Avendo l'abitudine (insana) di vedere il TG5 di Clemente J.Mimun, alcune osservazioni mi sovvengono in merito a due servizi trasmessi nella puntata di qualche sera fa.
Parlo rispettivamente di quello inerente al “caso Brescia” e a quello riguardante i recenti fatti di Ponticelli (Napoli).


Partiamo, seguendo il convenzionale e consuetudinario modo di procedere da nord verso sud, dal “caso Brescia”, città che vede il primato italiano (almeno registrato) di maggiore presenza di immigrati clandestini in rapporto alla popolazione (32 ogni 1000 abitanti). Reputo tuttavia necessario anteporre una premessa. Non appena, immediatamente svoltesi le elezioni, sono iniziate le analisi legate al voto, gli esperti e gli opinionisti hanno asserito come a sostanziare il bacino elettorale di riferimento della Lega Nord abbiano contribuito importanti settori del lavoro dipendente, che già in precedenza avevano anche votato i partiti della sinistra radicale: insomma quei ceti che volendo potrebbero essere identificati con il termine collettivo di “proletariato”. Sempre secondo gli analisti, sembrerebbe che questi ceti sociali vogliano qualche soldo di più nel proprio portafogli e una maggiore tranquillità nelle proprie mura domestiche e nelle proprie stradine sotto casa, tranquillità messa a rischio dall' “emergenza criminalità”, che comunque rischia di essere una costruzione mediatica indotta, dal momento che la quasi totalità delle diverse statistiche dimostra esattamente il contrario, vale a dire che la microcriminalità è andata calando negli ultimi decenni, e che l'Italia sia uno dei paesi con meno problemi di criminalità a livello di Europa occidentale. Se questa analisi sui bisogni di questi ceti sociali fosse corretta, dalla mia prospettiva politica significherebbe che con qualche soldo in più (mica poi tanti) e con la tranquillità nelle proprie casette e stradine, i ceti popolari nel loro complesso cerchino in definitiva di vivere l'esistente (un po' come i moderni politici cercano di gestire l'esistente), accettando la vita materiale immediata presente ed il sistema economico che la sottende come necessaria, naturale e perciò invariabile, districandosi quindi in essa, cercando al più di raccogliere quante più briciole ed elemosina possibili andando dietro alle promesse ed ai contentini dei politici di turno e dei pensatori di comodo, prendendosela non con i potenti di turno e con chi del sistema è al vertice, ma con i più diseredati. Scomparirebbero contemporaneamente la capacità e la volontà di prefigurare ed immaginare lo slancio verso una vita ed una società nuove ed altre rispetto al presente, così come l'aspirazione a lottare per essa, affinché scalzi questo presente.
Non si tratta ora di assumere, come fanno i marxisti, tali ceti sociali (“la classe proletaria”) il soggetto storico “naturalmente” depositario di un'aspirazione e di una missione teleologica al cambiamento ed al “progresso” (“classe in sé”); tuttavia sarei portato a pensare i ceti che in modo maggiore ed a livello più diretto e brutale subiscono le dinamiche di dominio ed alienazione del Sistema/Capitale, più propensi a ribellarsi e ad aspirare ad una società altra, e meno soggetti a strumentalizzazioni ideologiche come quelle della “sicurezza” e del “sistema-paese-che-se-cresce-tutti-insieme-stiamo-meglio”.
Forse anche non volendo accettare a livello mentale inconscio che le cose siano così diverse da come me le sono prefigurate, e che i ceti popolari sono standardizzati al Sistema/Capitale come non mai e ancora di più di quanto già tuttavia pensassi, mi sono interrogato quanto le spiegazioni fornite dagli opinionisti mediatici siano veritiere, e quanto invece siano delle semplificazioni. Notando che la Lega Nord ha al suo interno una forte corrente socialdemocratica (Maroni, Salvini), sono arrivato ad assumere l'idea che molti “proletari” abbiano scelto una strategia di lungo periodo profondamente elaborata: avrebbero sostenuto la Lega Nord per combattere l'immigrazione clandestina, la quale oggettivamente fornisce mano d'opera a basso costo (perché sottopagata ed in nero) che è quindi concorrenziale a quella autoctona, e che dunque riduce ulteriormente la forza contrattuale del lavoro dipendente nei confronti del padronato, mettendo in pericolo le conquiste economiche e sindacali strappate al padronato nel corso di lunghi decenni.
Anch'io, per quanto mi riguarda, sono in profonda contraddizione interna e fortemente combattuto: da una parte, ragionando come sempre faccio in termini di etica, sono per la massima accoglienza possibile verso i diseredati e gli ultimi della terra. Ma da un'altra prospettiva, completamente economicistica, constato che se davvero finalmente si applicassero le misure proposte dalla Lega Nord in campagna elettorale, e si bandisse del tutto l'immigrazione clandestina, si sottrarrebbe alle attività produttive la manodopera a basso costo di cui dispongono, si indebolirebbe il padronato nello scontro con il lavoro dipendente, che corrispettivamente assumerebbe maggiore forza, e si potrebbe addirittura prefigurare una crisi ed un crollo del sistema economico capitalista in Italia, poiché troppo si alzerebbero per l'intero indotto economico i costi del capitale, specie in un sistema come quello nostrano strutturato sulla piccola-media impresa. Davvero, se non fossi portato a ragionare principalmente in termini di pietà umana e di etica, sarei il primo a incalzare la lega affinché ora che è al governo sia coerente e coerentemente applichi quanto dice sull'immigrazione, così da portare ad un crollo generale dell'economia.
Peccato solo che le posizioni della Lega si dimostrino del tutto strumentali, poiché troppi sono gli interessi dei “padroncini” del Nord-Est. Così, ecco infine che torniamo al “caso Brescia” lo stesso vicesindaco intervistato distingue due tipi di immigrazione clandestina (!), una cattiva e una un po' meno cattiva se non addirittura buona (!!): non proprio con queste testuali parole lo dice, ma in sostanza lascia intendere di preferire un tipo all'altra. E precisamente tollera quell'immigrazione clandestina che può essere usata ad uso e consumo del padronato, implicante lavoro nero e sottopagato, sfruttamento di esseri umani indigenti da parte di imprenditori e padroncini vari, che va ad ulteriore discapito della forza contrattuale dei lavoratori autoctoni e regolari, mentre aborrisce – sotto il discorso classista del “decoro urbano” - quelle forme di accattonaggio e vendita ambulante che non creano nessun problema al lavoro dipendente ed alle persone comuni, mentre danno fastidio ai ceti dominanti il Sistema-Italia. Nell'Ottocento, per intenderci, tra chi non aveva le risorse per vivere, avrei preferito chi come la Banda Bonnot arrecava danni a banche e ceti alti a chi come i crumiri arrecava danno ai lavoratori.


L'altro caso riguarda invece Ponticelli, Napoli. In seguito ad un tentativo di rapimento di un bambino da parte di una rom, la “civile e coraggiosa” popolazione di questo quartiere si dà ad atti di teppismo contro i campi nomadi.
Premetto che a mio modo di vedere contro chi compia o tenti di compiere gesti efferati come quello di rapire un bambino, il linciaggio sia una delle poche risposte possibili, e quindi sia del tutto legittimo ed auspicabile. Del resto, non vedo altre strade se vogliamo iniziare a pensare ad una società che si autorganizza ed autogestisce i propri problemi senza ricorrere ogni volta al potere dello Stato. Quello che non accetto e che mai accetterò sono invece i comportamenti che ne sono seguiti. Innanzi tutto i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli (a differenza degli incivili rom) non sanno e non riescono a farsi entrare in testa quello che nella civiltà europea è ormai stato assunto da secoli: la responsabilità penale è sempre personale. No, loro, i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli, colpiscono nel mucchio e sono tornati ai pogrom del medioevo, con la differenza che quelli di allora, rivolti contro l'usura, erano in qualche modo comprensibili per quanto ugualmente esecrabili ed osceni. Chissà perché, poi, i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli che con tanta virulenza bruciano i campi rom, non hanno la stessa virulenza nel bruciare le ville dei camorristi. No, quando si tratta di contrastare la camorra, i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli non muovono un dito: o perché sono un ammasso di cagasotto, forti con i deboli e deboli con i forti, “sempre pronti a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa, sempre pronti a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani”, volendo in ultimo parodiare Claudio Lolli, oppure perché con la camorra sono direttamente collusi. Se sono dei vigliacchi, non si tratta qui di pretendere che tutti diventino novelli Peppino Impastato o Roberto Saviano e si ribellino direttamente; ma abbiano almeno la dignità di non prendersela con gli ultimi della terra, dato che non riescono a prendersela con i più forti; se con la camorra sono collusi, l'identificazione dei rom come criminali ecco che allora svolge un meccanismo autoassolutorio e di spostamento dello stigma sociale, che serve a mettere i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli in pace con le proprie coscienze, macchiate dal sangue della camorra. Cosa avrebbero da dire inoltre, i “civili e coraggiosi” abitanti di Ponticelli, collusi con la camorra, se anche noi qui in Umbria iniziassimo ad applicare la legge del pogrom contro i criminali, e di fronte alle sempre più frequenti notizie di infiltrazioni camorristiche nella nostra regione, organizzassimo una bella spedizione punitiva per dare alle fiamme questo schifoso camorrista quartiere di Ponticelli?