Motivare il personale, responsabilizzare i dirigenti, licenziare gli assenteisti
Sono passati poco più di sei mesi da quando se n'era parlato per l'ultima volta.
Adesso le dichiarazioni di Montezemolo all’inaugurazione dell’anno accademico della LUISS ripropongono ancora il dibattito sull’assenteismo degli statali.
Segno che le polemiche passate non hanno portato a nessuna iniziativa concreta per risolverlo. L'unica conseguenza è un ulteriore logoramento dell’immagine del pubblico dipendente, come se l’aver vinto un concorso pubblico per merito (a volte, ve l’assicuro, può accadere) sia un disonore con cui convivere senza potersi riscattare.
Probabilmente, per affrontare il problema è necessario un approccio diverso da quello degli ultimi tempi. Se non si è riuscito ad arginare l’assenteismo è perché, evidentemente, è mancata la volontà concreta di farlo. Infatti, come spesso accade, la realtà è ben diversa da come viene raccontata.
Tanto per cominciare se l’assenteismo è una piaga, lo sono ancor di più coloro i quali, pur essendo regolarmente alle proprie scrivanie, non svolgono alcuna attività utile alla collettività.
E non è detto che ciò avvenga per difetto della loro volontà.
N
el pubblico impiego non esistono solo i fannulloni (tanti) e i fuoriclasse (pochi).
Molto spesso dietro i nullafacenti ci sono tante persone oneste che vorrebbero lavorare per mettere a frutto le competenze acquisite dallo studio, essere motivate per farlo, orientate al risultato, valutate e ricompensate per i risultati raggiunti.
Ci sono fannulloni "per indole" e fannulloni "coatti".
Mi riferisco a tutti quei lavoratori (e sono tanti) che vengono collocati in strutture pletoriche, in uffici inutili e per giunta zeppi di personale senza mansioni degne di questo nome; sono uffici che potrebbero essere soppressi da un giorno all'altro destinando ad altre strutture, magari sotto-dimensionate, i fannulloni "coatti". Prendersela coi i nullafacenti in maniera generica è troppo semplice e scontato.
Parliamo invece della funzione dirigenziale del pubblico impiego. Il prestigio di un dirigente pubblico nell’ambito dell’amministrazione si misura in base a quanti funzionari dipendono gerarchicamente da lui.
Pertanto, se un manager è così coraggioso da ammettere di avere dei dipendenti in esubero, rischia una "diminutio" del proprio ruolo, anziché essere ricompensato per il coraggio dimostrato. L'esistenza di questa terribile logica spiega la permanenza in vita di migliaia di strutture inutili. Sono certo-e so quello che dico- che l’assenteismo è più alto proprio negli uffici inutili, perché l’impiegato valorizzato, apprezzato dai colleghi, si sente utile alla collettività, e per questo viene volentieri in ufficio; sembra un paradosso, ma è più portato ad restare a casa per dedicarsi ai propri hobby chi in ufficio si annoia perché riscalda la sedia.
Se il funzionario non produce è spesso perché non viene motivato o, peggio, perché chi comanda non dà il buon esempio. Ci sono dirigenti che non si fanno vedere in ufficio prima delle 10.
È vero anche che per poter motivare le risorse i dirigenti devono disporre dei necessari strumenti, che oggi non ci sono.
Il premio produttività dei pubblici dipendenti viene attribuito in base alle presenze in ufficio e in minima parte in base al merito; le progressioni di carriera sono legate quasi esclusivamente all’anzianità di servizio; i bandi dei concorsi interni per promuovere alcuni funzionari a dirigenti sono confezionati su misura addosso ai futuri vincitori, i cui nomi sono conosciuti ancor prima che il bando sia reso pubblico, e spesso scelti senza reali criteri meritocratici.
Tali meccanismi sono spesso imposti dai sindacati e, al tal proposito, ho letto oggi con gioia l’intervista di Angeletti a "Il Messaggero" titolata "Puntare sul merito anche per gli statali". In pratica nel pubblico lavorare non serve. Così, coloro che vorrebbero e potrebbero lavorare di più e bene non lo fanno perché pagati alla stessa maniera dei fannulloni "per indole". È un circolo vizioso.
Dotiamo i dirigenti di poteri e strumenti che li equiparino seriamente a quelli delle aziende private. Dopo, licenziamo quelli che non riducono l’assenteismo perché non sanno motivare le risorse o perché non denunciano l'inutilità o la sovrabbondanza degli uffici che sovrintendono. E infine potenziamo, e drasticamente, le verifiche domiciliari sulle assenze per malattie punendo col licenziamento chi si assenta in maniera fraudolenta. Parola di dipendente pubblico.
Maurizio Frugis
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