SiciliaInformazioni | Il divorzio Fini- Berlusconi? C?è già stato in Sicilia I finiani hanno un gruppo autonomo e non è successo niente

Il divorzio Fini- Berlusconi? C’è già stato in Sicilia
I finiani hanno un gruppo autonomo e non è successo niente

ieri, 17 aprile 2010 18:15


La scissione siciliana l’hanno rimossa tutti quanti, a Palermo, Roma e altrove, però è stata un’anteprima della ribellione finiana, seppure in coabitazione con un pezzo, assai nutrito, degli ex di Forza Italia. “Se farà il suo gruppo, sarà scissione”, minaccia Silvio Berluscxoni, rispondendo a Gianfranco Fini. Pugno di ferro e niente guanto di velluto, tutt’altro. O con me o contro di me, insomma. Nessuna concessione, anzi, una resa senza condizione. Fiction, degna di Canale 5? Può darsi ma la politica vive anche di guantoni che s’incrociano e inviano messaggi, stimolano le coscienze, impacchettano le idee, provocano fronde, destabilizzano, cambiano umori e opinioni, pretendono scelte di campo e così via.


Teatro, puro teatro. La realtà è fatta ormai di una fila interminabile di eventi virtuali che, messi in fila, finiscono per produrne una robusta e, talvolta, irriducibile.
L’anteprima siciliana è, invece, cruda realtà. Nell’Isola il centrodestra si è spappolato, il Pdl si è spaccato a metà come una mela. Nell’aula di Palazzo dei Normanni, dove si svolgono le piece del teatro siciliano, i banchi dielPdl Sicilia sono divisi da quelli del Pdl. Gli uni votano per il governo guidato da Raffaele Lombardo, gli altri l’avversano con estrema durezza e fanno di tutto perché chiuda bottega.


Orbene il Pdl Sicilia è nato grazie al combinato disposto da azzurri frustrati e scontenti e finiani ribelli e incazzatissimi. Per come vanno le cose in Sicilia? Sì, è vero, ma anche per come vanno le cose nella Penisola, dove – come lamenta a muso duro Gianfranco Miccichè, la Lega la fa da padrona e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti fa e disfa quello che vuole grazie anche ai cacicchi siciliani che gli tengono il sacco e devastano il partito a causa del nulla di cui sono capaci.


Insomma ciò che sostiene Gianfranco Fini a Roma più o meno, è stato sostenuto da azzurri e finiani in Sicilia ed ha portato allo scisma del quale nessuno sembra ricordare alcunchè, nonostante l’anomalia, grande quanto una casa, che il capo degli scissionisti azzurri, Gianfranco Miccichè, fa ancora parte del governo Berlusconi.
E allora perché mai il gruppo autonomo nel Parlamento di Roma dovrebbe essere causa di scissione se in Sicilia il gruppo autonomo non ha provocato alcuna reazione, anzi ha lasciato il capo dei ribelli dentro il governo nazionale?


Bella domanda, direte, e magari risponderete suggerendo una piccola diversità fra Roma e Palermo. Una cosa è la Capitale, un’altra la periferia dell’impero. Chi se ne frega, insomma, della Sicilia? Non ha spazio nemmeno nella stampa. Solo folklore, più o meno. E allora, facessero quello che vogliono. Ignazio La Russa, per esempio, l’ha ripetuto tante volte, lui che pure è siciliano purosangue e milanese d’adozione, che con i suoi compatrioti è meglio non averci a che fare perché non si capisce mai nulla di quello che fanno.


Potrebbe darsi che abbiamo ragione a trattare la questione siciliana come il pretore romano che delle cose minime non si cura, ma resta il fatto che è un’anteprima e che è stata un segnale importante del malessere che serpeggia all’interno del Pdl. Malesere che trova spazi impensabili, sponde numerose e che si fa strada con il passare del tempo, nonostante la tenuta elettorale e le sicurezze variamente recitate dal Premier in ogni circostanza utile.
Perché mai non è stata affrontata dal "Lider maximo" la questione siciliana? C’erano i finiani in prima fila: non solo i deputati regionali, ma i parlamentari nazionali che a Roma hanno voce in capitolo, come Fabio Granata e Carmelo Briguglio, che si fanno sentire un giorno sì ed uno no, ed esprimono punti di vista assai diversi da quelli di Silvio Berlusconi. Che abbiano licenza di farlo, è indubbio, ma che non producano alcun effetto – come sembra credere lo stato maggiore berlusconiano- invece suscita seri dubbi.


Non avere affrontato a suo tempo la questione siciliana, potrebbe essere stato un errore, attribuibile peraltro allo stesso Premier che sul suo “figlioccio” siciliano, Gianfranco Micciché, manifesta sentimenti controversi. Non lo condivide ma non esprime pubbliche riprovazioni. E lui, il figlioccio, loda e imbroda il suo padrino politico mentre fa esattamente il contrario di quello che il padrino vorrebbe.


Valli a capire questi personaggi. Avanspettacolo invece che anteprima? Fate voi, la verità è che questo modo di stare al mondo di sicuro non l’hanno inventato gli ulitmi arrivati, anche se calcano la scena con una maestria che non ha pari. Siamo forse passati dal teatro serio a quello dell’assurdo, beckettiano, o alla “cantatrice calva”, questo sì. Se è così non ha diritto di cittadinanza né in Sicilia, dove prevale l’arrovellamento non l’assurdo, né a Roma, dove prevale la commedia all’italiana.


Bene, lasciamo perdere l’anteprima e occupiamoci della “prima”, cioè del divorzio Fini-Berlusconi del quale si paventa e si auspica a seconda dei casi.
In queste ore lavorano alacremente falchi e colombe. Vittorio Feltri, per esempio, fa di tutto perché Gianfranco Fini se ne vada prima possibile: non gli dà tregua. Il Giornale di Berlusconi, che dirige, infatti ha ricominciato a dedicare numeri monografici al presidente della Camera. Venerdì ha scritto in tutte le salse che sarebbe meglio che se ne andasse, finalmente, perché ha proprio rotto. E sabato – mentre Gianni Letta, pontiere in servizio permanente effettivo – cerca di avvicinare i due cofondatori con l’aiuto (esterno) di Confalonieri e qualche altro "willing" sbucato da chissà dove.


Italo Bocchino e il ministro Ronchi, finiani di ferro, alternano buoni propositi con avvertimenti, seppure blandi, sul Giornale di sabato si legge, a proposito di Fini, in prima pagina, del “ruggito del coniglio”. Alesssandro Sallusti ha scoperto, semprie in prima pagina, “il bluff di Fini”, che dietro la sua incazzatura ci sono fatti personali. Il vero motivo della frattura? “Gianfranco vuole più poltrone”, ma farà marcia indietro prevede il Giornale perché “il generale Fini conta le sue truppe e scopre che si deve arrendere”. Naturalmente ci sono le accuse di tradimento, trasferite dal web sul Giornale, e una insistita ipotesi di ritorno al voto, che dovrebbe orretire i ribelli e riportarli nel recinto del capo.




E’ una strategia antica. Più che una strategia, ricorda i vigilantes del gregge. Quando un “capo”, nel senso di pecora, si allontana, i mastini lo rincorrono e lo riportano “dentro” con le buone o le cattive. Rozza per quanto si vuole, la manovra è collaudata e funziona.


Come finirà?


Le correnti di pensiero sono tante e risentono dei veleni che la crisi sparge un poco ovunque, perfino nel Partito Democratico, dove hanno trovato modo di accapiggliarsi sul possibile ruolo del divorziato, Fini. Una diatriba furibonda, a quanto pare, fra D’Alema e Franceschini, il quale ha puntato i pedi su Fini nemico e nient’altro mentre Massimo, discepolo di maestri del pragmatismo, ne avrebbe voluto fare un possibile interlocutore in funzione anti-Cav. Con i guai che hanno, trovano il modo di cercarseli altrove. Ma questa è un’altra storia.


Previsioni, dunque. A nostro avviso può accadere qualunque cosa. Fini ne ha dette tante in questi mesi, si è messo di traverso, ma quando l’ha fatto, ha illustrato punti di vista, opinioni, progetto. Insomma, ha fatto politica. Non è piaciuta al Cav, perché non riproduceva quella del Cav, e questo è un fatto. Ma siamo convinti che al di là del cento problemi posti sul tappeto dal presidente della Camera – dalle riforme alla cittadinanza agli emigrati, dai temi etici alla forma partito ed alla democrazia interna, tutti sanabili – ce ne sia uno, difficile da mandare giù, ed è stato riferito in un memorabile fuori onda di Fini che, ha fatto sapere più di mille prediche, sfoghi e dispute. “Confonde la leadership con la monarchia assoluta”. Chi? Non chiedetecelo, lo sapete già.