Cassazione Penale, sentenza n. 33748/2005:
concorso esterno nel reato associativo, la giurisprudenza di legittimità si attesta su posizioni consolidate
(dott. Filippo Di Camillo)
La configurabilità del concorso esterno nei reati associativi ha da sempre rappresentato terreno di ampi e complessi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, nel corso dei quali sono emerse posizioni talvolta diametralmente opposte. Nelle loro accezioni più estreme gli orientamenti espressi dagli studiosi e dagli operatori del diritto sono arrivati a negare la possibilità di ammettere il concorso eventuale nei reati associativi – assimilando le condotte dei concorrenti esterni a quelle degli “affiliati”, interni all’associazione - ovvero ad ammetterlo entro confini piuttosto ampi, che avvicinano, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, i soggetti interni alla societas sceleris a quelli che apportano un intervento adesivo esterno, pur mantenendo in vita delle opportune ma sottili distinzioni tra gli uni e gli altri.
Occorre, quindi, per un corretto inquadramento della problematica sottesa all’individuazione delle ipotesi di concorso esterno nei reati associativi, fornire all’interprete i parametri alla stregua dei quali tracciare un “identikit”della partecipazione esterna, operazione che richiede un raffronto tra la figura del partecipe in senso stretto – il c.d. affiliato o concorrente necessario – e il concorrente esterno ed eventuale.
La norma di riferimento in tema di reati associativi è rappresentata dall’art. 416 c.p. (associazione per delinquere), che delinea una tipologia delittuosa necessariamente plurisoggettiva, richiedendosi, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la presenza di un vincolo associativo tra tre o più soggetti finalizzato alla commissione di più delitti. Il pactum sceleris coinvolge quindi quei soggetti che, riunitisi in un sodalizio criminoso, agiscono nella piena coscienza e volontà di farvi parte in maniera permanente (dolo generico) con l’intenzione di contribuire, attraverso la realizzazione di una serie anche indeterminata di delitti, all’attuazione del programma criminoso (dolo specifico).
La dottrina maggioritaria, alla luce del dato testuale emergente dall’art. 416 c.p., ha sempre ritenuto che a qualificare una determinata condotta come “partecipativa interna e necessaria”, distinta da quella “concorrente esterna ed eventuale”, contribuissero due elementi qualificanti: il primo, oggettivo, individuabile nel requisito della permanenza nella illicita societas, ossia nello stabile inquadramento del soggetto agente nell’organizzazione criminale, circostanza desumibile da indici fattuali esteriori e oggettivamente accertabili; il secondo, meno agevole a verificarsi, ravvisabile nell’elemento psichico che sorregge la condotta del soggetto partecipe dell’associazione, dato dalla commistione di due elementi soggettivi coessenziali, ossia il dolo generico di aderire al programma tracciato dall’associazione e il dolo specifico di contribuire, fattivamente, a realizzarlo.
Sembra chiaro che la figura dell’affiliato sia, a tenore di siffatta teoria, evincibile dalla verifica della contestuale sussistenza dei requisiti, oggettivi e soggettivi, che si avvincono in un unico profilo, in grado di circoscrivere la figura del partecipe ed isolarla da quella del semplice concorrente esterno.
Ne discende che l’individuazione delle ipotesi di concorso esterno nel reato associativo (date dalla combinazione delle fattispecie di parte speciale di cui agli artt. 416 ss. c.p. con l’art. 110 c.p.) dovrebbe avvenire attraverso un processo per viam negationis: la fattispecie del concorso esterno sarebbe residuale rispetto alle fattispecie specifiche di cui agli artt. 416 ss., sussistendo la prima in tutte le ipotesi in cui non sia possibile ascrivere al soggetto agente gli elementi soggettivi ed oggettivi che, viceversa, qualificano le seconde.
Ad una definizione positiva delle condotte in correità esterna ha contribuito in gran parte la produzione giurisprudenziale, che attraverso una complessa evoluzione, ha effettuato pregevoli tentativi dogmatici di inquadramento della figura del concorrente esterno, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Più o meno unanimemente la giurisprudenza di legittimità ha delineato l’elemento oggettivo del concorso esterno ripercorrendo gli iter argomentativi propinati dalla dottrina maggiormente condivisa, volti a descrivere il ruolo del compartecipe interno e a rendere desumibile a contrario la figura del concorrente esterno: nella pronuncia a Sezioni Unite n. 16 del 28.12.1994 (sentenza Demitri) la Corte di Cassazione sottolinea la diversità di ruoli tra partecipazione all’associazione e concorso eventuale materiale, attribuendo ai soggetti “intranei” alla societas sceleris una posizione determinante nella “fisiologia” dell’associazione - fornendo gli stessi un apporto quotidiano o comunque assiduo, insostituibile o quantomeno agevolante, alla realizzazione dei fini associativi – e ai soggetti “extranei” un ruolo sostitutivo, non sorretto dalla volontà di far parte dell’associazione, ma asservito a quest’ultima nei momenti di “fibrillazione” o vuoti temporanei che fanno entrare la societas in una fase patologica.
Un chiarimento circa l’elemento soggettivo nel concorso esterno è invece apportato dalla pronuncia a sezioni unite n. 22327 del 21.5.2003 (sentenza Carnevale), che, prendendo le distanze dai precedenti indirizzi che ritenevano sufficiente - ai fini della sussistenza dell’integrazione dell’elemento psichico - la mera consapevolezza dell’altrui finalità criminosa, richiede come indice necessario anche la coscienza e la volontà dell’efficienza causale del proprio contributo rispetto al conseguimento degli scopi dell’associazione (c.d. concezione monistica del concorso di persone nel reato). Si esige che il concorrente esterno, pur sprovvisto dell’affectio societatis e cioè della volontà di far parte dell’associazione, si renda compiutamente conto dell’efficacia causale del suo contributo, diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio.
La Corte dei diritti delinea quindi una forma di dolo diretto in forza del rilievo che il concorrente, pur rimanendo esterno alla struttura organizzativa dell’associazione, deve far proprio, anche solo parzialmente, il dolo generico consistente nella consapevolezza e nella volontà del proprio contributo alle fortune dell’associazione. Non si trascuri, poi, che nell’apparato argomentativo della pronuncia del 2003, si sottolinea chiaramente che l’intervento del concorrente esterno può sostanziarsi anche in una attività continuativa e ripetuta; particolare, quest’ultimo, che palesa l’assottigliamento delle differenze tra intraneus ed extraneus all’associazione, rendendone labili i confini discretivi.
Una parte della dottrina non ha mancato di rilevare, infatti, che il tentativo dogmatico effettuato dalla Corte, contrariamente agli intenti chiarificatori, ha sortito ulteriori profili di incertezza intorno alla figura del concorrente esterno, soprattutto in relazione alla figura dell’affiliato interno.
Proprio sul versante del dolo diretto delineato dai giudici di Piazza Cavour sembrano affiorare le maggiori perplessità, legate, ancora una volta, alla vexata quaestio della distinzione tra soggetti intranei e soggetti extranei all’associazione criminosa: i contorni dell’elemento soggettivo richiesto ai fini della chiamata in correità esterna, invece di contribuire a tracciare un contegno psichico liminare a quello del partecipe interno, si intrecciano con quest’ ultimo, creando una sorta di sovrapposizione tra la rappresentazione e volizione del “concorrente interno necessario” e quella del “concorrente esterno eventuale”.
Si vuol dire, in altre parole, che l’aver elevato la condivisione psicologica della realizzazione (anche parziale) del programma criminoso a requisito essenziale della condotta del concorrente esterno, non ha fatto altro che confondere i due piani, quello della partecipazione interna, anch’essa sorretta dalla condivisione del programma criminoso, e quello del concorso esterno.
La tendenziale elisione delle differenze tra affiliati e concorrenti, sul piano rappresentativo e volitivo della condotta penalmente rilevante, inferisce una maggiore importanza alla valutazione dell’elemento oggettivo, che sembra esser rimasto unico discrimen tra associati e correi esterni.
I rilievi dottrinali espressi in questa sede sembrano non aver dato adito a ripensamenti giurisprudenziali degni di nota, atteso che, anche la recentissima sentenza n. 33748 del 20.09.2005 (chiamata a pronunciarsi su un noto caso di concorso esterno in associazione mafiosa) ha ripercorso, confermandole in linea di principio, tutte le argomentazioni addotte dalla precedente giurisprudenza a sostegno delle tratteggiate differenze tra condotte partecipative avvinte nello stabile vincolo associativo e fattispecie concorsuali atipiche.
Chiara la differenza, sotto il profilo oggettivo, tra partecipe necessario e concorrente eventuale: “si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo “è” ma “fa parte” della (meglio ancora: “prende parte” alla) stessa” (…….). Sul piano probatorio, poi, rilevano, ai fini della partecipazione, “tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, variegati e però significativi “facta concludentia”) dai quali sia lecito”.
Queste, invece le conclusioni sull’accertamento dell’elemento soggettivo del concorrente esterno:
“La particolare struttura della fattispecie concorsuale comporta infine, quale essenziale requisito, che il dolo del concorrente esterno investa, nei momenti della rappresentazione e della volizione, sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte altrui nella produzione dell’evento lesivo del “medesimo reato”.
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Il prete non faceva niente gratis
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/7588/48/
Grancini e Accomando avevano un asso nella manica: il gesuita Ferruccio Romanin. Il sacerdote firmava lettere accorate a difesa degli imputati caldeggiando soluzioni "benevole" dietro lauto compenso per la sua parrocchia sotto forma di "donazioni" registrate su tanto di carta intestata della chiesa.
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Tratto da: l'Unita' 18 giugno 2008
Le lettere di padre Ferruccio
L'interessamento per Epifanio Agate figlio del mafioso di Mazara del Vallo
PALERMO A proposito dell'interessamento di padre Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant'Ignazio di Lojola, in Roma, per Epifanio Agate, figlio di Mariano Agate, massone e boss di Mazara del Vallo.
Nota a mano, vergata dal sacerdote e indirizzata ad Accomando: " A Accomando Michele. Per l'aiuto richiestoci dalla signora Pace Rosa e dalla fidanzata Francaviglia Rachele sarà nostra premura fare tutto l'impossibile per aiutare il giovane Epifanio Agate". Il testo viene trasmesso proprio dal faccendiere Grancini ad Accomando, via fax, dall'Hotel Metropol di Roma (23 maggio 2006) .
Ma si pone il problema di giustificare la conoscenza (inesistente) fra padre Ferruccio ed Epifanio Agate, in modo da rendere credibile l'intervento del gesuita. Conversazione fra Accomando e Grancini (29 maggio 2006). Grancini: " che rapporto c'è fra padre Ferruccio e la persona... capito? come si è creato..."Accomando: " ho capito...". Grancini: " perché ci deve essere un'amicizia, capito? Che loro sono venuti a Roma, che si volevano sposare lì in Chiesa, cioè tutta una cosa... perché se no dice: che rapporto c'è: tra questi e quegli altri?". E la lettera poi avrebbe dovuto essere consegnata a Reggio Calabria a "una persona" che aveva un appuntamento con un "innominabile". Si indaga in proposito.
Ieri, in conferenza stampa a Roma, il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha dichiarato: " allo stato" non ci sono politici coinvolti.
Padre Romanin, lettera del 7 giugno 2006: " Sono rimasto colpito dalla vicenda giudiziaria che ha colpito questo ragazzo e dal profondo dolore di queste due donne. Mi pregano di scrivere alle Vostre Ill. Signorie per un atto di clemenza e di perdono nei confronti di Agate Epifanio. Il ragazzo l'ho conosciuto presso la Chiesa di sant'Ignazio qui a Roma, dove Epifano era venuto con la fidanzata, per sentire se il loro matrimonio poteva essere celebrato in questa Chiesa...Ho avuto l'impressione che fosse un ragazzo a posto, pieno di vita e pieno di progetti con la sua futura moglie, con una certa venerazione del nostro fondatore Sant'Ignazio... Non voglio essere giudice di nessuno, e del suo operato, ma per quello che ho intuito non penso si meritasse un trattamento così pesante..." E chiede "equità e perdono, dandogli un'altra possibilità per alleviare, nel perdono e nella clemenza, il dolore atroce di una madre e della fidanzata". Chi erano le Illustrissime Signorie? Si indaga. Comunque sia: sante parole, soprattutto spontanee. Non c'è che dire.
Ah bene, vedo che hai già fatto il processo, hai accertato i fatti, hai già emesso le condanne? Pagliaccio, vergognati. Tu hai il coraggio di scrivere "il prete non faceva niente gratis" : è stato accertato in una sentenza? per questa spazzatura che scrivi sai che ti potresti beccare una bella denuncia vero? Adesso capisco il tuo rimestare nella melma come i confidenti delle qeusture e buttarla nei forum. E tu saresti un avvocato? questa squallida operazione che tu fai ha un solo nome: calunnia e diffamazione.
Finché i fatti non sono accertati in sentenza passata in giudicato, tu hai un solo diritto: di spandere questo letame altrove.
E ripeto: l'accusa quale sarebbe? La bufala del concorso esterno in associazione mafiosa? ma fammi ridere. Come le panzane verso tanti imputati eccellenti poi assolti per queste accuse ridicole? Ma dove vivi tu? ma vuoi fare il Travaglio dei poveri? ma vavaà, và a girare và...capisci di diritto come Trapattoni di fisica nucleare.
Amico Hans guarda che mica l'ho detto io che il prete prendeva soldi. E ci sono magistrati e giornali che dicono che li prendeva per raccomandare mafiosi e aggiustare processi.
Il gesuita a di che accusare qualcuno di calunnia? Lo faccia, accusi i magistrati e i giornalisti, no?
Non c'è mica bisogno della condanna in Cassazione per dire, ad esempio, che don Cantini è un prete pedofilo che ha violentato decine di bambini e ragazzini. Lo disse persino mons. Fisichella ad Annozero che quel prete, allora nemmeno indagato, era un farabutto criminale.
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Grancini e Accomando avevano un asso nella manica: il gesuita Ferruccio Romanin. Il sacerdote firmava lettere accorate a difesa degli imputati caldeggiando soluzioni "benevole" dietro lauto compenso per la sua parrocchia sotto forma di "donazioni" registrate su tanto di carta intestata della chiesa.
Non fare il furbastro da quattro soldi, che se in udienza vali come vali qui, non ti raccomanderei nemmeno ad uno accusato per vistoso e lampante errore giudiziario.
Se io mi metto domani a sputtanarti sui giornali e organizzo falsi testimoni, e poi vengo qui a dire che sei un farabutto, quando ancora non si è instaurato il processo, mi sa che tu ti incazzeresti un pochino con me, che dici? allora piantala di fare il raccoglitore di letame e relativo spanditore, che fai solo pena.
A quelli come te che vanno avanti a cialtronerie sono solito citare una frase che disse il sen. Dell'Utri ad un "giornalista" che gli rompeva le scatole accusandolo di rapporti con la mafia (le stesse bufale che tu raccogli da siti spazzatura e vieni a gettare qui spacciandole per verità):
"Che io sia mafioso è incerto, perchè lo deve accertare una sentenza; ciò che invece è certo è che Lei è uno stronzo"
E salutami don Romanin e i tuoi amici don Stefanoni e compagni di merende
Palermo. E' stata perquisita dagli investigatori la sede del circolo del buon governo di Marcello Dell'Utri, di Orvieto, fondata da Rodolfo Grancini accendiere umbro finito in manette nell'ambito dell'indagine sull'organizzazione criminale che avrebbe tentato di ritardare la trattazione di alcuni processi, alcuni a carico delle cosche agrigentine e trapanesi, pendenti davanti alla II sezione della Cassazione. Gli inquirenti hanno sequestrato computer e documenti ritenuti 'molto interessanti' ai fini dell'inchiesta. Dall'indagine è emerso che il circolo, ufficialmente chiuso da un anno, sarebbe stato, invece, in piena attività. All'associazione erano iscritte centinaia di persone di tutta Italia. Insieme a Grancini, che sarà interrogato domani a Roma, sono state arrestate altre 7 persone, tra le quali un addetto alla cancelleria della Cassazione, una poliziotta in servizio alla Direziona anticrimine e un ginecologo palermitano. I magistrati della Dda di Palermo che coordinano l'indagine hanno contestato agli indagati, a vario titolo, i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio.
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