L’UNIONE SARDA, 30, maggio 2008
TRA SARDEGNA E CAMPANIA
La sindrome del tamburino sardo
DI SALVATORE CUBEDDU
Potremmo chiamarla la "sindrome del tamburino sardo".
Napoli sta affogando nella spazzatura e il presidente della Regione sarda vuole essere il primo ad accoglierne una parte. Il nuovo Governo ha bisogno di ridurre gli organici e i nostri parlamentari del centrodestra, comprensivi, aspettano il prossimo turno. Il quattordicenne ragazzo sardo si fa tagliare la gamba per adempiere gli ordini del suo capitano a Custoza (il 24 luglio 1848).Alla fine, "… quel rozzo soldato che non aveva mai pronunciato una parola mite verso un suo inferiore, alza la mano alla fronte e dice: «Io non sono che un capitano. Tu sei un eroe»".
Per carità, non è che non ci fosse della logica nel discorso di chi, per la spazzatura della Campania, aveva osservato: «Siamo in Italia, proviamo a dare una mano!». Dall’altra parte, Berlusconi è cittadino onorario di Olbia, gli interessi sardi possono essere ben rappresentati dal presidente del Consiglio. Lo stesso ragionamento fu proposto per l’assenza di ministri sardi in un governo di Andreotti, che tra di noi vantava solo qualche rapporto di comparatico. Forse ci sentiamo in qualche modo gratificati nel servire l’Italia, mentre l’Italia... ha altri, propri, problemi. Ma non
si tratta solo di oggi. Nella storia è documentato che abbiamo combattuto "per" (e "contro"): i faraoni, i punici, i romani, i bizantini, i Papi, Pisa e Genova, catalani e aragonesi, i re di Spagna e di Piemonte, e... la I e II guerra mondiale. Lo studio della vicenda storica della Sardegna sta nel comprendere quando e perché ci siamo battuti "contro" e, soprattutto, i motivi per cui ci preoccupiamo meno dei nostri e più dei problemi degli altri.
Non si dà, invece, il corrispettivo nei nostri confronti. L’Italia è in declino, che è qualcosa di più e di diverso dalla semplice recessione economica. Anche se volesse, probabilmente non sarebbe in grado di risolvere i nostri problemi.
Al Nord vince le elezioni chi ha chiesto sicurezza e il mantenimento dei soldi in casa propria. A quella richiesta ha fatto da pendant la ripresa dell’autonomismo siciliano.
Da una parte c’è la ricchezza, dall’altro il numero dei votanti. Coerentemente, la composizione del governo è rappresentativa di quelle realtà.
Guardiamoci, invece, in casa nostra: abbiamo un debolissimo autonomismo e veniamo da trent’anni di incertezza sulla prospettiva economica e istituzionale. Da più legislature non siamo rappresentati neanche in Europa perché alla nostra classe dirigente (politici e sindacati, innanzitutto) non dispiace l’essere affidati ai siciliani.
Siamo usciti dall’obiettivo 1 (dove sono rimaste, perché più povere di noi, le Puglie, la Campania e la Sicilia) per non far torto alle grandi industrie. Quando i nostri politici arrivano ai ministeri, normalmente si fanno un vanto di rappresentare il Paese-Italia, piuttosto che favorire la loro Regione fatta di innumerevoli piccoli paesi.
Il costituzionalista Demuro qualche giorno fa, su questa stessa pagina, si chiedeva: «In questo scenario, la Sardegna come si colloca?».
Noi potremmo chiedere anche a lui, estensore con altri degli ultimi documenti statutari, quali eventuali sanzioni le nostre istituzioni potrebbero invocare, a livello internazionale o di Corte Costituzionale italiana, nel caso il patto costituzionale tra la Sardegna e l’Italia, che fonda lo statuto speciale, non venisse rispettato.Tutti sappiamo quale strame sia stato fatto del nostro Statuto di autonomia nei sessant’anni della sua vigenza!
Quello che ci sta capitando davanti agli occhi non è che una lucida e istruttiva lezione sugli storici sfavorevoli rapporti di forza della Sardegna di fronte allo Stato in una situazione di progressiva divaricazione delle nostre condizioni sia rispetto alla questione settentrionale che rispetto alla
questione meridionale. Al Nord la Lega si permette strappi istituzionali che presidia tramite i ministeri delle riforme e, soprattutto, degli interni. Anche al Sud trionfa la politica territoriale, solo che lo Stato lì è in competizione con la delinquenza organizzata. Cosa c’entriamo noi con tutto questo? Come potremmo essere utili? Come rendere compatibile una tale divaricazione tra la storia che noi viviamo, i nostri grandi problemi, con situazioni tanto differenti?
Ci è successo altre volte: una delle tante. Alla metà del Seicento, mentre le Fiandre e Milano erano in fermento e a Napoli imperversava la rivolta di Masaniello contro il vicerè di una Spagna in pieno decadimento, a Cagliari ci si faceva vanto con Madrid perché la nostra nobiltà, il clero e il popolo erano rimasti gli unici fedeli. Da qui partivano gli aiuti ai governativi e contro i rivoltosi. Ancora Edmondo De Amicis non aveva scritto il libro Cuore e la storia del piccolo tamburino sardo. Ma la sindrome da noi c’era già.