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Discussione: Unione Sovietica

  1. #1
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    Predefinito Unione Sovietica

    UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE





    Ultima modifica di Stalinator; 10-03-11 alle 11:27

  2. #2
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    Predefinito Rif: Unione Sovietica: la più grande esperienza marxista-leninista

    Riporto qui la mia "bibliografia" sull'Unione Sovietica:

    Per una lettura eurasiatista del "sovietismo"
    - Shelach et ami. Documenti dell'antisemitismo nell'URSS - edizioni della voce.1971
    - Stalin, Trockij e l’alta finanza, Edizioni di Ar
    Mikhail Agursky, Terza Roma, il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica, Il Mulino, 1989
    Marino Ambri, La dottrina Breznev, 1971, Pan editore
    Nikolaj Berdjaev, Fonti e il significato del comunismo russo, La casa di Matriona
    David Brandenberger, National Bolshevism: Stalinist Mass Culture and the Formation of Modern Russian National Identity, 1931-1956
    Otto Boss, La dottrina eurasiatica, ed.Barbarossa
    Luciano Canfora, Stalin, storia e critica di una leggenda nera, ed.Carocci
    Carlo Cittadini, Rimpiangere l'URSS? Il fallimento del capitalismo in Russia, ed. Città del Sole
    Fabio Cutaia, Carlo Terracciano, Sangue e Acciaio, ed Noctua
    Aldo Ferrari, La foresta e la steppa, Scheiwiller
    Adriano Guerra, URSS: perché è crollata?, Riuniti
    Gedon Haganov, Il comunismo contro gli ebrei, ed.Opere Nuove, 1952
    Ickov-Babak, Tra Stalin e Hitler. Battaglie, crisi e trionfi del Maresciallo Zukov, ed Ponte delle Grazie
    Lucien Laurat, Stalin, la linguistica e l’imperialismo russo, Graphos
    Alessandro Lattanzio, Atomo Rosso, Fuoco Edizioni
    Carlo Lozzi, Mussolini Stalin. I rapporti tra i due dittatori, ed.Domis
    Kulesov-Strada, Il Fascismo russo, Marsilio, 1988
    Perrie Maureen, The Cult of Ivan the Terrible in Stalin's Russia
    Fernando Mezzetti, Fascio e Martello. Quando Stalin voleva allearsi con il Duce, Greco e Greco
    Luc Michel, La vittoria di Stalin, gruppo Nazionalcomunista G.Stalin
    Leonid Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Teti
    Renato Pallavidini, Dalla crisi alla diaspora. Il giovane Mussolini e Lenin: volontarismo e rivoluzione socialista nel materialismo, edizioni SeBarbarossa
    Arturo Peregalli, Il patto Hitler-Stalin, Massari
    Gian Piero Pienotti, Gli occhi di Stalin, Raffaello Cortina
    Leon Poliakov, Dall’antisionismo all’antisemitismo, La nuova Italia
    Costanzo Preve, La fine dell’URSS. Dalla transizione mancata alla dissoluzione reale, CRT
    Luis Rapoport, La guerra di Stalin contro gli ebrei, Rizzoli
    Konstantin Rozdaevskji, Lettera a Stalin, gruppo Nazionalcomunista G.Stalin
    Ilizarov Boris Semenovic, Vita privata di Stalin, Borolli editore
    Michail Skarovskij, La croce e il potere. La Chiesa russa sotto Stalin e Chruscev, La casa di Matriona
    Josip Stalin, Il marxismo e la questione nazionale, edizioni Comunitarismo
    Alexander Yanov, La nuova destra russa, Sansoni editore
    Gennadij Zjuganov, Stato e potenza, all’insegna del Veltro


    da Eurasia.Rivista di studi geopolitici:
    2/2005 Budapest, Praga, Bucarest (Claudio Mutti)
    Stalin tra comunismo e geopolitica (Costanzo Preve)
    1/2007 Da Augusto a Stalin. I momenti salienti del processo d’integrazione europeo (Claudio Mutti)
    La questione nazionale nell’Unione Sovietica (Andrea Forti)
    Dall’URSS alla Russia di Evgenij M. Primakov (Daniele Scalea)
    2/2007 La “primavera di Praga” e le mosche cocchiere italiane (Giovanni Armillotta)
    2/2008 Stalinismo e rivoluzione (Giovanni Armillotta)

    da Rivista "Ventunesimo secolo. Rivista di studi sulle transizioni"
    Anno II - Numero 3 - Marzo 2003- Stalin cinquant'anni dopo

  3. #3
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    Predefinito Rif: Unione Sovietica: la più grande esperienza marxista-leninista

    Se puoi postare qualche estratto o saggio da questi testi che hai elencato sarebbe meglio... intanto lasciamo l'elenco... poi i testi migliori li metteremo uno per uno con una recensione nel thread delle segnalazioni bibliografiche..

  4. #4
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    Ultima modifica di Stalinator; 24-04-10 alle 00:32

  5. #5
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    Russia, sondaggio: 60% rimpiange la vecchia Urss

    La Russia ha nostalgia del suo passato comunista e di quando si chiamava ancora Unione Sovietica. Ben il 60% dei russi si duole del crollo dell’Urss e il 57% pensa che avrebbe potuto essere evitato: è quanto emerge da un sondaggio del centro Levada.

    Il picco più alto della nostalgia per la vecchia Unione sovietica fu registrato nel dicembre 2000 (75%): da allora la percentuale cala, ma negli ultimi due anni tale flessione è stata minore.

    Gli strati sociali che più si rammaricano per la scomparsa dell’Urss sono i pensionati (85%), le donne (63%) e le persone di oltre 55 anni (83%). Solo il 28% ritiene che il collasso dell’Unione sovietica fosse inevitabile.

    Russia, sondaggio: 60% rimpiange la vecchia Urss
    Ultima modifica di Stalinator; 24-04-10 alle 00:37

  7. #7
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    PERCHE' I RUSSI RICORDANO ANCORA STALIN


  8. #8
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    Predefinito Rif: Unione Sovietica: la più grande esperienza marxista-leninista

    SOCIALISMO SOVIETICO CENTRALISTICO
    1917-1956


    Gli economisti sovietici degli anni 20’, dopo aver inseguito la completa demonetizzazione sull’onda dei successi del “comunismo di guerra”, si trovano alle prese con la necessità di sopravvivenza di uno Stato gravemente arretrato e isolato dal resto del mondo. Segue la NEP con le note contraddizioni, e la conseguente consapevolezza che la società socialista sarebbe rimasta dotata di un’economia di mercato, fino a quando non si fosse riusciti a superare la fase di transizione, ossia il passaggio dalla società capitalista a quella comunista.

    Si pone allora una questione; come affrontare questa fase senza abbandonare gli obiettivi rivoluzionari? Esistevano in merito alla soluzione del problema varie teorie, ma due sole erano le impostazioni concettuali dominanti:

    - La pianificazione attraverso il mercato

    - La pianificazione superando il mercato

    All’interno del gruppo dirigente sovietico si formano due componenti che rispecchiano tale dicotomia; la “destra” guidata da Bucharin, Rykov (pres. del Consiglio dei Commissari del Popolo) e Tomskij (capo dei sindacati), che preme per spingere in direzione dell’economia di mercato, e la “sinistra” guidata da Stalin, Kuibysev (responsabile del Politburo per l’industria) e Kaganovic, che invece valuta improponibile la via “liberista”.

    Il punto centrale della disputa consiste nel ruolo che si attribuisce alla “legge del valore” (più o meno equivalente a quella della domanda e dell’offerta) all’interno dell’economia socialista; Bucharin e i suoi seguaci valutano possibile l’azione dello stato attraverso il mercato, Preobrazenskij, invece nega che il potere regolatore dello Stato possa agire esclusivamente attraverso il mercato, additando la presenza di un conflitto fra due principi regolatori dell’economia: la “legge dell’accumulazione socialista” (indipendente dalle forze di mercato) e la “legge del valore”.

    Stante il dibattito teorico, nel 27’ la maggioranza continuava ad insistere sulla necessità di giungere al socialismo attraverso il mercato, sicché gli abbozzi del “Piano Quinquennale” rimangono formalmente nei limiti della struttura di mercato della NEP, ma sono già evidenti i limiti quest’approccio.

    L’industrializzazione sovietica non può essere finanziata con risorse interne, né con i prestiti e lo sfruttamento coloniale che avevano finanziato l’industrializzazione capitalistica dei paesi occidentali. Nelle condizioni dell’URSS, solo la classe operaia e i contadini possono essere le fonti principali dell’accumulazione di capitale per avviare l’industrializzazione, condizione indispensabile alla formazione di una potenza statale in grado di garantirsi l’indipendenza economica, in altre parole la sopravvivenza. Il pericolo di morte che grava sul paese sarà evidente già a partire dai primi anni 30’, quando diventerà prioritaria la difesa militare nei confronti del nazifascismo, che non farà alcun mistero delle proprie mire verso l’oriente europeo a spese del sovietismo.

    Nell’ottobre-dicembre del 27’, una crisi cerealicola fa sì che i contadini vendano agli enti d’ammasso ufficiali solo la metà dei cereali venduti nei mesi corrispondenti dell’anno prima. La quantità è insufficiente per nutrire la città e l’esercito; per evitare una disastrosa carestia le misure di requisizione sono rapidamente ripristinate. Per la NEP è l’inizio della fine.

    Nel corso del 1928 e del 29’ il ritmo dell’industrializzazione è incessantemente accelerato e, con l’aumento della spesa dello Stato, aumenta anche lo squilibrio tra offerta e domanda. Nell’estate del 1929 il mercato fra lo Stato e il contadino è ormai del tutto crollato.

    Le prospettive che prevedevano che i contadini dovessero giungere volontariamente al socialismo, e che la città dovesse offrire per i prodotti agricoli prezzi che i contadini fossero disposti ad accettare, scompaiono rovinosamente.

    Le minacce incombenti e le condizioni di generale arretratezza del paese inducono al superamento delle contraddizioni della NEP utilizzando il potere coercitivo dello Stato per spremere il capitale privato ed imporre, con la forza, il socialismo ai contadini. Ciò tradotto in termini politici significa intensificare la lotta di classe; nel 29’ prende il via la collettivizzazione agraria forzata e la conseguente eliminazione dei “kulaki” (i contadini benestanti) in quanto classe, mediante arresti e deportazioni.

    Questa è una pagina della storia dell’URSS fra le più controverse; la rozza collettivizzazione forzata era l’unica via percorribile? Si è trattato di una tragedia inevitabile?

    Si ricordi che la fine dell’ondata rivoluzionaria in Europa occidentale aveva spinto l’URSS ad adattarsi alla costruzione del “socialismo in un solo paese”, ma il contesto politico ed economico si prestava ben poco alla realizzazione di questo programma;

    - Il “Partito” era soprattutto Partito urbano. Alla vigilia della rivoluzione tra i suoi membri si contavano soltanto 494 contadini! E prima del 1917 esistevano solo quattro cellule rurali. Anche a metà degli anni 20’ il Partito rimaneva un’organizzazione prevalentemente urbana; all’inizio del 26’ solo il 16% degli iscritti e dei candidati all’iscrizione lavoravano come contadini, il che equivale ad un contadino su 150 unità domestiche.* Dunque il Partito rappresentava un lontano organismo urbano, e l’influenza del soviet del villaggio era inferiore a quella del “mir”, la tradizionale comunità di villaggio.

    - Verso la metà degli anni 20’ quella sovietica era ancora in grandissima misura un’economia contadina. La rivoluzione d’Ottobre aveva liberato i contadini dall’oppressione nobiliare e dai latifondisti, lasciandoli liberi di tornare al “mir”, la comunità autosufficiente e arcaica, quasi tribale. Logica, quindi la loro resistenza alla collaborazione con i proletariato urbano. L’URSS era un paese di contadini, ora riottosi, e con loro si procedeva alla rapida costruzione di uno Stato socialista industrializzato, “moderno”.

    Dunque il governo sovietico punta sul massimo controllo statale mediante il meccanismo di pianificazione centralizzata “superando il mercato”. Per questo scopo sono sviluppati gli enti di controllo centrale del governo zarista (trasporti, agricoltura e statistica), aggiungendo altri due dipartimenti nevralgici: quello per l’industria, il cosiddetto Consiglio supremo dell’economia nazionale (Vesencha), e quello per la Pianificazione (Gosplan).

    Numerosi resoconti sul funzionamento dell’amministrazione economica ne descrivono in modo convincente l’oculatezza e l’originalità, così come la confusione e le lentezze burocratiche. Aspetti presumibilmente coesistenti.

    Va rilevato che la pratica dell’economia sovietica ha gettato le basi dell’equilibrio delle relazioni intersettoriali della teoria dello sviluppo economico. Si era nel 24’ quando l’Ufficio Centrale di Statistica cominciò a compilare il bilancio dell’economia nazionale per il 1923/24. Anche le recenti applicazioni della teoria dell’analisi quantitativa, rese possibili dalla scoperta della programmazione lineare per opera del matematico sovietico L. V. Kantorovich, sono comparse per la prima volta sul finire degli ani 30’ nella ricerca della migliore utilizzazione delle materie prime nelle imprese socialiste.

    Il Piano Quinquennale si sbarazza dell’orientamento verso il mercato ed avvia un ciclo economico in cui l’anarchia pubblica della produzione cede il posto ad una regolamentazione pianificata della produzione, secondo le esigenze dello Stato Socialista. La direzione delle aziende si limita a produrre su ordinazione, per acquirenti già prescelti, ottenendo le materie prime da fornitori già selezionati, il tutto a prezzi fissati in sede centrale. Il controllo centrale delle risorse garantisce grandi successi iniziali, la virtuale eliminazione del meccanismo di mercato annuncia un rapido progresso verso il socialismo. L’euforia del momento genera grossolani errori di pianificazione, molte previsioni devono subire un notevole ridimensionamento; ad esempio la prima versione del 2° piano quinquennale per il periodo 1933/37 poneva come obiettivo produttivo del carbone la cifra fantasiosa di 250 milioni di tonnellate, ridotte a 150 milioni nel 34’.

    Nonostante i costi umani e gli errori, la rapida industrializzazione forzata decolla.

    Ecco gli indici comparati dello sviluppo industriale in URSS, USA ed Europa


    anni 1913 1933 1938

    URSS 100% 380,5% 908,8%

    USA 100% 108,3% 120,0%

    Inghilterra 100% 87,0% 119,3%

    Germania 100% 75,4% 131,6%

    Francia 100% 107,0% 95,2%



    In questa fase la propaganda occupa molto spazio della vita pubblica allo scopo di intensificare la produzione facendo leva sullo spirito dei lavoratori anziché sugli investimenti in nuove attrezzature o sugli incentivi salariali. Per incitare le masse ad impegnarsi in un gigantesco lavoro collettivo, viene lanciata una campagna all’insegna dell’emulazione socialista; il minatore Aleksej Stakhanov che stabilisce un record nella produzione di carbone superando di 14 volte la norma, diviene il modello per una nuova categoria di lavoratori, vale a dire una categoria di lavoratori coscienti di partecipare alla costruzione di uno Stato in cui sono protagonisti, non più salariati al servizio dell’arricchimento di pochi.. Gli “stacanovisti” hanno pubblico riconoscimento oltre a particolari privilegi, come quello di consumare i pasti in speciali locali delle loro unità produttive. Centinaia e centinaia di fabbriche gareggiano le une contro le altre per raggiungere determinati obiettivi produttivi, in ogni fabbrica, in ogni cantiere l’organizzazione del partito si assume la diretta responsabilità del superamento delle quote fissate dal piano. Un decreto del 31’ stabilisce che in tutte le fabbriche con 500 o più lavoratori il partito deve essere presente con un’organizzazione a tre livelli, comprendente un comitato preposto agli affari del partito nell’ambito della fabbrica, un certo numero di cellule di reparto ed infine le “cellule di collegamento” o “gruppi di partito” all’interno dei reparti.

    L’industrializzazione punta su alcuni settori e annette una speciale importanza ad un limitato numero di progetti industriali. Questi grandi “stroikj” (progetti di costruzione) non hanno soltanto un eccezionale rilievo dal punto di vista economico, ma sono esaltati ad uno ad uno come monumenti dell’industrializzazione e si trasformano in strumenti di propaganda. Il primo Piano Quinquennale comprende imprese d’eccezionali dimensioni: Dnieprostoj (un gran bacino idroelettrico sul fiume Dnieper), Belomorstroj (il canale per il collegamento dei fiumi del Mar Bianco e del Baltico), la fabbrica di trattori di Stalingrado e Magnitostroj, cioè un colossale centro siderurgico in una zona desertica a ridosso del versante orientale degli Urali, lontano dai potenziali nemici europei.

    Accanto ai successi dell’industrializzazione vanno però prendendo corpo caratteristiche dello Stato Socialista che avranno gravi conseguenze nel futuro.

    L’immane sforzo che si realizza, ottiene il coronamento grazie al controllo esercitato da un apparato burocratico di grandi dimensioni…

    L’inadeguata base economica, il basso profilo quantitativo della classe operaia, l’impreparazione delle masse a servirsi di strutture statali nella vita civile di ogni giorno, offrono alla rivoluzione una prospettiva difficilissima, quasi impraticabile.

    Ciononostante sotto la direzione di un piccolo ma combattivo partito comunista, viene portata a termine una radicale trasformazione dei rapporti di produzione, il cui funzionamento e legato al fatto che il partito (in quanto “avanguardia della classe operaia”), si fa carico dei compiti amministratrici ed educativi, che in condizioni di minore arretratezza sarebbero svolti dalla classe operaia, ispiratrice della maggioranza della popolazione. In queste condizioni è giocoforza che nasca un apparato burocratico di partito, non come deformazione, ma come forma determinata che l’organizzazione dei rapporti socialisti di produzione deve assumere, data l’immaturità economica e sociale del paese.

    Le vicende belliche del secondo conflitto mondiale daranno ragione alla priorità dell’industrializzazione forzata applicata alla pianificazione sovietica; soltanto le enormi potenzialità industriali costruite negli anni 30’, unite al sacrificio patriottico di milioni di sovietici, consentono di resistere ed infine schiacciare il nazifascismo.

    “La collettivizzazione dell’agricoltura, la gigantesca costruzione di nuove industrie, la generazione di un completo sistema educativo sono portati a termine con ritmi stupefacenti e sotto la dittatura dell’apparato di partito.

    Contropartita sono grandissimi sacrifici e repressione brutale d’ogni resistenza; ma si ottiene anche un sicuro miglioramento delle condizioni di vita delle masse e della loro sicurezza sociale. La resistenza della popolazione sovietica alla propaganda nazista (anche nei territori occupati), la disponibilità a difendere la patria, con essa, il sistema socialista, mostrano chiaramente che le masse popolari sentivano la società sovietica come un progresso storico.

    Anche la fase della costruzione, nel dopoguerra, è sostenuta da un analogo slancio e da larga adesione emotiva al sistema politico. Tutto lo sviluppo viene orientato ancora una volta sulla crescita della produttività sociale, e solo in subordine all’incremento adeguato del benessere individuale e sociale. In una situazione di grande arretratezza e di riduzione, per causa bellica, della capacità di sviluppare e soddisfare i bisogni materiali, l’interesse principale era quello per il miglioramento delle condizioni materiali di vita, ma questo dipende a sua volta dalla crescita della produzione industriale, che però (nonostante i successi ottenuti in certi dì settori) resta nell’insieme molto inferiore ai livelli dei paesi capitalistici industriali. Cosi per lunghi anni dopo la seconda guerra mondiale, la priorità economica è riconosciuta agli investimenti nella industria pesante, e il benessere individuale, perciò, si arresta molto al di sotto dei livelli di una moderna industrializzazione complessiva. Il “comunismo della costruzione del paese”, reso più duro dalla guerra e intessuto di sacrifici nel confronto con i paesi industrializzati dell’Occidente rimane la sorte anche della seconda generazione di cittadini sovietici”. (“Sconfitta e futuro del Socialismo” Hans Heinz Holz)

    Ancora indici comparativi dello sviluppo industriale in URSS e USA


    1943 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952

    URSS
    104 80 103 108 161 195 210 290

    USA
    2208 157 175 182 165 188 210 206

    *Nota

    “Razresenie agrarnogo voprosa v Rossii posle pobedy octjabr’skoj revolucii” 1961 pag 174 citato da R. W. Davies in “Le scelte economiche dell’URSS” 1980

    Abolizione rapporti di mercato

    Ripristino ottimizzato della direzione centralizzata di produzione e distribuzione

    Abolizione del commercio privato

    Collettivizzazione delle proprietà agricole

    Industrializzazione forzata



    SOCIALISMO SOVIETICO DECENTRATO
    1957-1990


    Negli anni 50’ le attese di beni di consumo da parte della popolazione sovietica aumentano notevolmente. L’arretratezza del sistema di soddisfazione dei bisogni a confronto con quello raggiunto in occidente è palese, e a poco vale la critica circa la parvenza di cui riluce il mondo delle merci, l’esperienza diretta di un’effettiva penuria rende allettante l’offerta di merci della società capitalista, percepita come realtà sociale.

    Sebbene inizialmente l’idea del gruppo dirigente sovietico sia di riequilibrare la priorità nell’allocazione delle risorse a favore dell’agricoltura e dell’industria leggera, il nuovo corso politico apre la strada a cambiamenti del meccanismo economico in direzione di una maggiore flessibilità, e di più forti incentivi legati alla produttività delle imprese.

    Il XX Congresso del PCUS del 56’, sancisce la volontà di modificare il sistema sovietico di soddisfazione dei bisogni; l’Occidente non offre soltanto cose superflue, ma anche mezzi per rendere più facile la vita, mezzi che in URSS fanno difetto, quindi la dirigenza sovietica si appresta a soddisfare le richieste di beni di consumo.

    Promesse avventate e obiettivi di pianificazione illusori, sotto la parola d’ordine irrealistica del “raggiungimento dell’occidente” previsto nell’arco di tempi brevissimi (cinque o dieci anni!), sono le contromisure alle richieste sopra accennate….

    L’orientamento dei bisogni su modelli occidentali procura la conversione dell’economia al riallineamento su posizioni mercantilistiche, mentre lo sviluppo del socialismo non può che andare di pari passo con un diverso sistema dei bisogni, col desiderio di dare nuovi contenuti alla vita, insomma con una nuova visione del mondo. Ripristinata la gerarchia dei valori “occidentali” la competizione dei sistemi sociali non significa più contrapposizione di due modelli di vita, ma concorrenza circa lo standard dei consumi. Oltre la necessità di impegnarsi nella corsa agli armamenti, per raggiungere l’ “equilibrio del terrore” che blocchi le minacce d’intervento, vi è ora anche il vincolo autoimposto di produrre, anche in URSS, quella immensa raccolta di merci in cui si presenta la ricchezza capitalistica.

    Il primo provvedimento pratico è preso nel 55’; viene promulgato un decreto sullo ampliamento dei poteri dei direttori d’impresa e altre misure in direzione di un rafforzamento del cosiddetto sistema “chozrascet” (autonomia finanziaria delle imprese) e degli incentivi. Nel 57 si compie il primo passo di un percorso mirato alla razionalizzazione degli strumenti produttivi in termini di mercato capitalistico; la riforma amministrativa dell’industria sostituisce la direzione accentrata per settori con la direzione decentrata su base territoriale, riforma, che in altre parole, elimina i ministeri specializzati e istituisce organi regionali di pianificazione, i “sovnarkhoz”.

    La linea fondamentale di questo processo di riorganizzazione è la tendenza ad un decentramento dell’organizzazione produttiva in cui sono lasciati maggiori margini d’iniziativa nella pianificazione e nella gestione, sia agli organi regionali, sia alle stesse unità di base.

    Nei primi anni 60’ è un fiorire di teorie, proposte operative e discussioni accademiche d’economisti sovietici fautori di un’economia in cui la leva degli incentivi materiali sia preponderante e l’autonomia finanziaria della azienda sia maggiore. L’economista Libermann, ad esempio, nel quadro di una pianificazione che unisce elementi di forte decentramento, propone un meccanismo d’incentivi aziendali basato sull’unico indice della redditività della azienda, proseguendo nel solco innovativo operato dalla riforma salariale del 56’, che si propone un maggior collegamento fra il salario ed i risultati produttivi e quindi un’articolazione più elastica degli incentivi individuali. Alla riforma del 57’ ne segue un’altra nel 62’; i 102 “sovnarkhoz” creati in precedenza sono raggruppati in 47 consigli regionali, mentre nel 61’ il territorio della URSS è diviso in 17 grandi regioni economiche con un consiglio di coordinamento e pianificazione in ognuna di esse.

    Le misure di decentramento amministrativo non mutano sostanzialmente l’economia sovietica, tuttavia ne modificano l’orientamento lasciandola in un logorante “via di mezzo”; dal dibattito teorico esce vincente la formula di una economia di transizione mista a pianificazione centralizzata, ma in cui coesistono elementi di “libero mercato”, che rimane per buona parte solo teorizzata. Rimangono delusi i quadri dirigenti allettati dalle sirene delle potenzialità retributive delle qualifiche, e demotivati i lavoratori in genere, sempre più sottoposti a criteri produttivi di profitto mercantile, insinuati da illusorie aspettative rivolte al capitalismo e disillusi da dirigenti sempre più assoggettati alla cultura borghese, incantati da quel modello che riduce la ricchezza al godimento consumistico.

    Rinunciando al perseguimento senza mezzi termini dello sviluppo prioritario delle forze produttive, la dirigenza sovietica genera stagnazione e programma implicitamente la sconfitta nella competizione dei sistemi; lasciare che tutto continui così sembra la soluzione meno pericolosa, ma proprio la conservazione dello status quo significa stabilizzare la pratica burocratica in cui si fa strada il meschino individualismo borghese..

    La politica economica di Gorbaciov è l’ultimo corollario di un modo di pensare tutto interno alla mitologia dell’offerta di merci, della parvenza dell’abbondanza che nel capitalismo un crescente “prodotto interno lordo” porta con sé.

    Nicolaj Smelev, a suo tempo economista “in prima linea” nella perestrojka gorbaciovana (che ha oggettivamente portato alla liquidazione del socialismo con tutto quello che n’è seguito, fino alla barbarie attuale), membro dell’Istituto per gli Studi su Stati Uniti e Canada dell’Accademia delle scienze dell’URSS, è l’autore di un saggio pubblicato in Italia nel 1987 intitolato: “Profitto, concorrenza mercato: se le parole ci fanno paura per noi non c’è scampo”. In esso era possibile leggere affermazioni di questo genere: “Tutto ciò che serve è coraggio, fermezza, coerenza per liberare le forze economiche interne. Che cosa vi si oppone? Prima di tutto vi è l’eccessiva cautela ideologica verso il pericolo di fare uscire dalla bottiglia lo spirito cattivo del capitalismo, è assolutamente chiaro che tale timore è infondato” (sic!) (..) Noi dobbiamo decidere una volta per tutte che cosa sia più importante per noi; avere prodotti nostri a sufficienza, oppure inchinarsi per l’eternità davanti ai sostenitori dell’eguaglianza di tutti nella povertà (..) E’ ormai chiaro a tutti che noi siamo debitori della rilassatezza, dell’ubriachezza, dei lavori mal fatti in gran parte a quest’innaturale piena occupazione..”

    Oggi Smelev è schierato contro le aberrazioni prodotte dal capitalismo che lui stesso ieri ha entusiasticamente contribuito a ripristinare, ma da filocapitalista quale egli è, considera quello impostosi nei paesi dell’ex socialismo come una sorta di “capitalismo selvaggio”, mentre si tratta puramente di “capitalismo reale”. Esiste un capitalismo “dal volto umano” se non a causa delle limitazioni a contraddizioni rispetto ala sua propria natura impostagli dalle masse lavoratrici attraverso durissime lotte di classe?

    Se la lotta con il mondo occidentale poteva essere vinta, di certo non era possibile sul terreno a lui congeniale della produzione dei beni di consumo, ma sul terreno di una scelta alternativa di valori, che mettesse in primo piano il pieno sviluppo delle facoltà e della cultura degli uomini.

    Riabilitazione/reintroduzione rapporti di mercato

    Decentramento amministrativo di produzione e distribuzione

    Ripristino incentivi materiali/gerarchia salariale



    Ultima modifica di Stalinator; 25-04-10 alle 20:16

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    Ultima modifica di Stalinator; 26-08-10 alle 22:14

  10. #10
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