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    L'ignoranza del pubblico è un fattore necessario per il buon funzionamento di una politica governativa inflazionistica. Ludwig von Mises
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    Predefinito Riequilibrio modale. Soltanto una (costosissima) illusione

    Nella compagine governativa berlusconiana, accanto alle giovani speranze, ritornano alcune vecchie glorie. C’è chi, come Maroni, torna a sedere sulla stessa poltrona di qualche anno fa e chi, come Matteoli, cambia ruolo passando per così dire da un ministero di difesa, l’Ambiente, ad uno di attacco, le Infrastrutture, che ritrovano i Trasporti perduti nella scorsa legislatura. Il ministro sembra aver ricevuto consensi bipartisan con apprezzamenti giunti anche da parte di Ermete Realacci, responsabile per l’ambiente del governo ombra di Veltroni. Bipartisan è anche una convinzione che accomuna i politici di ogni schieramento, in Italia come in Europa, ossia che lo stato debba investire ingenti risorse per favorire il cosiddetto riequilibrio modale che consiste nello spostare una parte della domanda di trasporto dalla strada alla ferrovia. E’ una politica perseguita ormai da molti decenni e che ha avuto un impatto rilevantissimo in termini di spesa pubblica. In ambito europeo i trasferimenti totali alle ferrovie ammontano a circa 50milardi di Euro all’anno, dei quali circa quaranta per la gestione e dieci per gli investimenti. A tale cifra occorre sommare i sussidi pubblici per il trasporto collettivo locale: il livello complessivo della spesa pubblica in questo ambito è molto incerto anche perché i trasferimenti avvengono sia a scala nazionale che locale e riguardano voci di bilancio plurime (servizi, acquisto materiale rotabile, ripagamento debiti pregressi, ecc.). Una stima prudenziale è dell’ordine di venti miliardi di Euro l’anno, senza considerare gli investimenti in infrastrutture. In totale, ogni anno, circa 70 miliardi passano dalle tasche dei contribuenti alle casse delle aziende di trasporto collettivo. Con quali risultati in termini di riequilibrio modale? Apparentemente nessuno.

    Un confronto fra le principali nazioni dell’Unione Europea, Francia, Germania, Italia e Regno Unito, mostra come l’attuale ripartizione modale tra l’automobile ed il trasporto pubblico è sostanzialmente omogenea. La quota-parte del traffico privato è in media dell’85%: la percentuale più bassa è quella dell’Italia (83%) e la più consistente quella del Regno Unito (88%). In Svizzera, il Paese europeo con il miglior sistema di trasporto pubblico di breve e lunga percorrenza, il valore si attesta a circa l’81%. Nei Paesi Bassi, nazione che presenta una densità di popolazione doppia rispetto alla media dei più grandi Paesi europei (393 abitanti per km2 contro 191) e, dunque, le condizioni al contorno potenzialmente più favorevoli per il trasporto collettivo, il trasporto su auto detiene una quota pari all’86,5% degli spostamenti motorizzati. Tale situazione è ormai consolidata da molti anni: il grande balzo in avanti dell’auto risale al ventennio successivo alla seconda guerra mondiale nel corso del quale la quota di mercato del trasporto individuale crebbe dal 30% al 70%.

    Non risponde dunque a verità la tesi secondo la quale la situazione italiana sarebbe difforme da quella degli altri Paesi europei e che, per far riconquistare il terreno perduto alla ferrovia, sarebbe sufficiente investire risorse per potenziare l’offerta infrastrutturale. Lo dimostrano i numeri sopra citati relativi alla Svizzera e lo testimonia l’esperienza francese, il Paese europeo che più di ogni altro ha investito risorse pubbliche per la realizzazione di linee ferroviarie ad alta velocità e per infrastrutture di trasporto collettivo in ambito urbano. Questo ingente sforzo ha fatto sì che la rete ad alta velocità di cui dispongono i nostri cugini d’Oltralpe abbia un’estesa di 1.500 km pari a tre volte la nostra; lo stesso rapporto di 1 a 3 lo si ritrova nel settore delle infrastrutture per il trasporto rapido di massa (metropolitane e tranvie). Tale investimento non ha prodotto alcun risultato apprezzabile in termini di trasferimento modale dalla strada alla ferrovia: anzi, fra il 1980 ed il 2004 la quota di domanda soddisfatta dal trasporto su ferro è diminuita dal 10,7% al 9,4%.
    In Italia, a più di due anni dall’apertura della tratta ad alta velocità fra Roma e Napoli, non si è registrata alcuna apprezzabile riduzione di traffico sulla tratta autostradale che corre ad essa parallela.

    Non c’è alcuna ragione per ritenere che una strategia rivelatasi fallimentare ovunque e per un lungo periodo di tempo possa diventare vincente nei prossimi anni. Fatta eccezione per un segmento molto limitato della mobilità, ossia gli spostamenti diretti verso le aree centrali dei grandi centri urbani, le prestazioni fornite dalla mobilità su strada non possono essere avvicinate dai trasporti collettivi. Gli italiani, come i francesi, i tedeschi e gli inglesi, scelgono quasi plebiscitariamente l’auto non perché meno costosa ma perché, nonostante costi loro molto di più dei trasporti pubblici anche a causa dell’elevato livello di tassazione che grava sul settore, consente loro di spostarsi molto più velocemente e quindi di risparmiare tempo. Tale realtà non potrà essere modificata se non marginalmente quale che sia il livello di risorse che lo stato trasferisce ai trasporti collettivi. Se anche treno e tram fossero gratuiti ed interamente finanziati dalla collettività, la maggior parte delle persone continuerebbe a spostarsi in auto (vi immaginate l’ilarità che circonderebbe il ministro Scajola se proponesse di sussidiare le macchine per scrivere e le videcassette al fine di ridurre le vendite di computer e dvd e contenere così i consumi di energia?)
    Riconoscere tale realtà costituirebbe un primo importante passo nella direzione di una politica dei trasporti razionale e non fondata su slogan ideologici. Ne trarrebbero grande giovamento i contribuenti grazie al ridotto prelievo fiscale ma vi sarebbero ricadute positive anche sotto il profilo ambientale: se una tratta stradale è altamente congestionata, è auspicabile introdurre un pedaggio (o modificare la struttura di quello esistente) ed utilizzare le risorse acquisite per allargarla. In tal modo si rendono più fluide le condizioni di circolazione e si riducono le emissioni di inquinanti ed i consumi di carburanti. Inutile invece costruire una ferrovia nella vana speranza che gli automobilisti lascino a casa il loro veicolo per poi constatare che gli stessi continuano ad utilizzarlo e a rimanere imbottigliati nel traffico. Solo la strada può alleviare la strada.

    Da Libero Mercato, 13 maggio 2008

    Figura 3Ripartizione modale del trasporto passeggeri terrestre in Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Svizzera - anno 2003

    Fonte: elaborazione su dati della Commissione Europea

    http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=6627

  2. #2
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    Predefinito

    Per il discorso passeggeri:



    Tenuto conto della diversa estensione e conformazione dei territori, la varianza è bassa.

 

 

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