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Risultati da 1 a 8 di 8
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    Lightbulb Ass. Amor-Roma: Presentazione del libro - Alle origini della globalizzazione



    Venerdì 6 giugno ore 21 - Sala conferenze Troìa


    Via Fracassini n° 27 (Lungotevere Flaminio)



    presentazione del libro



    “Alle origini della globalizzazione” Ediz. Nuove Idee


    presentano il Prof. V. De Pedys ed Umberto Bianchi autore del libro

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da EresiaMaxima Visualizza Messaggio


    Venerdì 6 giugno ore 21 - Sala conferenze Troìa


    Via Fracassini n° 27 (Lungotevere Flaminio)



    presentazione del libro



    “Alle origini della globalizzazione” Ediz. Nuove Idee


    presentano il Prof. V. De Pedys ed Umberto Bianchi autore del libro
    una piccola recensione del libro per noi poveri abitanti di fuori Roma impossibilitati a presenziare all'incontro?

  3. #3
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    OMNIA SUNT COMMUNIA



    Comunitarismo 2005



    Recensione di Costanzo Preve.

    Umberto Bianchi, Alle origini della globalizzazione. Per una revisione del pensiero, Nuove Idee, Roma 2005, pp. 164, euro 10.

    1.Il libro di Umberto Bianchi ha un obiettivo ambiziosissimo, quello di trovare una logica razionale unitaria nell’intera storia del pensiero occidentale e di conseguenza di individuare alcune caratteristiche di fondo dell’attuale situazione storica. Personalmente, sono favorevole al fatto di porsi obiettivi ambiziosi di questo tipo, anche perché l’abitudine accademica è quella di limitarsi alla monografia specialistica, ed allora il ceto giornalistico diventa di fatto l’unico abilitato al «generalismo» delle interpretazioni, con il bel risultato di avere continuamente una riproduzione clonata dell’Unica Interpretazione Politicamente Corretta (d’ora in poi UIPC).
    L’UIPC diffusa in modo martellante dal circo mediatico omologato si basa sull’immagine di una globalizzazione (data per scontata, anche se molti studiosi seri sostengono con argomenti degni di essere presi in considerazione che questa famosa «globalizzazione» in realtà non esiste affatto) intesa come campo di infinita opportunità commerciali per tutti coloro che vogliono mettere alla prova il proprio talento. Anche l’attività artistica, letteraria e filosofica viene incorporata in questo modello economicistico riduttivistico, per cui essa non deve più mirare all’autenticità, alla veridicità o alla verità, come è stato per migliaia di anni, ma alla realizzabilità ed alla vendibilità. Tutte le opere che sottopongono a critica questa UIPC della globalizzazione intesa come campo di infinite possibilità sono allora degne di analisi e di considerazione. Su questa base, anche questo lavoro di Bianchi diventa automaticamente degno di essere preso in considerazione.

    2.Prima di analizzare criticamente il lavoro di Bianchi vorrei collocarlo in un contesto espressivo. Ho già ricordato nel precedente paragrafo la cosiddetta UIPC. Nei prossimi due paragrafi ricorderò brevemente il profilo della Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (d’ora in poi GNFS) e della Grande Narrazione Filosofica di Destra (d’ora in poi GNFD). In un terzo paragrafo verranno esaminate le ragioni della parallela e convergente dissoluzione di entrambe queste grandi narrazioni filosofiche . Sarà allora possibile sottoporre ad esame ed a critica molte delle soluzioni specifiche che Bianchi ha dato nella sua sintesi filosofica.

    3.La Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (GNFS) è nata nel settecento come racconto del progresso, e più esattamente del progresso inarrestabile spinto da una nuova divinità metafisica di tipo materialistico chiamata Storia. Più esattamente l’instaurazione di questa nuova religione, che come tutte le religioni aveva una dottrina, un corpo di sacerdoti delegati alla unica corretta interpretazione della dottrina stessa, un gregge di fedeli e ovviamente gruppi di eretici e di apostati da individuare, emarginare e punire, ebbe bisogno di dotarsi di una nuova trinità, la Storia, la Materia ed il Lavoro. Il Tempo (o meglio le varie temporalità differenziate fino ad allora esistite) venne unificato sotto la categoria trascendentale di Storia. Lo Spazio venne unificato sotto l’unica categoria trascendentale di Materia. Le attività umane, infine, vennero unificate sotto l’unica categoria trascendentale di Lavoro, o più esattamente di Lavoro Produttivo. Alla base della GNFS, dunque, ci stanno i tre principi metafisici di Lavoro Produttivo, Materia e Storia, che stanno alla base della nuova divinità monoteistica laicizzata del Progresso.
    Mi sono espresso qui in modo volutamente schematico e riassuntivo. È bene però aggiungere subito che già nel settecento vi furono numerose forme di resistenza alla nuova religione monoteistica del progresso. I gesuiti ed i seguaci di Rousseau, ad esempio, cercarono di opporsi, sia pure con poco successo. Gli stessi giacobini francesi, spesso pigramente inseriti fra gli adoratori del progresso, non lo erano invece per nulla, e si aspettavano l’instaurazione della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità non tanto dallo scorrimento in avanti del tempo storico brutalmente inteso, quanto dal ritorno alla corretta interpretazione del diritto naturale, cioè dei diritti «imprescrittibili» dell’uomo esistenti da sempre. In generale la GNFS ignora questi elementi dialettici, perché nel suo inconsapevole totalitarismo politicamente corretto vorrebbe che ci fosse sempre una ed una sola «linea giusta».
    La nozione settecentesca originaria di Progresso non era peraltro affatto stupida e semplificata, perché conteneva in sé due elementi inscindibili, quello di progresso materiale, o aumento del controllo dell’uomo sulla natura, e quello di progresso morale, o incivilimento generale dei costumi sia degli individui che dei popoli e delle nazioni. È questa la ragione per cui personalmente non sono per nulla un nemico dell’illuminismo in generale, e vedo con diffidenza le facili stroncature dell’illuminismo. Ai suoi tempi, l’illuminismo fu sostanzialmente positivo, anche se ovviamente conteneva in sé anche elementi destinati a rovesciarsi dialetticamente nel loro contrario. Al massimo, l’illuminismo può e deve essere sottoposto alla critica dialettica di Hegel, dialettica che gira tutta intorno alla messa in guardia dal confondere l’intelletto scientifico (sacrosanto nel suo legittimo campo di applicazione) con la ragione filosofica, che ha come oggetto la ricostruzione razionale non di una singola disciplina scientifica, ma della totalità eticamente espressiva della società.
    Quello che non va, dunque, non è certo di per sé il momento storico originario dell’ideologia del progresso, e dico questo anche se personalmente non sono un adoratore della triade Lavoro Produttivo-Storia-Materia, divinità che ho anch’io a suo tempo adorato ma di cui sono diventato prima eretico e poi apostata. Quello che non va invece a mio avviso è l’incorporazione positivistica successiva dell’idea di progresso, con la doppia demonizzazione della religione (chiamata teologia) e della filosofia (chiamata metafisica). Questa incorporazione era storicamente inevitabile, perché si trattava del minimo comun denominatore religioso sia della borghesia industriale sia del proletariato organizzato. Viste le cose con il cosiddetto senno del poi, non c’era nulla da fare contro questi due bisonti, e le cose non potevano andare che come sono andate. I due bisonti borghese e proletario, nella loro carica impazzita, non potevano che fare quello che hanno fatto. La GNFS è allora nel suo complesso una ideologia positivistica. C’è peraltro qualcosa di buono anche nel positivismo e nelle sue due ali convergenti e complementari (il liberalismo realmente esistito ed il marxismo realmente esistito), e cioè il fatto che può essere smentito e falsificato persino dalla sua divinità principale, il Progresso Storico. Il novecento appena trascorso è in proposito un grande scenario filosofico per tutti coloro che lo vogliono studiare.
    Non si tratta soltanto del campo di sterminio di Auschwitz o della bomba atomica su Hiroshima, i due avvenimenti che vengono generalmente nominati per smentire l’ideologia del progresso. Si tratta di una più generale sensazione di perdita integrale del controllo sulla riproduzione sociale complessiva, di cui parlerò nel prossimo quinto paragrafo. E si tratta ovviamente anche della divaricazione fra utopia scientifica (il controllo sulla natura) ed utopia etica (l’incivilimento dei costumi). Ma di questo, appunto, si parlerà in seguito.

    4.La Grande Narrazione Filosofica di Destra (GNFD) è in generale una doppia narrazione della perdita e della tradizione. Il presunto progresso ci fa perdere le radici, chi è senza radici è vittima di ogni moda relativistica, e il solo modo di salvarsi da questo relativismo nichilistico è il ritorno alla tradizione. Mentre però la GNFS ha un principio monoteistico unitario, sia pure secolarizzato, ed è l’ideologia del progresso come addizione di utopia scientifica e di utopia etica, la GNFD non dispone di un simile principio unitario, perché la tradizione non esiste, ed ogni diverso popolo ha diverse tradizioni. Se la nozione di progresso esplode dialetticamente per le sue contraddizioni interne, contraddizioni che in effetti stanno oggi facendo saltare la GNFS, la nozione di tradizione presenta già a priori due contraddizioni, o se vogliamo due antinomie, che la rendono fragile e poco operativa. È questa la ragione, e lo dico subito, perché la GNFS ha avuto grandi unificatori teorici del tipo di Karl Marx, mentre la GNFD non ha mai potuto produrre un Marx, ma si è sempre spezzettata in decine di pensatori secondari. In ogni caso, segnaliamo in modo chiaro la natura di queste due contraddizioni interne alla nozione di tradizione. La prima è di natura temporale, la seconda è di natura spaziale.
    La contraddizione di natura temporale consiste in ciò, che retrocedendo nella storia dal presente verso il passato è difficile stabilire dove bisogna fermarsi, e dunque dove la tradizione vera e propria ha il suo punto di inizio. Al di là dei documenti scritti, dai papiri ai mattoni cotti, dalle rune ai gusci cinesi di conchiglie, eccetera, ci sono soltanto i graffiti delle caverne, le figure totemiche zoomorfiche ed infine i miti cosmogonici originari. È difficile allora stabilire un alt e decidere che la tradizione debba cominciare in un certo momento temporale e non prima. In questo quadro (che spero di avere riprodotto in modo onesto e non settario) ogni fissazione dell’origine autentica e sacralizzata è sempre un atto del tutto arbitrario. Perché cominciare dal 2000 avanti Cristo e non dal 5000 avanti Cristo? Perché decidere di considerare irrilevanti tutte le modificazioni che certamente sono sopravvenute in un’epoca storica (o meglio, preistorica) senza documenti? È inevitabile allora il sospetto che la fissazione convenzionale di una data d’inizio della sacralità originaria sia solo basata sull’ignoranza del tempo precedente.
    La contraddizione di natura spaziale consiste in ciò, che se si considera l’intero orbe terracqueo nella sua finita rotondità le cosiddette civiltà originarie (o ritenute tali – personalmente non credo neppure nella loro esistenza) sono molto numerose, e dunque se il concetto di progresso può dar luogo ad una universalizzazione concettuale unificata, il concetto di tradizione invece non può farlo neppure concettualmente. Anche ammesso, per esempio, sulla scorta del trifunzionalismo simbolico di Dumézil, che si possa ricostruire una tradizione indoeuropea originaria, gli indoeuropei non sono stati l’unica tribù di homines sapientes esistiti nella preistoria, perché gli egizi, gli ebrei, i sumeri, i cinesi, gli incas, eccetera, non erano certamente indoeuropei.
    La GNFD si è dunque costituita più come «reazione» alla GNFS che come vera e propria teoria autonoma. In questo modo, è stata costretta a fissare arbitrariamente le forme e i contenuti della sua opposizione, sempre giocando di rimessa. La GNFD è dunque «reazionaria» per una ragione teoretica di fondo su cui si è riflettuto ben poco fino ad ora, e che ho qui cercato sommariamente di segnalare.

    5.Il panorama ideologico attuale è quindi caratterizzato dal processo di progressiva dissoluzione, prima parallela e poi sempre più convergente, sia della GNFS che della GNFD. E sono stati i fatti, i duri fatti con la loro testa dura, che hanno portato a questo processo dissolutivo. Nello stesso tempo il mantenimento della simulazione dello scontro dicotomico Sinistra/Destra è per ora una risorsa sistemica della riproduzione del teatrino virtuale della simulazione politica manipolata, e quindi solo la parte più spregiudicata ed intelligente degli osservatori ha già maturato questa consapevolezza.
    Alle sterminate masse della plebe televisiva globalizzata oggi gli apparati ideologici (politici, universitari e giornalistici) forniscono una nuova grande narrazione, quella dell’Esportazione della Libertà e della Democrazia (ELD). Su questa base, ovviamente, si organizza poi una recita ulteriore fra una «destra» (bisogna purtroppo esportare anche con le armi) ed una «sinistra» (bisogna esportare solo con mezzi pacifici). Questa recita manipolata, che trasforma il conflitto politico in conflitto di opinioni fra falchi e colombe, è profondamente totalitaria, perché unisce strettamente le oligarchie finanziarie mondiali con i centri sociali antifascisti (e questo è particolarmente visibile in Germania, dove le massime oligarchie economiche e gli autonomi strafatti sono solidali nel perpetuare le cerimonie di espiazione sulla Colpa Eterna della Germania, entrambi ovviamente al servizio del canone ideologico di Bush e degli USA). La libertà di cui si parla non ha praticamente nulla in comune con la tradizione occidentale di libertà, ma è una forma di autovalorizzazione economica individuale in cui non c’è più agorà politica ma solo market economico. Il ceto mediatico, ad un tempo ignorantissimo e pagatissimo, è il canale che trasmette quotidianamente la confusione tra agorà e market. A sua volta la comune teoria dell’autovalorizzazione dell’individuo inteso come macchina desiderante di consumi unisce Silvio Berlusconi e Toni Negri, con la differenza che il primo si rivolge a chi non può pagare nei negozi, mentre il secondo si rivolge a chi ruba nei supermercati. E con questo chiudo qui per carità di patria.
    La dissoluzione, prima parallela e poi convergente, delle grandi narrazioni del Progresso e della Tradizione, è infine sfociata negli ambienti filosofici più o meno sofisticati, nella comune accettazione provvisoria della nuova metafisica della Tecnica. Tecnica, ovviamente, non significa insieme di macchinari, processo di applicazione alla produzione di nuove scoperte scientifiche, eccetera, ma significa realizzazione di una totalità sociale anonima ed impersonale (e quindi non è più né di destra né di sinistra, ed estranea quindi sia alla GNFD sia alla GNFS) in cui l’uomo della vecchia utopia umanistica è diventato obsoleto ed «antiquato» in quanto non più in grado di controllare ed orientare lo stesso mondo che pure si illude di aver creato sulla base di decisioni alternative prese in precedenza.
    La formulazione filosoficamente più rigorosa e completa di questa nuova teoria, vera e propria nuova grande narrazione filosofica del disincanto bipartitico (GNFDB), è stata data come è noto da Martin Heidegger. Sulla comune base di questa GNFDB si possono poi avere varianti diverse, da quella di Umberto Galimberti a quella di Alain de Benoist. Anche la variante di Umberto Bianchi ne fa parte, ed ecco perché era necessario fare un’introduzione tanto lunga.

    6.Nell’essenziale, la ricostruzione che Umberto Bianchi fa della tradizione del pensiero occidentale è una variante della GNFD. Tuttavia (pp. 23-24), Bianchi parla di Tecno-economia come sinonimo di Econo-tecnica, e sostiene che la seconda espressione, che pure è espressivamente infelice, è però migliore della prima. Al di là probabilmente delle sue stesse intenzioni, Bianchi finisce in questo modo con il profilare non la coppia Heidegger-Marx (come fa di fatto Galimberti), ma la coppia Marx-Heidegger, con prevalenza dunque del metodo marxiano della critica dell’economia politica sulla semplice narrazione heideggeriana della risoluzione finale della lunga storia della metafisica occidentale in tecnica planetaria.
    Tutto questo è molto buono. Peccato, però, che gran parte del libro si limiti di fatto a ripercorrere i noti sentieri della GNFD.

    7.A p. 107 Bianchi vede addirittura Kant come precursore filosofico della legittimità dell’intervento militare per imporre i cosiddetti diritti umani. In realtà Kant è un pensatore programmaticamente anti-imperiale (cfr. C. Preve, Filosofia del presente, Settimo Sigillo, Roma 2004, pp. 112-114), e questo è filologicamente documentabile. L’ellenismo (p. 148) è ridotto ad epoca della spersonalizzazione del divino, cosa che è vera (ed anche qui solo in parte) solo per gli stoici, mentre ad esempio gli epicurei, che restano forse gli esponenti più caratteristici dell’epoca ellenistica, tengono invece ferma l’idea personalistica degli dei come immortali felici, e dunque come modelli di proiezione individualizzata. A p. 65 Parmenide è visto come precursore (involontario?) del Pensiero Unico, in quanto evidentemente Bianchi vede nell’Essere Unico la base implicita del Pensiero Unico. Ma su questo punto credo che Ratzinger capisca le cose meglio di Bianchi. Il cosiddetto pensiero unico, forma normalizzata e sistematizzata del politicamente corretto, metafisica oggi tolta ai preti e data in gestione ai giornalisti del circo mediatico, è invece una forma di relativismo integrale. Tuttavia, per capire questo, Bianchi avrebbe bisogno del pensiero di Marx, ma la sua adesione di fatto alla GNFD glielo impedisce. Cercherò allora di spiegarmi meglio.

    8.Che cos’è esattamente oggi il famoso «relativismo» di cui tanto si parla, che il teologo bavarese vestito di bianco Ratzinger teme come la peste e che lo spinellatore sionista spiritato Pannella invece indica come coronamento della civiltà democratica? Una riflessione sia pur brevissima non sarà del tutto inutile. Per Ratzinger il «relativismo» è sostanzialmente la fine di ogni barriera verso le cosiddette «voglie», che sarebbero poi i desideri libidinosi (lussuria in primo luogo, ovviamente, e poi anche subordinatamente gola, avarizia, eccetera). Su questa base teologico-surrealistica, ovviamente, la comprensione della vera radice del cosiddetto «relativismo» è resa impossibile, e si torna al tuonare dei parroci nelle chiese sempre più vuote contro i preservativi e i lascivi toccamenti. La vittoria di Pannella su Ratzinger è così assicurata con punteggio tennistico, e questo è un vero peccato, perché sono sempre convinto che tra i due mali Ratzinger è certamente il male minore, laddove il sionista spiritato resta sempre il male maggiore.
    La base sociale, economica, materiale e strutturale del cosiddetto «relativismo» sta nel fatto che il progressivo avanzamento del dominio del valore di scambio delle merci relativizza ogni altro valore. Essere per il capitalismo (come è il teologo bavarese vestito di bianco) ed essere contro il relativismo è dunque per principio una impossibilità logica e storica, dal momento che il capitalismo nutre quotidianamente il relativismo, lo incoraggia, lo sostiene e lo riproduce in forma allargata. Il solo modo filosoficamente sensato (a mio avviso) sta nello staccare la parte razionale e dialettica della critica dell’economia politica alla GNFS, e cioè al determinismo teleologico dell’ideologia del progresso. Ma questo non interessa a Bianchi, che di Marx si è fatto l’immagine classica della GNFD, mista di Popper, Furet e Nolte.

    9.A p. 76 Bianchi interpreta l’abolizione hegeliana del noumeno come trionfo dell’ipersoggettivismo. Forse Bianchi non sa di essere qui in buona compagnia con il Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo, che considerava il noumeno (o cosa in sé) di Kant come un razionale riconoscimento dell’esistenza materiale del mondo esterno alla nostra coscienza. Questa singolare e surreale convergenza fra Bianchi e Lenin si basa a mio avviso su di un comune fraintendimento della critica hegeliana non solo a Kant, ma soprattutto a Fichte.
    Hegel critica infatti (ed io sono pienamente d’accordo con lui) la contraddizione singolare ed insostenibile di chi afferma da un lato che c’è qualcosa di inconoscibile in via di principio ed a priori, e proclama dall’altro l’esistenza di questo qualcosa dichiarato inconoscibile. È esattamente ciò che fanno tutte le teologie, che sostengono che il Dio che affermano è inconoscibile, ma bisogna nello stesso tempo affermarne l’esistenza. Lo stesso Kant peraltro, che non era affatto stupido (anzi!), si accorse di questa insostenibile contraddizione logica, e passò spontaneamente da una concezione del noumeno come cosa in sé ad una concezione del noumeno come concetto limite (Grenzbegriff). Lenin è su questo punto meno accorto di Kant (poco male, era un filosofo dilettante), e ripropone il concetto di materia (sostitutivo del concetto di Dio) come vera e propria cosa in sé.
    La critica di Hegel a queste contraddizioni kantiane e post-kantiane è nota, ed a mio avviso sacrosanta. Bianchi riprende allora la variante cattolica della GNFD, respingendo la variante di Giovanni Gentile, che invece assumeva integralmente la critica hegeliana a Kant.

    10.Vi sarebbero da dire molte altre cose analitiche sul libro di Bianchi, ma il lettore le scoprirà da sé. Benché Bianchi a suo tempo abbia recensito in modo molto ingeneroso un mio recente lavoro (definito «libello»), io non gli ricambierò la cortesia, ed anzi dirò il contrario. Il libro di Bianchi è interessante, ed è degno di essere letto.
    Non dico questo solo per ragioni formali, o per fare il «signore» superiore alle basse beghe umane. Lo dico perché ne sono convinto. E la ragione sta in ciò, che tutti i tentativi di decostruzione e/o di interpretazione delle parallele e convergenti GNFD e GNFS devono essere incoraggianti, mentre ogni intestardimento nella maniacale risistematizzazione di entrambe deve essere scoraggiato.
    Come ho detto, Bianchi mi pare stia a metà del guado. Da un lato, individua (con Galimberti, de Benoist, Günther Anders e per finire in coda a tutti anche il sottoscritto) nella Econo-tecnica e nel suo soverchiante dominio l’oggetto obbligatorio della riflessione filosofica di oggi. Dall’altro lato, ripete a mio avviso moduli stereotipati ed invecchiati della GNFD.
    Aspettiamo allora lo sviluppo del suo pensiero.

    ARDITI NON GENDARMI

  4. #4
    SolIndiges
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    Citazione Originariamente Scritto da Muntzer Visualizza Messaggio
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    Comunitarismo 2005



    Recensione di Costanzo Preve.

    Umberto Bianchi, Alle origini della globalizzazione. Per una revisione del pensiero, Nuove Idee, Roma 2005, pp. 164, euro 10.

    1.Il libro di Umberto Bianchi ha un obiettivo ambiziosissimo, quello di trovare una logica razionale unitaria nell’intera storia del pensiero occidentale e di conseguenza di individuare alcune caratteristiche di fondo dell’attuale situazione storica. Personalmente, sono favorevole al fatto di porsi obiettivi ambiziosi di questo tipo, anche perché l’abitudine accademica è quella di limitarsi alla monografia specialistica, ed allora il ceto giornalistico diventa di fatto l’unico abilitato al «generalismo» delle interpretazioni, con il bel risultato di avere continuamente una riproduzione clonata dell’Unica Interpretazione Politicamente Corretta (d’ora in poi UIPC).
    L’UIPC diffusa in modo martellante dal circo mediatico omologato si basa sull’immagine di una globalizzazione (data per scontata, anche se molti studiosi seri sostengono con argomenti degni di essere presi in considerazione che questa famosa «globalizzazione» in realtà non esiste affatto) intesa come campo di infinita opportunità commerciali per tutti coloro che vogliono mettere alla prova il proprio talento. Anche l’attività artistica, letteraria e filosofica viene incorporata in questo modello economicistico riduttivistico, per cui essa non deve più mirare all’autenticità, alla veridicità o alla verità, come è stato per migliaia di anni, ma alla realizzabilità ed alla vendibilità. Tutte le opere che sottopongono a critica questa UIPC della globalizzazione intesa come campo di infinite possibilità sono allora degne di analisi e di considerazione. Su questa base, anche questo lavoro di Bianchi diventa automaticamente degno di essere preso in considerazione.

    2.Prima di analizzare criticamente il lavoro di Bianchi vorrei collocarlo in un contesto espressivo. Ho già ricordato nel precedente paragrafo la cosiddetta UIPC. Nei prossimi due paragrafi ricorderò brevemente il profilo della Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (d’ora in poi GNFS) e della Grande Narrazione Filosofica di Destra (d’ora in poi GNFD). In un terzo paragrafo verranno esaminate le ragioni della parallela e convergente dissoluzione di entrambe queste grandi narrazioni filosofiche . Sarà allora possibile sottoporre ad esame ed a critica molte delle soluzioni specifiche che Bianchi ha dato nella sua sintesi filosofica.

    3.La Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (GNFS) è nata nel settecento come racconto del progresso, e più esattamente del progresso inarrestabile spinto da una nuova divinità metafisica di tipo materialistico chiamata Storia. Più esattamente l’instaurazione di questa nuova religione, che come tutte le religioni aveva una dottrina, un corpo di sacerdoti delegati alla unica corretta interpretazione della dottrina stessa, un gregge di fedeli e ovviamente gruppi di eretici e di apostati da individuare, emarginare e punire, ebbe bisogno di dotarsi di una nuova trinità, la Storia, la Materia ed il Lavoro. Il Tempo (o meglio le varie temporalità differenziate fino ad allora esistite) venne unificato sotto la categoria trascendentale di Storia. Lo Spazio venne unificato sotto l’unica categoria trascendentale di Materia. Le attività umane, infine, vennero unificate sotto l’unica categoria trascendentale di Lavoro, o più esattamente di Lavoro Produttivo. Alla base della GNFS, dunque, ci stanno i tre principi metafisici di Lavoro Produttivo, Materia e Storia, che stanno alla base della nuova divinità monoteistica laicizzata del Progresso.
    Mi sono espresso qui in modo volutamente schematico e riassuntivo. È bene però aggiungere subito che già nel settecento vi furono numerose forme di resistenza alla nuova religione monoteistica del progresso. I gesuiti ed i seguaci di Rousseau, ad esempio, cercarono di opporsi, sia pure con poco successo. Gli stessi giacobini francesi, spesso pigramente inseriti fra gli adoratori del progresso, non lo erano invece per nulla, e si aspettavano l’instaurazione della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità non tanto dallo scorrimento in avanti del tempo storico brutalmente inteso, quanto dal ritorno alla corretta interpretazione del diritto naturale, cioè dei diritti «imprescrittibili» dell’uomo esistenti da sempre. In generale la GNFS ignora questi elementi dialettici, perché nel suo inconsapevole totalitarismo politicamente corretto vorrebbe che ci fosse sempre una ed una sola «linea giusta».
    La nozione settecentesca originaria di Progresso non era peraltro affatto stupida e semplificata, perché conteneva in sé due elementi inscindibili, quello di progresso materiale, o aumento del controllo dell’uomo sulla natura, e quello di progresso morale, o incivilimento generale dei costumi sia degli individui che dei popoli e delle nazioni. È questa la ragione per cui personalmente non sono per nulla un nemico dell’illuminismo in generale, e vedo con diffidenza le facili stroncature dell’illuminismo. Ai suoi tempi, l’illuminismo fu sostanzialmente positivo, anche se ovviamente conteneva in sé anche elementi destinati a rovesciarsi dialetticamente nel loro contrario. Al massimo, l’illuminismo può e deve essere sottoposto alla critica dialettica di Hegel, dialettica che gira tutta intorno alla messa in guardia dal confondere l’intelletto scientifico (sacrosanto nel suo legittimo campo di applicazione) con la ragione filosofica, che ha come oggetto la ricostruzione razionale non di una singola disciplina scientifica, ma della totalità eticamente espressiva della società.
    Quello che non va, dunque, non è certo di per sé il momento storico originario dell’ideologia del progresso, e dico questo anche se personalmente non sono un adoratore della triade Lavoro Produttivo-Storia-Materia, divinità che ho anch’io a suo tempo adorato ma di cui sono diventato prima eretico e poi apostata. Quello che non va invece a mio avviso è l’incorporazione positivistica successiva dell’idea di progresso, con la doppia demonizzazione della religione (chiamata teologia) e della filosofia (chiamata metafisica). Questa incorporazione era storicamente inevitabile, perché si trattava del minimo comun denominatore religioso sia della borghesia industriale sia del proletariato organizzato. Viste le cose con il cosiddetto senno del poi, non c’era nulla da fare contro questi due bisonti, e le cose non potevano andare che come sono andate. I due bisonti borghese e proletario, nella loro carica impazzita, non potevano che fare quello che hanno fatto. La GNFS è allora nel suo complesso una ideologia positivistica. C’è peraltro qualcosa di buono anche nel positivismo e nelle sue due ali convergenti e complementari (il liberalismo realmente esistito ed il marxismo realmente esistito), e cioè il fatto che può essere smentito e falsificato persino dalla sua divinità principale, il Progresso Storico. Il novecento appena trascorso è in proposito un grande scenario filosofico per tutti coloro che lo vogliono studiare.
    Non si tratta soltanto del campo di sterminio di Auschwitz o della bomba atomica su Hiroshima, i due avvenimenti che vengono generalmente nominati per smentire l’ideologia del progresso. Si tratta di una più generale sensazione di perdita integrale del controllo sulla riproduzione sociale complessiva, di cui parlerò nel prossimo quinto paragrafo. E si tratta ovviamente anche della divaricazione fra utopia scientifica (il controllo sulla natura) ed utopia etica (l’incivilimento dei costumi). Ma di questo, appunto, si parlerà in seguito.

    4.La Grande Narrazione Filosofica di Destra (GNFD) è in generale una doppia narrazione della perdita e della tradizione. Il presunto progresso ci fa perdere le radici, chi è senza radici è vittima di ogni moda relativistica, e il solo modo di salvarsi da questo relativismo nichilistico è il ritorno alla tradizione. Mentre però la GNFS ha un principio monoteistico unitario, sia pure secolarizzato, ed è l’ideologia del progresso come addizione di utopia scientifica e di utopia etica, la GNFD non dispone di un simile principio unitario, perché la tradizione non esiste, ed ogni diverso popolo ha diverse tradizioni. Se la nozione di progresso esplode dialetticamente per le sue contraddizioni interne, contraddizioni che in effetti stanno oggi facendo saltare la GNFS, la nozione di tradizione presenta già a priori due contraddizioni, o se vogliamo due antinomie, che la rendono fragile e poco operativa. È questa la ragione, e lo dico subito, perché la GNFS ha avuto grandi unificatori teorici del tipo di Karl Marx, mentre la GNFD non ha mai potuto produrre un Marx, ma si è sempre spezzettata in decine di pensatori secondari. In ogni caso, segnaliamo in modo chiaro la natura di queste due contraddizioni interne alla nozione di tradizione. La prima è di natura temporale, la seconda è di natura spaziale.
    La contraddizione di natura temporale consiste in ciò, che retrocedendo nella storia dal presente verso il passato è difficile stabilire dove bisogna fermarsi, e dunque dove la tradizione vera e propria ha il suo punto di inizio. Al di là dei documenti scritti, dai papiri ai mattoni cotti, dalle rune ai gusci cinesi di conchiglie, eccetera, ci sono soltanto i graffiti delle caverne, le figure totemiche zoomorfiche ed infine i miti cosmogonici originari. È difficile allora stabilire un alt e decidere che la tradizione debba cominciare in un certo momento temporale e non prima. In questo quadro (che spero di avere riprodotto in modo onesto e non settario) ogni fissazione dell’origine autentica e sacralizzata è sempre un atto del tutto arbitrario. Perché cominciare dal 2000 avanti Cristo e non dal 5000 avanti Cristo? Perché decidere di considerare irrilevanti tutte le modificazioni che certamente sono sopravvenute in un’epoca storica (o meglio, preistorica) senza documenti? È inevitabile allora il sospetto che la fissazione convenzionale di una data d’inizio della sacralità originaria sia solo basata sull’ignoranza del tempo precedente.
    La contraddizione di natura spaziale consiste in ciò, che se si considera l’intero orbe terracqueo nella sua finita rotondità le cosiddette civiltà originarie (o ritenute tali – personalmente non credo neppure nella loro esistenza) sono molto numerose, e dunque se il concetto di progresso può dar luogo ad una universalizzazione concettuale unificata, il concetto di tradizione invece non può farlo neppure concettualmente. Anche ammesso, per esempio, sulla scorta del trifunzionalismo simbolico di Dumézil, che si possa ricostruire una tradizione indoeuropea originaria, gli indoeuropei non sono stati l’unica tribù di homines sapientes esistiti nella preistoria, perché gli egizi, gli ebrei, i sumeri, i cinesi, gli incas, eccetera, non erano certamente indoeuropei.
    La GNFD si è dunque costituita più come «reazione» alla GNFS che come vera e propria teoria autonoma. In questo modo, è stata costretta a fissare arbitrariamente le forme e i contenuti della sua opposizione, sempre giocando di rimessa. La GNFD è dunque «reazionaria» per una ragione teoretica di fondo su cui si è riflettuto ben poco fino ad ora, e che ho qui cercato sommariamente di segnalare.

    5.Il panorama ideologico attuale è quindi caratterizzato dal processo di progressiva dissoluzione, prima parallela e poi sempre più convergente, sia della GNFS che della GNFD. E sono stati i fatti, i duri fatti con la loro testa dura, che hanno portato a questo processo dissolutivo. Nello stesso tempo il mantenimento della simulazione dello scontro dicotomico Sinistra/Destra è per ora una risorsa sistemica della riproduzione del teatrino virtuale della simulazione politica manipolata, e quindi solo la parte più spregiudicata ed intelligente degli osservatori ha già maturato questa consapevolezza.
    Alle sterminate masse della plebe televisiva globalizzata oggi gli apparati ideologici (politici, universitari e giornalistici) forniscono una nuova grande narrazione, quella dell’Esportazione della Libertà e della Democrazia (ELD). Su questa base, ovviamente, si organizza poi una recita ulteriore fra una «destra» (bisogna purtroppo esportare anche con le armi) ed una «sinistra» (bisogna esportare solo con mezzi pacifici). Questa recita manipolata, che trasforma il conflitto politico in conflitto di opinioni fra falchi e colombe, è profondamente totalitaria, perché unisce strettamente le oligarchie finanziarie mondiali con i centri sociali antifascisti (e questo è particolarmente visibile in Germania, dove le massime oligarchie economiche e gli autonomi strafatti sono solidali nel perpetuare le cerimonie di espiazione sulla Colpa Eterna della Germania, entrambi ovviamente al servizio del canone ideologico di Bush e degli USA). La libertà di cui si parla non ha praticamente nulla in comune con la tradizione occidentale di libertà, ma è una forma di autovalorizzazione economica individuale in cui non c’è più agorà politica ma solo market economico. Il ceto mediatico, ad un tempo ignorantissimo e pagatissimo, è il canale che trasmette quotidianamente la confusione tra agorà e market. A sua volta la comune teoria dell’autovalorizzazione dell’individuo inteso come macchina desiderante di consumi unisce Silvio Berlusconi e Toni Negri, con la differenza che il primo si rivolge a chi non può pagare nei negozi, mentre il secondo si rivolge a chi ruba nei supermercati. E con questo chiudo qui per carità di patria.
    La dissoluzione, prima parallela e poi convergente, delle grandi narrazioni del Progresso e della Tradizione, è infine sfociata negli ambienti filosofici più o meno sofisticati, nella comune accettazione provvisoria della nuova metafisica della Tecnica. Tecnica, ovviamente, non significa insieme di macchinari, processo di applicazione alla produzione di nuove scoperte scientifiche, eccetera, ma significa realizzazione di una totalità sociale anonima ed impersonale (e quindi non è più né di destra né di sinistra, ed estranea quindi sia alla GNFD sia alla GNFS) in cui l’uomo della vecchia utopia umanistica è diventato obsoleto ed «antiquato» in quanto non più in grado di controllare ed orientare lo stesso mondo che pure si illude di aver creato sulla base di decisioni alternative prese in precedenza.
    La formulazione filosoficamente più rigorosa e completa di questa nuova teoria, vera e propria nuova grande narrazione filosofica del disincanto bipartitico (GNFDB), è stata data come è noto da Martin Heidegger. Sulla comune base di questa GNFDB si possono poi avere varianti diverse, da quella di Umberto Galimberti a quella di Alain de Benoist. Anche la variante di Umberto Bianchi ne fa parte, ed ecco perché era necessario fare un’introduzione tanto lunga.

    6.Nell’essenziale, la ricostruzione che Umberto Bianchi fa della tradizione del pensiero occidentale è una variante della GNFD. Tuttavia (pp. 23-24), Bianchi parla di Tecno-economia come sinonimo di Econo-tecnica, e sostiene che la seconda espressione, che pure è espressivamente infelice, è però migliore della prima. Al di là probabilmente delle sue stesse intenzioni, Bianchi finisce in questo modo con il profilare non la coppia Heidegger-Marx (come fa di fatto Galimberti), ma la coppia Marx-Heidegger, con prevalenza dunque del metodo marxiano della critica dell’economia politica sulla semplice narrazione heideggeriana della risoluzione finale della lunga storia della metafisica occidentale in tecnica planetaria.
    Tutto questo è molto buono. Peccato, però, che gran parte del libro si limiti di fatto a ripercorrere i noti sentieri della GNFD.

    7.A p. 107 Bianchi vede addirittura Kant come precursore filosofico della legittimità dell’intervento militare per imporre i cosiddetti diritti umani. In realtà Kant è un pensatore programmaticamente anti-imperiale (cfr. C. Preve, Filosofia del presente, Settimo Sigillo, Roma 2004, pp. 112-114), e questo è filologicamente documentabile. L’ellenismo (p. 148) è ridotto ad epoca della spersonalizzazione del divino, cosa che è vera (ed anche qui solo in parte) solo per gli stoici, mentre ad esempio gli epicurei, che restano forse gli esponenti più caratteristici dell’epoca ellenistica, tengono invece ferma l’idea personalistica degli dei come immortali felici, e dunque come modelli di proiezione individualizzata. A p. 65 Parmenide è visto come precursore (involontario?) del Pensiero Unico, in quanto evidentemente Bianchi vede nell’Essere Unico la base implicita del Pensiero Unico. Ma su questo punto credo che Ratzinger capisca le cose meglio di Bianchi. Il cosiddetto pensiero unico, forma normalizzata e sistematizzata del politicamente corretto, metafisica oggi tolta ai preti e data in gestione ai giornalisti del circo mediatico, è invece una forma di relativismo integrale. Tuttavia, per capire questo, Bianchi avrebbe bisogno del pensiero di Marx, ma la sua adesione di fatto alla GNFD glielo impedisce. Cercherò allora di spiegarmi meglio.

    8.Che cos’è esattamente oggi il famoso «relativismo» di cui tanto si parla, che il teologo bavarese vestito di bianco Ratzinger teme come la peste e che lo spinellatore sionista spiritato Pannella invece indica come coronamento della civiltà democratica? Una riflessione sia pur brevissima non sarà del tutto inutile. Per Ratzinger il «relativismo» è sostanzialmente la fine di ogni barriera verso le cosiddette «voglie», che sarebbero poi i desideri libidinosi (lussuria in primo luogo, ovviamente, e poi anche subordinatamente gola, avarizia, eccetera). Su questa base teologico-surrealistica, ovviamente, la comprensione della vera radice del cosiddetto «relativismo» è resa impossibile, e si torna al tuonare dei parroci nelle chiese sempre più vuote contro i preservativi e i lascivi toccamenti. La vittoria di Pannella su Ratzinger è così assicurata con punteggio tennistico, e questo è un vero peccato, perché sono sempre convinto che tra i due mali Ratzinger è certamente il male minore, laddove il sionista spiritato resta sempre il male maggiore.
    La base sociale, economica, materiale e strutturale del cosiddetto «relativismo» sta nel fatto che il progressivo avanzamento del dominio del valore di scambio delle merci relativizza ogni altro valore. Essere per il capitalismo (come è il teologo bavarese vestito di bianco) ed essere contro il relativismo è dunque per principio una impossibilità logica e storica, dal momento che il capitalismo nutre quotidianamente il relativismo, lo incoraggia, lo sostiene e lo riproduce in forma allargata. Il solo modo filosoficamente sensato (a mio avviso) sta nello staccare la parte razionale e dialettica della critica dell’economia politica alla GNFS, e cioè al determinismo teleologico dell’ideologia del progresso. Ma questo non interessa a Bianchi, che di Marx si è fatto l’immagine classica della GNFD, mista di Popper, Furet e Nolte.

    9.A p. 76 Bianchi interpreta l’abolizione hegeliana del noumeno come trionfo dell’ipersoggettivismo. Forse Bianchi non sa di essere qui in buona compagnia con il Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo, che considerava il noumeno (o cosa in sé) di Kant come un razionale riconoscimento dell’esistenza materiale del mondo esterno alla nostra coscienza. Questa singolare e surreale convergenza fra Bianchi e Lenin si basa a mio avviso su di un comune fraintendimento della critica hegeliana non solo a Kant, ma soprattutto a Fichte.
    Hegel critica infatti (ed io sono pienamente d’accordo con lui) la contraddizione singolare ed insostenibile di chi afferma da un lato che c’è qualcosa di inconoscibile in via di principio ed a priori, e proclama dall’altro l’esistenza di questo qualcosa dichiarato inconoscibile. È esattamente ciò che fanno tutte le teologie, che sostengono che il Dio che affermano è inconoscibile, ma bisogna nello stesso tempo affermarne l’esistenza. Lo stesso Kant peraltro, che non era affatto stupido (anzi!), si accorse di questa insostenibile contraddizione logica, e passò spontaneamente da una concezione del noumeno come cosa in sé ad una concezione del noumeno come concetto limite (Grenzbegriff). Lenin è su questo punto meno accorto di Kant (poco male, era un filosofo dilettante), e ripropone il concetto di materia (sostitutivo del concetto di Dio) come vera e propria cosa in sé.
    La critica di Hegel a queste contraddizioni kantiane e post-kantiane è nota, ed a mio avviso sacrosanta. Bianchi riprende allora la variante cattolica della GNFD, respingendo la variante di Giovanni Gentile, che invece assumeva integralmente la critica hegeliana a Kant.

    10.Vi sarebbero da dire molte altre cose analitiche sul libro di Bianchi, ma il lettore le scoprirà da sé. Benché Bianchi a suo tempo abbia recensito in modo molto ingeneroso un mio recente lavoro (definito «libello»), io non gli ricambierò la cortesia, ed anzi dirò il contrario. Il libro di Bianchi è interessante, ed è degno di essere letto.
    Non dico questo solo per ragioni formali, o per fare il «signore» superiore alle basse beghe umane. Lo dico perché ne sono convinto. E la ragione sta in ciò, che tutti i tentativi di decostruzione e/o di interpretazione delle parallele e convergenti GNFD e GNFS devono essere incoraggianti, mentre ogni intestardimento nella maniacale risistematizzazione di entrambe deve essere scoraggiato.
    Come ho detto, Bianchi mi pare stia a metà del guado. Da un lato, individua (con Galimberti, de Benoist, Günther Anders e per finire in coda a tutti anche il sottoscritto) nella Econo-tecnica e nel suo soverchiante dominio l’oggetto obbligatorio della riflessione filosofica di oggi. Dall’altro lato, ripete a mio avviso moduli stereotipati ed invecchiati della GNFD.
    Aspettiamo allora lo sviluppo del suo pensiero.

    ARDITI NON GENDARMI
    Scusa muntzer sei pagano pure tu!?

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    Comunitarismo 2005



    Recensione di Costanzo Preve.

    Umberto Bianchi, Alle origini della globalizzazione. Per una revisione del pensiero, Nuove Idee, Roma 2005, pp. 164, euro 10.

    1.Il libro di Umberto Bianchi ha un obiettivo ambiziosissimo, quello di trovare una logica razionale unitaria nell’intera storia del pensiero occidentale e di conseguenza di individuare alcune caratteristiche di fondo dell’attuale situazione storica. Personalmente, sono favorevole al fatto di porsi obiettivi ambiziosi di questo tipo, anche perché l’abitudine accademica è quella di limitarsi alla monografia specialistica, ed allora il ceto giornalistico diventa di fatto l’unico abilitato al «generalismo» delle interpretazioni, con il bel risultato di avere continuamente una riproduzione clonata dell’Unica Interpretazione Politicamente Corretta (d’ora in poi UIPC).
    L’UIPC diffusa in modo martellante dal circo mediatico omologato si basa sull’immagine di una globalizzazione (data per scontata, anche se molti studiosi seri sostengono con argomenti degni di essere presi in considerazione che questa famosa «globalizzazione» in realtà non esiste affatto) intesa come campo di infinita opportunità commerciali per tutti coloro che vogliono mettere alla prova il proprio talento. Anche l’attività artistica, letteraria e filosofica viene incorporata in questo modello economicistico riduttivistico, per cui essa non deve più mirare all’autenticità, alla veridicità o alla verità, come è stato per migliaia di anni, ma alla realizzabilità ed alla vendibilità. Tutte le opere che sottopongono a critica questa UIPC della globalizzazione intesa come campo di infinite possibilità sono allora degne di analisi e di considerazione. Su questa base, anche questo lavoro di Bianchi diventa automaticamente degno di essere preso in considerazione.

    2.Prima di analizzare criticamente il lavoro di Bianchi vorrei collocarlo in un contesto espressivo. Ho già ricordato nel precedente paragrafo la cosiddetta UIPC. Nei prossimi due paragrafi ricorderò brevemente il profilo della Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (d’ora in poi GNFS) e della Grande Narrazione Filosofica di Destra (d’ora in poi GNFD). In un terzo paragrafo verranno esaminate le ragioni della parallela e convergente dissoluzione di entrambe queste grandi narrazioni filosofiche . Sarà allora possibile sottoporre ad esame ed a critica molte delle soluzioni specifiche che Bianchi ha dato nella sua sintesi filosofica.

    3.La Grande Narrazione Filosofica di Sinistra (GNFS) è nata nel settecento come racconto del progresso, e più esattamente del progresso inarrestabile spinto da una nuova divinità metafisica di tipo materialistico chiamata Storia. Più esattamente l’instaurazione di questa nuova religione, che come tutte le religioni aveva una dottrina, un corpo di sacerdoti delegati alla unica corretta interpretazione della dottrina stessa, un gregge di fedeli e ovviamente gruppi di eretici e di apostati da individuare, emarginare e punire, ebbe bisogno di dotarsi di una nuova trinità, la Storia, la Materia ed il Lavoro. Il Tempo (o meglio le varie temporalità differenziate fino ad allora esistite) venne unificato sotto la categoria trascendentale di Storia. Lo Spazio venne unificato sotto l’unica categoria trascendentale di Materia. Le attività umane, infine, vennero unificate sotto l’unica categoria trascendentale di Lavoro, o più esattamente di Lavoro Produttivo. Alla base della GNFS, dunque, ci stanno i tre principi metafisici di Lavoro Produttivo, Materia e Storia, che stanno alla base della nuova divinità monoteistica laicizzata del Progresso.
    Mi sono espresso qui in modo volutamente schematico e riassuntivo. È bene però aggiungere subito che già nel settecento vi furono numerose forme di resistenza alla nuova religione monoteistica del progresso. I gesuiti ed i seguaci di Rousseau, ad esempio, cercarono di opporsi, sia pure con poco successo. Gli stessi giacobini francesi, spesso pigramente inseriti fra gli adoratori del progresso, non lo erano invece per nulla, e si aspettavano l’instaurazione della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità non tanto dallo scorrimento in avanti del tempo storico brutalmente inteso, quanto dal ritorno alla corretta interpretazione del diritto naturale, cioè dei diritti «imprescrittibili» dell’uomo esistenti da sempre. In generale la GNFS ignora questi elementi dialettici, perché nel suo inconsapevole totalitarismo politicamente corretto vorrebbe che ci fosse sempre una ed una sola «linea giusta».
    La nozione settecentesca originaria di Progresso non era peraltro affatto stupida e semplificata, perché conteneva in sé due elementi inscindibili, quello di progresso materiale, o aumento del controllo dell’uomo sulla natura, e quello di progresso morale, o incivilimento generale dei costumi sia degli individui che dei popoli e delle nazioni. È questa la ragione per cui personalmente non sono per nulla un nemico dell’illuminismo in generale, e vedo con diffidenza le facili stroncature dell’illuminismo. Ai suoi tempi, l’illuminismo fu sostanzialmente positivo, anche se ovviamente conteneva in sé anche elementi destinati a rovesciarsi dialetticamente nel loro contrario. Al massimo, l’illuminismo può e deve essere sottoposto alla critica dialettica di Hegel, dialettica che gira tutta intorno alla messa in guardia dal confondere l’intelletto scientifico (sacrosanto nel suo legittimo campo di applicazione) con la ragione filosofica, che ha come oggetto la ricostruzione razionale non di una singola disciplina scientifica, ma della totalità eticamente espressiva della società.
    Quello che non va, dunque, non è certo di per sé il momento storico originario dell’ideologia del progresso, e dico questo anche se personalmente non sono un adoratore della triade Lavoro Produttivo-Storia-Materia, divinità che ho anch’io a suo tempo adorato ma di cui sono diventato prima eretico e poi apostata. Quello che non va invece a mio avviso è l’incorporazione positivistica successiva dell’idea di progresso, con la doppia demonizzazione della religione (chiamata teologia) e della filosofia (chiamata metafisica). Questa incorporazione era storicamente inevitabile, perché si trattava del minimo comun denominatore religioso sia della borghesia industriale sia del proletariato organizzato. Viste le cose con il cosiddetto senno del poi, non c’era nulla da fare contro questi due bisonti, e le cose non potevano andare che come sono andate. I due bisonti borghese e proletario, nella loro carica impazzita, non potevano che fare quello che hanno fatto. La GNFS è allora nel suo complesso una ideologia positivistica. C’è peraltro qualcosa di buono anche nel positivismo e nelle sue due ali convergenti e complementari (il liberalismo realmente esistito ed il marxismo realmente esistito), e cioè il fatto che può essere smentito e falsificato persino dalla sua divinità principale, il Progresso Storico. Il novecento appena trascorso è in proposito un grande scenario filosofico per tutti coloro che lo vogliono studiare.
    Non si tratta soltanto del campo di sterminio di Auschwitz o della bomba atomica su Hiroshima, i due avvenimenti che vengono generalmente nominati per smentire l’ideologia del progresso. Si tratta di una più generale sensazione di perdita integrale del controllo sulla riproduzione sociale complessiva, di cui parlerò nel prossimo quinto paragrafo. E si tratta ovviamente anche della divaricazione fra utopia scientifica (il controllo sulla natura) ed utopia etica (l’incivilimento dei costumi). Ma di questo, appunto, si parlerà in seguito.

    4.La Grande Narrazione Filosofica di Destra (GNFD) è in generale una doppia narrazione della perdita e della tradizione. Il presunto progresso ci fa perdere le radici, chi è senza radici è vittima di ogni moda relativistica, e il solo modo di salvarsi da questo relativismo nichilistico è il ritorno alla tradizione. Mentre però la GNFS ha un principio monoteistico unitario, sia pure secolarizzato, ed è l’ideologia del progresso come addizione di utopia scientifica e di utopia etica, la GNFD non dispone di un simile principio unitario, perché la tradizione non esiste, ed ogni diverso popolo ha diverse tradizioni. Se la nozione di progresso esplode dialetticamente per le sue contraddizioni interne, contraddizioni che in effetti stanno oggi facendo saltare la GNFS, la nozione di tradizione presenta già a priori due contraddizioni, o se vogliamo due antinomie, che la rendono fragile e poco operativa. È questa la ragione, e lo dico subito, perché la GNFS ha avuto grandi unificatori teorici del tipo di Karl Marx, mentre la GNFD non ha mai potuto produrre un Marx, ma si è sempre spezzettata in decine di pensatori secondari. In ogni caso, segnaliamo in modo chiaro la natura di queste due contraddizioni interne alla nozione di tradizione. La prima è di natura temporale, la seconda è di natura spaziale.
    La contraddizione di natura temporale consiste in ciò, che retrocedendo nella storia dal presente verso il passato è difficile stabilire dove bisogna fermarsi, e dunque dove la tradizione vera e propria ha il suo punto di inizio. Al di là dei documenti scritti, dai papiri ai mattoni cotti, dalle rune ai gusci cinesi di conchiglie, eccetera, ci sono soltanto i graffiti delle caverne, le figure totemiche zoomorfiche ed infine i miti cosmogonici originari. È difficile allora stabilire un alt e decidere che la tradizione debba cominciare in un certo momento temporale e non prima. In questo quadro (che spero di avere riprodotto in modo onesto e non settario) ogni fissazione dell’origine autentica e sacralizzata è sempre un atto del tutto arbitrario. Perché cominciare dal 2000 avanti Cristo e non dal 5000 avanti Cristo? Perché decidere di considerare irrilevanti tutte le modificazioni che certamente sono sopravvenute in un’epoca storica (o meglio, preistorica) senza documenti? È inevitabile allora il sospetto che la fissazione convenzionale di una data d’inizio della sacralità originaria sia solo basata sull’ignoranza del tempo precedente.
    La contraddizione di natura spaziale consiste in ciò, che se si considera l’intero orbe terracqueo nella sua finita rotondità le cosiddette civiltà originarie (o ritenute tali – personalmente non credo neppure nella loro esistenza) sono molto numerose, e dunque se il concetto di progresso può dar luogo ad una universalizzazione concettuale unificata, il concetto di tradizione invece non può farlo neppure concettualmente. Anche ammesso, per esempio, sulla scorta del trifunzionalismo simbolico di Dumézil, che si possa ricostruire una tradizione indoeuropea originaria, gli indoeuropei non sono stati l’unica tribù di homines sapientes esistiti nella preistoria, perché gli egizi, gli ebrei, i sumeri, i cinesi, gli incas, eccetera, non erano certamente indoeuropei.
    La GNFD si è dunque costituita più come «reazione» alla GNFS che come vera e propria teoria autonoma. In questo modo, è stata costretta a fissare arbitrariamente le forme e i contenuti della sua opposizione, sempre giocando di rimessa. La GNFD è dunque «reazionaria» per una ragione teoretica di fondo su cui si è riflettuto ben poco fino ad ora, e che ho qui cercato sommariamente di segnalare.

    5.Il panorama ideologico attuale è quindi caratterizzato dal processo di progressiva dissoluzione, prima parallela e poi sempre più convergente, sia della GNFS che della GNFD. E sono stati i fatti, i duri fatti con la loro testa dura, che hanno portato a questo processo dissolutivo. Nello stesso tempo il mantenimento della simulazione dello scontro dicotomico Sinistra/Destra è per ora una risorsa sistemica della riproduzione del teatrino virtuale della simulazione politica manipolata, e quindi solo la parte più spregiudicata ed intelligente degli osservatori ha già maturato questa consapevolezza.
    Alle sterminate masse della plebe televisiva globalizzata oggi gli apparati ideologici (politici, universitari e giornalistici) forniscono una nuova grande narrazione, quella dell’Esportazione della Libertà e della Democrazia (ELD). Su questa base, ovviamente, si organizza poi una recita ulteriore fra una «destra» (bisogna purtroppo esportare anche con le armi) ed una «sinistra» (bisogna esportare solo con mezzi pacifici). Questa recita manipolata, che trasforma il conflitto politico in conflitto di opinioni fra falchi e colombe, è profondamente totalitaria, perché unisce strettamente le oligarchie finanziarie mondiali con i centri sociali antifascisti (e questo è particolarmente visibile in Germania, dove le massime oligarchie economiche e gli autonomi strafatti sono solidali nel perpetuare le cerimonie di espiazione sulla Colpa Eterna della Germania, entrambi ovviamente al servizio del canone ideologico di Bush e degli USA). La libertà di cui si parla non ha praticamente nulla in comune con la tradizione occidentale di libertà, ma è una forma di autovalorizzazione economica individuale in cui non c’è più agorà politica ma solo market economico. Il ceto mediatico, ad un tempo ignorantissimo e pagatissimo, è il canale che trasmette quotidianamente la confusione tra agorà e market. A sua volta la comune teoria dell’autovalorizzazione dell’individuo inteso come macchina desiderante di consumi unisce Silvio Berlusconi e Toni Negri, con la differenza che il primo si rivolge a chi non può pagare nei negozi, mentre il secondo si rivolge a chi ruba nei supermercati. E con questo chiudo qui per carità di patria.
    La dissoluzione, prima parallela e poi convergente, delle grandi narrazioni del Progresso e della Tradizione, è infine sfociata negli ambienti filosofici più o meno sofisticati, nella comune accettazione provvisoria della nuova metafisica della Tecnica. Tecnica, ovviamente, non significa insieme di macchinari, processo di applicazione alla produzione di nuove scoperte scientifiche, eccetera, ma significa realizzazione di una totalità sociale anonima ed impersonale (e quindi non è più né di destra né di sinistra, ed estranea quindi sia alla GNFD sia alla GNFS) in cui l’uomo della vecchia utopia umanistica è diventato obsoleto ed «antiquato» in quanto non più in grado di controllare ed orientare lo stesso mondo che pure si illude di aver creato sulla base di decisioni alternative prese in precedenza.
    La formulazione filosoficamente più rigorosa e completa di questa nuova teoria, vera e propria nuova grande narrazione filosofica del disincanto bipartitico (GNFDB), è stata data come è noto da Martin Heidegger. Sulla comune base di questa GNFDB si possono poi avere varianti diverse, da quella di Umberto Galimberti a quella di Alain de Benoist. Anche la variante di Umberto Bianchi ne fa parte, ed ecco perché era necessario fare un’introduzione tanto lunga.

    6.Nell’essenziale, la ricostruzione che Umberto Bianchi fa della tradizione del pensiero occidentale è una variante della GNFD. Tuttavia (pp. 23-24), Bianchi parla di Tecno-economia come sinonimo di Econo-tecnica, e sostiene che la seconda espressione, che pure è espressivamente infelice, è però migliore della prima. Al di là probabilmente delle sue stesse intenzioni, Bianchi finisce in questo modo con il profilare non la coppia Heidegger-Marx (come fa di fatto Galimberti), ma la coppia Marx-Heidegger, con prevalenza dunque del metodo marxiano della critica dell’economia politica sulla semplice narrazione heideggeriana della risoluzione finale della lunga storia della metafisica occidentale in tecnica planetaria.
    Tutto questo è molto buono. Peccato, però, che gran parte del libro si limiti di fatto a ripercorrere i noti sentieri della GNFD.

    7.A p. 107 Bianchi vede addirittura Kant come precursore filosofico della legittimità dell’intervento militare per imporre i cosiddetti diritti umani. In realtà Kant è un pensatore programmaticamente anti-imperiale (cfr. C. Preve, Filosofia del presente, Settimo Sigillo, Roma 2004, pp. 112-114), e questo è filologicamente documentabile. L’ellenismo (p. 148) è ridotto ad epoca della spersonalizzazione del divino, cosa che è vera (ed anche qui solo in parte) solo per gli stoici, mentre ad esempio gli epicurei, che restano forse gli esponenti più caratteristici dell’epoca ellenistica, tengono invece ferma l’idea personalistica degli dei come immortali felici, e dunque come modelli di proiezione individualizzata. A p. 65 Parmenide è visto come precursore (involontario?) del Pensiero Unico, in quanto evidentemente Bianchi vede nell’Essere Unico la base implicita del Pensiero Unico. Ma su questo punto credo che Ratzinger capisca le cose meglio di Bianchi. Il cosiddetto pensiero unico, forma normalizzata e sistematizzata del politicamente corretto, metafisica oggi tolta ai preti e data in gestione ai giornalisti del circo mediatico, è invece una forma di relativismo integrale. Tuttavia, per capire questo, Bianchi avrebbe bisogno del pensiero di Marx, ma la sua adesione di fatto alla GNFD glielo impedisce. Cercherò allora di spiegarmi meglio.

    8.Che cos’è esattamente oggi il famoso «relativismo» di cui tanto si parla, che il teologo bavarese vestito di bianco Ratzinger teme come la peste e che lo spinellatore sionista spiritato Pannella invece indica come coronamento della civiltà democratica? Una riflessione sia pur brevissima non sarà del tutto inutile. Per Ratzinger il «relativismo» è sostanzialmente la fine di ogni barriera verso le cosiddette «voglie», che sarebbero poi i desideri libidinosi (lussuria in primo luogo, ovviamente, e poi anche subordinatamente gola, avarizia, eccetera). Su questa base teologico-surrealistica, ovviamente, la comprensione della vera radice del cosiddetto «relativismo» è resa impossibile, e si torna al tuonare dei parroci nelle chiese sempre più vuote contro i preservativi e i lascivi toccamenti. La vittoria di Pannella su Ratzinger è così assicurata con punteggio tennistico, e questo è un vero peccato, perché sono sempre convinto che tra i due mali Ratzinger è certamente il male minore, laddove il sionista spiritato resta sempre il male maggiore.
    La base sociale, economica, materiale e strutturale del cosiddetto «relativismo» sta nel fatto che il progressivo avanzamento del dominio del valore di scambio delle merci relativizza ogni altro valore. Essere per il capitalismo (come è il teologo bavarese vestito di bianco) ed essere contro il relativismo è dunque per principio una impossibilità logica e storica, dal momento che il capitalismo nutre quotidianamente il relativismo, lo incoraggia, lo sostiene e lo riproduce in forma allargata. Il solo modo filosoficamente sensato (a mio avviso) sta nello staccare la parte razionale e dialettica della critica dell’economia politica alla GNFS, e cioè al determinismo teleologico dell’ideologia del progresso. Ma questo non interessa a Bianchi, che di Marx si è fatto l’immagine classica della GNFD, mista di Popper, Furet e Nolte.

    9.A p. 76 Bianchi interpreta l’abolizione hegeliana del noumeno come trionfo dell’ipersoggettivismo. Forse Bianchi non sa di essere qui in buona compagnia con il Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo, che considerava il noumeno (o cosa in sé) di Kant come un razionale riconoscimento dell’esistenza materiale del mondo esterno alla nostra coscienza. Questa singolare e surreale convergenza fra Bianchi e Lenin si basa a mio avviso su di un comune fraintendimento della critica hegeliana non solo a Kant, ma soprattutto a Fichte.
    Hegel critica infatti (ed io sono pienamente d’accordo con lui) la contraddizione singolare ed insostenibile di chi afferma da un lato che c’è qualcosa di inconoscibile in via di principio ed a priori, e proclama dall’altro l’esistenza di questo qualcosa dichiarato inconoscibile. È esattamente ciò che fanno tutte le teologie, che sostengono che il Dio che affermano è inconoscibile, ma bisogna nello stesso tempo affermarne l’esistenza. Lo stesso Kant peraltro, che non era affatto stupido (anzi!), si accorse di questa insostenibile contraddizione logica, e passò spontaneamente da una concezione del noumeno come cosa in sé ad una concezione del noumeno come concetto limite (Grenzbegriff). Lenin è su questo punto meno accorto di Kant (poco male, era un filosofo dilettante), e ripropone il concetto di materia (sostitutivo del concetto di Dio) come vera e propria cosa in sé.
    La critica di Hegel a queste contraddizioni kantiane e post-kantiane è nota, ed a mio avviso sacrosanta. Bianchi riprende allora la variante cattolica della GNFD, respingendo la variante di Giovanni Gentile, che invece assumeva integralmente la critica hegeliana a Kant.

    10.Vi sarebbero da dire molte altre cose analitiche sul libro di Bianchi, ma il lettore le scoprirà da sé. Benché Bianchi a suo tempo abbia recensito in modo molto ingeneroso un mio recente lavoro (definito «libello»), io non gli ricambierò la cortesia, ed anzi dirò il contrario. Il libro di Bianchi è interessante, ed è degno di essere letto.
    Non dico questo solo per ragioni formali, o per fare il «signore» superiore alle basse beghe umane. Lo dico perché ne sono convinto. E la ragione sta in ciò, che tutti i tentativi di decostruzione e/o di interpretazione delle parallele e convergenti GNFD e GNFS devono essere incoraggianti, mentre ogni intestardimento nella maniacale risistematizzazione di entrambe deve essere scoraggiato.
    Come ho detto, Bianchi mi pare stia a metà del guado. Da un lato, individua (con Galimberti, de Benoist, Günther Anders e per finire in coda a tutti anche il sottoscritto) nella Econo-tecnica e nel suo soverchiante dominio l’oggetto obbligatorio della riflessione filosofica di oggi. Dall’altro lato, ripete a mio avviso moduli stereotipati ed invecchiati della GNFD.
    Aspettiamo allora lo sviluppo del suo pensiero.

    ARDITI NON GENDARMI
    grazie mille Muntzer! ma cosa ci fa un compagno come te nel forum della Destra Radicale? il primo amore non si scorda mai, vero?

  6. #6
    email non funzionante
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Muntzer può essere pagano?
    Mi dispiace deluderti, non sono stato mai "innamorato" e mai mi "innamorerò", in questo modo evito "ricordi", dimmi della recensione, se non ci fossimo noi!!!

    ARDITI NON GENDARMI

  7. #7
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    ottima AmoRoma

  8. #8
    Guardo il Nulla.
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    Citazione Originariamente Scritto da Muntzer Visualizza Messaggio
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    Muntzer può essere pagano?
    Mi dispiace deluderti, non sono stato mai "innamorato" e mai mi "innamorerò", in questo modo evito "ricordi", dimmi della recensione, se non ci fossimo noi!!!

    ARDITI NON GENDARMI
    veramente io ricordo il tuo amore per il Fascismo...

 

 

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