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    Predefinito 110 anni fa nasceva Julius Evola, il filosofo della Tradizione

    “CONVEGNO SU JULIUS EVOLA” a 110 anni dalla sua nascita
    Sabato 17 Maggio 2008 ore 18,00
    GALATA - MUSEO DEL MARE PORTO ANTICO (Darsena) - GENOVA
    - ALESSANDRO GIULI “Il Barone e l’Egemonichon. La responsabilità pubblica del vir in Evola”
    - RENATO DEL PONTE “Miti e simboli della Liguria “esoterica” in Evola”
    - GIANDOMENICO CASALINO “La cittadella interiore. Mondialismo, globalizzazione e Rivolta contro il mondo moderno”
    - HANS THOMAS HAKL “Evola e la storia comparata delle religioni”
    Moderatore: NICOLA CREA

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    Predefinito Rivolta metafisica di MARIO BERNARDI GUARDI

    Tratto da Percorsi 6/1998 - con aggiunte delle note tratte da "SU EVOLA" di ADRIANO ROMUALDI (FONDAZIONE JULIUS EVOLA)

    «L'uomo tradizionale non aveva la stessa esperienza del tempo subentrata nell'uomo moderno: egli aveva una sensazione sovratemporale della tempora lità e in questa sensazione egli viveva ogni forma del suo mondo».

    (Rivolta contro il mondo moderno)

    Rivolta metafisica di MARIO BERNARDI GUARDI

    Un itinerario esplorativo alla ricerca di legami cultural-religiosi e insegne di una Tradizione primordiale, compiuto senza curarsi della non-scientificità del metodo, ma unicamente dell'«ordine»

    Quando, nel 1934, per i tipi della prestigiosa casa editrice Hoepli, vede la luce la prima edizione di Rivolta contro il mondo moderno, Julius Evola è un giovane intellettuale «disorganico», conosciuto quel tanto che basta per aver già un discreto numero di estimatori e di detrattori. Come sempre avviene, del resto, per chi dice quel che «vuole» e che «deve» dire; e dunque non si sottrae ad alcuna sfida né politica né culturale.

    Si propose di realizzare l’idealismo attraverso il potenziamento dell’esistenza empirica e l’autosufficienza interiore

    Nato a Roma il 19 maggio 1898 da famiglia aristocratica, benestante e cattolica, Giulio Cesare Andrea Evola - questo il suo vero nome - si è formato, come tanti altri «spiriti» di una generazione inquieta e desiderosa di assoluto, sulle opere più care alla sensibilità «decadente»: L'Unico di Stirner, le flluminazioni di Rimbaud, lo Zarathustra di Nietzsche. Le «cifre» che lo seducono sono quelle dell'estetismo e del nihilismo, del superomismo e del misticismo, del volontarismo e del vitalismo: una esplosiva miscela di umori, idiosincrasia, vocazioi contraddittoriamente ribellistiche, che fa sì che l'adolescente Julius si senta attratto dallo Sturm und Drang delle riviste fiorentine, in particolare dagli appelli inconoclasti del Giovanni Papini «pagano», dai proclami incendiari e dalla rissosa creatività dei futuristi. Ma anche la «via della contemplazione» lo affascina:Julius ripercorre gli itinerari sapienziali dei presocratici, di Plotino, di Meister Eckart, di Novalis ed accoglie le singolari, eterodosse suggestioni di Michaelstaedter e di Weininger. Soffiano, intanto, venti di guerra. Evola non è né nazionalista né interventista: al contrario, prova ammirazione per la forma, la disciplina, lo stile degli Imperi Centrali: comunque, come ufficiale di artiglieria, fa il suo dovere, combattendo, senza odiarlo, quel nemico che rappresenta una «tradizione».
    Al ritorno dal fronte, lo attende la confusa ebbrezza degli «anni ruggenti». In mezzo a un mondo di valori e di istituzioni che si va dissolvendo, Evola insegue, come tanti suoi coetanei, le esperienze estreme di un lo che varca limiti e regole borghesi.
    Il dadaismo sembra aver voglia di riscoprire, insieme ad un'arte e ad un linguaggio liberati da ogni orpello utilitaristico e sentimentale, anche «fòrza pura, diritta, sovrana, assoluta» di modelli sovraumanistici: ed Evola per qualche tempo combatte nella stessa trincea di Tzara ed Eluard, di Breton ed Aragon. Nell'estetica dada e anche nelle scelte esistenziali dei singoli c'è però una sorta di attrazione fatale per il nihilismo e l'autodistruzione, che Evola, sempre più ansioso di realizzazione spirituale, non può più condividere. Dunque, all'artista trasgressivo che dipinge, scrive e collabora a irriverenti riviste «di rottura» si sovrappone un pensatore la cui limpida lucidità non manca di colpire l'attenzione di Croce, Gentile, Tilgher: anche se in Evola c'è la volontà di far saltare i muri della filosofia accademica, superando ogni astratta speculazione intorno ai princìpi e traducendo la conoscenza teorica in esperienza cruciale dell'«individuo assoluto», insomma in attitudine sovrana e in dominio «magico» della realtà.
    In polemica con le conventicole crociane e soprattutto gentiliane, Evola si propone di «realizzare» l'idealismo at traverso il potenziamento dell'esistenza empirica, l'autosufficienza interiore, il rifiuto di ogni «consolazione» offerta dalle religioni positive o dalle torbide tendenze «spiritualistiche», il dominio della propria mente, il trascendimento di ogni legge morale necessitante: è in questo modo che l’Io, non più povero e presuntuoso emblema dell'individualismo borghese, diventa «sovrano». Ma Evola non è soltanto una presenza senza sempre più attiva e combattiva nelle testate e nei cenacoli più o meno «occulti» dove si esplorano le scienze dello spirito, gli archetipi, i miti, le tradizioni, i simboli, le «vie» di realizzazione interiore, in feroce polemica con razionalisti, materialisti, progressisti e idealisli «di scuola»: egli vuoI dire e dice la sua anche su un piano più propriamente «politico». Sarebbe lungo ricordare le mille collaborazioni e iniziative in cui fu impegnato e le numerose prese di posizione «scomode» a cui non si sottrasse: basti pensare alla pubblicazione di un saggio come Imperialismo pagano (1928), decisamente ostile a ogni incontro «conciliativo» tra Stato e Chiesa, in un momento in cui invece proprio in questa direzione si muovevano Mussolini e le gerarchie ecclesiastiche; o al varo di una testata come «La Torre» (1930) così poco in sintonia con l'ufficialità littoria che poté «resistere» solo per dieci numeri. D'altronde, non poteva non suscitare qual che sospetto quell'Evola, già considerato come intellettuale eccentrico, stravagante e amico di antifascisti, che scriveva: «Noi non siamo né fascisti, né antjfascisti. L'antjfascismo è un nulla. Ma per noi imperialsti pagani, per noi aristocratici, per noi nemici irriducibili di ogni politica plebea, di ogni ideologia nazionalistica, di ogni intrigo e spirito di partito, di ogni forma più o meno travestita di socialismo e di democrazia, il fascismo è troppo poco. Noi avremmo voluto un fascismo più radicale, più intrepido, un fascismo veramente assoluto,fatto di forza pura, fatto di irriducibilità a qualsiasi compromesso. Noi non potremo mai essere considerati come antjfascisti, se non nella misura in cui superfascismo equivalga ad antjfascismo».

    Un «classico» della Destra

    Se «dietro» l'Evola di Rivolta contro il mondo moderno c'è un ricco fermento di idee, discutibili e problematiche quanto si voglia; e se, «insieme» c'è già lo studioso che si volge con scrupolo filologico e «intelletto d'amore» all'indagine di discipline sapienziali come l'alchimia e di dottrine tradizionali come il buddhismo, il taoismo, lo yoga, cosa è che conferisce a un trattato di morfolo gia dello spirito e della storia come Rivolta un «legittimante» contrassegno tradizionalista-conservatore? E che ne fa un «classico» all'interno di quella composita galassia della Destra antimoderna e controrivoluzionaria che non si accontenta di prendere atto dell'esistente ma chiede di «svegliarsi» e di «levarsi in piedi» in nome di princìpi universali e normativi [“L'interesse per il problema della storia - cui Evola, come alla sostanza stessa del divenire, aveva negato ogni senso - sorge in un particolare momento, in quel clima di grandi decisioni che involse l'Europa negli Anni Trenta. È in questo clima che si rende possibile !'idea di una rivolta contro i valori moderni, cioè contro democrazia e comuni smo, individualismo e materialismo, nel nome di principi gerarchici ed eroici. In questo senso Rivolta contro il mondo moderno s'inserisce nel panorama della cosiddetta "lettera tura della crisi» che fa da sfondo al fascismo!. Il fascismo, nel suo significato europeo, fu infatti la coscienza istintiva della decadenza cui andava incontro l'Europa e la volontà di porvi rimedio con mezzi totali e violenti” da “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, p. 62]? Teniamo presente quel che lo stesso Evola ebbe modo in più di una occasione di puntualizzare e che ribadì ad Enrico de Boccard in un'intervista del 1970. «Il mio libro - disse - [ ... ] non si esaurisce in polemiche: esso tratta invece anzitutto di una "morfologia delle civiltà”; poi di una interpretazione generale della storia in termini non progressisti, di evoluzione, bensì di involuzione, su tale sfondo indicando per ultimo la genesi e il volto del mondo moderno. Solo in via naturale e consequenziale una "rivolta" viene proposta al lettore e, propriamente, dopo che con uno studio comparato abbracciante le civiltà più varie ho cercato di indicare quel che nei vari domini dell'esistenza può rivendicare un carattere di normalità in senso superiore: così per lo Stato, le leggi, l'azione, la concezione della vita e della morte, il sacro, le articolazioni sociali, l'etica, il sesso, la guerra, e via dicendo. Questa è la prima dj1ferenza fondamentale rispetto alle varie contestazioni di oggi; non ci si limita a dire di "no”; ma si indica ciò in nome di cui si dovrebbe dire di "no '; ciò che può veramente giustificare il "no”: Ed un "no" davvero radicale, che non si restringe agli aspetti utlimi del mondo moderno, alla "società consumistica; alla tecnocrazia ed a tutto il resto, ma va assai più nel profondo, considerando i processi che hanno esercitato già da tempo un'azione distruttiva su ogni valore, ideale e forma di organizzazione superiore dell'esistenza».
    Già in queste affermazioni c'è lo «stile» del conservatore che non crede a un'azione di pronto intervento nei «domini» della politica, se manca una chiara, fondata percezione dei principi e dei fini, se magari si pensa di poter fronteggiare gli «effetti» senza risalire alla cause, se si ignora che tanto più «realisticamente» ci si pone di fronte alla storia, ai suoi fatti, ai suoi personaggi, quanto più si è in grado di tracciarne una metafisica, opponendo alla contingenza del casuale la trascendenza del causale.
    Nel momento in cui ci si richiama a princìpi soprastorici che «fondano» le organizzazioni storiche «normali», le istituzioni politiche e sociali, gli stili di vita di uomini che assomiglino a «persone» piuttosto che ad «individui», si fa ovviamente appello a una concezione della vita e del «destino» che nulla ha a che vedere col lessico della modernità. E dunque con le «ideologie» che di essa costituiscono, ad un tempo, i sintomi e le forme patologiche, più o meno gravi a seconda della loro spinta allo sradicamento e alla sconsacrazione. Va da sé che Evola, nella sua anamnesi/diagnosi della «civilizzazione», ha illustri precursori o più vicini «sodali» variamente collocabili nell'ambito del pensiero conservatore: basterà fare i nomi di de Maistre e di Donoso Cortés, di Burke e di Tocqueville, di Nietzsche e di Spengler, di Ortega e di Guénon, per non parlare di quegli alfieri della Konservative Revolution germanica - in modo particolare Junger e Benn - o del tradizionalismo austriaco - come Spann e Rohan -, con cui il Nostro avvertiva ben più di un'affinità.

    Radicalità Originale

    Anche se la sua «radicalità», cosÌ netta e consequenziale sia nelle premesse che nei punti di arrivo, appariva e tutt'oggi appare cifra di indubbia «originalità».
    Si pensi all'immagine cosÌ profondamente «organica» della civiltà tradizionale, alla concezione sovratemporale della temporalità che la contraddistingue, all'idea di differenziazione funzionale e gerarchica che trae legittimità dall'alto e all'alto costantemente rinvia, alla visione qualitativa di ogni attività umana che o è sacralmente orientata [«Per quanto ai modemi riesca difficile concepirla, bisogna partire dall'idea che all'uomo tradizionale risultava la realtà di un ordine di cose molto più vasto di quello a cui oggi corrisponde di massima la parola "reale". Oggi, come realtà, in fondo, non si sa nulla più che vada oltre il mondo dei corpi nello spazio e nel tempo. Certo, v'è chi ammette ancor qualcosa oltre il sensibile: ma in quanto è sempre a titolo di una ipotesi o legge scientifica, di un'idea speculativa o di un dogma religioso ... il vero materialismo da accusare nei moderni è questo: gli altri materialismi, in senso di opinioni filosofiche o scientifiche, sono fenomeni secondari ...
    «Se tradizionalmente ciò che oggi si chiama realtà non era dunque se non una specie di un genere molto più vasto, tuttavia non s'identificava senz'altro !'invisibile col "sovrannaturale". Alla nozione di "natura" tradizionalmente non corrispondeva semplice mente il mondo dei corpi e delle forme visibili. .. Era vivo il senso di un mondo "infero", popolato da forze oscure e ambigue d'ogni genere - anima demonica della natura, substrato essenziale di tutte le forme e le energie di questa - cui stava opposta la chiarità superrazionale e siderea d'una più alta regione», “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, p. 65] o è pura dissipazione in una insignificante serie di «giorni», alla ripresa e allo svolgimento del concetto platonico delle «due nature» secondo cui, se esistono un ordine fisico e un ordine metafisico, ne consegue una gerarchia di piani e di influenze che non può essere rovesciata e si tenga conto di come tutto questo – per il fatto stesso di basarsi su «quel che è anteriore e superiore al tempo e alla storia» (l’emblema è il sallustiano «ciò che non fu una volta ma è sempre») – non può tener conto di anatemi relativi alla non-scientificità del metodo d’indagine. Perché «altro» è il punto di riferimento e «altri» sono dunque i criteri dell’itinerario esplorativo: ed Evola, anche a questo proposito, si esprime con chiarezza. Già nell’introduzione a Rivolta scrive infatti: «La tradizione comincia là dove col raggiungimento di un punto di vista superindividuale e non umano è possibile porsi al di sopra di tutto ciò (e cioè delle contestazioni di storici, filosofi, scienziati «politicamente corretti», NdR). In particolare di mito non v’è che quello che i moderni han fatto sul mito concependolo come una creazione naturalistica dell’uomo, anziché come la forma propria ad un contenuto sopranaturale e soprastorico. Così si avrà una preoccupazione minima di discutere e di “dimostrare”. Le verità che possono far comprendere il mondo tradizionale non sono quelle che si “imparano” e che si “discutono”. Esse sono o non sono»

    Il linguaggio del simbolo

    La lungimiranza del suo sguardo è straordinaria quando individua i comuni contrassegni materialistici e spersonalizzanti della democrazia americana e del comunismo sovietico

    E’ una bella «sfida» non solo oggi ma anche nel ’34, in epoca di imperante «idealismo». Ma scegliendo di parlare, non tanto col linguaggio della «storia» [“Nella realtà del mondo tradizionale il tempo non è quello storico, ma un tempo mitico, non una successione quantitativa, ma un ritmo scandito in cicli conchiusi: il «grande anno» caldeo ed ellenico, il saeculum etrusco-lati no, l'eone iranico, i «soli» aztechi, i kalpa indù, e cosÌ via. Evola insiste sulla necessità di considerare la preistoria un tempo qualitativamente diverso, una età disgiunta dalla nostra non solo da mera carenza di documenti, ma da un vero e proprio dislivello sul piano dell'essere”, “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, p. 65] o meglio del «pregiudizio storicistico», quanto con quello del Mito e del Simbolo, della Corrispondenza e della Analogia, della Comparazione e della Anagogia, Evola mostrava di non curarsene. Ed era «sovranazionale» e non «irrazionale» quando prendeva in considerazione «categorie» come la Regalità Divina, l’Iniziazione, l’Azione eroica, il Rito, la Fede, le Caste, l’Impero. O quando attraversava la storia per strappare al flusso ininterrotto degli eventi e alla banale sequenza delle date i «significati». Ecco, che cosa erano state, che cosa avevano «significato» e in che senso potevano essere attualmente «significanti» l’antica Roma dei re, quella della res publica patrizia e quella di Giulio Cesare e della «restaurazione augustea».
    Che cosa c’era in quei riti e in quegli istituti che poteva comunicare «universalità», «stabilità», «sacralità», «ordine», «legge»? E il Medioevo «romano», «imperiale» e «cristiano» doveva essere inteso nei termini circoscritti dello «spazio» e del «tempo» o aveva una sua più alta ragione d’essere, anzi «nell’Essere»? E che dire della civiltà «orientali» e della loro presunta «distanza» dall’Occidente? Una storia «comparativa» di miti, simboli e modelli non consentiva di individuare legami dall’alto, dunque segni e insegne di una Tradizione Primordiale?
    Chiunque abbia letto Rivolta sa quante suggestioni e suggerimenti «formativi» vengono da pagine che apparentemente sembrano collocarsi nella dimensione fantastica e che invece alludono a interiori universi perduti, non tanto però che di essi non restino oscure tracce, sospese tra nostalgia e ritorno: in questo senso, ad esempio, la Cavalleria, le Crociate, il Graal sono evocazioni di una identità o di una tensione interiore, ben più che fantasie o allettanti fantasmi. Così, quando Evola parla della «dottrina tradizionale delle quattro età» [“All'idea moderna del progresso Evola, nella seconda sezione del libro, contrappone la dottrina tradizionale delle quattro età, presente nel mondo classico (età dell'oro, delì'argento, del bronzo e del ferro), nel mondo ario (satya yuga, treta-yuga, dvapara-yuga e kali-yuga o «età oscura»), in Egitto (dinastie divine, semidivine ed umane), in quello iranico (oro, argento, acciaio e ferro), e, in genere, tipica di tutte le antiche civiltà:
    «Sostenere, come tradizionalmente si deve sostenere, che alle origini sia esistito non l'uomo animalesco delle caverne, ma un "più che uomo", e che già la più alta preistoria abbia veduto non pure una "civiltà", ma anzi una "era degli dei" - per molti che in un modo o nell'altro credono alla buona novella del darwinismo, significa fare pura "mitologia". Tuttavia, siccome questa mitologia non siamo noi ad inventarla ora, così resterebbe da spiegare il fatto della sua esistenza, il fatto cioè che nelle testimonianze più remote dei miti e degli scritti dell'antichità non si trova proprio nessun ricordo che conforti l"'evoluzionismo" e si trovi - invece e appunto - l'opposto, la costante idea di un passato migliore, più luminoso e super-umano ("divino"); che si sappia dunque così poco di "origini animali", che anzi si parli uniformemente di una originaria parentela fra uomini e numi e che permanga il ricordo di uno stadio primordiale d'immortalità, unitamente all'idea che la legge della morte è intervenuta ad un momento determinato ... ».
    È l'originario ciclo della luce, il ciclo «aureo» che si scontra con una realtà diversa. Evola accoglie le ipotesi del Wirth (Der Aufgang der Menscheit, Jena, 1928) circa il cen tro artico primordiale, poi distrutto dallo spostamento del polo terrestre, dottrina che avrebbe fatto parte anche del sapere segreto cui era stato ammesso Guénon (Cfr. il suo Le Roi du Monde (1927). Ora tradotto presso Adelphi come Il Re del Mondo (1977).
    Nella tradizione aria è vivo il ricordo della çveta-dvfpa, «l'isola bianca», come pure quello dell'Ayryanem Vaeyo, «semenza degli Arii», situato a Nord-Ovest, con «due mesi d'estate e dieci d'inverno». Nel mondo classico è l'eco di una sede nordica dove l'Apolio solare dimora «con gli Iperbo rei», Thule ultima a sole nomen habens, cui corrisponde la Tullan «terra del sole») dei Toltechi, e Aztlan «terra bianca») degli Aztechi, tutte immaginate all'estremo Nord.
    La dispersione da questo centro introduce nuovi cicli, quello «argenteo», cui corrisponde la «civiltà della madre» del Bachofen, e quello «bronzeo», ciclo di titani, di giganti, termini mitici dietro a cui stanno rispettivamente una spiri tualità d'impronta mistico-lunare, con predominio dell'elemento femminile, e una spiritualità virile ormai sconsacra ta, di tipo prometeico e anti-olimpico.
    Nella particolare prospettiva di Evola, il senso delle civiltà che si succedono in età ormai storica, «l'età ferrea» del mito, è nella lotta dei residui elementi eroici contro le forze del caos, irrompenti da ogni parte, per costringere in equilibrio olimpico una certa area dello spazio e del tempo.
    Sono le civiltà «solari» degli Incas, degli Aztechi, dell'Egitto, le dinastie «celesti» dell'estremo Oriente, col loro pantheon uranico imposto sopra culti aborigeni, il diritto paterno affermato contro l'originaria promiscuità, l'ordine gerarchico instaurato sopra al comunismo primitivo. Sono i ceppi arii discesi dal Nord coi simboli solari del cerchio, del cigno, della svastica, portatori del culto del fuoco, della legge dei «padri», contro il mondo mediterraneo delle «madri». La Grecia, Roma, con le loro tavole di valori olimpici, il senso della forma, della legge, della misura, il simbolo della vitto ria e quello dell'imperium, in cui culmina l'ordine del mondo classico, sono, per Evola, espressioni della «luce del Nord», “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, pagg. 65-66-67], dei processi regressivi e non progressivi delle civiltà, dell’«età oscura» e del guenoniano «regno della quantità» [È il regno della quantità, delle masse, della corsa frenetica alla produzione, livellante in pochi decenni anche i residui cri stallizzati di società tradizionali presenti in altri continenti. Ogni concezione qualitativa, ogni residuo di vita differenziata, viene travolto in una demonìa universale del numero e delle masse. Alla fine, l'Europa stessa, quale «vecchio continente», poggiante ancora su strutture nazionali e conservatrici, vien presa nella tenaglia russo-americana e, per una nemesi del destino, è scavalcata sul piano della quantità scatenata proprio dalle due gigantesche escrescenze della sua febbre quantitativa (Anche dopo la crisi del comunismo mondiale (1989-1991) la posizione evoliana ha un suo senso e validità: cfr. J. Evola, un ciclo si chiude, Fondazione J. Evola, Roma 1991 ("Quaderno" n. 24), “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, p. 68]; quando individua i comuni contrassegni materialistici e spersonalizzanti della democrazia americana e del comunismo sovietico, e vede le due forme di «civlizzazione» stringersi come una morsa [È la fine di un ciclo, è l'età oscura, il kali-yuga dei testi, quando «tutte le forze elementari torneranno allo stato libero». È, senza retorica, la fine di un mondo, e se si pensa che tra il 1934, anno di uscita di Rivolta contro il mondo moder no e il 1945, anno della bomba atomica, passano solo undi ci anni non si può non considerare il libro un segno dei tempi. Rivolta si chiude appunto con la prospettiva d'una catastrofe che segnerà la fine del mondo moderno:
    «Al compiersi di tale destino, tutta questa civiltà di titani, di metropoli di acciaio e di cemento, di masse poliartiche e tentaco lari di algebre e macchine incatenanti le forze della materia, di dominatori di cieli e di oceani, apparirà come un mondo che oscilla nella sua orbita e volge a disciogliersene per allontanarsi e perdersi definitivamente negli spazi, dove non vi è più nessuna luce, fuor da quella sinistra accesa dall'accelerazione della sua stessa caduta».
    Al singolo resta sempre la libertà di agire senza farsi coinvolgere, di fare ciò che deve esser fatto, in una disposi zione d'animo sacrificale, più forte di ogni fatalità, di ogni destino:
    «Qui si può ricordare il "Ciò che non ci spezza ci rende più forti" - dato che non lo si prenda nel senso di un rafforzamento protervo dell'io, ma nel riferimento a ciò che si fa la forza real mente più forte col divenire spirito, col trovare nel sopraumano e nel disindividuale il vero principio dell'indomabile e dell'indistruttibile ... È proprio ad una vocazione eroica l'affrontare l'onda più vorticosa e sapere che due destini sono ad uguale distanza: quello di coloro che finiranno con la dissoluzione del mondo moderno e quello di coloro che si ritroveranno nel filone centrale e regale della nuova corrente», “Su Evola”, Adriano Romualdi, Fondazione Julius Evola, p. 69] sulla Kultur di un Occidente dove pure non mancano uomini d’azione che ai appellano ai popoli in nome di antichi valori e antichi simboli; quando, nel 1934, si chiede se davvero potranno sorgere élite capaci di contrastare l’accelerato processo di decomposizione europea, la lungimiranza del suo sguardo è straordinaria. Ma allora «che fare»? L’appello è vibrante, enfatico se vogliamo, ma non privo di una sua schietta forza di verità: «Oggi conta il lavoro, di chi sa tenersi fermo sulle linee di vetta; fermo nei principi; inaccessibile a qualsiasi concessione; indifferente di fronte alle febbri, alle convulsioni, alle superstizioni e alle prostituzioni al cui ritmo danzano le generazioni ultime. Conta solo il silenzioso tener fermo di pochi, la cui presenza impassibile, da "convitati di pietra" serva a creare nuovi rapporto, nuove distanze, nuovi valori; a costituire un polo il quale, se di certo non impedirà a questo mondo di deviati di esser quello che è, varrà però a trasmettere a qualcuno la sensazione della verità-sensazione che potrà fòrs'anche esser principio invisibile di qualche crisi liberatrice»

    Fonte: http://ginosalvi.blogspot.com/

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    Predefinito Evola e la Konservative Revolution di GIANO ACCAME

    Evola e la Konservative Revolution di GIANO ACCAME

    Restringerò il tema ad alcuni aspetti strumentali: i contributi di Evola all’utilizzazione politica delle idee della destra tedesca, e in particolare alla “lotta del sangue contro l’oro”;, nella convinzione che convenga e si possa quindi prendere da un più complesso sistema ciò che volta a volta serve all’azione; ma osserverò anche la spinta che da un interesse trasversale per quella cultura è venuto per lo “sdoganamento” di Evola.

    Il concetto di Konservative Revolution era stato formulato il 10 gennaio 1927 da Hugo von Hofmannstahl, grande scrittore d’origine ebraica (il bisnonno, nobilitato un secolo prima dall’imperatore Francesco I, aveva fatto costruire a Vienna una sinagoga, ma la famiglia era cattolica da un paio di generazioni) [ 1 ], in una conferenza a Monaco di Baviera su La letteratura come spazio spirituale della nazione. La sistemazione organica e bibliografica di questo composito movimento è stata messa a punto nel 1950 da Armin Mohler nel saggio Die konservative Revolution in Deutschland 1918-1932, di cui Julius Evola ha dato notizia in Italia nel 1953 nelle prime pagine de Gli uomini e le rovine.

    Fu un avviso importante per il mondo giovanile di destra, che leggeva Evola e tendeva, più di quanto fosse avvenuto in periodo fascista, a collegarsi culturalmente anche all’estero con le principali famiglie del pensiero tradizionale.

    Come mediatore culturale con gli autori più interessanti della rivoluzione conservatrice tedesca Evola ha esercitato nell’ambiente della giovane destra italiana postbellica un’influenza per qualche verso paragonabile a quella di Paul Sérant con Romanticismo fascista (SugarCo 1960). Il libro di Sérant ci fece scoprire consonanze con la saggistica, ma ancor più con la narrativa del fascismo francese, che prima della sconfitta la spocchia del provincialismo nazionale italiano aveva stupidamente trascurato. C’è voluto Massimo Pini per pubblicare in Italia con la Sugarco negli anni ’60 Gilles di Drieu la Rochelle. Allo stesso modo, durante il regime non si era compreso lo straordinario interesse della saggistica sorta dal disagio della Germania sconfitta e punita a Versailles. Di Ernst Jünger era stato tradotto il romanzo antinazista Sulle scogliere di marmo, ma non i diari della Prima grande guerra da Tempeste d’acciaio sino a Fuoco e sangue, che pure erano più vicini alle passioni dell’epoca, e nemmeno Der Arbeiter, opera fondamentale del 1935 che disegnava un nuovo tipo umano di lavoratore più simile al reduce dalle trincee che al proletario marxista o al liberale borghese.

    D’altra parte, persino i tedeschi (e non molti tra loro) ne riscoprirono la complessità e la ricchezza, su cui il nazionalsocialismo, che della rivoluzione conservatrice era stata la corrente più volgare e forse proprio per questo politicamente vincente, era passato come un rullo compressore, solo nel 1950, quando Friedrich Vorwerk, un piccolo editore di destra, pubblicò a Stoccarda La rivoluzione conservatrice di Mohler, giovane studioso svizzero che si era arruolato volontario nelle SS ed era poi stato segretario particolare di Jünger.

    Nell’estate del 1954, l’anno dopo che Evola ce ne aveva dato notizia, andai a contattare a Stoccarda l’editore Vorwerk e con lui in un convegno a Baden Baden l’ambiente dello Herrenklub sopravvissuto col nome di Laubheimer Kreis alla durissima repressione della congiura aristocratica antihitleriana del 20 giugno 1944 e alla rieducazione democratica (o Karakterwaesche, lavaggio dei caratteri, come l’ha definita Schrenk-Notzing) dopo la sconfitta del 1945. Ebbi allora occasione di ristabilire – con risultati modesti - i rapporti tra Carl Schmitt e Carlo Costamagna, che l’aveva avuto (con Evola) collaboratore alla rivista Lo Stato. Su questi temi ho poi scritto su Il reazionario di Buscaroli, su Lotta politica (settimanale del Msi) e su Tabula rasa, la rivista che per alcuni di noi preparò nel 1956 il distacco dal Msi.

    Sui rapporti tra Evola e la rivoluzione conservatrice tedesca resta basilare lo studio di H. T. Hansen per la rivista Criticon di Caspar Schrenk-Notzing, immediatamente tradotto da Alessandro Grossato per Studi evoliani del 1998, che ha ricostruito gli incontri di Evola con i seguaci di Arthur Moeller van den Bruck (si era suicidato – si disse – per la delusione di veder rozzamente applicato da Hitler il suo sogno del Terzo Reich), con Othmar Spann (la cui opera fondamentale su Il vero Stato è stata tradotta da Ar) e Walter Heinrich, con Gottfried Benn, Carl Schmitt, Oswald Spengler (che si siano incontrati lo sostenne nei suoi Taccuini Yvon de Begnac, ma non esiste riscontro) di cui proprio Evola nel 1957 ha finalmente pubblicato presso Longanesi la traduzione del Tramonto dell’Occidente, mentre è del 1974 l’edizione Volpe del saggio evoliano su L’”Operaio” nel pensiero di Ernst Jünger. Vanno inoltre ricordate le citazioni in Rivolta contro il mondo moderno dal Borghese di Sombart (l’edizione italiana di questo testo del 1913 apparve da Longanesi nel 1950), e dalla magistrale biografia dell’Imperatore Federico II di Ernst Kantorowicz, un nazionalista tedesco arruolatosi nei Freikorps e costretto nel 1938 a emigrare negli Stati Uniti per motivi di discriminazione razziale. [ 2 ] Si deve a Evola anche qualche solitaria citazione dell’ampio saggio di Christoph Steding, Das Reich und die Krankheit der europaeischen Kultur (Amburgo 1938): l’autore è morto in guerra e la sconfitta ha condannato il libro a completo oblio. Furono mediazioni culturali d’eccezionale importanza non solo retrospettiva, per un bilancio storico delle idee, ma anche per costruire il futuro. E in questo campo non va trascurato il ruolo postbellico della piccola editoria di destra, anticipatrice di tante successive “scoperte”.

    Non è nemmeno un caso se la rottura della cintura sanitaria che da sinistra era stata eretta contro l’influenza del “cattivo maestro” doveva venire da due ottimi conoscitori della cultura tedesca di destra, Antonio Gnoli e Franco Volpi, ai quali già si doveva un libretto di conversazioni con Ernst Jünger I prossimi Titani (Adelphi, 1997). Il 30 marzo scorso Gnoli ha aperto le pagine culturali de la Repubblica sull’introduzione di Volpi per la riedizione dei Saggi sull’idealismo magico di Evola (ora nelle edizioni Mediterranee a cura di Gianfranco de Turris), annunciando la rivalutazione di un filosofo cui si riconosce d’essere stato “importante” nell’ambito dell’idealismo; e il giorno dopo anche Panorama dedicava un paio di pagine allo stesso argomento ribadendo lo sdoganamento del “barone nero”.

    Impresa appunto risolta da un profondo cultore come Franco Volpi di diversi autori della “rivoluzione conservatrice” tedesca, dal padre Nietzsche a Heidegger, di cui dirige l’edizione delle opere per Adelphi, a Schmitt, a Romano Guardini, a Gottfried Benn. Franco Volpi aveva già inserito due testi di Evola, Rivolta contro il mondo moderno e Metafisica del sesso, nella versione italiana (la prima edizione era uscita in Germania) del Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori, 2000); e un paio d’anni dopo, intervenendo in una trasmissione su Evola per Rai Educational, aveva dichiarato senza esitare che Evola andrebbe incluso con Croce e Gentile fra i tre maggiori pensatori italiani del Novecento.

    Insomma: il ricupero di Evola anche da sinistra, così come da tempo erano stati ricuperati Nietzsche, Schmitt, Heidegger, Jünger, Spengler è stato favorito dal comune interesse per la rivoluzione conservatrice tedesca.

    Tra i motivi destinati a imporsi per la diffusione degli scritti evoliani potrebbe influire in direzioni sempre più trasversali l’attualità della critica all’economicismo ricavata da autori tedeschi della rivoluzione conservatrice. In Rivolta è già esplicito su questo tema il richiamo, oltre al classico studio di Max Weber sulle origini protestantiche del capitalismo, alle interpretazioni di Sombart: “Fiat productio, pereat homo” – dice giustamente il Sombart, illustrando il processo per cui le distruzioni spirituali, il vuoto stesso che l’uomo divenuto “uomo economico” e grande imprenditore capitalista si è creato intorno a sé lo costringono a far della sua stessa attività – guadagno, affari, rendimento – un fine, ad amarla e volerla in sé stessa pena l’esser colto dalla vertigine dell’abisso, dall’orrore di una vita del tutto priva di senso”.[ 3 ]

    La critica all’economicismo da posizioni di destra rimane appunto il tema – che potremmo definire della “guerra del sangue contro l’oro” - di cui nel Duemila l’attualità si rafforza, mentre si sono indebolite le corde del sentimento nazionale, per non parlare dei miti imperiali di Faccetta nera o del Mare Nostro, tramontati del tutto. A onor del vero anche il tema della guerra del sangue contro l’oro fu utilizzato dalla propaganda fascista in un significato ristretto e demagogico, come scontro tra popoli poveri, giovani e ricchi di braccia contro il “popolo dei cinque pasti”. Versione non più utilizzabile ora che siamo passati dall’altra parte: sempre più vecchi, ma ricchi, invidiati e invasi dai poveri di altri paesi. Il vero significato del conflitto tra lo spirito e la materia sta invece nell’usurpazione ai danni della politica e della stessa economia produttiva da parte dell’economia finanziaria, come già qualcuno vedeva nella prima metà del secolo scorso.

    Anche nei rilievi polemici rivolti da Evola alla “demonìa dell’economia” ne Gli uomini e le rovine (1953) le citazioni dirette privilegiano Sombart, le cui opere principali hanno preceduto Spengler, nei cui confronti Evola aveva delle punte critiche. Ma accanto agli echi di Sombart è impossibile non ricordare Il tramonto dell’Occidente e in particolare la sua conclusione, dove si parla del “titanico assalto sferrato dal danaro” contro le forze - legate alla terra - della tecnica, dell’industria, oltre a quelle del contadinato: “Solo l’alta finanza è completamente libera, completamente inafferrabile. […] La macchina col suo seguito umano, la macchina, questa vera sovrana del secolo, è in procinto di soggiacere ad una più forte potenza. Ma questa sarà l’ultima delle vittorie che il danaro può riportare: dopo, comincerà l’ultima lotta, la lotta con la quale la civilizzazione conseguirà la sua forma conclusiva: la lotta fra danaro e sangue”. [ 4 ]

    Questa lotta è tuttora in corso o, per essere più precisi, è di là da venire, mentre Spengler - sbagliando - ne profetizzava una prossima fine: “L’avvento del cesarismo spezzerà la dittatura del danaro e della sua arma politica, la democrazia. Dopo un lungo trionfo dell’economia cosmopolita e dei suoi interessi sulla forza politica creatrice, l’aspetto politico della vita dimostrerà di essere, malgrado tutto, il più forte. La spada trionferà sul danaro, la volontà da signore piegherà di nuovo la volontà da predatore”. [ 5 ] Gustosa, anche come anticipazione della polemica di Pound contro l’usurocrazia, la critica di Spengler agli: “errori bizzarri, come quello donde derivò il culto di Bruto, milionario usuraio che, come ideologo di una costituzione oligarchica, uccise l’uomo della democrazia fra gli applausi del Senato patrizio”. [ 6 ]

    L’occasione del cesarismo, che Evola ne Gli uomini e le rovine indica piuttosto - e degrada -come bonapartismo, è stata giocata male e persa in modo tale da renderla irripetibile. Nel frattempo si è consumata un’altra delle profezie di Spengler in Anni decisivi del 1933: la spartizione tra Russia e America del dominio mondiale e l’equivalenza tra materialismo sovietico e materialismo capitalista. Osservazioni che troviamo anticipate più lucidamente da Evola nel saggio Americanismo e bolscevismo del 1929 e riprese nella parte finale di Rivolta contro il mondo moderno. Nel saggio del 1929, interessante anche per la forza con cui vi è affermata “la tradizione mediterranea, ed in ispecie classica e romana” [ 7 ], viene inizialmente citato il Tramonto dell’Occidente e ripreso il motivo spengleriano del sangue e dell’oro nella critica della “civiltà” americana, che (come la Russia sovietica) religione della pratica, ha posto l’interesse del guadagno, della produzione, della realizzazione meccanica, immediata, visibile, quantitativa al di sopra di ogni altro interesse. Essa costruisce un ente titanico, che ha oro per sangue, macchine per membra, tecnica per cervello…>. [ 8 ]

    Grosso modo gli stessi temi polemici contro l’usurpazione dell’economia finanziaria ai danni della politica sono alla base de L’”operaio” nel pensiero di Ernst Jünger, la cui presentazione è datata da Evola nel 1960. Vi si parla di “dittatura del pensiero economico”, anticipando le più recenti polemiche sul “pensiero unico”, iperliberista, con una precisazione importante: “Col negare il mondo economico come quello che determina la vita, cioè come un destino, se ne vuol contestare il rango, non l’esistenza”. Non si tratta di patrocinare un estraniamento dello spirito da ogni lotta economica; potrà anzi esser bene che la lotta economica “assuma una estrema asprezza”. Ma “non dovrà esser l’economia a dettar le leggi del giuoco”, questo deve “esser ordinato ad una più alta legge della lotta”. Il superamento del mondo borghese richiede “la dichiarazione d’indipendenza di un uomo nuovo dal mondo economico”, dichiarazione che “non significherà la rinuncia a tale mondo bensì la sua subordinazione alla pretesa di esercitare un più alto dominio”. [ 9 ] Precisazione importante, ripeto, perché stabilisce una gerarchia di valori, ma non implica sprezzanti esclusioni per chi si occupi di economia e dei suoi meccanismi, come a volte ritengono alcuni evolomani. Per fronteggiarla, oltre che per indirizzarla verso i suoi compiti nazionali e sociali, occorre conoscerla, come raccomandava Ezra Pound.

    Nel frattempo la potenza sovietica è scomparsa e con la solitaria superpotenza degli Stati Uniti d’America il peso non più tanto dell’oro, quanto del denaro elettronico, virtuale e della finanza apolide è aumentato sia a livello planetario, che all’interno di ciascun paese, dove la democrazia come potere popolare e nazionale è sempre più esautorata dai poteri finanziari. Esemplare in questo senso – negativo - è la Repubblica italiana, che a partire dagli anni Novanta ha vissuto una sorta di commissariamento bancario, con governi presieduti da personaggi usciti dai vertici della Banca d’Italia e quasi con più banchieri al loro interno in funzioni di ministri che non colonnelli nei governi sudamericani. Lo stesso è avvenuto con la Presidenza della Repubblica affidata – occorre riconoscerlo: con grande successo - a un ex governatore della Banca d’Italia (Carlo Azeglio Ciampi), che proprio la destra ha particolarmente rimpianto; e che con scarsa coscienza dell’autonomia del politico proponeva di sostituire con una rosa di nomi tra cui figuravano l’ex direttore generale della stessa banca centrale (Lamberto Dini) e il presidente (Mario Monti) dell’università di studi economico-commerciali Bocconi. Oggi la presenza in importanti posizioni di potere politico e economico di personaggi tratti dai quadri della banca d’affari americana Goldman Sachs prosegue con il prevalere di poteri finanziari la tendenza all’abdicazione della funzione politica.

    Tratto da Orion 261 (2006).

    Note

    [ 1 ] - Cfr. R. Calimani, Destini e avventure dell’intellettuale ebreo, Mondadori, Milano 1996, pp. 165-167.
    [ 2 ] - R. Calimani, cit., pp. 582-583.
    [ 3 ] - J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Nuova edizione Bocca, Milano 1951, p. 432.
    [ 4 ] - Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1957 (mi riferisco ovviamente all’edizione con la prefazione di Evola), pp. 1422-1424.
    [ 5 ] - Ibid., p. 1424.
    [ 6 ] - Ibid., p. 37.
    [ 7 ] - J. Evola, Il ciclo si chiude, Quaderni di testi evoliani n. 24, Roma 1991, p. 30.
    [ 8 ] - Ibid. p. 23.
    [ 9 ] - J. Evola, L’”operaio” nel pensiero di Ernst Jünger, Volpe, Roma 1974, pp. 21-22.

    Fonte: http://www.centrostudilaruna.it/

  4. #4
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    Onore... ad uno dei più grandi pensatori tradizionalisti della Storia.

  5. #5
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    Saro presente al convegno.....

  6. #6
    lupo della sila
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  7. #7
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  8. #8
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    Una grande figura, un grande pensatore. Da leggere con le dovute precauzioni, ma da leggere.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da GLADIUS Visualizza Messaggio
    Onore... ad uno dei più grandi pensatori tradizionalisti della Storia.
    ONORE!

  10. #10
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    Predefinito "Evola e quel messaggio politico sempre attuale" di RUTILIO SERMONTI

    Non si vuol sostenere in alcun modo che Julius Evola sia il Messia e che ogni sua parola venga dalla bocca di Dio. Abbiamo da un pezzo superato l’età dei fanatismi incondizionati, contro i quali fu lo stesso Evola a mettere in guardia. Quel che però è certo è che nessuno, dal giorno della sconfitta del Tripartito, ha saputo trasmetterci un messaggio politico lucido e profondo come il suo, tanto che possiamo definirlo il nocciolo di tutti i nostri contenuti e la precisa discriminante che nettamente ci separa e ci contrappone alle varie “ideologie” di matrice Hegeliana che sono state proclamate negli ultimi due secoli.

    Purtroppo, non tutti i camerati hanno compreso e assimilato quel messaggio, ed è questo il principale motivo del persistere di incomprensioni e contrasti tra noi e dell’inquinamento di ambienti e circoli pur chiaramente nostri con tendenze ed equivoci “percolati” da falde a noi completamente estranee. Scomparsa la carismatica figura del Duce, che con la sua personalità travolgente riusciva a convogliare verso un’unica direzione le tendenze e vocazioni più disparate, caduti in guerra o assassinati quasi tutti i suoi più fedeli collaboratori, iniziato in crescendo l’assordante concerto della “cultura” asservita ai nuovi padroni, noi siamo convinti davvero che, se tutti gli uomini rimasti liberi, in Italia, avessero sempre tenuto conto di quel breve ed essenziale messaggio evoliano, tutta la nostra azione politica avrebbe avuto ben maggiore efficacia e, man mano che il regime fondato sul tradimento e sulla sconfitta dimostrava la sua impotenza e corruzione, saremmo quanto meno riusciti a rappresentare per la parte più sveglia e onesta del nostro popolo il polo della speranza e della riscossa.

    Quel messaggio si può esprimere in poche righe, e nessuno lo ha fatto meglio che Evola stesso nel suo prezioso Orientamenti, destinato proprio ai giovani. «Nulla ha capito chi si illude, oggi, circa la possibilità di una lotta puramente politica o sociale e circa il potere dell’una o dell’altra formula o sistema, cui non faccia da precisa controparte una nuova qualità umana. Se uno Stato possedesse un sistema politico o sociale che, in teoria, valesse come il più perfetto, ma la sostanza umana fosse tarata, ebbene, questo Stato scenderebbe prima o poi al livello delle società più basse: mentre un popolo, una razza capace di produrre uomini veri, uomini dal giusto sentire e dal sicuro istinto, raggiungerebbe un alto livello di civiltà e si terrebbe in piedi di fronte alle prove più calamitose, anche se il suo sistema politico fosse manchevole e imperfetto».

    Ma, a questo punto, attenzione a non trarre dal giusto criterio conseguenze errate. Che tutto dipenda dalla qualità degli uomini e non dal sistema di organizzazione sociale (contrariamente all’illusione di tutti i socialismi) non significa affatto che le istituzioni politiche, l’ordinamento giuridico, i meccanismi di accesso al potere, la qualità della vita, la fisionomia economica siano indifferenti. Tutte quelle cose sono, infatti, molto rilevanti come fattori di elevazione qualitativa o di degenerazione umana. Significa soltanto che esse vanno concepite, studiate ed attuate soprattutto in funzione della qualità umana che esse sviluppano nel popolo, e cioè delle qualità morali, intellettuali e anche fisiche di cui possono propiziare l’emergenza e l’affinamento, e delle tare e debolezze che possono controllare e reprimere.

    L’uomo moderno, grazie al cosiddetto progresso, utilizza a vantaggio proprio e della comunità cui è legato solo una parte minima delle proprie qualità potenziali, anzi, non di rado sono proprio quelle negative (p. es. l’egoismo e l’ipocrisia) ad assicurargli il successo. Funzione della scienza politica è, invece, quella di istaurare un sistema che porti i singoli a impiegare le proprie valenze positive, anche latenti, e a respingere come nemiche le proprie debolezze. Buono, per gli effetti qualitativi che consegue, è un sistema che assegni a ciascuno le sue responsabilità, che di ciascuno valorizzi le peculiarità e non la presunta eguaglianza, che sviluppi il senso comunitario, che nobiliti il comando come la disciplina, che abitui a conquistare ogni cosa con la fatica e la perseveranza e non reclamando diritti a tutto spiano, che ponga i giovani nella necessità di utilizzare al massimo le proprie capacità sia per sé che per il bene comune, che segua come suprema regola il rispetto assoluto per la biosfera, che protegga e rinsaldi i legami familiari, che - in altri termini - si preoccupi non di elargire comodità e “sicurezza”, ma di produrre uomini e donne equilibrati e sereni. Cattivo è il sistema che stimoli l’edonismo, la pigrizia e l’irresponsabilità, che parli sempre di diritti e mai di doveri, che premi la demagogia col potere e la piaggieria con privilegi, che privilegi la furberia anziché l’ingegno, il conformismo anziché il merito, che concepisca il potere politico non come un onere, ma come un vantaggio. Ma - direte - è la fotografia dell’attuale repubblica! Appunto.

    Bene dice Evola: nessuna “formula” in sé può apportare benefici validi. Ma può ben farlo indirettamente, in quanto propizi quella elevazione qualitativa del popolo che è l’unica, in ultima analisi, a contare. Proviamo allora a occuparci di politica in una simile ottica, che è soltanto e squisitamente nostra, e ci accorgeremo subito che tutto il gran ciarlare che si fa su TV e giornali non è che uno sbrindellato straccetto per coprire porcherie. Lasciamolo ai festeggiatori del 25 aprile!

    Fonte: http://www.centrostudilaruna.it/

    http://ginosalvi.blogspot.com/

 

 
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