La forza del Bello. L'arte greca conquista l'Italia
di redazionale - 16/05/2008

Fonte: Rinascita

Armati della sola “forza del bello” satiri ed eroi, efebi, atleti,
Veneri e filosofi sono giunti a Mantova dai musei di tutto il mondo, per
raccontare la storia di una conquista: quella dell’Italia - e poi, di qui,
di tutta la cultura occidentale - messa in atto dall’arte greca. La forza
persuasiva dell’arte greca - spiega Salvatore Settis, che ha curato la
mostra mantovana insieme a Maria Luisa Catoni - risiede nella sua capacità
di fondere ideali etici ed estetici. E’ un’alchimia tra energia ed eleganza,
sensualità dei corpi e intensità dei volti, capacità di narrare e
controllare il movimento, e insieme di esprimere la più totale sfrenatezza.
Sopra tutto, l’ideale greco di bellezza è misura, incarnazione di quell’idea
di equilibrio che appartiene all’orizzonte etico della polis. “Erano statue
fatte per educare, corpi intrisi di valori morali” aggiunge Maria Luisa
Catoni.
Dai kouroi del VI-V secolo a.C. - importati nelle colonie della Magna
Grecia o ivi realizzati con marmi della madrepatria - alle statue classiche
di cui Roma fece incetta, ai reperti ricercati e collezionati nella tarda
antichità e dopo (fino all’800), quando il grande passato ellenico era
diventato un ricordo nostalgico, sono oltre centoventi le opere in mostra a
Palazzo Te, che seducono con l’irripetibile equilibrio armonico delle
statue, il vigore controllato dei bronzi, la potenza narrativa delle
terrecotte policrome.
L’ininterrotta seduzione che l’arte greca ha esercitato sulla cultura
italiana è ribadita dallo scenario di questa mostra mozzafiato: Palazzo Te
(e le sue Fruttiere), gioiello dell’arte rinascimentale e summa di cultura
classica, realizzato da Giulio Romano tra il 1525 e il 1535, nonché antica
reggia estiva di quegli insaziabili collezionisti di antichità che furono i
Gonzaga. Il sobrio allestimento espositivo curato dall’architetto Andrea
Mandara incornicia le opere in porte ideali attraverso le quali si accede al
racconto di questa ultramillenaria conquista.
La narrazione si sviluppa in tre capitoli. Il primo, intitolato “Un’Italia
greca”, ci porta nel VII sec. a.C. in Sicilia e nelle città della Magna
Grecia. L’arte prodotta nelle città elleniche del Mezzogiorno - Taranto,
Sibari, Metaponto, Crotone, Reggio - s’intreccia con quella prodotta in
Ellade e importata non solo dai Greci d’Italia, ma anche da altri popoli
della Penisola, gli Etruschi soprattutto, che ne furono conquistati e la
imitarono. La sezione si apre con il “Torso di kouros”, detto “Apollino
dilani”, in marmo bianco insulare, del 520-510 a.C., proveniente dal Museo
Archeologico di Firenze, per la prima volta ricongiunto con la pertinente
“Testa di kouros” da Osimo, proveniente da collezione privata. Poi la
celebre e monumentale “Statua di Mozia” in marmo bianco risalente al 450-440
a.C., probabilmente realizzata tra Agrigento e Selinunte; la statua di Zeus
da Ugento, bronzo del 500 a.C. e la sensuale Menade in terracotta, del II
sec. a.C., colta nell’abbandono del sonno, entrambe provenienti dal Museo
Archeologico di Taranto. Completano la sezione, eccezionali testimonianze di
pittura vascolare e lo spettacolare Cratere di Vix, bronzo di 164 cm per 127
e 200 chili di peso, il più grande vaso antico giunto sino a noi.
Fra le culture durevolmente sedotte dall’arte greca spicca quella
romana cui è dedicato il secondo capitolo della mostra – “La Grecia
conquista Roma” - introdotto dalla celebre frase di Orazio “Una volta
conquistata la Grecia conquistò i suoi selvaggi vincitori e portò le arti
tra i contadini del Lazio”. A partire dal II sec.a.c. l’Urbe,
conquistatrice-conquistata, perde la testa per la cultura e per l’arte greca
e cerca di procurarsela con qualsiasi mezzo. Innanzitutto cerca gli
autentici e ne fa incetta saccheggiando le città elleniche sconfitte: in
mostra lo straordinario nudo di Niobide del 440-430 a.C. che coglie la
fanciulla nel momento in cui cade, trafitta dalle frecce di Artemide. Oppure
fa giungere dalla Grecia opere e artisti. Ed allora nascono a Roma
capolavori “greci” come la “Testa di Ulisse” rinvenuta nella grotta di
Tiberio a Sperlonga. O il corpo acefalo, atletico e possente del “Torso del
Belvedere”, replica marmorea, voluta da Augusto, di un originale bronzeo
firmato dall’ateniese Apollonios nel I sec. a.c.: opera studiata, copiata e
rielaborata dai maggiori scultori, da Michelangelo - che se ne proclamava
discepolo e che ad essa si ispirò per il suo Giudizio - allo stesso Giulio
Romano, fino a Rodin.
O ancora commissiona copie e variazioni delle opere più ammirate,
inglobandone gli elementi nel proprio patrimonio culturale. E nascono
capolavori come la “Afrodite Callipige” del I sec d.C., rinvenuta a Roma
nell’area della Domus Aurea, con la dea, in procinto di bagnarsi, che
maliziosamente solleva la veste e si ammira compiaciuta; la colossale “Testa
di Atena” in marmo, dai Musei Vaticani, il “Volto in avorio” rivenuto a
Cesano, proveniente da Palazzo Massimo a Roma e lo splendido “Apollo di
Piombino” in bronzo, prestato dal Louvre. Quando l’Impero romano collassa,
dello splendore antico resta ben poco: le statue di marmo sono bruciate per
ricavarne calcina, quelle in bronzo, fuse, diventano armi e utensili. Eppure
non tutto è perduto: la fama della bellezza greca sopravvive nella
letteratura latina e diventa leggenda.
Attraverso i testi latini pazientemente copiati dagli amanuensi
cristiani la sapienza greca arriva agli umanisti, ispirando un’inguaribile
nostalgia della Grecia. Tra Quattro e Cinquecento nascono le prime grandi
raccolte di antichità: quelle medicee a Firenze, la Grimani a Venezia, il
primo nucleo dei Musei Capitolini.
Testimonia la “nostalgia della Grecia” l’ultimo capitolo della mostra
mantovana allestita nelle Fruttiere di Palazzo Te. Tra le opere esposte in
questa sezione spiccano lo “Spinario” in bronzo dai Musei Capitolini, per la
prima volta messo a confronto con una versione in marmo proveniente dalla
Galleria Estense di Modena, che si credeva replica rinascimentale e invece s’è
scoperto essere opera del I sec. a.c.. E poi la “Kore Grimani” e il “Busto
di Dioniso” entrambi in marmo dal Museo Archeologico di Venezia; l’
“Isolino” con la sua base dal Museo Archeologico di Firenze, la
spettacolare “Erinni Ludovisi” in marmo pentelico dal Museo Archeologico di
Roma, reintegrata col suo Cuscino originale in marmo conservato a Roma nella
Curia Generalizia dell’Ordine di Sant’Agostino. La rassegna mantovana chiude
in bellezza con alcune opere fondamentali di recente restituite all’Italia
dal Getty Museum di Los Angeles e dal Metropolitan di New York. Si tratta
del “Sostegno di mensa con grifoni che sbranano una cerva” e del “Bacino
marmoreo con Teti e Nereidi”, entrambi in marmo e pigmenti, provenienti da
una tomba di Ascoli Satriano, datata al 325-300 a.c.; e del famosissimo
“Cratere a calice attico a figure rosse con il trasporto del corpo di
Sarpedonte”conosciuto come “Vaso di Euphronios”. Un pezzo di bellezza
abbagliante e di valore inestimabile non solo per il perfetto stato di
conservazione, ma anche perché porta indicate le firme di Euxitheos vasaio e
Euphronios ceramografo, segno che i due artisti riconobbero l’opera come una
delle loro creazioni migliori. E’ proprio il caso di dire la forza del
bello: il vaso riporta la dedica a “Leagros bello”, uno dei fanciullini più
belli del tempo, 520-510, cui è databile il cratere.
fonte:
http://www.italica.rai.it

La forza del Bello. L’arte greca conquista l’Italia
Mantova, Palazzo Te
dal 29 marzo al 6 luglio 2008
Orari: 9.00 - 19.00

Informazioni: tel. 199 199111