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Discussione: Il rumore del silenzio

  1. #31
    COSTRUIRE IL COMUNISMO!!
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    Quando Dio tace,
    gli si può far dire
    tutto quello che vuole

    Jean Paul Sartre

  2. #32
    COSTRUIRE IL COMUNISMO!!
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    ma sei proprio un ostinato materialista ateo
    Ho una mia spiritualità
    non credo nei preti e nelle chiese
    Il Cattolicesimo è la strumentalizzazione politica del Cristianesimo

  3. #33
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Costantino Kavafis


    Aspettando i barbari



    Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?

    Stanno per arrivare i Barbari oggi.

    Perché un tale marasma al Senato?
    Perché i Senatori restano senza legiferare?

    E'che i barbari arrivano oggi.
    Che leggi voterebbero i Senatori?
    Quando verranno, i Barbari faranno la legge.

    Perché il nostro Imperatore,
    levatosi sin dall'aurora, siede su un baldacchino
    alle porte della città,
    solenne e con la corona in testa?

    E' che i Barbari arrivano oggi.
    L'Imperatore si appresta a ricevere il loro capo.
    Egli ha perfino fatto preparare una pergamena
    che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.

    Perché i nostri due consoli e i nostri
    pretorisfoggiano la loro rossa toga ricamata?
    Perché si adornano di braccialetti d'ametista
    e di anelli scintillanti di brillan ti?
    Perché portano i loro bastoni preziosi
    e finemente cesellati?

    E' che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti
    costosi abbagliano i Barbari.

    Perché i nostri abili retori non perorano
    con la loro consueta eloquenza?

    E' che i Barbari arrivano oggi.
    Loro non apprezzano le belle frasi
    né i lunghi discorsi.

    E perché, all'improvviso,
    questa inquietudine e questo sconvolgimento?
    Come sono divenuti gravi i volti!
    Perché le strade e le piazze si svuotano
    così in fretta e perché rientrano tutti a casa
    con un'aria così triste?

    E' che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
    E della gente è venuta dalle frontiere dicendo
    che non ci sono affatto Barbari...

    E ora, che sarà di noi senza Barbari?
    Loro erano comunque una soluzione



    ARDITI NON GENDARMI

  4. #34
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    CANTO DEI MALFATTORI
    (testo di A. Panizza, musica di anonimo – 1891)

    Canta Joe Fallisi

    Ai gridi ed ai lamenti
    di noi plebe tradita
    la lega dei potenti
    si scosse impaurita E prenci e magistrati
    gridaron coi Signori
    che siam degli arrabbiati
    e rudi malfattori
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Natura, comun madre,
    a niun nega i suoi frutti,
    e caste ingorde e ladre
    ruban quel ch’è di tutti
    Che in comun si viva
    si godi e si lavori
    tal’è l’aspettativa
    che abbiam noi malfattori
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Chi sparge l’impostura
    avvolto in nera veste
    chi nega la natura
    sfuggiam come la peste
    Sprezziam gli dei del cielo
    e i falsi lor cultori
    del ver squarciamo il velo
    perciò siam malfattori
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Amor ritiene uniti
    gli affetti naturali
    e non domanda riti
    né lacci coniugali
    Noi dai profan mercati
    distor vogliam gli amori,
    e sindaci e curati
    ci chiaman malfattori.
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Divise han con frodi
    Città, popoli e terre
    da qui gl’ingiusti odi
    che generan le guerre.
    Noi che seguendo il vero
    gridiam a tutti i cori
    che patria è il mondo intero
    ci chiaman malfattori
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Leggi dannose e grame
    di frode alti stromenti,
    secondan sol le brame
    dei ricchi prepotenti
    Dan pene a chi lavora,
    onore a sfruttatori
    conferman poscia ancora
    che siam dei malfattori.
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    La chiesa e lo stato
    L’ingorda borghesia
    contendono al creato
    di libertà la via
    Ma presto i dì verranno
    che papa, re e signori
    coi birri lor cadranno
    per man dei malfattori.
    Deh t’affretta a sorgere
    oh Sol dell’avvenir
    vivere vogliam liberi
    non vogliam più servir
    Allor vedremo sorgere
    il Sol dell’avvenir
    in pace potrem vivere
    e in libertà gioir.



    ARDITI NON GENDARMI

  5. #35
    COSTRUIRE IL COMUNISMO!!
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    Biblioteca Multimediale Marxista
    Dell'uguaglianza


    Il 'Me-ti - Libro delle svolte' è stato composto da Bertolt Brecht circa tra il 1934 e il 1937, sullo stile cinese (usato anche nel 'Libretto Rosso' di Mao Tse-Tung).
    Elenco dei nomi più importanti [L’elenco compilato da Brecht è stato integrato dai curatori tedeschi]
    Engels: il Maestro Eh-fu, Fu-en, En-fu.
    Lenin: Mi-en-leh.
    Marx: Ka-meh.
    Hegel: il Maestro Hu-jeh, He-leh.
    Rosa Luxemburg: Sa.
    Stalin: Ni-en.
    Korsch: Ko, Ka-osh.
    Trotzki: To-tsi.
    Brecht: Kin, Kin-jeh, Ken-jeh, Kien-leh.
    Russia: Tsen.
    Unione Sovietica: Su.
    Germania: Ga, Ge-el, Ger.
    Hitler: Hi-jeh, Hu-ih, Hui-jeh, Ti-hi.
    Plechanov: Le-peh.
    Anatole France: Fan-tse.
    Feuchtwanger: Fe-hu-wang.
    Emil Ludwig: Lu.



    Dell’eguaglianza
    Me-ti diceva: Solo quando è creata l’eguaglianza delle condizioni si può parlare di ineguaglianza. Solo se tutti hanno i piedi alla stessa altezza si può decidere chi emerga al di sopra degli altri.

    Del riposo
    Me-ti diceva: Gli uomini passionali non trovano riposo nel riposo, ma solo nel movimento. A loro la riflessione serve a poco. In loro le decisioni rapide, impetuose, sono talora le più obiettive e le più pratiche. Se non possono viaggiare in un carro, devono almeno tirarlo, altrimenti si fanno trascinar sotto.

    Appello al nazionalismo
    Anche Me-ti giunse profugo in terra di Su. Colà incontrò altri profughi del Ge-el, adepti del Grande Ordine, ed essi lo tediarono con le loro autoaccuse perché avevano trascurato di sfruttare il nazionalismo che avevano dentro i Ge-el (tedeschi, nota della Biblioteca) e che Hu-jeh aveva sfruttato così astutamente. Me-ti disse adirato: Gli operai e i contadini poveri del Ge-el non avevano dentro nessun nazionalismo; la storia non ne ha generato nessuno dentro di loro; è stato Hu-jeh a metterglielo dentro, quando voleva trovarcelo , e allora non può essere molto in profondità. E noi come avremmo potuto sfruttarlo, anche se ce l’avessero avuto dentro? Per che cosa? Con che cosa? C’erano mille problemi insoluti, ma nessuno poteva essere risolto in modo nazionale se si aveva in mente il Grande Ordine. Gli affari dei potenti abbisognano di lotte con altre nazioni, i nostri affari non ne abbisognano e anzi ne sarebbero disturbati.

    Il nazionalismo dei poveri
    Alcuni ritenevano che avendo Hui-jeh oppresso molti popoli, in questi popoli il nazionalismo dovesse determinare qualche cosa di utile, cioè la caduta di Hui-jeh. Me-ti disse disapprovando: Se questi popoli scuotono il giogo di Hui-jeh in modo nazionalistico, si sobbarcheranno il giogo dei loro propri signori. Il nazionalismo dei grandi signori giova ai grandi signori. Il nazionalismo della povera gente giova anch’esso ai grandi signori. Il nazionalismo non diventa migliore per il fatto che si celi sotto i panni della povera gente, anzi allora diventa totalmente assurdo.

    Il diritto dei popoli all’autodeterminazione
    Me-ti diceva: Nel Grande Ordine rientra il diritto dei popoli alla autodeterminazione, e aggiungeva: A condizione che si eserciti a favore del Grande Ordine.

    Kien-leh sui soci
    Il commerciante B. si recò in una lontana città. Occupatissimo, e convinto che il suo socio fosse sicuro di lui, trascurò di scrivergli. Costui si offese o si raffreddò verso B. a tal punto che ruppe il rapporto di affari e addirittura gettò puramente e semplicemente i beni di B. sulla strada lasciandoli andare in malora. La sua lettera a B. in proposito restò senza risposta. Il silenzio restava lo stesso, il motivo del silenzio era cambiato.

    Kien-leh sui soldati cortesi
    In una certa provincia i soldati si ribellarono in combutta con i contadini e uccisero i loro ufficiali, salvo uno che era anche lui figlio di un contadino e si unì ad essi. Nei combattimenti che seguirono i soldati pretesero moltissimo da questo ufficiale, fino al giorno in cui egli maltrattò uno di loro per un errore che aveva commesso. Da allora in poi fu improvvisamente trattato assai diversamente, cioè molto più cortesemente. Ricevette da mangiare separatamente e non fu più mandato allo sbaraglio senza neanche chiederglielo, come avveniva prima. Sei mesi dopo questo fatto l’ufficiale si uccise.

    Formazione universale degli uomini
    L’uomo deve potersi intendere con molti suoi simili, disse Me-ti ai fonditori di bronzo di Sen-eh. L’arte più grande consiste nel saper parlare attraverso la radio, che è un nuovo organo dell’uomo. Ma per formare in voi un siffatto organo, che permette di farsi capire da milioni di persone con la voce solita, dovete essere in grado di parlare sia forte, sia cosi piano che le vostre labbra non sembrino neppure muoversi. Infatti per formare la vostra voce nelle proporzioni indicate dovete esprimere certe determinate cose, e non altre.

    Onori tributati a Ni-en
    Gli onori tributati a Ni-en assunsero spesso forme tali che finivano per disonorare coloro che lo onoravano (lo denunciò Stalin stesso a più riprese, nota della Biblioteca). Me-ti non se ne preoccupava in modo particolare. Diceva: Ni-en edifica la grande produzione. È questa un’opera estremamente audace, ché niente di simile fu mai tentato altrove. Richiede grande credito da parte del popolo e Ni-en sa procacciarselo. In che modo, se non attraverso la produzione, la gente dovrebbe diventare più assennata e consapevole? Forse solo attraverso l’ammaestramento?

    [Rinuncia a un trono]
    Kin-jeh raccontò una storia sul mitico generale I-ti. La gente di Shen-si gli offrì il titolo di re. Egli accettò la pergamena con tutti i segni del rispetto e la studiò accuratamente. Ma già la prima lettera che scrisse loro non ricevette risposta. A quel tempo I-ti ritenne ancora che fosse stato un caso e continuò a leggere la pergamena e a provvederla di note. Ma anche degli amici che si erano recati a Shen-si muniti di una raccomandazione del generale ricevettero un’accoglienza glaciale. Glielo riferirono, ed egli mise via la pergamena. Ora devo dubitare, disse, che come re di Shen-si avrei posseduto i diritti di un guardaportone. Chiunque mi abbia dato un colpo sulla spalla mi trattava più gentilmente, e un uomo che quando ero giovane mi regalò un vecchio cappello mi offrì di più della gente di Shen-si.

    Ordine e disordine
    Me-ti disse: Il motto di Hu-ih “Prima l’utile generale e poi quello particolare” sembra stabilire un ordine. Invece riflette il massimo disordine. Uno Stato in cui quel che serve allo Stato non serve al singolo e quel che serve al singolo non serve allo Stato, non serve esso stesso a nulla. A parere di Hu-ih è lui che incarna lo Stato. Quindi il suo motto significa semplicemente: “Prima l’utile di Hu-ih e poi quello di ogni singolo cittadino”.

    Dell’egoismo
    Come si fa a combattere l’egoismo? Uno Stato deve essere ordinato in modo tale che non ci sia differenza tra il vantaggio del singolo e il vantaggio della generalità. In Stati male ordinati come quello di Hu-ih l’egoismo è alcunché di terribile. In Stati ordinati l’egoismo serve alla generalità.(siccome "gli interessi individuali e quelli collettivi costituiscono un'unità di contrari" (Mao), è possibile arrivare a farli coincidere. Ma solo nel comunismo. La distruzione dell'egoismo deve avvenire durante la dittatura del proletariato, in quanto l'egoismo è parte essenziale della cultura della borghesia. nota della Biblioteca)
    I doveri del singolo
    In uno Stato ordinato non c’è bisogno di parlare continuamente dei doveri del singolo verso lo Stato. Il singolo non ha tanti oneri. Ha una vita facile. I suoi errori vengono corretti senza fretta, eppure rapidamente; quel che non può far lui, lo fa un altro. Se lui non viene, c’è lo stesso abbastanza gente a disposizione.

    Il Grande Metodo
    Il detto del maestro Hu-jeh che uno non è uguale a uno, non soltanto uguale a uno, non sempre uguale a uno, è un punto di partenza del Grande Metodo. Vuol dire che accade di usare troppo a lungo questa formula, o una costruita in modo analogo, cioè si può aver ragione di usarla in un tempo e in una situazione determinata, ma dopo qualche tempo, in una situazione cambiata, si può aver torto. Se si analizza questa affermazione bisogna rassegnarsi ad affrontare ragionamenti molto complicati, senza però mai dimenticare che in fondo quel che vuol dire è molto semplice. Il pensiero ha difficoltà per esempio a fissare il concetto di bocciolo, perché la cosa così designata è in preda a un impetuoso sviluppo, e mostra, scappando sotto al pensiero, un grande impulso a non essere un bocciolo, bensì un fiore. Così, per chi pensa, il concetto di bocciolo è già il concetto di qualcosa che aspira a non essere quel che è. Eppure si tratta di cose semplici e non ci sono difficoltà in questa designazione e nel modo di applicarla. Molti all’inizio non capiscono il Grande Metodo perché dei due termini, osservatore e cosa osservata, ne prendono sul serio soltanto uno, cioè la cosa osservata, e attribuiscono al nostro pensiero una imprecisione e un’inconsistenza che mancano alla cosa pensata. Ma questa imprecisione e inconsistenza non mancano alla cosa pensata, e così il nostro pensiero non è manchevole, quando è inconsistente e impreciso, bensì esatto, in quanto ha speranza di comandare alla natura solo obbedendole. Se diciamo “La scienza è la scienza” questa formula è valida, a quanto sembra, perché la stessa parola è usata due volte. Ma la stessa parola designa cose diverse, e non solo in tempi diversi. Nella nostra epoca i fisici contestano che gli storici abbiano una scienza, solo i loro metodi sembrano loro scientifici, e il maestro Eh-fu diede loro ragione, e purtuttavia contestò la scientificità dei fisici, perché questi capivano troppo poco della nuova scienza storica. Molto facilmente e con grande vantaggio ci si può rappresentare la scienza come lo sforzo di scoprire e provare la mancanza di scientificità di asserzioni e di metodi scientifici. La grande rivoluzione nel Su mostrò i vantaggi che può arrecare il ripetere troppo a lungo formule come “il contadino è il contadino”. Mi-en-leh scoprì che nel Su come dappertutto il fenomeno “il contadino” si presentava in forme così differenti da comportarsi di fronte a certi fatti in modo del tutto opposto. Egli stabilì che quella differenza, che implicava il differente comportamento, era una differenza di proprietà, e da ciò trasse enormi vantaggi per la grande rivoluzione. Ma questo lo poté fare solo perché contemporaneamente osservò che, ad onta della differenza da lui riscontrata, c’era anche, primariamente, un comportamento identico in tutti i contadini: contrariamente agli operai, che volevano abolire la proprietà individuale, i contadini volevano conservarla. Anzi i contadini poveri volevano introdurla per la prima volta. Qui dunque, ed entro questi limiti, era valida la formula “il contadino è il contadino”. Era valida, e doveva essere posta alla base dell’azione nello stesso torno di tempo in cui il contrasto tra i contadini era tanto grande che gli uni non potevano restare più contadini se lo diventavano gli altri. Per parecchio tempo gli operai sotto la guida di Mi-en-leh e di Nien lottarono affinché la formula “il contadino è il contadino” si affermasse come valida, trasformando i contadini ricchi e i contadini poveri in contadini con proprietà uguali. E poi si formò in seno alla stessa Lega degli operai, sempre nel giro della stessa generazione, un’opposizione che in base alla formula “il contadino è il contadino” predisse (o constatò) contese tra operai e contadini che potevano terminare solo con la vittoria o dei contadini o degli operai, e chiese che gli operai prendessero delle misure in vista di queste contese. La Lega si trovò in difficoltà per tali dispute, ma a quel tempo la formula “il contadino è il contadino” ricominciò a mostrare la propria labilità, perché i contadini si trasformarono in operai; sicché la formula “il contadino è l’operaio” serviva meglio in molti casi. L’opposizione restò indietro ai tempi e fu sconfitta. Ma coloro che in questo nuovo operaio, che era sorto in seguito all’eliminazione della proprietà terriera individuale, non sapevano più riconoscere l’elemento contadinesco, e consideravano quindi del tutto superata la formula “il contadino è il contadino”, fecero grandi errori. Così quella formula continuava ad avere, in forma cambiata, la sua validità.

    Me-ti in favore di Ni-en
    Me-ti si schierò dalla parte di Ni-en. Nella questione se si potesse edificare l’Ordine in un solo paese, sostenne il punto di vista che l’edificazione dovesse essere iniziata in un paese e completata con l’edificazione in altri paesi. L’edificazione in un paese era una condizione dell’edificazione in altri paesi così come questa era una condizione per il compimento dell’edificazione in un paese.

    Quel che i lavoratori della testa intendono per libertà
    Ka-meh insegnava che per capire le idee degli uomini bisogna studiare la storia della loro produzione di ciò che è necessario alla vita. Quando, per capire ciò che intendono per libertà i lavoratori della testa della nostra epoca, si studia la storia della produzione di ciò che è necessario alla vita, si trova che la classe cui sono legati i nostri lavoratori della testa aspirava a una libertà che era la libertà della concorrenza. Questa era una libertà ben determinata. Anche la concorrenza era una concorrenza ben determinata, dissimile da altre forme di concorrenza che si erano già viste a questo mondo. Era infatti la concorrenza nella vendita delle merci. Le merci che avevano da vendere i lavoratori della testa erano opinioni e conoscenze. La libertà cui aspirano è la libertà della concorrenza nel vendere opinioni e conoscenze. Questo non suona molto bene: ma che non suoni bene dimostra soltanto che al nostro tempo la produzione di ciò che è necessario alla vita in forma di libera concorrenza nella vendita delle merci non funziona più bene. Al tempo in cui essa veniva portata avanti in questa forma, la frase non suonava male. Quando si pagavano opinioni e conoscenze così come pesci e reti da pesca, panno e lavoro di sartoria, e quando i lavoratori della testa modellavano le loro opinioni e impiegavano le loro conoscenze in modo tale da favorire la produzione, non si scorgeva in questo rapporto di dipendenza nulla di male. Nella concorrenza si sviluppavano le personalità e se gli inventori richiedevano tributi per l’uso delle loro invenzioni e gli artisti e i filosofi deprecavano l’altrui imitazione dei propri stili e modi di pensare e la perseguitavano come furto, questi inventori, artisti e filosofi erano utili alla produzione. Dato che vi erano molti interessi tra loro contrastanti, potevano esservi molte opinioni che potevano essere liberamente esposte. Al nostro tempo la produzione di ciò che è necessario alla vita non può più essere favorita nella forma della libera concorrenza nella vendita delle merci, essa continua a incepparsi e si trasforma sempre più nella produzione di strumenti di distruzione, e c’è un nuovo impulso di libertà e una nuova idea di libertà, che non mira alla libertà della concorrenza nella vendita delle merci. E una simile libertà che ormai dovrebbe portare innanzi la produzione, ed è chiaro che le idee e i desideri dei lavoratori della testa circa la libertà non possono realizzare una libertà di questa fatta.

    Il Grande Metodo
    Allo scoppio della grande guerra molti membri della Lega si aspettavano che almeno in alcuni stati i lavoratori impedissero ai loro reggitori di condurre la guerra. Essi non credevano che i potenti riuscissero a convincere il popolo lavoratore della necessità della guerra. Accaddero due cose. Prima di tutto risultò che non era poi tanto necessario per fare la guerra che i lavoratori fossero convinti della sua necessità; c’erano metodi molto efficaci per condurli in guerra anche non convinti. In secondo luogo si potevano convincere grandi masse di lavoratori della necessità della guerra. Nel quadro di tutto il sistema dell’economia la guerra era davvero necessaria; rientrava in questa economia, e chi tra i lavoratori dubitava che si dovesse o potesse eliminare tutto il sistema, poteva per l’appunto essere convinto della necessità della guerra. Quando dunque si vide che dai lavoratori non veniva nessuna opposizione alla guerra, o un’opposizione molto debole, molti membri della Lega si convinsero che non c’era nulla da fare. Mi-en-leh si batté contro questa convinzione. Il modo di produzione ha determinato una contraddizione tra le diverse classi che la reggono in piedi, disse. La contesa è ammutolita. Ma il modo di produzione è rimasto. Dunque la contraddizione ci deve essere ancora. Il popolo sembra molto unito, il governo fortissimo. Ma l’oppressione è diventata enorme. La forza del governo è la forza con cui opprime i lavoratori. Il sistema economico vigente, che costava molto ai lavoratori, non fa che ricevere una puntellatura che costa anch’essa molto ai lavoratori.

    La severità di Me-ti
    Quando uno scolaro gli rimproverò la sua severità, Me-ti gli rispose con i versi di Ki-en-leh:
    Quando parlo con te
    freddo e indeterminato
    con le parole più secche
    senza guardarti nel viso
    (in apparenza non ti riconosco
    nel tuo particolare carattere e difficoltà)
    pure allora ti parlo
    come la realtà stessa
    (la realtà nuda, incorruttibile dal tuo particolare
    carattere, più che sazia delle tue difficoltà)
    che tu - sembra - non mi vuoi riconoscere.

    Me-ti e l’etica
    Me-ti disse: Non ho trovato molte formule a base di “tu devi” che avessi voglia di pronunciare. Intendo dire formule di natura generale, formule che possono essere indirizzate alla generalità degli uomini. Però c’è una formula di questa fatta: Tu devi produrre.

    Degli esercizi fisici
    I tessitori di Sen-se coltivavano con gran zelo gli esercizi fisici. Me-ti disse loro: Mi dicono che i padroni delle tessitorie hanno fatto fabbricare i vostri telai in modo che a furia di tessere il vostro braccio destro diventa grosso e il sinistro esile. Per combattere questa deformazione voi nel vostro tempo libero fate esercizi fisici. Questo lavoro che voi fate per eliminare gli effetti del lavoro non viene naturalmente pagato e del resto è totalmente improduttivo. Io vi propongo di dargli maggior significato facendo i vostri esercizi a corpo libero con le armi. Non è forse indebolito anche il vostro occhio, e non migliorerà prendendo la mira? L’annodare corde, poi, rende più agili le mani. E nulla è più necessario per le vostre schiene di saper strisciare sotto un carro bellico. Mediante sport appropriati non spariranno solo le vostre deformazioni, ma alresì le deformazioni delle vostre macchine.

    Confronti
    Il celebratissimo scrittore Lu disse: La mia penna è d’oro, i miei ordini vengono eseguiti, mia moglie è fedele, i miei amici sono geni, le opere d’arte nella mia casa sono autentiche. Me-ti disse: La mia penna è di ferro, alle mie preghiere quasi nessuno vi bada, mia moglie non è fedele, i miei scolari ed amici sono così poco infallibili quanto me, l’unico quadro che posseggo è una copia a buon mercato di un’opera dubbia. E con ciò?

    [Idee pericolose]
    Quando il filosofo cinese Me-ti tornò da un’udienza concessagli da un altissimo funzionario, riferì ai suoi scolari che l’alto personaggio aveva parlato con lui soprattutto delle cosiddette idee pericolose. Quel signore, riferì Me-ti, si è espresso in modo impreciso, anche se molto energicamente, ma non sarei sorpreso se considerasse pericolose idee del genere di “Chi lavora deve mangiare”, oppure “Se si vuole costruire un ponte, ci vogliono pontieri”, oppure “La pioggia cade dall’alto in basso”. Credetemi, ho avuto l’impressione che deve essere molto pericoloso trovarsi nella pelle di quel signore.

    Il governo come struttura dialettica
    Kin-jeh diceva: Se vogliamo impiantare un forte Stato caduco, cioè uno Stato che deperisca man mano che deperisce la sua funzione, cioè uno Stato che venga liquidato dal suo successo, dobbiamo impiantare il governo come struttura dialettica, cioè creare un buon conflitto. Ci dovrebbe essere l’apparato statale, in cui gli ordini procedano dall’alto verso il basso; e l’apparato sindacale in cui procedano dal basso verso l’alto. Il governo è allora costituito da un comitato in cui le questioni importanti sono decise a maggioranza di due terzi.

    Vivere secondo il Grande Metodo
    Me-ti diceva: È utile non soltanto pensare mediante il Grande Metodo ma anche vivere mediante il Grande Metodo. Non essere d’accordo con se stessi, mettersi in crisi, cambiare i piccoli mutamenti in grandi mutamenti, tutto ciò non lo si può soltanto osservare, ma anche fare. Si può vivere con più o meno mediazioni, in contesti più o meno ricchi. Si può ottenere o cercare di ottenere un durevole cambiamento della propria coscienza cambiando il proprio essere sociale. Si può aiutare a rendere le istituzioni statali contraddittorie e suscettibili di evolversi.

    Vivere e morire
    Ni-en diceva: Sempre nella vita c’è qualcosa che è in procinto di perire. Ciò che perisce non vuole però semplicemente morire, ma lotta per la propria sopravvivenza, difende la sua causa persa. Nella vita nasce altresì sempre qualche cosa di nuovo. Ma ciò che si desta alla vita non viene semplicemente al mondo: ferisce e grida e afferma il proprio diritto di vivere.

    Il medico apolitico
    Il filosofo Me-ti si intratteneva con alcuni medici sulle cattive condizioni dello Stato e li esortò a collaborare alla loro soppressione. Essi rifiutarono adducendo il motivo che non erano uomini politici. Al che egli replicò narrando la storia seguente.
    Il medico Shin-fu prese parte alla guerra dell’imperatore Ming per la conquista della provincia di Chensi. Egli lavorava come medico in diversi ospedali militari, e la sua opera fu esemplare, in quanto ancora molto tempo dopo si insegnò nelle scuole di medicina che quella sua opera di medico doveva appunto essere chiamata esemplare. La mano artificiale da lui costruita per i soldati che avevano perso una mano fece parlar molto di sé. Come medico, egli poteva considerare risolto il problema della sostituzione di membri con protesi. Soleva dire che egli doveva questo perfezionamento della sua arte medica solo alla severa rinuncia a tutti gli altri interessi al di fuori di quelli medici. Interrogato sullo scopo della guerra cui partecipava, diceva: Come medico non posso giudicarla, come medico io vedo solo uomini mutilati, non colonie redditizie. A corte non gli si prendevano queste dichiarazioni in malaparte a causa dei suoi meriti come medico. La corte poté chiudere un occhio quando, richiesto del suo atteggiamento nei confronti degli scritti del sovversivo Ki-en, che respingeva la guerra, la conquista, l’obbedienza dei soldati, l’impero e la bassa mercede dei contadini e dei coolies, egli rispose soltanto: Come filosofo potrei avere un’opinione in proposito, come uomo politico potrei combattere l’impero, come soldato potrei rifiutarmi di obbedire o di uccidere il nemico, come coolie potrei trovare troppo bassa la mia mercede, ma come medico non posso far nulla di tutto questo, posso fare solo quello che tutti costoro non possono, e cioè guarire ferite. Purtuttavia si dice che una volta, in una certa occasione, Shin-fu abbia abbandonato questo punto di vista elevato e coerente. Durante la conquista da parte del nemico di una città in cui si trovava il suo ospedale, si dice che sia fuggito precipitosamente per non essere ucciso come seguace dell’imperatore Ming. Si dice che, travestito, come contadino sia riuscito a passare attraverso le linee nemiche, come aggredito abbia ucciso delle persone e come filosofo abbia risposto ad alcuni che gli rimproveravano il suo comportamento: Come faccio a continuare a prestare la mia opera come medico, se vengo ucciso come uomo?

    Della cattiva arte
    Kin-jeh diceva: Partire lancia in resta contro la cattiva arte e reclamarne una migliore o vilipendere il gusto del popolo, a che può servire tutto ciò? Bisognerebbe invece chiedersi: Perché il popolo ha bisogno di stupefacenti?

    L’edificazione dell’ordine in un paese solo
    To-tsi dichiarò impossibile l’edificazione dell’ordine in un paese solo. Ni-en si accinse a edificarlo. Per To-tsi c’era sempre questo o quello che mancava, Ni-en l’otteneva. To-tsi non vedeva la possibilità di edificare l’ordine se non era edificato contemporaneamente in tutti i paesi. Ni-en vedeva la possibilità di edificare l’ordine in tutti i paesi se veniva edificato in uno. To-tsi prevedeva un sovvertimento in tutti i paesi e poi un’edificazione in tutti i paesi. Ni-en iniziò l’edificazione nel suo paese e sapeva che questo avrebbe determinato il sovvertimento in tutti i paesi. Ni-en, come discepolo di Ka-meh, credeva nell’importanza dell’economia, dell’industria, della salda organizzazione di vastissime masse sul fondamento del nuovo ordine dell’economia di un paese, ai fini del sovvertimento in tutti i paesi.

    Uno degli errori di Me-ti
    Me-ti disse: Il mio caso è grave. Dappertutto si diffonde la voce che io avrei detto le cose più balorde. E, detto tra di noi, il guaio è che ho davvero detto la maggior parte di queste cose. Poiché mi succede questo: se qualcuno sostiene che due per due fa quattro perché otto meno cinque è uguale a sette, io dico subito che due per due non fa quattro. Allora quello va a dirlo in giro. Così mi hanno sentito dire che non ci sono classi, che i superiori si sacrificano per gli inferiori, che si può essere liberi anche in catene, che la letteratura viene guastata dall’intelligenza e altre assurdità del genere. Io non posso sopportare che si creda o si dica la verità come la menzogna, senza prove o per puro calcolo. In quelle bocche frivole la verità suona come fosse superstizione. Però il mio comportamento è lo stesso del tutto erroneo.

    Abitudine
    L’abitudine è pericolosa. Per esempio bisogna essere prudenti con la prudenza, la prudenza divenuta abitudinaria è pericolosa. Un uomo che lava sempre le ciliege prima di mangiarle, può facilmente una volta o l’altra bere l’acqua in cui le ha lavate e prendersi il colera? si dice.

    Del dubbio
    Do, scolaro di Me-ti, sosteneva la tesi che bisogna dubitare di tutto quel che non si vede con i propri occhi. Egli fu rimproverato per questo punto di vista negativo e abbandonò insoddisfatto la casa. Dopo breve tempo tornò indietro e disse sulla soglia: Devo correggermi. Bisogna dubitare anche di ciò che si vede con i propri occhi.
    Essendogli stato chiesto che cosa ponesse un limite ai dubbi, Do disse: Il desiderio di agire.

    Dell’occuparsi di morale
    Ci sono poche occupazioni, disse Me-ti, che danneggino la morale di un uomo tanto quanto l’occuparsi di morale. Sento dire: Bisogna amare la verità, bisogna mantenere le promesse fatte, bisogna lottare per il bene. Ma gli alberi non dicono: Bisogna essere verdi, bisogna lasciar cadere verticalmente i frutti al suolo, bisogna frusciare con le foglie quando ci Passa il vento.

    La contraddizione
    Tra le abitudini di Mi-en-leh c’era quella di andare a scovare la contraddizione in fenomeni che sembrano unitari. Se vedeva un gruppo di persone che formavano un’unità rispetto ad altri gruppi, si aspettava che tuttavia in certe cose fossero tra loro molto diversi, anzi addirittura avversi, in quanto gli interessi di certuni ledevano quelli di altri. E anche rispetto agli altri gruppi i membri del gruppo considerato si comportavano in modo non unitario, non del tutto unitario e non solo unitario. Del pari il gruppo non era del tutto e uniformemente e sempre opposto e ostile all’altro o agli altri gruppi, ma c’erano rapporti oscillanti che mettevano in discussione continuamente, anche se con diversa intensità, l’unità del gruppo e la sua diversità dagli altri gruppi. Già Ka-meh aveva esortato i lavoratori a non scorgere nei loro oppressori un’unità troppo uniforme Proprio il compito di opprimere, che univa gli oppressori, al contempo li divideva: essi erano ostili gli uni agli altri e si comportavano diversamente in molte questioni. Da questo i lavoratori potevano trarre vantaggi. Certo non potevano farlo se contemporaneamente non tenevano sempre d’occhio anche l’unità dei loro oppressori. Molti vedevano in Mi-en-leh un astuto ingannatore che si faceva amico dei nemici per sconfiggerli in ultima istanza, ma questo era sbagliatissimo, sia che si condannasse, sia che si approvasse tale inganno, a seconda del punto di vista. C’erano veramente delle questioni in cui una frazione degli oppressori nelle sue lotte contro altre frazioni sosteneva gli interessi dei lavoratori, non perché fossero gli interessi dei lavoratori, ma perché erano i suoi propri. Con questa frazione i lavoratori potevano essere sinceramente alleati finché essa prendeva questa posizione. Kameh non era del parere che i lavoratori che appoggiarono i commercianti e i fabbricanti nella lotta contro i loro nemici avessero compiuto un errore per il fatto che, dopo averli aiutati a sconfiggere l’aristocrazia, furono subito perseguitati nel modo più crudele dai commercianti e fabbricanti stessi. In un certo senso avevano pur preso parte al successo dei loro nemici. Commercio e industria si svilupparono ormai più liberamente, e anche se questi erano i centri del loro sfruttamento, tuttavia divennero anche i centri della loro emancipazione. Ai tempi di Hu-ih la Lega insegnò ai lavoratori ad appoggiare la lotta dei timorati di Dio contro Hu-ih. Poteva sembrare che Hu-ih, combattendo il timor di Dio dei lavoratori, facesse gli interessi della Lega. Allora la Lega avrebbe dovuto appoggiarlo o almeno lasciarlo fare. Ma la Lega sapeva che il timor di Dio dei lavoratori deriva dalla miseria terrena, ci si era a lungo serviti di questo timore per far loro dimenticare i loro interessi terreni, ma essi stessi se ne erano serviti per dimenticare le loro sofferenze. Ora Hu-ih voleva far loro dimenticare i loro interessi in un altro modo e togliere loro il rimedio per sopportare le loro sofferenze, che non aveva tolto, anzi aveva aumentato. La Lega sapeva che la lotta per mantenere il rimedio per sopportare le sofferenze poteva facilmente trasformarsi in lotta per eliminare le sofferenze stesse. Allora i rimedi per sopportarlo sarebbero divenuti inutili. La Lega riconosceva l’unità dei lavoratori nella lotta contro le loro sofferenze, senza trascurare il contrasto tra lavoratori timorati e non timorati. C’era infatti anche un contrasto tra i timorati lavoratori e i timorati sfruttatori. Hu-ih fu costretto ad ammettere che c’era ormai un contrasto tra possesso e timor di Dio; egli proteggeva il possesso ma attaccava il timor di Dio. Per possedere bisognava infrangere tutti i comandamenti del timor di Dio, e per essere timorati bisognava infrangere tutti i comandamenti del possesso. La Lega contava sul fatto che, una volta emersa questa questione, i lavoratori tra i timorati avrebbero rinunciato al possesso, cioè a quel possesso che era inconciliabile col timor di Dio, che rendeva necessarie le guerre e la violenza contro i lavoratori. Ma rinunciare a questo possesso del singolo non significava rinunciare ad ogni possesso, bensì per i lavoratori significava giungere al possesso. Se in queste lotte il timor di Dio era loro d’impaccio, avrebbero dovuto rinunciarvi. La Lega non voleva dunque ingannare nessuno, ma si limitava a sostenere i mutevoli interessi dei lavoratori.

    Ka-meh sull’attuazione del Grande Ordine
    Ka-meh diceva ai lavoratori: Guardatevi dalle persone che vi predicano che voi dovete attuare il Grande Ordine. Quelli sono preti. Leggono una volta di più nelle stelle una certa cosa che dovreste fare voi. Adesso esistete per il grande disordine, poi dovete esistere per il Grande Ordine. In realtà per voi si tratta soltanto di mettere in ordine le vostre faccende: facendo questo create il Grande Ordine. Possano in questo servirvi da guida le brutte esperienze che avete fatto con il grande disordine, e inoltre alcune buone esperienze che i vostri pari hanno fatto in certe rivolte. Ma sarà bene che non vi arrediate nella testa un bell’appartamento pronto fino all’ultimo chiodo che si tratta poi di “attuare”. Riservatevi anzi la maggior libertà possibile. Nel pianificare si litiga più facilmente che nell’eseguire, e nell’eseguire vengono più idee che nel pianificare. Guardatevi bene dal diventare servitori di ideali; altrimenti sarete molto presto servitori di preti.

    [Una fedeltà comprensibile]
    L’oppressore Hu-ih non poteva accontentarsi che i suoi uomini gli dessero vibranti garanzie di fedeltà. La sua miglior salvaguardia erano i loro delitti. Partecipando alla oppressione essi si esponevano alle rappresaglie degli oppressi, e questa era per Hu-ih la migliore garanzia della loro fedeltà.

    Della trasformazione dei rapporti di produzione
    Me-ti diceva del Su: Dopo che i rapporti di produzione, cioè l’ordine con cui viene socialmente prodotto tutto quanto serve alla vita, quelle forze che tutto producono, si furono molto sviluppate, cosicché ormai si potevano produrre più beni, questo ordine fu notoriamente rovesciato dai lavoratori perché li lasciava in miseria e non sviluppava ulteriormente la totalità delle forze di produzione. Il nuovo ordine in cui tutto ciò che è necessario alla vita veniva ormai prodotto socialmente, iniziò ora a dare un ulteriore sviluppo alle forze produttive. Tuttavia non ci si deve rappresentare questo ordine come qualche cosa di decretato da un giorno all’altro, come un ordine pronto in tutte le sue parti e in tutte le sue parti diverso dal vecchio. Per molto tempo e in molti punti esso dipendeva dallo stato delle forze di produzione, uno stato che si modificava continuamente. Per esempio le differenze di salario furono per lungo tempo assai grandi, anzi per qualche tempo aumentarono perfino notevolmente. La società era costretta a pagar caro il lavoro specializzato, per cui bisognava studiare. Lo studio fu reso accessibile a tutti. Ma siccome era faticoso e richiedeva sforzi particolari, si dovette incoraggiarlo con incentivi materiali. Anche la famiglia di vecchio tipo, che implica molti legami iniqui, fu mantenuta per lungo tempo, anzi per qualche tempo fu perfino appoggiata con leggi di ogni sorta, poiché i salari non potevano essere aumentati ad arbitrio, di modo che occorrevano piccole unità che mettessero insieme i loro guadagni. Inoltre per lungo tempo ci furono differenze sociali di vario tipo, perfino di tipo nuovo, e le si coltivava o le si tollerava finché potevano aumentare le forze produttive della nazione. Molti osservatori, dinanzi a questi fenomeni, uscivano in alti lai. Avevano visto che nei vecchi paesi la polizia teneva in piedi la famiglia. Ora vedevano che la polizia non poteva abolirla. Senza conoscere il Grande Metodo non potevano raccapezzarcisi.

    Dell’arte pura
    Me-ti disse: Recentemente il poeta Kin-jeh mi chiese se coi tempi che corrono fosse lecito scrivere poesie su impressioni naturali. Gli risposi di sì. Quando lo incontrai di nuovo, gli chiesi se avesse scritto poesie su impressioni naturali. Mi rispose di no. Gli chiesi il perché. Disse: Mi posi il compito di trasformare il rumore delle gocce di pioggia che cadono in una sensazione piacevole per il lettore. Riflettendoci sopra e buttando giù un verso qua e là, capii che era necessario trasformare questo rumore di gocce di pioggia che cadono in una sensazione piacevole per tutti gli uomini, quindi anche per coloro che non hanno tetto e a cui le gocce cadono sul collo mentre tentano di dormire. Di fronte a questo compito mi scoraggiai.
    L’arte non conta solo sul giorno d’oggi, dissi facendo il tentatore. Dato che di queste gocce di pioggia ce ne saranno sempre, una poesia di questo genere potrebbe durare a lungo. Sì, disse lui tristemente, quando non ci saranno più uomini a cui cadranno sul collo, allora la si potrà scrivere.

    Me-ti sul principio della lotta pacifica
    Durante la grande guerra dei dieci Stati Me-ti richiamò l’attenzione sul modo in cui lo Stato di Su, che non combatteva, influenzava le operazioni militari di tutte le potenze in lotta quasi come se avesse compiuto esso stesso delle operazioni militari. Esso costrinse lo Stato di Li a operazioni scomode, costose e disgraziate contro lo Stato nemico di Ta prendendo certi paesi sotto la sua protezione e impedendo di attraversarli. Il potente Stato di Ma poté impegnare contro il Ta solo la metà dei suoi carri da guerra per timore di un intervento del Su. Per parte sua il Ta dovette rinunciare all’aiuto dello Stato di Tur, perché il Su teneva fuori dalla guerra anche questo Stato. Lo Stato di Ni poté condurre la sua guerra contro lo Stato di Chi, per timore del Su, solo con una parte delle sue forze militari, e in questa guerra andò lentamente dissanguandosi.

    Il vecchio nuovo
    Disse a Me-ti un suo scolaro: Quel che insegni non è nuovo. Le stesse cose hanno insegnato Ka-meh e Mi-en-leh e innumerevoli maestri oltre a loro. Me-ti rispose: Insegno queste cose perché sono vecchie, cioè potrebbero essere dimenticate e considerate valide solo per tempi trascorsi. Non ci sono forse innumerevoli persone per cui sono del tutto nuove?

    Dovete costruire la vostra vita
    Non dovete costruire soltanto città, macchine e ponti, ma anche la vostra vita, disse Me-ti. Le città sono sorte disordinatamente, una casa si affiancava all’altra, una strada sboccava nell’altra, ma poi ci furono presto gli urbanisti. Certo ci sono anche città orrende, costruite secondo piani che erano appunto orrendi. (Se delle città costruite secondo piani sono orrende, non lo sono perché son costruite secondo piani, ma perché sono costruite secondo piani orrendi).

    Rapporti degli stati tra loro
    È pernicioso consentire agli Stati o aspettarci da essi, per quanto riguarda i loro rapporti, più di quel che si può consentire agli individui o ci si può aspettare da essi nei loro rapporti. Stabilendo leggi o illegalità particolari, che valgono solo per loro, li si trasforma in alcunché di inumano, che sta al di sopra degli uomini. Non c’è nulla che debba stare al di sopra degli uomini. I governi dicono spesso di agire non per sé, ma per il popolo, e così presentano i loro delitti e i loro attentati al diritto come atti disinteressati, quindi giustificati. Ma i delitti non diventano buone azioni per il fatto che sono compiuti a favore di altri. Uno Stato che perisce se non rapina e assassina, deve perire.

    Anche il singolo ha la sua storia
    Si sa con quale profitto le nazioni scrivano la propria storia. Lo stesso profitto lo trae anche l’individuo singolo che scriva la propria storia. Me-ti diceva: Che ognuno divenga il suo proprio storiografo, allora vivrà con maggior cura e maggiori esigenze.

    Mi-en-leh sorpreso a fare ragionamenti sbagliati
    Quando Mi-en-leh, dopo il grande rivolgimento, diede la terra ai contadini poveri, ci fu un gran scuoter di teste tra i teorici del Grande Ordine nei paesi fuori del Su. Tutti convenivano che bisognava dare la terra ai contadini, ma Mi-en-leh non aveva avuto l’intenzione di dare la terra ai contadini. La mèta da raggiungere era un’economia agricola in grande, la coltivazione in comune della terra da parte di tutti, non la moltiplicazione dei piccoli proprietari. Mi-en-leh, rinunciando in un primo tempo all’organizzazione dell’economia agricola in grande, non fece che cedere ai desideri delle grandi masse contadine per guadagnarsele. Molti allora parlarono di un inganno e lo accusarono di aver dato la terra per riportarla via alla prima occasione. Lo si rimproverò anche di aver rubato il programma a un’altra Lega, che aveva sempre richiesto la terra per i contadini, onde soppiantare quella lega. In realtà però egli non fece altro che compiere il prossimo passo possibile. Ma è interessante che, motivando nella sua propria Lega la necessità di un cambiamento di programma, abbia fatto uso soltanto di argomenti politici. Sembra che anch’egli non si sia accorto che l’organizzazione dell’economia agricola in grande non sarebbe stata possibile in quella prima fase già per ragioni puramente economiche, poiché essa implicava una rivoluzione non soltanto politica, anche industriale. Senza macchine la coltivazione della terra in comune non sarebbe stata un progresso rispetto a quella individuale, e le macchine non sarebbero state pronte ancora per parecchi anni. Così Mi-en-leh fece bene a rispettare i desideri dei contadini e trovò sufficienti argomenti a favore della sua tesi.

    Pensare e sapere
    Keh Lan trattò con uomini politici stranieri senza che la Lega lo sapesse e contro il consiglio che questa gli aveva dato. Me-ti disse: Keh Lan si appella al fatto che merita fiducia. Può essere che meriti fiducia. Noi non pensiamo che ci abbia tradito. Ma se lui pretende che diciamo di sapere che non ci ha tradito, pretende troppo. Tra pensare e sapere c’è una differenza che è pericoloso ignorare. Se vuole che noi sappiamo non deve chiederci la nostra fiducia. Dice che non dobbiamo attenerci all’esterno, che dobbiamo attenerci all’interno. Perché non vuol permetterci di attenerci all’esterno? L’esterno può ingannare, ma può anche essere dimostrato. L’interno non può essere dimostrato; deve essere semplicemente creduto. Vuol egli forse insegnarci a credere, quando potrebbe anche consentirci di sapere? Keh Lan può aver avuto le migliori intenzioni e avere sostenuto la nostra causa per quanto gli era possibile, ma egli ci vuole appiccicare una cattiva abitudine se ci induce a prendere il pensare per il sapere.

    È più facile dire il credibile che il vero
    Spesso si tenta di far credere ciò che non si può dimostrare. Ci si appella allora al proprio amore per la verità. Purtroppo non sempre il vero è il verisimile. Spesso ci vuole l’aiuto di qualche piccola bugia perché il vero diventi anche verisimile. Così si comincia a mentire nel momento in cui si può riscuotere fiducia solo appellandosi a una veridicità a tutta prova. Me-ti diceva: E più cauto da parte mia far sì che il mio amico possa credere a se stesso piuttosto che a me.

    Cattive abitudini
    Camminare in direzione di posti che non si possono raggiungere camminando è un’abitudine che bisogna perdere. Parlare di faccende che non si possono decidere parlando è un’abitudine che bisogna perdere. Pensare intorno a problemi che non si possono risolvere pensando è un’abitudine che bisogna perdere, diceva Me-ti.








  6. #36
    COSTRUIRE IL COMUNISMO!!
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    La gente è
    il più grande spettacolo
    del mondo!
    E non si paga
    neanche il biglietto!


    Charles Bukowski

  7. #37
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    La nostra marcia

    Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
    In alto, catena di teste superbe!
    Con la piena del secondo diluvio
    laveremo le città dei mondi.
    Il toro dei giorni è screziato.
    Lento è il carro degli anni.
    La corsa il nostro dio.
    Il cuore il nostro tamburo.
    Che c'è di più divino del nostro oro?
    Ci pungerà la vespa d'un proiettile?
    Nostra arma sono le nostre canzoni.
    Nostro oro sono le voci squillanti.
    Prato, distenditi verde,
    tappezza il fondo dei giorni.
    Arcobaleno, dà un arco
    ai veloci corsieri degli anni.
    Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
    Da soli intessiamo i nostri canti.
    E tu, Orsa maggiore, pretendi
    che vivi ci assumano in cielo!
    Canta! Bevi le gioie!
    Primavera ricolma le vene.
    Cuore, rulla come tamburo!
    Il nostro petto è rame di timballi.

    Vladimir Majakovskij

    ARDITI NON GENDARMI






  8. #38
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    OMNIA SUNT COMMUNIA


    2 agosto 1980

    Bologna, la stazione ti chiama!

    Bologna. La stazione ti chiama!
    Schizzano calcinacci
    Come fori di chiodi
    Lamiere roventi
    Ti straziano
    La sala d’attesa sonnolenta
    Esplode
    Ti squarciano il fianco
    Come una bella donna
    Ignara
    Il cuore a pezzi
    Nell’urlo immane della sirena
    Incubo stravolto
    E qua la famiglia
    Il soldato
    L’uomo che dormiva con la bocca aperta
    Il ragazza e la ragazza che si guardavano
    Il figlio pensava la madre
    Il bambino….
    E tutto divenne di colpo l’orologio crocifisso
    Che urlava il tempo della morte
    Come gocce di sangue
    Che schizzavano
    E spini raggelati

    Animai ahimai
    Dov’e’ la pace il rispetto l’amore
    Il bagaglio irresistibile delle cose comuni
    Il fazzoletto stirato con cura
    La lettera letta mille volte
    Il biglietto che non parti’ mai
    La fotografia?

    Da uno a ottanta
    E ognuno era intero
    Centro di vita
    Mondo
    Persona nel cuore del mondo

    La belva passo’ con alito nero
    sinistra
    sul tuo sangue versato
    cosi’ inutilmente

    Ahimai ahimai
    Bologna, la stazione ti chiama !

    Si levano negli angoli
    Volti pallidi e tristi
    Occhi muti ti guardano
    ti guardano
    ti guardano….



    ARDITI NON GENDARMI

  9. #39
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Pier Paolo Pasolini Le ceneri di Gramsci
    I
    Non è di maggio questa impura ariache il buio giardino stranierofa ancora più buio, o l'abbaglia con cieche schiarite... questo cielodi bave sopra gli attici gialliniche in semicerchi immensi fanno velo alle curve del Tevere, ai turchinimonti del Lazio... Spande una mortalepace, disamorata come i nostri destini, tra le vecchie muraglie l'autunnalemaggio. In esso c'è il grigiore del mondo,la fine del decennio in cui ci appare tra le macerie finito il profondoe ingenuo sforzo di rifare la vita;il silenzio, fradicio e infecondo... Tu giovane, in quel maggio in cui l'erroreera ancora vita, in quel maggio italianoche alla vita aggiungeva almeno ardore, quanto meno sventato e impuramente sanodei nostri padri - non padre, ma umilefratello - già con la tua magra mano delineavi l'ideale che illumina (ma non per noi: tu morto, e noimorti ugualmente, con te, nell'umido giardino) questo silenzio. Non puoi,lo vedi?, che riposare in questo sitoestraneo, ancora confinato. Noia patrizia ti è intorno. E, sbiadito,solo ti giunge qualche colpo d'incudinedalle officine di Testaccio, sopito nel vespro: tra misere tettoie, nudimucchi di latta, ferrivecchi, dovecantando vizioso un garzone già chiude la sua giornata, mentre intorno spiove.
    II
    Tra i due mondi, la tregua, in cui non siamo.Scelte, dedizioni... altro suono non hannoormai che questo del giardino gramo e nobile, in cui caparbio l'ingannoche attutiva la vita resta nella morte.Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno che mostrare la superstite sortedi gente laica le laiche iscrizioniin queste grigie pietre, corte e imponenti. Ancora di passionisfrenate senza scandalo son arsele ossa dei miliardari di nazioni più grandi; ronzano, quasi mai scomparse,le ironie dei principi, dei pederasti,i cui corpi sono nell'urne sparse inceneriti e non ancora casti.Qui il silenzio della morte è fededi un civile silenzio di uomini rimasti uomini, di un tedio che nel tediodel Parco, discreto muta: e la cittàche, indifferente, lo confina in mezzo a tuguri e a chiese, empia nella pietà,vi perde il suo splendore. La sua terragrassa di ortiche e di legumi dà questi magri cipressi, questa neraumidità che chiazza i muri intornoa smotti ghirigori di bosso, che la sera rasserenando spegne in disadornisentori d'alga... quest'erbetta stentae inodora, dove violetta si sprofonda l'atmosfera, con un brivido di menta,o fieno marcio, e quieta vi preludecon diurna malinconia, la spenta trepidazione della notte. Rudedi clima, dolcissimo di storia, ètra questi muri il suolo in cui trasuda altro suolo; questo umido chericorda altro umido; e risuonano- familiari da latitudini e orizzonti dove inglesi selve coronanolaghi spersi nel cielo, tra praterieverdi come fosforici biliardi o come smeraldi: "And O ye Fountains..." - le pieinvocazioni...
    III
    Uno straccetto rosso, come quelloarrotolato al collo ai partigianie, presso l'urna, sul terreno cereo, diversamente rossi, due gerani.Lì tu stai, bandito e con dura eleganzanon cattolica, elencato tra estranei morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranzae vecchia sfiducia, ti accosto, capitatoper caso in questa magra serra, innanzi alla tua tomba, al tuo spirito restatoquaggiù tra questi liberi. (O è qualcosadi diverso, forse, di più estasiato e anche di più umile, ebbra simbiosid'adolescente di sesso con morte...)E, da questo paese in cui non ebbe posa la tua tensione, sento quale torto- qui nella quiete delle tombe - e insiemequale ragione - nell'inquieta sorte nostra - tu avessi stilando le supremepagine nei giorni del tuo assassinio.Ecco qui ad attestare il seme non ancora disperso dell'antico dominio,questi morti attaccati a un possessoche affonda nei secoli il suo abominio e la sua grandezza: e insieme, ossesso,quel vibrare d'incudini, in sordina,soffocato e accorante - dal dimesso rione - ad attestarne la fine.Ed ecco qui me stesso... povero, vestitodei panni che i poveri adocchiano in vetrine dal rozzo splendore, e che ha smarritola sporcizia delle più sperdute strade,delle panche dei tram, da cui stranito è il mio giorno: mentre sempre più radeho di queste vacanze, nel tormentodel mantenermi in vita; e se mi accade di amare il mondo non è che per violentoe ingenuo amore sensualecosì come, confuso adolescente, un tempo l'odiai, se in esso mi feriva il maleborghese di me borghese: e ora, scisso- con te - il mondo, oggetto non appare di rancore e quasi di misticodisprezzo, la parte che ne ha il potere?Eppure senza il tuo rigore, sussisto perché non scelgo. Vivo nel non voleredel tramontato dopoguerra: amandoil mondo che odio - nella sua miseria sprezzante e perso - per un oscuro scandalodella coscienza...
    IV
    Lo scandalo del contraddirmi, dell'esserecon te e contro te; con te nel core,in luce, contro te nelle buie viscere; del mio paterno stato traditore- nel pensiero, in un'ombra di azione -mi so ad esso attaccato nel calore degli istinti, dell'estetica passione;attratto da una vita proletariaa te anteriore, è per me religione la sua allegria, non la millenariasua lotta: la sua natura, non la suacoscienza: è la forza originaria dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,a darle l'ebbrezza della nostalgia,una luce poetica: ed altro più io non so dirne, che non siagiusto ma non sincero, astrattoamore, non accorante simpatia... Come i poveri povero, mi attaccocome loro a umilianti speranze,come loro per vivere mi batto ogni giorno. Ma nella desolantemia condizione di diseredato,io possiedo: ed è il più esaltante dei possessi borghesi, lo statopiù assoluto. Ma come io possiedo la storia,essa mi possiede; ne sono illuminato: ma a che serve la luce?
    V
    Non dico l'individuo, il fenomenodell'ardore sensuale e sentimentale...altri vizi esso ha, altro è il nome e la fatalità del suo peccare...Ma in esso impastati quali comuni,prenatali vizi, e quale oggettivo peccato! Non sono immunigli interni e esterni atti, che lo fannoincarnato alla vita, da nessuna delle religioni che nella vita stanno,ipoteca di morte, istituitea ingannare la luce, a dar luce all'inganno.Destinate a esser seppellitele sue spoglie al Verano, è cattolicala sua lotta con esse: gesuitiche le manie con cui dispone il cuore;e ancor più dentro: ha bibliche astuziela sua coscienza... e ironico ardore liberale... e rozza luce, tra i disgustidi dandy provinciale, di provincialesalute... Fino alle infime minuzie in cui sfumano, nel fondo animale,Autorità e Anarchia... Ben protettodall'impura virtù e dall'ebbro peccare, difendendo una ingenuità di ossesso,e con quale coscienza!, vive l'io: io,vivo, eludendo la vita, con nel petto il senso di una vita che sia oblioaccorante, violento... Ah comecapisco, muto nel fradicio brusio del vento, qui dov'è muta Roma,tra i cipressi stancamente sconvolti,presso te, l'anima il cui graffito suona Shelley... Come capisco il vorticedei sentimenti, il capriccio (greconel cuore del patrizio, nordico villeggiante) che lo inghiottì nel ciecoceleste del Tirreno; la carnalegioia dell'avventura, estetica e puerile: mentre prostrata l'Italiacome dentro il ventre di un'enormecicala, spalanca bianchi litorali, sparsi nel Lazio di velate tormedi pini, barocchi, di giallognoleradure di ruchetta, dove dorme col membro gonfio tra gli stracci un sognogoethiano, il giovincello ciociaro...Nella Maremma, scuri, di stupende fogne d'erbasaetta in cui si stampa chiaroil nocciolo, pei viottoli che il butterodella sua gioventù ricolma ignaro. Ciecamente fragranti nelle asciuttecurve della Versilia, che sul mareaggrovigliato, cieco, i tersi stucchi, le tarsie lievi della sua pasqualecampagna interamente umana,espone, incupita sul Cinquale, dipanata sotto le torride Apuane,i blu vitrei sul rosa... Di scogli,frane, sconvolti, come per un panico di fragranza, nella Riviera, molle,erta, dove il sole lotta con la brezzaa dar suprema soavità agli olii del mare... E intorno ronza di lietezzalo sterminato strumento a percussionedel sesso e della luce: così avvezza ne è l'Italia che non ne trema, comemorta nella sua vita: gridano caldida centinaia di porti il nome del compagno i giovinetti madidinel bruno della faccia, tra la genterivierasca, presso orti di cardi, in luride spiaggette... Mi chiederai tu, morto disadorno,d'abbandonare questa disperatapassione di essere nel mondo?
    VI Me ne vado, ti lascio nella serache, benché triste, così dolce scendeper noi viventi, con la luce cerea che al quartiere in penombra si rapprende.E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,intorno, e, più lontano, lo riaccende di una vita smaniosa che del rocorotolio dei tram, dei gridi umani,dialettali, fa un concerto fioco e assoluto. E senti come in quei lontaniesseri che, in vita, gridano, ridono,in quei loro veicoli, in quei grami caseggiati dove si consuma l'infidoed espansivo dono dell'esistenza -quella vita non è che un brivido; corporea, collettiva presenza;senti il mancare di ogni religionevera; non vita, ma sopravvivenza - forse più lieta della vita - comed'un popolo di animali, nel cui arcanoorgasmo non ci sia altra passione che per l'operare quotidiano:umile fervore cui dà un senso di festal'umile corruzione. Quanto più è vano - in questo vuoto della storia, in questaronzante pausa in cui la vita tace -ogni ideale, meglio è manifesta la stupenda, adusta sensualitàquasi alessandrina, che tutto miniae impuramente accende, quando qua nel mondo, qualcosa crolla, e si trascinail mondo, nella penombra, rientrandoin vuote piazze, in scorate officine... Già si accendono i lumi, costellandoVia Zabaglia, Via Franklin, l'interoTestaccio, disadorno tra il suo grande lurido monte, i lungoteveri, il nerofondale, oltre il fiume, che Monteverdeammassa o sfuma invisibile sul cielo. Diademi di lumi che si perdono,smaglianti, e freddi di tristezzaquasi marina... Manca poco alla cena; brillano i rari autobus del quartiere,con grappoli d'operai agli sportelli,e gruppi di militari vanno, senza fretta, verso il monte che cela in mezzo a sterrifradici e mucchi secchi d'immondizianell'ombra, rintanate zoccolette che aspettano irose sopra la sporciziaafrodisiaca: e, non lontano, tra casetteabusive ai margini del monte, o in mezzo a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzileggeri come stracci giocano alla brezzanon più fredda, primaverile; ardenti di sventatezza giovanile la romanescaloro sera di maggio scuri adolescentifischiano pei marciapiedi, nella festa vespertina; e scrosciano le saracineschedei garages di schianto, gioiosamente,se il buio ha resa serena la sera, e in mezzo ai platani di Piazza Testaccioil vento che cade in tremiti di bufera,è ben dolce, benché radendo i capellacci e i tufi del Macello, vi si imbevadi sangue marcio, e per ogni doveagiti rifiuti e odore di miseria. È un brusio la vita, e questi persiin essa, la perdono serenamente,se il cuore ne hanno pieno: a godersi eccoli, miseri, la sera: e potentein essi, inermi, per essi, il mitorinasce... Ma io, con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita,potrò mai più con pura passione operare,se so che la nostra storia è finita? 1954
    Gramsci è sepolto in una piccola tomba del Cimitero degli Inglesi, tra Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si leggono solo le parole: "Cinera Gramsci" con le date.ARDITI NON GENDARMI

  10. #40
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    Biblioteca Multimediale Marxista
    La violenza

    (recitato)
    È cominciata di nuovo la caccia alle streghe
    il governo, i padroni, la stampa , la televisione
    in ogni scontento si vede uno sporco cinese
    uniamoci tutti a difendere le istituzioni…….
    Ma oggi ho visto nel corteo
    tante facce sorridenti
    i compagni quindicenni
    gli operai con gli studenti
    Il potere agli operai
    no alla scuola dei padroni
    sempre uniti vinceremo
    viva la rivoluzione
    Quando poi le camionette
    hanno fatto i caroselli
    i compagni hanno impugnato
    i bastoni dei cartelli
    Ed ho visto le autoblindo
    rivoltate e poi bruciate
    tanti e tanti baschi neri
    con le teste fracassate
    La violenza , la violenza
    la violenza, la rivolta
    chi ha esitato questa volta
    lotterà con noi domali
    Ma oggi ho visto nel corteo
    …………..

 

 
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