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    Sviluppo è liberta: Amartya Sen


    Il contributo dell’economista indiano nella teoria dello sviluppo si inserisce in quella “terra di mezzo” tra la filosofia, la sociologia e la psicologia e la scienza economica. Sen pone al centro dello sviluppo la libertà: “lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani” in questo senso, “lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti di illibertà: la miseria come la tirannia, l'angustia delle prospettive economiche come la deprivazione sociale sistematica, la disattenzione verso i servizi pubblici come l'intolleranza o l'autoritarismo di uno stato repressivo” (Sen, 2000, p.9).
    L’importanza affidata da Sen alla libertà e al concetto di uguaglianza nel discorso sullo sviluppo permettono a questa materia di aprirsi alla filosofia politica di Rawls e Nozick ma anche all’etica senza mai perdere di vista il pensiero economico. L’economista indiano è l’anello di congiunzione tra la scienza economica dedicata allo sviluppo e le altre scienze sociali; la sua capacità di fondare la teoria dello sviluppo su concetti non solo economici è fondamentale per l’approccio che questa tesi sostiene nella sua seconda parte.
    La libertà, intesa come libertà effettiva (di scegliersi una vita cui, a ragion veduta, si dia valore), in un senso assai vicino a quello della real freedom di Philippe Van Parijs4, è, dunque, secondo Sen, il criterio in base al quale valutare gli assetti politico-sociali e orientare le politiche pubbliche.
    L’approccio individualista e le sue critiche all’utilitarismo e al neoclassicismo avvicinano l’economista indiano a quel filone “liberals” di cui anche Bauer fa parte.
    La sostanziale differenza tra i due approcci è proprio sul concetto stesso di libertà. Il liberalismo di “destra” così come quello classico concentrano l’attenzione sull’estensione dei diritti di proprietà, sia sulle cose che sulla persona (self ownership) mentre trascura la distribuzione dei diritti di proprietà stessi.
    Ciò avviene soprattutto a causa dell’idea monistica della proprietà che viene intesa come un insieme dato e fisso di caratteristiche. La teoria funzionalista del diritto ha posto in discussione questa visione interpretando la proprietà come fascio di prerogative che non necessariamente sono presenti in ogni circostanza. Un esempio di tale impostazione si ha nella scuola di analisi economica del diritto che adotta il criterio dell’efficiente utilizzo delle risorse economiche come guida per modellare il contenuto dei diritti di proprietà. In tal modo si apre la strada per aggiungere ai due elementi classici dell’approccio libertario alla proprietà, cioè quello della sicurezza (“esiste una struttura di diritti di proprietà ben definiti”, sottratti quindi all’arbitrio) e quello della proprietà su se stessi (self ownership), anche l’elemento caratterizzante della opportunità concreta per l’individuo di perseguire la propria concezione della vita (Van Parijs, 1995) il che è reso possibile da un’appropriata struttura del sistema dei diritti.
    E’ questo l’elemento che introduce un tratto sostanziale, che riempie l’idea della libertà negativa di un contenuto positivo, detto altrimenti la rende effettiva rispetto alla sola idea della assenza di coercizione propria del libertarismo classico. In parte questo coincide con la nozione di capabilities elaborata da Sen .
    L’economista indiano introduce queste sue argomentazioni effettuando una distinzione tra i processi e le possibilità effettive. “L’illibertà può derivare sia da processi inadeguati (come la negazione del diritto di voto o di altri diritti politici o civili) sia dal fatto che ad alcuni non sono date adeguate possibilità di soddisfare desideri anche minimali (il che comprende la mancanza di possibilità elementari, come quella di sfuggire ad una morte prematura, a malattie evitabili o alla fame involontaria)” (Sen 2000, p.23). E’ fondamentale per Sen chiarire che lo sviluppo si basa sulla nozione più ampia possibile di libertà, che comprenda processi e possibilità.
    La sua analisi, più precisamente, si sviluppa sulla distinzione tra funzionamenti e capabilities (traducibile in “capacitazioni”): i funzionamenti sono stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore (ad esempio, essere adeguatamente nutriti, non soffrire malattie evitabili), mentre le capacitazioni sono gli insiemi di combinazioni alternative di funzionamenti che una persona è in grado di realizzare. Per chiarire questa distinzione può essere utile riprendere un esempio di Sen: “un benestante che digiuni [...] può anche funzionare, sul piano dell'alimentazione, allo stesso modo di un indigente costretto a fare la fame, ma il primo ha un “insieme di capacitazioni” diverso da quello del secondo (l'uno può decidere di mangiar bene e nutrirsi adeguatamente, l'altro non può)” (2000, p. 79). Ora, osserva Sen, “mentre la combinazione dei funzionamenti effettivi di una persona rispecchia la sua riuscita reale, l'insieme delle capacitazioni rappresenta la sua libertà di riuscire, le combinazioni alternative di funzionamenti tra cui essa può scegliere” (p.80). L'approccio delle capacitazioni può guardare sia ai funzionamenti realizzati sia all'insieme capacitante delle alternative a disposizione, a seconda che ci si voglia focalizzare sulle cose che una persona fa o su quelle che è libera di fare. È, però, preferibile, secondo Sen, concentrarsi su queste ultime, dal momento che “è possibile dare importanza anche al fatto di avere occasioni che non vengono colte; anzi, è naturale muoversi in questa direzione, se il processo attraverso il quale vengono generati gli esiti ha un suo significato” (p. 80).
    L’economista indiano si confronta con i maggiori teorici della giustizia come Nozick e Rawls ma anche con la storia del pensiero economico, in particolare con l’utilitarismo.
    La prospettiva di Sen è, dunque, alternativa rispetto a tutti gli approcci in qualche modo "classici" in tema di distribuzione delle risorse. In particolare, Sen contesta all'utilitarismo:
    1)l'indifferenza per la distribuzione della "felicità"
    2) la negazione di un valore intrinseco ai diritti e alle libertà,
    3) una certa predisposizione a favorire condizionamento sociale e adattamento;
    Inoltre Sen rimprovera a Rawls: la tendenza a ridurre la libertà a un semplice “vantaggio” e a trascurare i problemi di conversione dei beni principali (beni necessari per qualsiasi piano di vita) in benessere effettivo; obietta a Nozick la mancanza di considerazione per le conseguenze derivanti dall'esercizio dei diritti (negativi) delle persone.
    Sen ha la capacità di spostare l’attenzione dai mezzi (aumento della produzione, investimenti, utilità, etc..), ai fini cioè allo sviluppo stesso. Le teorie sullo sviluppo economico, troppo spesso, si sono concentrate su un unico fine, cioè la crescita, che è diventato la legge dell’economia stessa. Sen, e con lui molti altri autori qui proposti, ragiona invece sul concetto stesso di sviluppo allontanandosi molto dall’unico “fine” dell’economia mainstream.
    L’idea dominante è sempre stata che povertà, disuguaglianza, mancanza di istruzione e altri mali sociali sarebbero stati tutti contemporaneamente alleviati dalla crescita del Pil. Anzi: alla crescita del Pil si potevano sacrificare molte vite e molti rapporti sociali perché, pur attraverso alcune sofferenze, la crescita avrebbe portato a condizioni migliori per tutti. Il Pil era insomma diventato il fine dell'economia e delle politiche che, rovesciando i termini della logica e dell'esperienza umana ma accettando quelli dell'economia neoclassica, si facevano dettare l'agenda dalle principali istituzioni economiche.
    Sen ha la capacità di rimettere al centro del discorso economico (e quindi anche del discorso sullo sviluppo) il fine dell’azione economica con un’affermazione che non è così ovvia: “Se abbiamo delle ragioni per voler essere più ricchi, dobbiamo chiederci quali siano esattamente queste ragioni, come si esplichino, da che cosa dipendano e quali siano le cose che possiamo fare essendo più ricchi. In generale abbiamo ottime ragioni per desiderare un reddito o una ricchezza maggiore; e non perché ricchezza e reddito siano in sé desiderabili, ma perché normalmente sono un ammirevole strumento per essere più liberi di condurre il tipo di vita che, per una ragione o per l'altra, apprezziamo”.
    Il collegamento con gli economisti classici e con tutto il filone dell’economia civile (che si vedrà meglio nella seconda parte) è evidente: la ricchezza è uno strumento e non un fine.
    “L'utilità della ricchezza sta nelle cose che ci permette di fare, nelle libertà sostanziali che ci aiuta a conseguire; ma questa correlazione non è né esclusiva (infatti esistono altri fattori, oltre alla ricchezza, che influiscono in modo significativo sulla nostra vita) né uniforme (poiché l'effetto della ricchezza sulla vita varia a seconda di questi altri fattori)”. Queste affermazione sono illuminanti sul perché Sen abbia elaborato questa teoria sulle libertà – capacitazioni: la crescita del Pil non è l'unica strada per raggiungere obiettivi importanti per la vita umana e soprattutto non è questa strada che porta univocamente verso quegli obiettivi. Scopi per i quali valga la pena di battersi, come la possibilità di “vivere a lungo senza essere stroncati nel fiore degli anni” o “vivere bene e non nella sofferenza e nell'illibertà” sono desideri “quasi” universali e che solo in parte, non necessariamente in modo univoco, sono correlati alla mera crescita economica. Sicché anche nella ricerca orientata a favorire lo sviluppo occorre mantenere la consapevolezza dell’importanza dei fattori non- economici e occorre discutere i fini almeno quanto si discutono i mezzi. “Due cose sono ugualmente importanti: riconoscere il ruolo cruciale della ricchezza nel determinare le condizioni e la qualità della vita e rendersi conto di quanto sia condizionata e contingente questa correlazione. Una concezione adeguata dello sviluppo deve andare ben oltre l'accumulazione della ricchezza e la crescita del prodotto nazionale lordo o di altre variabili legate al reddito; senza ignorare l'importanza della crescita economica, dobbiamo però guardare molto più in là”. E ancora: “Dobbiamo considerare ed esaminare sia i fini sia i mezzi dello sviluppo se vogliamo capire più a fondo lo sviluppo stesso”. Sen riassume il significato di tutta la sua teoria così:“Non è sensato considerare la crescita economica fine a se stessa; lo sviluppo deve avere una relazione molto più stretta con la promozione delle vite che viviamo e delle libertà di cui godiamo. L'espansione di quelle libertà che a buona ragione consideriamo preziose non solo rende più ricca e meno soggetta a vincoli la nostra vita, ma ci permette anche di essere in modo più completo individui sociali, che esercitano le loro volizioni, interagiscono col mondo in cui vivono e influiscono su di esso” (2000, p.20-21).
    L’economista indiano pone alla base del suo ragionamento sulla povertà il concetto di capacitazione ponendo a sostegno della sua tesi tre punti fondamentali (2000, p.92):
    1)L’approccio si concentra su privazioni che sono intrinsecamente importanti (a differenza del basso reddito che è significativo solo sul piano strumentale);
    2)Sull’incapacitazione, e quindi sulla povertà reale, agiscono altri fattori oltre al basso reddito (il reddito non è il solo strumento che può generare capacitazioni);
    3)La relazione strumentale fra basso reddito e basse capacitazioni varia da una comunità all’altra e addirittura da una famiglia, o una persona, all’altra (l’effetto del reddito sulle capacitazioni è contingente e condizionato)
    Le prime forme di sottosviluppo umano, legate al concetto stesso di povertà come “incapacitazione”, evidenziate da Sen sono la fame, la mancanza di libertà e diritti civili fondamentali, la sicurezza. È insensato sostenere, come alcuni fanno, che si possa scegliere un percorso di sviluppo che inizialmente neghi i diritti civili per accelerare la crescita economica e così combattere la fame. È insensato per due ordini di motivi: perché non è una buona definizione di sviluppo quella che tenga conto solo della crescita del Pil e non della libertà delle persone; e perché non c'è vera lotta alla fame senza democrazia. Tanto è vero che, secondo Sen, i fatti dimostrano che nelle democrazie non ci sono carestie e queste avvengono solo nei paesi governati in modo dittatoriale.
    Centrale nell’opera seniana la critica alla “mania quantitativa” di molti economisti che considerano il reddito come unico indicatore di povertà: Sen non nega che vi sia una correlazione tra il basso reddito e l'analfabetismo, la cattiva salute, la fame e la denutrizione, ma la correlazione tra le variabili non significa necessariamente un rapporto di causalità. A questo punto, l’economista indiano mostra come la crescita del reddito non abbia molto a che fare con la riduzione della disuguaglianza sociale e della povertà umana, quella che le statistiche sul reddito, appunto, non riescono a registrare fino in fondo. A sostegno di questa tesi, Sen porta ad esempio dati che dimostrano che la probabilità di vita degli afroamericani che vivono negli Stati Uniti è inferiore a quella degli abitanti di paesi come la Cina e lo stato indiano del Kerala: nonostante che gli afroamericani abbiano redditi enormemente superiori di quelli dei cinesi o dei keraliani. Inoltre, introducendo un discorso sull’uguaglianza, si afferma che anche tra gli afroamericani ci sono differenze: i meno fortunati, i maschi che vivono in grandi città come New York, per esempio ad Harlem, hanno meno probabilità di raggiungere i quarant'anni di età dei maschi nati nel Bangladesh nonostante che i nati nel Bangladesh abbiano un reddito infinitamente inferiore a quello dei neri di Harlem. Questo perché la qualità della vita è correlata al reddito, ma non è spiegata solo dal reddito: anzi, in certi casi il reddito è una misura fuorviante.
    Con questo suo approccio, sicuramente Sen innova la scienza economica di chi ritiene che l'economista non si debba occupare di giudizi di valore. La sua nozione di “sviluppo imperniato sulla libertà” non è troppo diversa da quella di chi si occupa di questioni come la “qualità della vita”. In questo, come si è già visto, prende le distanze dall'eccesso di matematizzazione dell'economia contemporanea ma sente una vicinanza invece con alcune istanze dell'economia originaria. La sua valutazione è semplice: “Quest'attenzione alla qualità della vita e alle libertà sostanziali, anziché solo a reddito e ricchezza, può forse sembrare un allontanarsi dalle solide tradizioni della scienza economica, e in un certo senso lo è davvero (soprattutto in confronto ad alcune rigorose analisi centrate sul reddito che troviamo tra gli economisti contemporanei); ma in realtà questo approccio più ampio è in armonia con alcuni orientamenti analitici che appartengono alla professione dell'economista fin dai primordi” (Sen, p. 30). A questo proposito Sen cita una serie di punti di riferimento, da Aristotele ad Adam Smith (capitolo primo), almeno per quanto riguarda la sua analisi dei beni necessari e delle condizioni di vita. Per l’economista indiano da rinnovare è l'eccesso di analisi quantitativa, il rifiuto assurdo di occuparsi del valori in economia (Sen, 2004), l’ossessiva concentrazione sul reddito, l’utilità e la crescita.
    A questo punto è necessario analizzare la “ricetta” prevista da Sen per favorire lo sviluppo di un paese, o meglio ancora, degli individui.
    Si può tranquillamente affermare che, al contrario di molti suoi predecessori “sviluppisti”, l’economista indiano non abbia una vera e propria ricetta taumaturgica ed universale: l’approccio seniano è assolutamente pratico e sostanziale.
    Sen analizza in che modo la ragione umana possa concepire e promuovere società migliori e più accettabili: come si può creare uno sviluppo.
    L’economista indiano individua tre critiche all’idea che si possano creare dei modelli di sviluppo.
    La prima afferma che, dato che persone diverse hanno preferenze e valori eterogenei, non è possibile dunque dare ai nostri ragionamenti un impianto coerente.
    La seconda critica è metodologica: l’uomo non è in grado di ottenere ciò che intende ottenere, infatti la storia è dominata dalle “conseguenze non volute”: queste conseguenze non possono permettere decisioni razionali collettive.
    La terza critica si fonda sull’ambito dei valori umani e delle norme di comportamento: l’uomo sceglie anche al di là del “gretto interesse personale”? Se la risposta è negativa, esiste un solo sistema, cioè il mercato.
    Alla prima critica Sen amplia il teorema dell’impossibilità di Arrow5 per affermare che esso non nega a prescindere la possibilità di compiere una scelta sociale derivata dalle preferenze individuali, ma bensì pone l’attenzione alla base informativa sulla quale questa scelta si compie.
    La “scelta sociale” assume un ruolo fondamentale nello sviluppo : “la partecipazione dei cittadini al processo decisionale è un elemento fondamentale dell’impegno sociale”(Sen, 1997, p.73). La numerosa letteratura sulla “scelta sociale” indaga in che modo gli individui si relazionano e si influenzano nel dare vita a “scelte pubbliche” in processi decisionali collettivi. Per l’economista indiano qualsiasi progetto di sviluppo passa necessariamente attraverso, consenso, scelte condivise e pubblici dibattiti.
    Alla seconda critica, che ha trovato in Carl Menger e Friedrich Hayek i più fedeli sostenitori, Sen risponde distinguendo tra conseguenza non voluta e conseguenza imprevedibile: nello scambio entrambe le parti possono prevedere il beneficio della controparte anche se non vogliono tale beneficio. “Se viene intesa così (ossia come previsione di conseguenze importanti ma non intenzionali), l’idea di conseguenza non voluta non si contrappone in alcun modo alla possibilità di riforme razionali; anzi, è vero il contrario. Il ragionamento economico e sociale è senz’altro in grado di tener conto di conseguenze che possono essere intenzionali ma derivano ciononostante da determinati assetti istituzionali, e gli argomenti pro e contro un particolare assetto possono essere meglio valutati prendendo nota della probabilità di una serie di conseguenze non volute.” (Sen, 2000, p.257).
    La terza critica che ha che fare con il concetto di motivazione del comportamento umano sostiene che l’uomo è interessato solo alla propria persona. Questa visione è assolutamente semplicistica ed è difficilmente difendibile sul piano empirico. “Ogni sistema economico ha certe esigenze di etica del comportamento; il capitalismo non fa eccezione, e i valori possono influenzare le azioni individuali in modo molto pronunciato.”(2000, p. 279).
    E’ importante per Sen considerare tutti i fattori che influenzano il “comportamento reale” dell’uomo che è fatto di egoismo ma anche di valori morali. Non considerare l’etica e i valori significa mortificare le stesse scelte individuali.
    Superando queste tre critiche l’economista indiano individua le strade dello sviluppo in una via democratica: “scelta sociale”, discussione pubblica e impegno sociale.
    “La politica dello stato ha un ruolo non solo quando mira a mettere in pratica le priorità derivanti da valori e principi sociali, ma anche in quanto facilita e garantisce discussione pubblica più completa.” In concreto le politiche pubbliche per lo sviluppo devono favorire questo dibattito, attraverso riforme che hanno come obiettivi la libertà di stampa e l’indipendenza dei media, l’espansione dell’istruzione, lo stimolo all’indipendenza economica (attraverso salari minimi garantiti o politiche di occupazione). Tutte quelle riforme che producono “trasformazioni sociali ed economiche che aiutano gli individui a essere cittadini partecipi” sono auspicabili per lo sviluppo. “Al centro di un simile approccio c’è l’idea dell’opinione pubblica come forza attiva di cambiamento, anziché oggetto passivo e docile di istruzioni, o di un’assistenza elargita dall’alto.
    Alla luce di questi ragionamenti per Sen la libertà individuale assume un’importanza sociale dato che diventa impegno dei singolo individui nelle decisioni pubbliche. Lo stesso Bauer aveva sottolineato come l’obiettivo dello sviluppo economico sia l’estensione delle scelte individuali. Purtroppo si è spesso confuso questo obiettivo come un ampliamento quantitativo delle scelte di consumo concentrando l’attenzione solo sulla crescita economica, eludendo tutte quelle scelte che considerano la “dimensione etica” dell’uomo. L’economista indiano ribadisce l’importanza di porre al centro del discorso sullo sviluppo la libertà perché essa porta in sé l’aspetto processuale e possibilititante della libertà stessa, andando oltre il concetto di sviluppo come crescita. I processi fondamentali per lo sviluppo, come la partecipazione alle decisioni pubbliche e le scelte sociali, non sono mezzi ma fini dello sviluppo stesso.
    L’importanza delle varie istituzioni sociali – organismi politici, media, apparati giudiziari, la comunità, etc.. – è fondamentale quando, contribuendo al processo di sviluppo, stimolano e sorreggono le libertà individuali. L’analisi dello sviluppo esige “una comprensione integrata dei ruoli di queste istituzioni e delle loro interazioni”.
    Il pensiero di Sen è ben riassunto da lui stesso nell’osservazione finale: “Fra le caratteristiche della libertà c’è anche quella di presentare aspetti tra loro eterogenei, legati ad una grande varietà di attività e istituzioni. Non ne possiamo estrapolare una concezione dello sviluppo immediatamente traducibile in una - “formuletta” - per l’accumulazione del capitale o l’apertura dei mercati o una pianificazione economica efficiente. Il principio organizzativo che unisce in un corpus integrato i frammenti sparsi è dato dalla preoccupazione, a tutti sovraordinata, per uno sviluppo delle libertà individuali e per un impegno della società a realizzarlo. E’ importante che ci sia questa unità; ma, allo stesso tempo, non possiamo perdere di vista il fatto che la libertà è un concetto intrinsecamente multiforme, che comporta sia elementi processuali, sia la presenza di possibilità concrete.” (2000, p. 297)
    Lo sviluppo è liberta e la libertà individuale deve essere impegno sociale attraverso quella che nei prossimi capitoli si individuerà come “democrazia economica” e partecipazione.

    4 La “real freedom”, o libertà reale, per l’economista francese Van Parijs, si inserisce in un’ottica libertaria di “sinistra” combinando l’individualismo della filosofia libertaria con un approccio sostanziale e non solo formale alla libertà, che finisce per avvicinarlo ad una qualche forma di (moderato) egualitarismo

    5 Il teorema dell’impossibilità di Arrow s'inserisce nell'ambito dell'ampio dibattito sulla difficoltà di trasformare nel modo più corretto e coerente possibile le preferenze individuali dei cittadini su temi di interesse generale, in decisioni collettive. Più precisamente, il teorema arriva a dimostrare che non è sempre possibile determinare, nell’ambito delle scelte collettive, una maggioranza stabile ed univoca.



    Ps: Da: "Sviluppo civile: per una critica simpatetica del paradigma dello sviluppo" 2008. Il copyright è mio.

  2. #2
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    Adesso spiegami perché la libertà non deve essere negativa, cioè libertà dall'aggressione (e qui cade fragorosamente tutto il discorso di Sen) anziché la libertà imposta di van Parjis.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da (Controcorrente Visualizza Messaggio
    Adesso spiegami perché la libertà non deve essere negativa, cioè libertà dall'aggressione (e qui cade fragorosamente tutto il discorso di Sen) anziché la libertà imposta di van Parjis.
    Dove avrei scritto che non deve essere anche negativa??

  4. #4
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    elimina liberalismo di "destra" inserendo classical liberalism.

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    Citazione Originariamente Scritto da (Controcorrente Visualizza Messaggio
    elimina liberalismo di "destra" inserendo classical liberalism.
    Già fatto. Temo di aver postato la versione prima dell'ultima correzione.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Tambourine Visualizza Messaggio
    Dove avrei scritto che non deve essere anche negativa??
    E' evidente che chi non considerà libertà quella di morire di fame non ritiene la libertà negativa libertà.

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da (Controcorrente Visualizza Messaggio
    E' evidente che chi non considerà libertà quella di morire di fame non ritiene la libertà negativa libertà.
    Io credo sia vero il contrario: chi ritiene che si possa essere liberi di morire di fame non ritiene che la libertà negativa sia libertà. Libertà negativa e libertà positiva sono fortemente correlate. Chi ignora la prima o la seconda nega la libertà stessa.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Tambourine Visualizza Messaggio
    Io credo sia vero il contrario: chi ritiene che si possa essere liberi di morire di fame non ritiene che la libertà negativa sia libertà.
    Ma allora secondo te libertà negativa non è libertà da.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da (Controcorrente Visualizza Messaggio
    Ma allora secondo te libertà negativa non è libertà da.
    Ma certo che è libertà da ma intendevo dire che se non si considera minimamente la libertà positiva si rischia, nella realtà, di non aver più nessuna libertà negativa da difendere.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da (Controcorrente Visualizza Messaggio
    elimina liberalismo di "destra" inserendo classical liberalism.
    Non è male, invece, a mio personalissimo parere, chiamarlo Liberalismo di Destra (Giusnaturalista),in oppposizione al Liberalismo di Sinistra (Utilitarista). Naturalmente il Liberalismo vero è quello di Destra, quello di Sinistra è praticamente SocialDemocrazia.


 

 
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