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    Predefinito Oggi l'Islanda, domani chissà...

    La ricca Islanda in bancarotta
    salvata dai cugini scandinavi


    Reddito pro capite tra i più alti del mondo. Ma banche con troppi debiti. La paura e la sorpresa: «Cosa è successo?»





    Cos'hanno in comune il governatore della Banca Centrale di Reykjavik e il fondatore del Museo Fallologico di Húsavik? Sia David Oddsson che Sigurdur Hyartarson, come tutti gli islandesi orgogliosissimi della propria indipendenza, alla fine hanno dovuto accettare l'onta dell'aiuto che viene dall'estero. Nella singolare collezione di Hyartarson, 263 falli «ben preservati » appartenenti a 90 specie diverse (il più grande è di un capodoglio, 1,7 metri per 70 chili) manca l'homo sapiens. Ma è di pochi giorni fa la notizia che — quando verrà il momento — un tedesco, un americano e un inglese hanno promesso di donare il loro organo al museo. Anche i donatori accorsi al capezzale della Banca Centrale dell'«isola di ghiaccio» sono tre. Danimarca, Norvegia e Svezia l'altro ieri hanno annunciato l'apertura di una linea di credito di 1,5 miliardi di euro per tamponare la crisi della finanza islandese che rischia di saltare in aria come uno dei suoi tanti geyser. Ognuno mette 500 milioni di euro sul tavolo della «solidarietà scandinava».
    Il beneficiario ringrazia, anche se promette che non li toccherà. Solidarietà forse un po' indigesta, visto che arriva dagli ex padroni (Norvegia e Danimarca) che hanno retto l'Islanda dal tempo dei vichinghi all'indipendenza del 1944. Indigesta ma necessaria. «Siamo nella tempesta» aveva dichiarato ad aprile il governatore Oddsson. La Banca Centrale islandese ha riserve per 2,5 miliardi di euro. Dall'inizio dell'anno la krona, la moneta nazionale, ha perso il 25% del proprio valore. L'inflazione ha toccato il mese scorso l'11,8% (non accadeva da 20 anni) benché il costo del denaro sia al 15,5% (il più alto d'Europa). Il problema sono i debiti delle tre principali banche private che negli anni scorsi si sono molto «allargate» facendo shopping all'estero (dalla Gran Bretagna alla Cina). La stretta internazionale del credito, dopo la caduta dei mutui «subprime» negli Usa, ha spinto la periferica Islanda — reddito pro capite 46 mila dollari, tra i più alti del mondo — sul ciglio di una crisi di liquidità. Molti a Reykjavik puntano il dito sugli speculatori, gli squali degli «hedge funds» che scommettono sul collasso. Resta il fatto che l'Islanda (300 mila abitanti sparsi su un territorio che è un terzo dell'Italia) è tra i Paesi più in rosso: il debito estero veleggia verso i 100 miliardi di dollari, 5 volte il prodotto interno lordo. Con i venti della recessione che soffiano sull'Atlantico, l'isola dei sobri miracoli è diventata un'«osservata speciale» come il classico «canarino nella miniera». Si spiegano così le prime pagine che Financial Times e Wall Street Journal dedicano all'intervento tampone delle tre Banche Centrali scandinave.


    L'iniziativa, tesa a «a preservare la stabilità macroeconomica e finanziaria » di Reykjavik, ha avuto come primo effetto un rialzo del 5% della krona. «Cosa ci è successo?» si chiede sbigottita la giornalista Sigridur Jonsdottir. Fino a ieri «si parlava di noi per la prima donna eletta presidente», o perché «un'eruzione vulcanica faceva sorgere una nuova isoletta ». Ora «siamo l'avamposto della recessione globale, il canarino che smettendo di cantare lancia l'allarme alle altre economie intossicate». Canarino o lundi, la pulcinella di mare simbolo ornitologico del Paese? In Islanda anche «i pesci possono cantare», come s'intitola un libro del grande Halldór Laxness. A Reykjavik non si respira aria intossicata. Il Morgunbladid segnala che la gente compra meno cibo (-2,3% ad aprile) anche se più scarpe (+2,9%). Il Paese degli alimenti più costosi d'Europa (+62% della media, l'80% è importato) aspetta con un certo nervosismo l'apertura della stagione turistica estiva. La pesca, per secoli unica fonte di sostentamento, oggi conta per il 10% dell'economia. Tra i vapori delle 130 piscine naturali di acqua calda (ritrovo mattutino per i businessmen) si scruta il futuro. Collasso o risanamento? Fridat Mar Baldursson, economista alla Reykjavik University citato dall'Herald Tribune, vede sereno: «Siamo a una svolta», la mossa dei Paesi scandinavi «aumenterà la fiducia e permetterà al nostro governo di ottenere prestiti a tassi inferiori». Ma la «tempesta» non è passata. La pubblicità negativa prodotta dalla decisione di riprendere la caccia alle balene nel 2006 è niente a confronto. L'Islanda dei sapori arcaici (piatto nazionale l'hakarl, squalo marcio sepolto per tre mesi sotto terra) adesso è sotto i riflettori per lo stato delle sue banche. I campioni dell'energia pulita (l'80% del fabbisogno da fonti rinnovabili) sotto la lente delle agenzie di rating. Suona strano, come sapere che un lupo di mare di Húsavik gestisce un museo fallologico.

    Michele Farina
    18 maggio 2008

    http://www.corriere.it/esteri/08_mag...4f486ba6.shtml

  2. #2
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