No, calma, anche io ti rispondo al volo, se poi te ne vai e mi lasci qui a parlar col Pfjodor (to say nothing of the others...).
Recentemente ho assistito a una conferenza del nuovo Direttore dell'orchestra scaligera Daniel Barenboim. Il titolo era: L'impossibile è più facile del difficile. Io sono assolutamente certo che il cuore (in senso forte) sia fatto per l'impossibile. Ma sono altrettanto certo che il cuore medesimo è in grado di sentire che quel medesimo impossibile lo chiama, lo affascina, lo attrae e (in un certo qual modo, eh) lo persuade anche intellettualmente, lo convince. Così che il sia esalato dalla sedicenne incantata e spaventata dall'Arcangelo che irrompe nel suo spazio quotidiano [e lo ripeto, vi prego di andare a Nazareth, vedere quella casa, quegli scalini sul fondo, gustare la presenza: non ha visto nulla chi non ha visto quella casa, vi prego, fidatevi...] è preceduto dall'assicurazione che nulla è impossibile.
Insomma (Dio stramaledica il mio linguaggio barocco) l'impossibile è il destino del cuore umano, ma questo impossibile non è veramente inpossibile, ma è in realtà l'unica, la sola possibilità. Le altre alternative sono una diminuzione che, ove si è seri e sensibili è vissuta tragicamente; ove si è seri e insensibili è vissuta cinicamente; ove si è leggeri e sensibili è vissuta lamentosamente, ove si è leggeri e insensibili è vissuta storditamente. Ottenere dalla vita la scoperta dell'impossibile come unica possibilità degna è frutto delizioso della Grazia.
Volere una cosa impossibile (però non misteriosamente rivelantesi come l'unico vero possibile) sarebbe demenza, alienazione o follia (non che queste cose non mi stiano simpatiche eh...anzi!)
L'immaginario viterbese si spacca la schiena e finisce sulla carrozzina. Ha una donna che ama e che lo ama. Tu dici che una vera relazione è triadica, e hai ragione: nel caso dei due ragazzi viterbesi questo terzo non è paraplegico, né impotente; è vivo, guizzante e ardente. Dunque, Ginny, perché non riconosci che in questo caso l'impossibile (segretamente atteso) potrebbe precisamente consistere in un innalzamento di Eros a vette inconcepibili. Cosa sarebbe per questi due ragazzi danzare la danza di Eros nonostante la spina dorsale spaccata? Sarebbe come la danza della sirenetta della fiaba di Andersen (della fiaba originale, non delle sue vulgate graziose ma sbiadite) in cui la danza di Lei per Lui è un dolore infinito, Lei ha lame al posto dei piedi, e ogni passo di danza le costa la vita e la morte. Eppure danza.
Non è molto più riduttivo decidere di sublimare, di dribblare il limite, di aggirare l'ostacolo, di proiettarsi in un apparente eroismo (ma quanto rassicurante), e ciò in nome dell'idea astratta di una sessualità completa?
Grazie, un bacio, Barsanufio