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    Mishima di Skoll a Cremona 7/6/2008 ore 21




    Sabato 7 giugno ore 21,00 presso Teatro Monteverdi, via Dante 149 Cremona

    Sole e Acciaio - Yukio Mishima
    di Skoll

    Spettacolo di musica e parole dedicato al grande scrittore giapponese
    A cura di Minas Tirith: minastirith.cr@libero.it
    Ingresso gratuito


    Yukio Mishima, il "samurai del ventesimo secolo"
    di Luigi Carlo Schiavone - Rinascita 01/04/2008

    “In tempo di pace il guerriero si scaglia contro sé stesso”, questo breve ma significativo aforisma contenuto nell’opera nietzschiana "Al di là del bene e del male" può, a mio parere, essere considerato come la più esaustiva sintesi in cui racchiudere la vita del romanziere geniale nonché “samurai” Yukio Mishima, che fece del Giappone e della difesa del suo retaggio culturale l’obiettivo della propria esistenza. Nato il 14 gennaio 1925, anno XIV dell’epoca Taisho, a Tokyo nel quartiere Yotsuya, da Azusa, alto funzionario del ministero dell’Agricoltura, e da Shizue, secondogenita di un professore di lettere, Kimitake Hiraoka (vero nome di Yukio Mishima) sembrava a prima vista un bambino fragile, cosa che mai avrebbe fatto presagire il suo ardimentoso futuro. Figura di spicco nella formazione di Kimitake fu la nonna paterna Natsuko, discendente di una stirpe di guerrieri e nipote di Naomune Nagai ministro degli Esteri e della Marina nel governo feudale dei Togukawa, che oltre ad esercitare una vasta influenza sul nipote lo avvicinò al teatro Kabuki designandolo suo accompagnatore alle rappresentazioni cui era solito recarsi. Nel 1931 il giovane Hiraoka venne ammesso alla scuola elementare del prestigioso istituto Gakushuin frequentato dai rampolli dell’alta borghesia e della aristocrazia giapponese. Deriso per la scarsa prestanza fisica, che non gli permetteva di sopportare degnamente le ferree e secolari regole spartane su cui si reggeva l’istituto, e per le sue origini, il giovane Kimitake decise di concentrare tutto il suo impegno nello studio e, sotto consiglio della madre, iniziò a scrivere poesie ben presto raccolte nel giornale studentesco Kozakura (Piccolo ciliegio). Il 1944 risultò essere per Yukio Mishima un anno denso di significato: nel maggio, infatti, venne dichiarato idoneo al servizio militare e nel settembre ottenne la licenza liceale con il massimo dei voti, cosa che gli fruì, tra l’altro, il premio dell’Imperatore, rappresentato da un orologio d’argento, e la rivalsa verso coloro che l’avevano negli anni deriso. Quest’idillio, però, non era destinato a durare; nel febbraio del 1945 si sottopose alla visita per l’arruolamento e a causa di un sospetto di tubercolosi venne dichiarato inabile al servizio militare, non potendo così seguire i suoi amici sul campo di battaglia e tentar con loro di ottenere quella che i giapponesi consideravano la più onorevole delle dipartite. Questo rifiuto, inaccettabile per un giovane cresciuto all’ombra dei samurai, rappresentò una tappa fondamentale per la vita di Yukio Mishima; l’impossibilità di fornire un servizio attivo alla patria in un momento cruciale della guerra, infatti, portò Mishima a considerare per la prima volta l’ipotesi del suicidio, destinata a divenire una costante della sua esistenza, supportata dalla redazione di un opportuno testamento. Superata la crisi dovuta al mancato arruolamento, Yukio Mishima si trovò, al pari di tutti gli altri giapponesi, a vivere l’amara esperienza della sconfitta; la resa del Giappone, firmata il 2 settembre del 1945, rappresentò l’inizio di una nuova storia per il paese del Sol Levante, la cui prima pagina può essere ritrovata nell’abiura pubblica dell’Imperatore Hirohito, nel gennaio del 1946, della sua origine divina. Per la maggior parte dei giapponesi una simile affermazione, che metteva in discussione la discendenza del Mikado dalla dea del sole Amaterasu e che lo rendeva, di fatto, uguale a tutti gli altri uomini, era da considerarsi inaccettabile; tra di loro si colloca anche Yukio Mishima e non è inesatto collegare a tale evento, il sorgere nel suo animo delle prime tendenze antimoderniste e antiamericane collegate alla volontà di una riscoperta delle antiche radici spirituali del Giappone. Nel 1955, infatti, mentre la sua produzione letteraria, che lo portò ad essere considerato, nel 1970, come “l’Hemingway giapponese”, cresceva vistosamente al pari della sua fama, Yukio Mishima iniziò ad adoprarsi per dare finalmente il via ad una nuova fase della sua vita. L’inizio della pratica del body building e della boxe per rafforzare quel corpo fragile che non gli aveva permesso di andare in guerra si collegarono di lì a tre anni alla volontà di contrarre matrimonio con Yoko Sugiyama, da cui ebbe due figli. Consapevole della scarsa considerazione di cui godevano le arti marziali, soprattutto a causa dell’assenza di spiritualità che aveva accompagnato il loro affermarsi nei Paesi Occidentali, Mishima decise di perseguire questa strada nella consapevolezza che in esse si realizzasse il vero spirito dell’Hagakure. In una condizione che lo vedeva costantemente diviso tra Oriente e Occidente (Mishima, infatti, abitava in una casa coloniale circondato da oggetti occidentali e vestiva all’europea) egli cercò, attraverso il Kendo e il rispetto dei suoi principi di gerarchia, abnegazione, disciplina, generosità e lealtà, di giungere a quell’ideale di perfezione tipico della Via della Spada che per molti secoli aveva guidato la vita dei samurai, trasformandoli in una macchina da guerra invincibile. Ottenuto in dieci anni il grado di quinto Dan decise di dedicarsi anche al Karate e allo Iai-do, l’antica arte di estrazione della spada giapponese. Proprio per non relegare questa pratica all’azione individuale, Mishima tentò di infondere questa volontà di rinascita alle forze armate. Nel 1968, decise di partecipare a diverse esercitazioni dell’Esercito Nazionale, destreggiandosi anche nella guida di carri armati. Fu in quest’anno, inoltre, che, dopo essersi reso conto che le sue idee erano invise agli altri gradi militari, Mishima decise, insieme ad altri giovani conosciuti al corso di Karate e che condividevano le sue idee in merito al ritorno dei poteri nelle mani del Mikado, di dar vita al Tate-no-Kai (Associazioni degli Scudi), la cui istituzione venne formalizzata con una cerimonia il 5 ottobre dello stesso anno. Il Tate-no-Kai può esser considerato, in sostanza, come l’ultimo tentativo di Yukio Mishima di infondere nuovamente nel Giappone il suo antico spirito guerriero dando dimostrazione pratica di quanto nel corso degli anni aveva tentato di trasmettere attraverso le sue opere letterarie e le rappresentazioni teatrali delle sue compagnie. Nel 1970, infatti, fedele alla sua immagine di eroe romantico, decise di fornire un epilogo tragico alla sua esistenza perseguendo la strada della morte più onorevole, come descritto nell’Hagakure, come monito per il Giappone moderno ormai avviato sulla strada della decadenza. Dirà, infatti, Mishima parlando dell’Hagakure “Ho scoperto che la via del samurai è la morte […] Per essere un perfetto samurai, è necessario prepararsi alla morte dal mattino alla sera, giorno dopo giorno” . Il 25 novembre, infatti, pochi giorni dopo aver ricevuto gli ultimi premi della sua carriera, il “samurai del ventesimo secolo” decise, insieme ai suoi quattro più fidati cadetti con cui s’era fatto immortalare in una foto il 19 ottobre, di occupare il quartiere generale Ichigaya. Dopo aver sequestrato il generale Mashita riuscirono ad ottenere che alla lettura del proclama redatto da Mishima partecipassero, oltre ai giornalisti, anche i militari. Il testo invitava i membri dell’Esercito a sollevarsi permettendo allo spirito nipponico di rialzarsi e di infondere, grazie alle sue tradizioni e combattività, nuova dignità al Giappone, sconfitto e umiliato nella Seconda Guerra Mondiale, e ridonando così all’Imperatore il suo legittimo ruolo. Deriso dall’assise accorsa all’evento, Mishima rientrò nell’ufficio per prepararsi al seppuku. Assunta la posizione rituale del seiza, prese la spada corta e fece harakiri, procurandosi un taglio all’addome secondo la tradizione dei samurai. Kaishaku, ossia colui che gli doveva tagliare la testa di netto per lenire le pene dell’harakiri fu nominato Morita, suo allievo più fidato nonché presunto amante. Costui dopo aver sbagliato, per tre volte, il taglio della testa lasciò a Koga, altro adepto, il compito di completare il rituale. “Non posso continuare a nutrire speranze per il Giappone futuro. Ogni giorno si acuisce in me la certezza che, se nulla cambierà, il “Giappone” è destinato a scomparire. Al suo posto rimarrà, in un lembo dell’Asia estremo-orientale, un grande paese produttore, inorganico, vuoto, neutrale e neutro, prospero e cauto. Con quanti ritengono che questo sia tollerabile, io non intendo parlare”; queste parole, segno della volontà di un uomo non disposto a piegarsi al tentativo livellatore dei vincitori che mira grazie “[…]alle abitudini di stile americano che si sono ovunque diffuse” ad eliminare ogni specificità nazionale, oltre a fornirci l’impressione di vivere in un tempo dove la vasta libertà e gli estesi diritti individuali mascherano il vero volto di un’epoca più oscurantista di altre, devono porsi quale giusto monito per quanti hanno la consapevolezza che una corretta visione della propria storia è fondamentale per creare un robusto “trampolino di lancio” su cui una nazione può contare per affrontare il futuro in maniera adeguata. Un concetto questo che trova nell’esempio di uomini come Yukio Mishima validi fondamenti.

    Video The Life And Death Of Yukio Mishima
    http://www.youtube.com/watch?v=1WhSRHhaE9E

  2. #2
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    Un plauso ed un ringraziamento al buon Harm Wulf per la perfetta realizzazione. Ora questo thread starà su fino a sabato. Accorrete!

  4. #4
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    Un grazie di cuore ad Harm Wulf: il nucleo minas tirith rimane a disposizione per qualsiasi cosa!

  6. #6
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    “ Se solo potessimo cadere
    come i fiori di ciliegio in primavera
    così puri, così luminosi! ”


    Haiku scritto da un pilota kamikaze dell’unità “Sette Vite”,
    morto in combattimento nel febbraio 1945 all’età di ventidue anni.

    Citato in:
    Ivan Morris, La nobiltà della sconfitta, Parma, Ugo Guanda Editore, 1983, pag.267








    Yukio Mishima tratto da http://www.karate-do.it/tesi.html#4.3
    Della generazione di quei giovani giapponesi che non vennero decimati dalla guerra, ma che risentirono notevolmente di quella tendenza suicida che raggiunse il culmine intorno agli anni Cinquanta, il più celebre fu di certo Yukio Mishima (1925–1970). Scrittore di romanzi acclamati dal pubblico e ben accolti dalla critica - ma anche artefice di iniziative teatrali e cinematografiche – con l’opera Confessioni di una maschera Yukio Mishima raggiungerà ben presto la notorietà, quel consenso e quelle soddisfazioni personali oltre le quali un giovane potrebbe non aspirare più ad altro. Di certo un personaggio particolare: narcisista, eccentrico ed esibizionista, portato all’ostentazione del proprio successo e della propria ricchezza, con un particolare gusto per l’eccesso, Mishima lascerebbe intravedere la reazione psicologica di un giovane che conquista fama e benessere economico in quel clima di disfattismo, frustrazione e disgusto di sé che caratterizzava il Giappone dopo la sconfitta del 1945. La sua affermazione “No, io non sarò certo un vinto!”20 diviene lo stendardo di una volontà di successo a cui giungerà solo attraverso una rigorosa disciplina in ambito lavorativo.
    La passione per la letteratura occidentale lo porta a viaggiare in tutta l’Europa, ma il viaggio in Grecia del 1952 inciderà particolarmente: il culto delle divinità – soprattutto Apollo, mitico dio del Sole, simbolo di forza e vigore – e lo zelo con cui gli antichi greci si dedicavano alla cura del corpo daranno inizio alla metamorfosi del personaggio. Il Mishima adolescente era un giovane pallido, gracile, dalla salute cagionevole (motivi per cui, tra l’altro, venne ritenuto non idoneo al reclutamento durante la Seconda Guerra Mondiale), ma ora lo contraddistinguono un’intensa vitalità e dinamismo che lo porteranno ad una sempre crescente brama di successo, forza, benessere fisico e felicità. Inizia a praticare il sollevamento pesi, le arti marziali, si dedica con tenacia alla realizzazione di una muscolatura vigorosa elaborata in palestra. Ma questo suo culto della vita è soltanto una maschera sotto la quale si celano e agiscono quelle passioni negative, forse tipiche di ogni originale ed eccentrico artista; parliamo di quel lato oscuro che induce al sadomasochismo e all’auto-distruzione, aspetti che troveranno libero sfogo al culmine della sua esistenza. Ne fa oggetto della funzione catartica attribuita alle sue opere. In altre parole, rendendo espliciti al pubblico quei sentimenti e quelle convinzioni così intime che lo stesso Mishima avrebbe vergogna di riconoscere a sé stesso, egli riesce ad esorcizzare quel senso di solitudine e vergogna che da sempre affliggono la sua personalità. Cerca di trovare la cura a queste passioni esternandole agli altri, nel tentativo di giustificarle facendosi comprendere dal pubblico. Profondamente colpito dal fascino della tragedia, egli è cosciente dell’effimera caducità della bellezza, sa bene “che il genio si consuma e muore presto”21. Mishima vede quindi nella tragedia una degna chiosa allo splendore raggiunto, desidera scomparire finché è ancora all’apice del successo, prima che il trascorrere del tempo ne offuschi la fulgidezza e conduca alla degenerazione del corpo. Convinto allora della necessità di un evento che lo faccia ricordare per sempre, e della sua urgenza (aveva già quarant’anni), tornato in patria si dedica in tutto e per tutto alla missione di restaurare le condizioni del Giappone antecedenti al 1 gennaio 1946, data in cui venne dichiarata la resa e la totale smilitarizzazione del paese. Mira ad abolire il regime costituzionale scaturito dalla sconfitta. In particolar modo, intende ripristinare lo spirito, le tradizioni secolari e la coscienza di sé che da sempre hanno contraddistinto la nazione nipponica. Mira a risvegliare, soprattutto nell’esercito ridotto a Forza di Autodifesa, la filosofia di vita del bushidō. A tal proposito farà dello Hagakure il testo sacro ispiratore di una missione così alta. L’opera di etica samuraica diventerà il ricettacolo di insegnamenti e l’ispiratrice di una condotta votata all’onore, alla volontà, al gesto eroico e alla morte. Giunto a questo punto, Mishima si rende conto che non basta avere una causa, è necessaria una comunità di seguaci che vi si dedichi. L’ideale, unito al suo carisma, porterà alla costituzione della Tate no kai (la “Società dello Scudo”), della quale faranno parte alcune decine di studenti poco più che ventenni. Dopo aver acquisito una certa preparazione militare, si procede ad architettare nei minimi dettagli un piano che possa realizzare l’intento che questo piccolo ma motivato drappello si è proposto. Il mezzo più efficace sarà un colpo di stato che faccia ammutinare i soldati contro un governo che li ha privati del diritto di conformarsi alla vera essenza del guerriero, di seguire la Via del Samurai. In La morte volontaria in Giappone di Maurice Pinguet, troviamo la descrizione dell’impresa di Mishima: il 25 novembre 1970, accompagnato da quattro suoi seguaci, si presentò al quartier generale della Forza di Autodifesa a Tokyo. Armati unicamente di spade e daghe, presero in ostaggio il comandante in capo e, minacciando di ucciderlo, dettarono le condizioni: i militari della base, circa un migliaio di uomini, avrebbero dovuto adunarsi e ascoltare in silenzio il proclama che Mishima avrebbe letto dal balcone dell’ufficio del generale. Il tutto veniva trasmesso in diretta in tutto il paese dalle troupe di giornalisti che accorsero per documentare l’evento.
    Il suo appello non venne accolto, al contrario destò indifferenza e scherno. Convinto allora del fallimento del suo tentativo di risvegliare nei soldati quella coscienza di guerriero che sola avrebbe potuto ripristinare la situazione, Mishima tornò nell’ufficio e si preparò a compiere il seppuku, testimoni il generale prigioniero ed i compagni della “Società dello Scudo” che lo appoggiavano nella missione. Inginocchiatosi, dopo aver ripetutamente inneggiato all’Imperatore, si trafisse il ventre con una preziosa katana del XVI secolo, portando il taglio da destra a sinistra secondo la tradizione classica. Uno dei compagni allora, in veste di kaishakunin, avrebbe dovuto porre fine al dolore e allo spasmo del suicida mozzandogli la testa con un sol colpo - compito che, tra l’altro, venne portato a termine da un terzo, a causa della concitazione e l’inquietudine del momento - e procedette a suicidarsi anch’egli; gli altri tre dovevano sopravvivere per volontà del loro maestro.
    Così, all’età di 45 anni, moriva Yukio Mishima.

  7. #7
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    Tomba di Yukio Mishima, Tama Reien Cemetery (Fuchu City) Tokyo





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  8. #8
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    "Tra gli alberi il ciliegio, tra gli uomini il guerriero"

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da ;7987019
    [/CENTER]

    Che capolavoro questo!


    Domani ci si sente sanguenero, così mi spieghi bene come arrivare
    http://www.freeforumzone.com/viewforum.aspx?f=56945

  10. #10
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