarsi nell'ingranaggio di una nuova guerra a colpi di ricorsi probabilmente non conviene a nessuno.
    Il passo falso nel centrodestra, per dirla con Fabrizio Cicchitto, si chiama "sciatteria inaccettabile". A casa per i postumi di una broncopolmonite, il capogruppo dei deputati Pdl affida a una nota tutt'altro che diplomatica, la sua irritazione annunciando che d'ora in poi consegnerà al partito e renderà pubblico l'elenco dei parlamentari assenti non giustificati, insieme ad "altri provvedimenti visto che siamo a metà della legislatura". Passaggio quest'ultimo alquanto sibillino dentro il quale alcuni deputati della maggioranza ci leggono perfino l'ipotesi di un "ricambio" negli assetti interni al gruppo parlamentare.
    Se ci saranno conseguenze anche di questo tipo è presto per dirlo, ma certo "l'incidente" segna un problema: il tasso di assenteismo nei banchi del centrodestra e in particolare del Pdl, oltre ad una certa sottovalutazione della tattica che, invece, l'opposizione conosce bene e che ieri ha messo in pratica. Accade tutto nell'arco di pochi minuti e niente fino a metà pomeriggio faceva presagire il rischio di scivoloni, anche perché nelle prime due votazioni (quella sulla chiusura della discussione generale e l'altra sulla fine del dibattito relativo agli emendamenti) la maggioranza non aveva manifestato alcun problema di numeri.
    Un'eccessiva sicurezza è stato il motivo principale per cui pochi minuti dopo lo scenario è cambiato e a cantare vittoria è stata l'opposizione. All'appello sono mancati 38 deputati del Pdl e quattro della Lega. Dei 38 deputati del Popolo della libertà, 33 sono gli ex di Fi (tra cui alcuni big come Lupi, Verdini, Ghedini, oltre ai ministri Gelmini e Carfagna) e 5 i finiani (tra questi, Donato Lamorte, Fabio Granata e Flavia Perina). Non mancano sospetti e accuse incrociate nei commenti in Transatlantico e qualcuno punta l'indice proprio sui fedelissimi del presidente della Camera. Ma il finiano doc Lamorte assicura che si è trattato di una casualità, "non c'è alcuna volontà di mettersi di traverso".
    Nelle file del Pdl, poi, 31 deputati risultavano in missione: tra questi (come assenti giustificati), il premier Berlusconi e buona parte del governo. Al di là delle congetture, a ben guadare, il succo della vicenda sta in quel "difetto" che in molti nel centrodestra ieri rilevavano: l'eccessiva sicurezza che tanto i numeri ci sono. Questa volta non è stato così e l'opposizione ha giocato le sue carte puntando proprio su questo. Tanto è vero che nelle prime due votazioni i banchi della minoranza non erano al gran completo come invece sono stati al momento del primo voto "vero".
    Per il leader democrat Bersani si è trattato di ''sconfitta politica per la maggioranza e il governo" mentre Di Pietro è la riprova che quel decreto "ad listam non solo non lo voleva l'opposizione, ma neanche la stessa maggioranza''. E dall'Udc Michele Vietti ne approfitta per osservare che se nella conversione di un decreto "siamo a questi livelli, non voglio pensare a cosa farà la maggioranza quando faranno le riforme". Il Pdl replica alle accuse cercando di gettare acqua sul fuoco, come hanno fatto fa il vicepresidente dei deputati Simone Baldelli quando rileva che sull'esito del voto non ci sono ragioni nè implicazioni politiche ma "è da imputare alla colpevole assenza dall'Aula di alcuni deputati al momento del voto" e il vicepresidente vicario Italo Bocchino convinto del fatto che "poi una soluzione si trova".
    Ma è proprio su Bocchino che si concentra buona parte delle critiche pidielline e leghiste. Per due motivi: la conduzione del gruppo in assenza del presidente e le dichiarazioni che fin dal primo pomeriggio hanno tenuto banco a Montecitorio sollevando un vespaio di polemiche, coi deputati del Carroccio visibilmente irritati. Durante il talk show KlauConditio, ragionando su uno scenario di prospettiva futura, l'ex An dice sì a un premier gay, ma sbarra la strada all'ipotesi di un premier leghista. E sempre a proposito di futuro, di fronte ad un Berlusconi che potrebbe salire al Colle, Bocchino suggerisce "le primarie come possibile metodologia di scelta" per individuare chi possa rappresentare il centrodestra a Palazzo Chigi.
    Apriti cielo: se fino a quel momento nel Carroccio si era optato per non alimentare ulteriori polemiche lasciando di fatto cadere la cosa, dopo lo scivolone sul decreto salvaliste si sono rotti gli indugi e con Raffaele Volpi è partito l'affondo: ''Ancora una volta il Pdl non è in grado di controllare i propri deputati. Bocchino, invece di occuparsi della Lega e dei suoi deputati, pensi a guidare i deputati di quel Pdl di cui risulta essere vicepresidente vicario. A meno che non sia talmente minoritario da non riuscire a farlo...''.
    Tuttavia, anche tra quegli azzurri che da tempo chiedono "più disciplina nel partito" e "cambi radicali sul fronte organizzativo" non sono mancati toni tutt'altro che concilianti. C'è poi chi come Giorgio Stracquadanio invita "ciascuno a fare il proprio mestiere evitando di usare cariche per fare interviste se poi non si esercitano le responsabilità che quelle cariche comportano. Sarebbe meglio lasciare cariche e responsabilità". O come Giancarlo Lehner che a proposito di riforme isituzionali suggerisce al premier "di mandare a casa" i deputati assenteisti. O ancora come buona parte dei parlamentari che in Aula ci sono sempre e che ieri ripetevano che "così non si può andare avanti".
    A maggior ragione quando in gioco c'è un decreto del governo sul quale ci ha messo la faccia il presidente del Consiglio.

    Il centrodestra scivola sul "salvaliste". Gelo tra Pdl e Lega | l'Occidentale


    W la "democrazia" il governo sta mettendo in pericolo l'efficacia delle elezioni nel Lazio. Figuratevi se avesse vinto la Bonino..
    "Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue" Phineas Taylor Barnum

    UE, mondo, futuro Michio Kaku:
    https://www.youtube.com/watch?v=7NPC47qMJVg

  2. #2
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    Predefinito Rif: Il centrodestra scivola sul "salvaliste". Gelo tra Pdl e Lega

    Ma chi se ne frega.

 

 

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