Originariamente Scritto da
florian
“Qualsiasi cambiamento è in peggio, anche se in meglio” (R.A. Sayce)
“Un bambino dovrebbe essere educato come se la sua prospettiva fosse l’infelicità” (Lord Percy of Newcastle)
“L’innovazione è un’impresa quasi sempre ambigua ed incerta, nella quale perdite e guadagni sono così strettamente intrecciati che appare estremamente difficile prevedere il risultato finale: non esiste affatto un progresso assoluto” (Michael Oakeshott)
Perché essere conservatori? Il sottoscritto non è nato conservatore, ma lo è diventato negli anni dell’adolescenza in seguito al suo rifiuto del dogma razionalista. Ci sono persone che si ribellano a forme più concrete di autorità, vedi quelle di tipo militare oppure religioso – io invece ad un certo momento della mia maturazione intellettuale ho snobisticamente voltato le spalle al pensiero liberalprogressista del mio tempo, non credendo più possibile e nemmeno giusto continuare a pensare che ogni nostra singola scelta quotidiana dovesse essere il frutto di una ragione di per sé fallibile.
Con gli anni, attraverso la lettura di autori conservatori mi sono reso conto che la mente umana non è una tabula rasa e che ogni uomo nasce già con un patrimonio acquisito, sul quale incideranno poi l’ambiente fisico e umano con cui entrerà in contatto. Non siamo uguali, non partiamo da zero ed ognuno di noi ha dentro di sé un qualcosa che sfugge alla comprensione razionale e che generalmente chiamiamo anima. Essendo personalmente agnostico non ho dato a tutto ciò un significato prettamente religioso, tuttavia il mio rispetto per la natura e per quel che gli dei provvedono per ciascuno di noi si è rafforzato.
Ho scoperto che l’uomo non è guidato principalmente dal desiderio di libertà, ma dall’istinto di conservazione. Dalla nascita alla morte tutte le nostre azioni sono volte a preservare la nostra vita dalle avversità. Tuttavia c’è una forza che dall’interno del nostro corpo ostacola questi propositi di sicurezza ed è l’aggressività. L’uomo è infatti un essere naturalmente aggressivo, che tende alla competizione e al conflitto con i propri simili con una determinazione maggiore di quella che gli serve quotidianamente per procacciarsi il cibo. A spingerci gli uni contro gli altri il più delle volte non sono fini materiali, razionali, ma le passioni, che dominano la nostra volontà e che attengono alla dimensione irrazionale del nostro essere. Per quanto fonte di instabilità e di pericolo, queste pulsioni irrazionali hanno permesso ai nostri antenati di non condurre una vita meramente animalesca, tesa cioè a soddisfare meramente i loro bisogni primari, ma di evolversi verso forme di esistenza più evolute. E di dar modo all’anima umana di esprimersi nobilmente attraverso la religione, le arti e la guerra.
Al rispetto per ciò che è naturale si è accompagnato in me il gusto del passato e il piacere delle consuetudini. Per secoli l’uomo ha fatto tesoro dell’esperienza dei propri progenitori ed ha considerato con rispetto e amore ciò che aveva ereditato dalla propria cultura e dalle proprie tradizioni. Oggi invece la gran parte dei miei contemporanei vive esclusivamente per il proprio presente e considera la tradizione alla stregua di una sciocca superstizione. Lungi dall’essere considerati degli esempi per i viventi gli uomini del passato sono dimenticati senza rimpianti. La globalizzazione ha reso obsoleti gli stessi stati nazionali.
Questa disgregazione del tessuto sociale che oggi le menti più fulgide rubricano secondo le voci “nichilismo” e “relativismo culturale” è solo l’ultimo atto di un processo iniziatosi parecchi secoli fa. Da quando il pensiero filosofico, che aveva sempre accompagnato l’evoluzione della società occidentale senza mai entrare in collisione con essa, in Età Rinascimentale non si propose più semplicemente di interpretare la realtà, ma di trasformarla secondo un piano razionale. Questa intenzione radicale ispirerà e sosterrà attivamente istanze politiche di tipo rivoluzionario che deflagheranno con la Rivoluzione francese e la conseguente caduta del Trono e dell’Altare.
Tuttavia a differenza dei legittimisti che si opposero ai rivoluzionari in nome del diritto divino dei Regnanti, la polemica conservatrice, iniziatasi con Edmund Burke, si basava invece sul diritto consuetudinario. Burke riteneva che le nostre società fossero divenute col tempo così complesse che potevano essere guidate solo per mezzo di politiche prudenti e gradualistiche. Ogni tentativo radicale, viceversa, avrebbe finito col tramutarsi in dispotismo. La profezia burkeana purtroppo si realizzò e la Rivoluzione, contrariamente ai suoi propositi di liberazione, costrinse l’uomo europeo a continui regimi di schiavitù: il Terrore giacobino, il positivismo anticlericale e il marxismo collettivista, ed infine due apocalittiche guerre mondiali che rischiarono di spegnere del tutto la civiltà europea.
Dopo Burke sono stati varie e difformi le modalità di essere conservatori, ma sempre si è convenuto sulla sfiducia nei confronti dell’azione umana e sul rifiuto di idee e programmi radicali e utopistici.
Secondo Michael Oakeshott, forse il più brillante intellettuale conservatore del XX secolo,
“Essere conservatori significa essere disposti a pensare e comportarsi in determinate maniere; sono preferibili certi tipi di comportamento e certe condizioni negli avvenimenti umani rispetto ad altri... la caratteristica generale di questa inclinazione si concentra nella propensione a utilizzare e gioire di ciò che è disponibile oggi, piuttosto di ciò che era prima o lo potrebbe essere in futuro. Ciò che si valuta è il presente; e lo si valuta non in base alle sue relazioni con un remoto passato, nè perchè lo si ritiene migliore di qualsiasi altra alternativa possibile, ma per via della sua consuetudine... essere conservatori dunque, è preferire la consuetudine all’ignoto, lo sperimentato al non sperimentato, il dato di fatto al mistero, il qui ed ora all’impossibile, il limitato all’illimitato, il vicino al distante... l’utile alla perfezione, il sorriso presente all’utopica risata”. (Michael Oakeshott, Being Conservative, in Rationalism in politics)
Mentre i liberali e i progressisti sostengono all’unisono il diritto individuale di scelta, viceversa il conservatore è consapevole dei rischi che potrebbero conseguirne, quando non ci si lasci guidare dalla tradizione e dalla saggezza. Il vero conservatore è infatti intimamente uno scettico: non si fida dei ragionamenti intelligenti, figuriamoci degli entusiasmi a buon mercato. Se è inglese, spesso è anche un sottile umorista. Per Disraeli “ci sono infiniti piani e progetti, e altrettante infinite ragioni per cui non ci dovrebbero essere piani e progetti”. Questo non vuol dire rimanere inerti senza far nulla, ma è un consiglio ad agire con prudenza senza aspettare successi, che con buona probabilità non verranno.
Il conservatorismo infine, dice Scruton, è “il mantenimento di un’ecologia sociale”. La libertà partecipa a quest’ecologia, in quanto senza di essa gli organismi sociali non potrebbero adattarsi, ma la politica non può limitarsi a garantire o a estendere il dominio della libertà. Deve interessarsi della preservazione delle risorse sociali, materiali, spirituali che una libertà anarchica potrebbe mettere a rischio, al fine di mantenere il più a lungo in essere la vita della società umana. Per questo il conservatorismo è stato definito anche la politica del differimento, perché, come affermò saggiamente Lord Salisbury, “ritardare è vita”.
Florian