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    Bieco reazionario colonialista
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    Exclamation La Russia? Rischia l'islamizzazione

    L'Islam in Russia nel 2020
    Scritto da GRRG lunedì 16 giugno 2008



    Il presente testo è un’ampia sintesi dell’articolo Islam in Russia in 2020 a firma di Alexey Malashenko (collaboratore del Carnegie Centre di Mosca), inserito in Between Suicide Bombings and Burning Banlieues: The Multiple Crises of Europe’s Parallel Societies, Working Paper n. 22 (giugno 2006) dell’European Security Forum (Esf). In esso l’autore analizza l’influenza del fattore islamico nel processo socio-politico in Russia. In Russia l’influenza del “fattore islamico” sul processo socio-politico è da tempo un dato acquisito, anche tra la popolazione; ciò suscita non pochi timori, specie in relazione agli episodi di terrorismo legati all’estremismo religioso. Al contempo, le manifestazioni di matrice islamica e i tentativi dei politici e del clero musulmani di fornire un’interpretazione religiosa alle contraddizioni e ai conflitti hanno favorito la lenta ma costante crescita dell’influenza dell’islam nella società e nella politica. (Esempio emblematico è la guerra in Cecenia, presentata come jihad dai separatisti e considerata da alcuni politici russi come “scontro di civiltà”).
    Stando al censimento del 2002, in Russia vi sono 14,5 milioni di musulmani; in realtà se si considerano anche gli immigrati si arriva a 19-20 milioni di persone, pari al 12% della popolazione. In Russia non esiste una comunità musulmana consolidata con un epicentro religioso comune. La società islamica del paese consta di due grandi gruppi: il primo si trova nella regione compresa tra il Volga e gli Urali, nella Siberia occidentale e a Mosca, dove vivono tartari e bashkiri; il secondo nei territori del Caucaso del Nord. La principale etnia islamica in Russia è quella tartara (7 milioni di persone), seguita dai bashkiri (circa 1,5 milioni) e, tra i caucasici, dai ceceni (1 milione). Negli ultimi anni si è verificata una migrazione dei musulmani nord-caucasici verso la Russia centrale. Tale fenomeno ha deteriorato i rapporti intra- e inter-etnici tra i musulmani.
    La breve storia dell’islam in Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica può essere suddivisa nelle seguenti fasi:
    - Inizio del revivalismo religioso, rapido aumento delle moschee, formazione di un sistema di istruzione islamico e maggior incidenza della religione nei comportamenti sociali.
    - Politicizzazione dell’islam. A metà degli anni ’90 sono comparsi gruppi politico-religiosi su base nazionale come l’Unione dei musulmani di Russia, il movimento Nur e il partito Refakh, come pure organizzazioni politico-religiose regionali. È in questo periodo che si forma il movimento islamista, scaturito in parte dalla guerra in Cecenia. Islamisti hanno cominciato ad operare in Daghestan, in Kabardino-Balkaria e in Inguscezia, e centri islamisti hanno fatto la loro comparsa anche nei territori abitati dai tartari.
    - Drastico calo tra il 2000 e il 2002 della politicizzazione islamica e perdite ingenti tra gli islamisti nord-caucasici durante la seconda campagna in Cecenia.
    - Ripresa dell’attività dei radicali islamici a partire dal 2003. Cresce il numero di jamaat (‘gruppi’) nel Caucaso del Nord, e si intensificano le attività degli islamisti della regione del Volga, nonostante fossero considerati quasi del tutto dispersi alla fine degli anni ’90.
    L’ideologia radicale di alcuni musulmani in Russia si è dimostrata più radicata di quanto si pensasse. A ciò hanno contribuito vari fattori:
    - Un’osservanza più rigida contribuisce a risvegliare l’interesse verso tendenze religiose al di fuori dell’islam tradizionale.
    - Formazione tra le giovani generazioni di un clero musulmano di varia natura proveniente dal mondo arabo. I giovani laureatisi nelle università dell’Arabia Saudita, dell’Egitto e della Turchia offrono ai loro compatrioti versioni diverse e più radicali dell’islam (tra cui l’hanbalismo), come pure un islam senza maskhab (‘dottrina’), ossia il salafismo.
    - I gruppi locali, soprattutto nel Caucaso del Nord, continuano a promuovere un’organizzazione della società basata sulla sharia e a predicare che la giustizia sociale può essere garantita solo attraverso l’islam.
    - L’islam si presenta come l’unica forma di protesta contro l’ingiustizia del potere centrale e locale e contro la sua corruzione.
    - I finanziamenti continuano ad arrivare dall’estero.
    - L’attività degli estremisti contribuisce a mantenere il clima di scontro tra islam e Occidente.
    Nonostante l’eterogeneità dei musulmani russi, sono proprio i radicali a far superare l’isolamento tra tartari e caucasici. L’interpretazione non tradizionale dell’islam diffusa attualmente in tutta la Russia trascende i confini etnico-culturali e consolida le comunità musulmane grazie all’ideologia radicale. Nello stesso tempo, si intensificano i contatti tra gli estremisti russi e quelli dell’Asia centrale; ciò è da ricollegarsi alla comparsa periodica di emissari di Hizb ut-Tahrir al-Islami (Partito islamico di Liberazione) nella regione del Volga e negli Urali del Sud.
    Ovviamente, il processo di integrazione basato sull’ideologia radicale è pericoloso poiché, appoggiando tendenze estremiste, fomenta la destabilizzazione. Infatti, le simpatie dei musulmani si rivolgono spesso agli islamisti proprio perché costoro promuovono il miglioramento del loro status sociale e garantiscono giustizia sociale attraverso l’islam: gli islamisti diventano così i paladini dei settori più disagiati della popolazione conquistando popolarità grazie al confronto con le autorità, tanto che nel Caucaso del Nord si ha la percezione che gli islamisti locali siano l’unica forza davvero temibile da parte delle autorità.
    Le maggiori chance per l’islamismo si trovano nel Caucaso del Nord. Alla fase di stallo della guerra in Cecenia corrisponde una rinascita dell’attività islamista nell’intera regione: le autorità che dal 1999 combattono militarmente i wahhabiti non sono riuscite a prevenirne l’espansione. Gli islamisti sono quindi divenuti il potere politico di fatto. Il nuovo leader dei separatisti, Abdul-Khalim Sajdullaev, succeduto ad Aslan Maskhadov, punta alla creazione di un “fronte caucasico” del jihad. Non esiste ancora un fronte comune, ma aumenta il coordinamento tra i vari gruppi islamisti nelle repubbliche separatiste.
    Si registra inoltre un’evoluzione nella percezione del proprio ruolo da parte degli islamisti: aumenta il numero di coloro che credono di combattere non contro l’amministrazione locale e Mosca bensì di far parte del jihad globale; il che eleva il loro status non solo ai loro occhi ma anche a quelli delle autorità locali e federali, le quali proclamano di combattere non contro volgari criminali ma contro l’“avanguardia” del terrorismo internazionale.
    Negli ultimi due anni, i servizi speciali russi hanno decapitato la leadership dei jamaat in Daghestan, Inguscezia e Kabardino-Balkaria, e hanno anche eliminato diversi comandanti in campo ceceni. Tuttavia, si ha la sensazione che le autorità non abbiano raggiunto l’obiettivo principale, ossia bloccare l’adesione dei giovani tra i 18 e i 20 anni all’islamismo. Infatti si è verificato un “ringiovanimento” dell’islamismo, come è avvenuto, ad esempio, nella regione del Volga, dove i seguaci fanno capo a imam giovani e radicali.
    Tutto il variegato universo islamico russo vive ancora lo scontro intra-musulmano, tra i tradizionalisti e quanti tentano di educare la popolazione ad un “islam arabo”. Da notare che l’emergere di una tendenza liberale all’“euro-islam” non gode dell’appoggio del clero, ed è ignota ai più rimanendo invece relegata alla cerchia ristretta dell’intellighenzia secolare.
    In un certo senso, l’evoluzione in corso nell’islam russo è da ricollegarsi a un divario generazionale: agli imam di 40-50 anni che si sono affermati durante la perestroika si contrappongono giovani ambiziosi, conoscitori dell’arabo, esperti di fiqh e sharia, e dotati di elevate capacità di predicazione.
    I seguaci dell’islam tradizionale si preoccupano soprattutto dello stato del processo educativo, dei programmi di istruzione di molte madrasse e istituti e della pletora di libri che divulgano le idee di fondamentalisti islamici tradizionali quali Sayyid Qutb e Yusuf Qaradawi. Questa situazione riguarda non solo la Russia ma tutti gli Stati musulmani dell’area post-sovietica, dove sono state avviate iniziative educative e informative volte ad allontanare i credenti dall’influenza degli islamisti.
    Nell’ultimo decennio, i musulmani russi si sono battuti per l’integrazione nell’ummah. In alcuni casi, questa aspirazione collide con la politica ufficiale di Mosca: ad esempio, l’élite politica e clericale musulmana si è opposta alla politica filo-serba del Cremlino, esprimendo al contrario solidarietà ai musulmani in Bosnia e in Kosovo; di contro, gli islamisti hanno appoggiato la posizione del Cremlino nel conflitto sull’intervento in Iraq nel 2002. Di recente, in occasione della guerra delle vignette sul profeta Maometto del 2006, i musulmani russi hanno solidarizzato con i loro correligionari e il primo ministro della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha espulso dal paese la missione umanitaria danese; decisione da cui Mosca ha preso le distanze.
    Il principale obiettivo dell’ummah resta ovviamente il conflitto in Medio Oriente. Dopo l’appoggio incondizionato dato alla Palestina dall’Unione Sovietica, i musulmani russi sono rimasti delusi dalla nuova politica di equidistanza adottata da Mosca; per questo è stato accolto con particolare soddisfazione l’invito di Putin ad Hamas ad inviare una delegazione a Mosca dopo la vittoria elettorale. (Tra l’altro Hamas non figura nella lista russa delle organizzazioni terroristiche).
    Nel 1998-99 l’Unione dei musulmani di Russia ha compiuto il primo tentativo, infruttuoso, di far entrare la Russia nell’Organizzazione della Conferenza islamica (Oci); nel 2002-03 l’iniziativa è stata patrocinata dal Ministero degli Affari esteri con il beneplacito di Vladimir Putin. Nonostante la Russia non abbia ancora ottenuto lo status di osservatore dell’Oci, il solo fatto che se ne sia discusso dà ai musulmani russi una ragione in più per riconoscersi quale membro a pieno titolo dell’ummah.
    Il senso di appartenenza all’islam diviene quindi più forte dell’appartenenza nazionale. In Russia, Stato multiconfessionale, queta contraddizione è accentuata dai complessi rapporti tra le principali religioni. L’uguaglianza di tutte le confessioni sancita dalla Costituzione non sempre viene osservata. La Chiesa ortodossa russa, cui appartiene la maggioranza della popolazione, reclama un ruolo preponderante nella società e nella costruzione dello Stato-nazione. Il capo della Chiesa ortodossa, il patriarca Alessio II, può essere annoverato tra i primi quindici uomini politici del paese, e la Chiesa è presente nell’esercito e nella scuola elementare influenzandone i programmi di istruzione. In certi casi esponenti della Chiesa ortodossa sono riusciti in qualche modo a ostacolare la costruzione di nuove moschee, la registrazione di organizzazioni islamiche e la creazione di centri islamici.
    Tutti questi episodi non possono non irritare l’élite musulmana. Dietro alla facciata del dialogo inter-religioso si nascondono aspri conflitti che, di quando in quando, trapelano sui quotidiani e sulle riviste e nei discorsi di alcuni rappresentanti del clero.
    Il conflitto più recente è stato quello sui simboli russi: la corona e il globo sormontato dalla croce rappresentanti l’emblema nazionale. Nell’autunno 2005 un’organizzazione tartara ha chiesto la rimozione dei simboli del cristianesimo dall’emblema di Stato. Ne è nata un’accesa disputa sfociata nell’inasprimento dei rapporti tra musulmani e ortodossi.
    La Russia, d’altra parte, non ha evitato neanche la guerra sul “velo”. L’Unione delle Donne tartare musulmane ha chiesto che alle donne fosse consentito di essere fotografate con il velo per i documenti ufficiali. Le autorità hanno agito con prudenza accogliendo la richiesta, troncando così sul nascere dibattiti che avrebbero fatto guadagnare alla causa delle donne tartare la simpatia della società civile.
    Un altro tentativo di diffondere lo stile di vita islamico è stato la richiesta di legalizzare la poligamia. Si tratta di un tema dibattuto sin dalla metà degli anni ’90. Nel 2005 Kadyorv ha difeso il diritto alla poligamia adducendo ragioni demografiche: il numero di donne in Cecenia è dieci volte superiore a quello degli uomini, quindi la poligamia è l’unico modo per evitare l’estinzione.
    Al di là delle singole questioni, il reinserimento di un modello islamico di condotta sociale è una realtà. Anche se all’inizio degli anni ’90 alcuni politici e analisti ritenevano che si trattasse solo di una “moda”, la re-islamizzazione dei musulmani russi si è rivelata più profonda di quanto si pensasse.
    Cosa accadrà nel 2020? Il numero dei musulmani salirà a circa 25 milioni di persone. Ora, se si considera che la popolazione russa complessiva diminuirà a 130 milioni, se ne deduce che la percentuale di musulmani sarà del 17%-19%. Contemporaneamente, si verificherà la conversione all’islam, soprattutto di persone provenienti dal Caucaso.
    In futuro si registreranno due tendenze: da un lato, si avrà l’infiltrazione dei musulmani, in particolare caucasici, nella società russa; dall’altro, costoro tenderanno a preservare la propria identità etnica, specie nella prima fase. Di qui, l’emergere di una nuova generazione di politici che rappresenteranno gli interessi di vari gruppi su base etnico-confessionale. Potrebbero nascere movimenti semi-religiosi, che non avranno però una natura intrinsecamente separatista.
    La Russia e il resto del mondo non si “libereranno” dell’islam radicale, che continuerà ad esistere in varie forme, quali il wahhabismo, l’islamismo e il fondamentalismo. Tale fenomeno assumerà un carattere più spiccato nel Caucaso del Nord, sebbene centri di radicalismo religioso rimarranno anche nella regione del Volga, in virtù delle attività di predicazione di una nuova generazione del clero formatasi nei paesi arabi.
    Nei prossimi 15 anni il terrorismo di matrice religiosa continuerà a manifestarsi in Russia e nelle regioni circostanti. Ciò nonostante, le autorità dovranno avviare un dialogo sistematico con gli islamisti moderati. I rapporti etnico-confessionali rimarranno tesi e si verificheranno scontri diretti. E se l’amministrazione a tutti i livelli, i leader delle comunità etniche e le figure religiose di spicco temporeggeranno, tali conflitti saranno più frequenti e violenti fino a diventare “mini-guerre”.
    Parallelamente crescerà l’islamofobia, che diventerà parte della coscienza sociale e politica del paese, alimentata non solo da problemi etnico-confessionali ma anche da un reciproco pregiudizio tra Occidente e mondo musulmano. La Russia non diventerà uno Stato musulmano come taluni hanno predetto; nondimeno il “fattore islamico” si farà più visibile nella vita sociale e nelle scelte di svariati gruppi politici.
    www.GRRG.it
    http://www.legnostorto.com/index.php...2114&Itemid=29

    carlomartello

  2. #2
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    Se i soliti noti non finanziassero a scopo destabilizzante la diffusione del wahhabismo e di frange terroriste ed estremiste come in Cecenia, le quali non hanno niente a che fare con la forma dell'Islam storicamente presente in Russia e che ha sempre convissuto in modo costruttivo e pacifico nel quadro multiconfessionale russo, certi problemi e contrasti neanche si porrebbero.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da DharmaRaja Visualizza Messaggio
    Se i soliti noti non finanziassero a scopo destabilizzante la diffusione del wahhabismo e di frange terroriste ed estremiste come in Cecenia, le quali non hanno niente a che fare con la forma dell'Islam storicamente presente in Russia e che ha sempre convissuto in modo costruttivo e pacifico nel quadro multiconfessionale russo, certi problemi e contrasti neanche si porrebbero.
    Esatto, ma questo solo grazie alla diffusione delle confraternite sufiche che hanno assimilato l'islam e le loro tradizioni popolari, difatti c'è una tendenza da parte di queste confraternite all'obbedienza generale nei confronti del potere politico precostituito di turno (si tratti delle autorità della Federazione Russa o di qualche dittatorello filo-occidentale nel Terzo Mondo comunque...niente di che andare 'fieri', non è che nel caso russo lo fanno per antimondialismo o chi sa quale altra ragione) dovuta anche alla loro concentrazione sull'ascesi spirituale.

    Il problema a livello mondiale, che riguarda soprattutto noi e tutti i nostri discorsi, è il risveglio islamista e i suoi cappellani (dal 'moderato' Yusuf al-Qaradawi punto di riferimento della nostrana Ucoii al 'radicale' Osama bin Laden), che vuole ricostituire il califfato con la forza delle armi, laddove il modello rivoluzionario Maomettano, più precisamente l'islamismo politico-rivoluzionario degli al-Banna, Qutb, Maulana Maududi, Azzam et similia, diviene il vettore di potenziamento, organizzazione e riscossa delle masse di subumani razziali del "Sud" del mondo in cerca di rivincita e di rivalsa sul Nord del mondo ricco e progredito, sull'Europa e la sua Civiltà crociata e colonialista, sull'Uomo bianco imperialista.

    Questo è un problema che va affrontato e risolto, non lo risolvono gli articoli di Blondet che si limitano a distorcere e forzare la realtà che vuole il finanziamento diretto o meno da parte del mondo algossasone del jihadismo islamico in certi contesti geopolitici del passato.

    E non sperate, voi eurasiatisti muttiani, che i vostri amichetti mussulmani (quelli veri, non gli intellettuali di destra convertiti) vi appoggeranno mai sulle vostre posizioni circa Cecenia, Turkestan Orientale, etc (vi basti vedere le posizioni dell'Islamic Relief International in questi contesti di "destabilizzazione eurasiatica" come dite voi o in Bosnia e Kocobo durante la guerra).



    L’Europa e la Russia di fronte alla minaccia turco - islamica (Islamisme-Etats-Unis, une alliance contre l’Europe : Settimo Capitolo)
    Alexandre del Valle le 10/08/2000 Traduction : Michele Celini

    “La politica consiste essenzialmente nel prevedere. L’esperienza è la sola tecnicità possibile della politica Non esiste una nuova politica. C’è la politica e basta, fondata sull’esperienza storica,
    sulla conoscenza degli uomini e dei popoli”
    Jacques Bainville, Riflessioni sulla politica.



    Se non si dirà mai abbastanza a che punto le crisi del Golfo e dell’ex Yugoslavia hanno permesso alla Turchia di mettere in applicazione i suoi disegni espansionistici nel Medio Oriente e nei Balcani. A riguardo l’Irak, non si contano più le numerose incursioni antikurde effettuate dall’esercito turco in pieno territorio irakeno con la benedizione dell’OTAN e di Washington. Quanto all’ex Yugoslavia, dall’inizio del conflitto, il Presidente turco Suleyman Demirel cerca per tre volte di recarsi a Sarajevo per incontrarsi con l’islamista pro americano Alija Izetbegovic. Si vide anche la falsa laica Tansu Ciller, ex alleata dell’islamista Erbakan, mostrarsi in un emissione di un canale televisivo americano (CNN), in un operazione mediatica in favore della Bosnia musulmana, in compagnia di Benazir Bhutto. Ricordiamo anche, che durante l’estate 1994, il Presidente Demirel incontra, all’epoca della conferenza di Brioni, Izetbegovic e Tudjman, per formalizzare una rete d’alleanze di cui la funzione è di permettere ai Turchi di spiegare la loro presenza sul suolo europeo, fino qui limitata.

    Si assiste attualmente alla ricostituzione di una entità transnazionale turco - islamica nei Balcani, eredità diretta dell'Impero ottomano e di cui le ambizioni geopolitiche irredentiste costituiscono una minaccia grave per gli interessi delle nazioni europee frontaliere. Questo rischio serio non ha pertanto impedito a Bruxelles d'accettare, dal gennaio 1995, l'adesione della Turchia nell'Unione doganale europea, primo passo verso un integrazione della Turchia nell'Unione europea. Esiste una lobby pro turca nel cuore dell'Unione, lobby costituita dalla frangia la più atlantista e pro americana dei partiti politici europei occidentali (centristi, demo-cristiani, destra-conservatrice). L'Unione europea non ha pertanto alcun interesse strategico ad integrare nel suo seno uno Stato che conterà nel giro di qualche decennio più di 100 milioni di Musulmani. Le violenti manifestazioni anti - italiane, antifrancesi ed antieuropee per l'occasione in Turchia in seguito dell'arresto all'aeroporto di Fiumicino a Roma, del leader kurdo Abdullah Oçalan (1) il 12 ottobre 1998 e dopo il voto dell'Assemblea nazionale francese mirata a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno (giugno - luglio 1998), permettono di comprendere come realmente sono visti gli Europei.... Ciò non impedisce pertanto il Parlamento europeo di votare mercoledì 21 febbraio 1999 in favore di una partecipazione della Turchia ai programmi di formazione "Socrates" (ex Erasmus) e "Gioventù per l'Europa", che prevedono degli scambi tra studenti e professori del Continente. Nello stesso momento, il 15 febbraio 1999, Oçalan fu arrestato in Kenya dai servizi segreti turchi (MIT) spalleggiati dai Mossad e dalla CIA ed estradato verso la Turchia, dopo essere stato vigliaccamente abbandonato dai Governi italiano, tedesco e greco, incapaci di resistere alle minacce di Ankara costituendone un fronte di rifiuto con gli altri membri dell'Unione europea, questo contro la Turchia che non avrebbe potuto fare niente. "La Turchia ha riportato la vittoria, commenta l'ambasciatore Sergio Romano, certamente beneficiato dall'appoggio degli Stati Uniti" (2). Per il Professore Giorgio Mussa, specialista del mondo islamico e consulente vicino all'Unione europea, questo "dimostra la sottomissione strategica e psicologica dell'attuale Unione europea alla strategia d'islamizzazione e della libanizzazione forzata del Continente orchestrata dalla Turchia con l'appoggio e la benedizione degli Stati Uniti" (3).
    LA TURCHIA NON E' UNA NAZIONE EUROPEA E IL SUO INGRESSO NELL'UNIONE EUROPEA SIGNIFICHEREBBE LA MORTE DI QUEST'ULTIMA
    La Turchia non è una nazione europea a riguardo dei quattro principali criteri che permettono di definire l'appartenenza all'Europa: geografica, linguistica, etnica e storico - religiosa.
    In quello che concerne il criterio geografico innanzitutto, non bisogna dimenticare che l'unica parte dell'attuale Turchia appartenente geograficamente all'Europa ( principalmente la regione di Costantinopoli ), un trentesimo della superficie totale del territorio, fu staccato alla Grecia nel 1453 dagli invasori turco - musulmani. In oltre le popolazioni autoctone indo - europee (Armeni, Greci), che vivono da sempre nella Tracia occidentale, furono sterminati dagli occupanti turchi o progressivamente forzati a lasciare il loro paese se non si fossero convertiti all'Islam, questo tra il XV° e l'inizio del XX° secolo. Dal punto di vista linguistico, la lingua turca non appartiene al gruppo degli idiomi indo - europei, a differenza delle lingue armena, persiano o kurda, nate dal sanscrito, lingua - madre indo - europea. Concernente il criterio etnico, il popolo turco, d'origine asiatica, forse classificato nella famiglia dei popoli turanici - uralo - altaici. In effetti, i Turchi vengono dal Monte Altai e discendono dalle tribù nomadi asiatiche vicini ai Mongoli. Numerosi Turchi di Tracia sembrano essere di "tipo europeo", perché l'Impero ottomano fece venire in Turchia numerosi schiavi e prigionieri dai Balcani che furono in seguito islamizzati e turchizzati con la forza nel corso dei secoli. Lo stesso caso è per i numerosi turchi d'origine greca, albanese, serbo - croata e soprattutto bosniaca. Se lo si esclude dalle popolazioni turaniche queste differenti popolazioni d'origine europea, come i milioni di Kurdi che resistono da sempre alla turchizzazione, i Turchi non sono in alcun modo un popolo europeo.
    Insomma, la Turchia non è una nazione europea dal punto di vista storico - religioso nella misura dove la conversione progressiva di questo popolo, anticamente adepto dal camanismo, all'islam, religione arabo - beduina, opera un rafforzamento del carattere non europeo dei Turchi, la religione islamica obbliga i suoi adepti a studiare la lingua araba e a praticare i propri costumi, ai popoli arabi e orientali. Ma soprattutto, l'islam fu l'ideologia nel nome dei popoli e le dinastie turche (Seldjoukides, Ottomani) che presero d'assalto l'Impero greco - bizantino, invasero e perseguirono i popoli europei dei Balcani e minacciarono, per cinque secoli, l'integrità degli Stati dell'Europa centrale e mediterranea, così che la Turchia divenne il più temibile nemico degli europei.
    Ma numerosi sono ancora quelli che, tali vecchi ministri francesi degli affari esteri, Hervé de Charrette, ben noto atlantista e grande difensore dell'inserimento della Turchia nell'Unione, ascoltano i discorsi apparentemente pro europea dei responsabili turchi, senza comprendere che la loro domanda d'adesione all'Unione europea è quasi esclusivamente motivata dagli interessi economici e che è strettamente legata alla strategia americana "d'eterogeneità" dello spazio di civiltà europea. "La politica di Washington esercita sull'Unione europea, una forte pressione per portarlo ad accoglierlo nel suo cuore, la Turchia, presentata come uno Stato laico e pro occidentale" (4), spiega Dragos Kalajic. Dopo Ataturk, la Turchia ha pertanto conosciuto numerose evoluzioni e il discorso laico e pro europeo si apparenta sovente ad uno strumento di seduzione abilmente utilizzato da una frangia dell'elite turca educata alla scuola kemalista. Ma la lettura regolare dei media turchi, l'analisi del contenuto dei programmi della televisione (celebrando costantemente le vittorie che riporta la Sublime Porta contro gli Europei) e dei discorsi politici, permettono d'affermare che la Turchia, considerata come una entità della civiltà, non è pro occidentale e ancora meno pro europea. Per convincersene, è sufficiente leggere i commenti dei geopolitici turchi che esprimono apertamente la speranza d'islamizzare e di conquistare l'Europa entrando nell'UE, sostenendo sul fatto che, per mezzo della doppia nazionalità automatica, i 70 milioni di Turchi attuali saranno molto velocemente 200 milioni di che i popoli turcofoni dell'ex - URSS se saranno congiunti a loro.
    Commentatore politico del giornale turco Turkiye Gazetes, Nazimi Arifi scriveva nelle colonne dell'organo dei musulmani bosniaci Preporod: "L'Europa vede nella Turchia un paese destinato a contare 200 milioni d'abitanti. Logicamente, l'Europa non si opporrà alla Turchia. In oltre, la presenza dei musulmani in Europa è divenuta una cosa completamente normale. In dieci anni, un Europeo su due sarà musulmano. La forte natalità dei popoli musulmani, l'immigrazione economica di questi popoli verso l'Europa, la bassa natalità europea, le conversioni all'islam sono di fatto, che lo voglia o no, l'Europa deve ammettere" (5).
    Tansu Ciller, ex Primo Ministro ed ex Ministro delle relazioni estere nel governo di coalizione dell'islamista Erbakan, intenta una causa per un'adesione rapida della Turchia nell'Unione europea. Ella afferma che "la Turchia è uno Stato laico" (6) e che l'ideale dell'Europa è una "coabitazione armoniosa delle culture e delle differenti religioni" (7).
    Ma si può domandarsi se questi propositi non rilevino della tattica islamica "adesione dei cuori" ("Tà lib el - Qulub"), consistendo nel "sopire l'avversario" con delle belle idee, ciò che si trova nel principio leninista nell'adesione degli "idioti inutili". Perché al momento stesso dove Tansu Ciller pretende che il suo paese è "un ponte tra il Medio Oriente e l'Europa", si osserva un'inquietante progressione dell'islamismo e del panturanismo dirette contro le nazioni slavo - ortodosse situate al Nord dello spazio turcofono. Così il rifiuto categorico, da parte di Ankara, di riconoscere il genocidio armeno (8) - come ha dimostrato l'isteria provocata in Turchia seguito dal voto, del Parlamento francese nel luglio 1998, di un progetto di legge mirando a riconoscere il genocidio armeno - la moltiplicazione delle misure segregazioniste all'incontro dei Cristiani di Turchia, come le persecuzioni ricorrenti delle popolazioni Kurde o Alevi (adepti di una setta musulmana d'origine sciita apparentata agli Alouiti siriani), testimoniano il carattere mendace delle affermazioni della signora Ciller. Ogni anno in effetti, dei Cristiani assiri o caldei, dei Kurdi come dei Sciiti alevi ( rappresentati dal 25% della popolazione), devono lasciare la Turchia per sfuggire alla dittatura.
    Nel collegio francese di Saint - Joseph d'Istanbul, c'erano dieci Cristiani turchi per classe come dieci anni fa, oggi se ne possono contare uno per classe. Una vera persecuzione strisciante esclude progressivamente la presenza cristiana in Turchia, tramite la "laicità".
    Il miglior indicatore della reislamizzazione radicale della Turchia fu senza alcun dubbio il formidabile successo elettorale del partito islamista turco Refah Partisi ("Partito della Prosperità", ribattezzato Fasilet Partisì) alle elezioni municipali del marzo 1994, che permisero l'elezione di candidati islamisti nelle 17 grandi municipalità della Turchia (Istanbul, Ankara, Smirne ecc. vedere annesso IV: i supporti dell'islamismo in Turchia), come alle legislative anticipate del 24 dicembre 1995, (21,25% dei voti per il Refah, davanti l'ANAP di Mesut Yilmaz: 19,67% e il DYP di Tansu Ciller: 19,21%), che porteranno Necmettin Erbakan, il suo Leader storico, alla testa del governo. L'esempio della Turchia "laica e kemalista", avanzato dai sostenitori dall'entrata della Turchia nell'Unione, è da relativizzare, anche se l'esercito pretende di "stare all'erta", tanto che l'ha dimostrato organizzandone, il 19 luglio 1997, un colpo di Stato in piena regola contro gli Islamisti, di cui verrebbe anche occultata la popolarità crescente.
    Vicino a questi che gli Americani chiamano l'islamismo moderato, esiste anche in Turchia un islamismo attivista e terrorista. Operano soprattutto dei gruppuscoli armati chiamati IBDA - C (Fronte dei combattenti del Grande Oriente islamico), di cui si sono già distinti per la rivendicazione di veri attentati omicida contro la minoranza Aleva, particolarmente quello del 1993 (massacro di Sivas in Anatolia centrale) nella quale 37 intellettuali e artisti Alevi trovarono la morte in un incendio appiccato da una folla d'Islamisti.
    Si è dunque lontano dalla nazione turca unitaria, tollerante e filo occidentale. Con due milioni di Alevi e soprattutto forte di undici milioni di Kurdi vittime di una persecuzione di una rara violenza, senza parlare dei milioni di musulmani discendenti degli schiavi turchizzati e di funzionari europei, principalmente greca. La Turchia è una nazione eterogenea che non ha altra soluzione, nel perdurare ed imporre alle sue minoranze, un'identità islamica e panturaniana in gran parte ricostruita e fittizia.

    DAL PANTURCHISMO ALL'ISLAMISMO
    Nata all'inizio del XX° secolo con il crollo dell'Impero ottomano, l'idea del panturchismo consiste nel ricostruire un nuovo impero che si estenda dal Mediterraneo alla Cina, basato essenzialmente sull'etnia turco - altaica. Il panturchismo (o panturanismo), si propone, come la esprime il suo ideologo Enver Pacha, di ricostituire l'Impero turco - musulmano sulle basi ideologiche moderne, laiche e secondo una concezione etno - nazionale dell'identità.
    A partire dagli anni '70 che evolverà verso un neo - ottomanismo a colorazione più islamica. Occultandolo a partire dall'ottobre del 1917, il panturchismo riapparso alla fine degli anni '70, particolarmente sotto l'influenza del Partito della Madre Patria di Turgut Ozal, nel momento stesso dove i servizi segreti americani cominciavano a mettere in applicazione la loro strategia islamica per distruggere dall'interno l'impero comunista. Non è un caso se i repubblicani musulmani turcofoni dell'ex URSS furono integrati nel 1977 all'Organizzazione della Cooperazione Economica (OCE), creata nel 1999 a Izmir per raggruppare la Turchia, l'Iran e il Pakistan. Perché a partire da questa data che Zbigniew Brzezinski, capo del Consiglio Nazionale della Sicurezza Americana, deciderà di eliminare la minaccia comunista incoraggiandone sistematicamente l'arma dell'identità ed ideologica turco - islamica nelle repubbliche musulmane dell'Unione Sovietica, in particolare in Turkmenistan, in Azerbaidjan e in Uzbekistan. Hélène Carrère d'Encausse ricorda che nel 1975, "l'Asia centrale - cioè la CEI, ma ancor più le frontiere della Russia - è il teatro di un'intesa turca. Con esclusione del Tadjikistan iranofono, la Turchia trova dei partners che appartengono etnicamente e linguisticamente al mondo turco, ad una stessa civiltà. Ma l'essenziale è che queste repubbliche musulmane siano così convinte che la vita internazionale non è soltanto comandata da delle istituzioni d'ispirazione occidentale; e che il tempo è venuto per dare al polo musulmano i mezzi istituzionali per esistere". (9)
    Nella primavera del 1992, il vecchio Primo Ministro turco Suleyman Demirel percorrendo tutta l'Asia centrale per firmare ovunque degli accordi garantendo a queste repubbliche, in questua, un sostegno finanziario e dispensare dei beni di consumo che la Russia non è all'altezza di offrire nello stato attuale delle cose. La Turchia consacra tutti i suoi sforzi per riorganizzare e nuovamente orientare le vie di comunicazione dell'Asia centrale: trasporti stradali, ferroviari ed aerei; reti telefoniche e telematiche che passavano prima da Mosca. Successivamente l'ambasciatore Umut Arik, che dirige l'agenzia di cooperazione turca TICA, tremila imprese turche avendo più di dieci impiegati si sono già insediati in Asia Centrale dal 1989. Nel totale, il settore privato turco ha investito più di 4 miliardi di dollari nelle repubbliche turcofone, senza contare 1,2 miliardi di dollari di crediti accordati da l'Eximbank turca (10).
    Cosciente che la ricostruzione dell'Impero ottomano passa ormai più dalla modernizzazione delle infrastrutture che dalle armi, la Turchia apre delle linee aeree verso le capitali dell'Asia centrale, costituisce, con il concorso delle società anglosassoni, dei gasdotti e degli oleodotti attraversando il suo territorio per esportare verso l'Europa il petrolio turkmeno. "Non c'è accordo petrolifero nella regione che possa trascurare il Governo d'Ankara e ignorarne le intese" (11), commenta Sergio Romano. "Altrettanti progetti destinati a sottrarre l'Asia centrale dal suo isolamento e contendersi un partner privilegiato d'Ankara" (12). L'importante sforzo che il governo turco espone per formare delle èlites locali è altrettanto significativo. Alla riapertura nell'ottobre 1997, non meno di 12.000 studenti dell'Asia centrale devono integrare le università turche. Di fronte a questo attivismo culturale, la Russia "si preoccupa dell'influenza crescente della Turchia (...), teme il rifiorire di questa influenza fino ai grandi centri musulmani dell'interno", scrive Hélène Carrère d'Encausse. Ora questa inquietudine non è infondata perché la Turchia, "piuttosto che ridurre l'ombra dell'Islam che si estende sulla Russia (...), rischia di intrallazzare con i progressi di questi"(13).
    La concretizzazione la più significativa del rinnovo panturchista fu probabilmente la riunione, 1'8 e il 19 ottobre 1994, del Summit d'Istanbul annunciando la nascita del gruppo "T6" : "T" vuol dire Turco e per i 6 Stati turcofoni raccolti all'epoca del vertice: Turchia, Azerbaidjan, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Dall'esito di questo vertice, i "Sei" decideranno "di mantenere in maniera regolare delle consultazioni politiche e agire, nei forum e organismi internazionali, in maniera solidale" (14). Malgrado l'opposizione veemente di Mosca, i capi di Stato delle cinque Repubbliche turcofone della CEI riaffermeranno chiaramente il loro desiderio di "rinforzare" le loro relazioni con la Turchia, evocando esplicitamente, in termini di una dichiarazione comune, "una cooperazione inter - parlamentare e di riunioni regolari" La "Dichiarazione di Istanbul" annuncia anche la "celebrazione in comune degli anniversari di personalità importanti e delle date memorabili della cultura turca" come la rivitalizzazione della "via della seta". Ma è soprattutto l'allusione al progetto dell'oleodotto che attira l'attenzione della comunità internazionale e che irrita profondamente i Russi, il documento del Summit prevede la messa in opera "dei lavori in via di costruzione dei condotti verso l'Europa e il Mediterraneo, attraverso la Turchia, per il gas naturale e il petrolio" (15).
    Infatti, il T6 sarà un mezzo per bloccare l'egemonia russa nella regione. I dirigenti del Kazakistan, dell'Azerbagian di Bachkirie e della repubblica dei Tartari, coscienti che l'essenziale delle riserve petrolifere della CEI si trovano nelle loro repubbliche, non intendono lasciare agli "Infedeli" russi il dominio del petrolio dei Musulmani. "Quello che l'Iran ha imposto all'inizio degli anni cinquanta, quello che l'Egitto ha strappato allo straniero nazionalizzando il canale di Suez, perché i Tartari, i Bachkiri non lo contempleranno?" (16). Ma per questo bisogna che questi paesi accedano all'indipendenza. E le società petrolifere come le banche anglosassoni possono permettere ai musulmani di non essere dipendenti della tecnologia e dei capitali russi, perché passare dagli alleati Yankee? La tecnicità anglosassone è considerata come "neutra" dal punto di vista turco - musulmano, l'America essendo situata dall'altra parte del pianeta, mentre la tecnicità russa, per altro molto meno attraente, è considerata come la risorgiva dell'imperialismo slavo tradizionale. In oltre , le risoluzioni del Summit d'Istanbul prevedono la possibilità, per "i Sei", d'adottare una posizione comune sull'insieme delle questioni concernenti gli interessi del mondo turco.
    I presidenti delle sei Repubbliche esamineranno anche "un'integrazione". Così i "T6" sostenevano la soluzione di pace della CSCE e dell'ONU sulla questione dell'Alto Karabakh, nel Caucaso, territorio della CEI (soluzione che si oppone a quello di Mosca che propone di porre le sue forze d'interposizione intorno al Karabakh in territorio azero).
    Ora, ricordiamo che gli Azeri, Turchi sciiti, sono armati e finanziati dalla Turchia. Attraverso l'Azerbadjan, la Turchia s'impiccia direttamente negli affari interni della Russia e dalla CEI, approfittando abilmente della leva dell'identità islamo - turca. Anche la Turchia ha sempre denunciato l'invio di militari russi in Cecenia, avvincente causa per i Musulmani del sud della Federazione Russa in ribellione contro Mosca. Pertanto i Ceceni non sono turcofoni, ma i Bosniaci, gli Albanesi, i Tadjiki e i Ceceni si sentono altrettanto turchi quanto gli Azeri, perché essere turco in questa parte del mondo, significa soprattutto essere musulmano. In un articolo pubblicato dal quotidiano turco Milliyet, l'intellettuale Muharrem Karsli poteva anche scrivere: " i Ceceni si battono per noi altri Turchi, lavorano in questa guerra molto più per noi che per loro stessi" (17).

    L'ISLAMISMO PANTURANIANO E "NEO - OTTOMANO":
    UNA NUOVA MINACCIA DIRETTA CONTRO LA RUSSIA E L'EUROPA
    Sarà erroneo opporsi alle due nozioni apparentemente antagoniste che sono il panturchismo e l'islamismo. Bernard Lewis scrive: "Anche oggi, nella Repubblica laica Turca, la parola turco è, secondo una convenzione comunemente ammessa, applicata ai soli musulmani. L'identificazione tra turco e musulmano resta dunque totale. Si noterà che, se il residente non musulmano non è vincolato come turco, l'immigrato non turco ma musulmano, che viene da vecchie provincie dell'Impero ottomano o altrove, acquisisce, lui, molto rapidamente un'identità turca" (18).
    L'interazione tra panturchismo e solidarietà islamica apparso palesemente all'epoca dell'affronto che opposero Greci ciprioti e Turchi, seguito dallo sbarco dei militari turchi sull'isola nel 1974. L'osservatore attento noterà che il discorso e la retorica che accompagnano le offensive turche erano bagnate di religiosità, addirittura di fanatismo religioso. Ma l'apparizione di un linguaggio a consonanza religiosa dai Turchi laici alle prese con i nazionalismi greco ciprioti non dovranno sorprendere, perché l'Islam non si limita ad una semplice devozione. Esso è prima di tutto una formidabile fonte di mobilitazione politica che i Musulmani i più laici - e lo stesso Ataturk - non hanno mai rinunciato ad utilizzare quando questo era necessario. In questo senso, si può validamente qualificare islamista, il discorso politico - militare fondato sulla difesa o la promozione dell'identità islamica, indipendentemente dal rispetto dei dogma religiosi dell'islam, tanto più che questo discorso, anche s'è utilizzato a fini esclusivi di mobilitazione, rischia di legittimare e d'incoraggiare, a termine, una reislamizzazione totale della società.
    L'islamologo Miriljiub Jevtic ci spiega: "Gli scopi del panturchismo, risaltano la Carta della Turchia del XXI° secolo pubblicata dagli intellettuali turchi. In seguito, la Bosnia Herzegovina, l'Albania, delle porzioni della Siria e dell'Iran sono parte integrante della Turchia. Per contro, il Kazakistan e l'Uzbekistan ne sono escluse. Ciò significa che le ambizioni del panturchismo mirano innanzitutto all'unificazione di tutti i popoli convertiti all'islam sotto l'influenza degli Osmanli, che siano o no di ceppo turco. Sotto la sua forma attuale, il panturchismo potrà essere definito come neo - osmanlismo" (19) (o "neo - ottomanismo"). Il panturchismo definito anche ambizioso nel creare uno Stato unico di cui Ankara sarà il centro, come dichiara apertamente il Presidente Demirel: "la Turchia si estende dal Mar Adriatico fino alla Muraglia Cinese" (20). Si può dunque validamente parlare di un "irredentismo turco - ottomano, particolarmente visibile nei Balcani, dove la Turchia ha approfittato della disgregazione della Yugoslavia e del conflitto serbo - musulmano in Bosnia e nel Kossovo per operare un ritorni strategico in questa vecchia provincia occidentale dell'Impero ottomano. Infatti, "le ambizioni turche si fondano sui sentimenti proturchi estremamente sviluppati dei musulmani non turchi, ancor più marcati dagli Albanesi che dai Serbi turcizzati, spiega Zevtic, (...). La Turchia è stato uno dei paesi i più ostinati a riconoscere l'indipendenza della Macedonia e della Bosnia, perché vedeva in essa l'occasione per raggiungere i suoi obbiettivi" (21). E' così che la Turchia è stata la prima fornitrice di armi e di sostegno logistico del Kossovo, piattaforma delle filiere turco - albanesi della droga e che ha concluso tra il 1995 e il 1999, una serie di accordi militari con la Bosnia, l'Albania e la Macedonia, ugualmente minacciate d'implosione dagli irredentisti islamo - albanese strumentalizzate da Tirana e da Ankara. (22).
    Ma l'irredentismo neo - ottomano costituisce una sorgente di destabilizzazione e una minaccia per la Grecia e Cipro, come si è potuto rendersene conto in questi ultimi anni. Oltre il rilancio dell'incessante disputa sugli isolotti dell'Egeo e del Dodecaneso, l'espansionismo islamo - turco è particolarmente visibile nella Tracia greca, corridoio d'invasione da sempre e regione frontaliera della Turchia occidentale, dove i servizi segreti (MIT) e l'esercito d'Ankara sostengono le rivendicazioni indipendentiste della minoranza musulmana.
    Possedendo al suo interno una forte minoranza musulmana sovente apparentata ai Turchi, la Russia, sorella maggiore della Grecia e della Serbia, è da parte sua al riparo dal separatismo islamico di tipo neo - ottomano?

    LA RUSSIA DI FRONTE ALLA SFIDA ISLAMISTA
    Su una popolazione di 150 milioni di abitanti, la Federazione Russa conta all'incirca 22,5 milioni di musulmani, ovvero il 15% della popolazione totale. La minaccia islamica non si trova unicamente ai "mercati dell'Impero" e nella CEI, ma anche nella Russia stessa. Per quest'ultima, il fattore islamico raggiunge dunque, in Cecenia per esempio, sul confronto interetnico ed interconfessionale, un importanza vitale. L'islamismo può intensificare il nazionalismo antirusso rinascente dai due principali focolai musulmani situati sul territorio della Russia che sono il Daghestan e il Tatarstan, ideate nel 1990, con il Tadjikistan, dal Partito della Rinascita islamica (PRI). La propagazione dell'islamismo verso i confini meridionali della Russia potrebbero in oltre provocare a termine dei conflitti interetnici gravi al Kazakistan, dove coabitano attualmente due comunità, slave e kazake, di cui nessuno domina realmente l'altro sul piano demografico. Certi osservatori occidentali qualificano l'attuale effervescenza islamica in Russia "della rinascita islamica del dopo perestroika". Ma questa espressione è erronea perché sovietizzazione e deislamizzazione non sono veramente andate alla pari durante l'epoca sovietica. Ad eccezione dei Tartari in effetti, la maggior parte dei Musulmani sovietici restano impermeabili alla laicizzazione della vita quotidiana voluta dai comunisti. L'apparizione di dozzine di migliaia di moschee in questi ultimi anni nella CEI ne è per conseguenza che la manifestazione di una realtà che esisteva già all'epoca sovietica ma che i musulmani avevano mascherato dietro ad un'adunata apparente all'ideologia comunista, con lo scopo di scappare dai fulmini dei censori atei e di conservare una certa libertà d'azione all'interno delle Repubbliche o Stati federati.
    Dal 1992, la frequenza di riaprire e di costruire delle moschee nella CEI è sorprendente. Secondo le fonti vicine alla CIA, ci sarebbe, nel 1999, più di 50.500 moschee in funzione nell'ex URSS, di fronte alle 18.250 parrocchie ortodosse riconosciute dal Patriarca di Russia, Alexis II. Un altra fonte ci indica che la riapparizione dell'islam nel Tadjikistan è stupefacente. Secondo le parole del gran Cadi Akbar Touradjanzaden, "due anni fa, c'erano solamente 17 moschee nel Tadjikistan e 19 Chiese ortodosse. Oggi, vi sono 2870 moschee e sempre solamente 19 Chiese ortodosse" (23).
    Nel Daghestan, spiega V. Bobrovnikov, si contano nel 1988 quasi 27 moschee. Vi erano già più di 800 moschee nel 1992 e il loro numero s'innalza a 5000 nel 1994 (24). In Cecenia, questa cifra è passata da 4 o 5 nel 1988 a 550 nel 1999. Divenuto rapidamente l'ideologia di battaglia di tutti i nazionalisti, l'islam radicale è nel cuore dei nazionalisti tartari, daghestanesi, tadjiki ed anche i ceceni. I discorsi di questi ultimi sono sistematicamente punteggiati dagli appelli dello jihad e alla liberazione della loro terra, conquistata dagli "Impuri". In Cecenia e in Tadjikistan, le guerriglie si presentano come delle forze di reislamizzazione e di liberazione del dar - el - Islam.
    Di fronte al proselitismo e alla rinascita islamista, due scuole si affrontano in Russia. La prima, detta "scuola eurasiana", antioccidentale e minoritaria, sembra considerare l'islam radicale russa come un alleato prezioso contro l'Occidente. La seconda vede al contrario nell'Islam la civiltà antirussa per eccellenza.
    La scuola eurasiana considera i Russi come un popolo distinto degli Europei e degli Asiatici, risultato di un miscuglio di popoli sedentari delle foreste e di popoli nomadi delle steppe."L'Eurasia (...) forma un terzo continente indipendente che non ha solo un senso geografico. La concezione eurasiana significa un rifiuto assoluto dell'approccio universalista della cultura", scrive l'economista - geografo Savitski, uno dei creatori della corrente euro - asiatica, autore della raccolta "Exode vers l'Est", pubblicato nel 1921. Negli anni '50, la corrente eurasiana sarà recuperata dagli strateghi dello Stato Maggiore sovietico e bisognerà attendere la caduta dell'Unione Sovietica nel 1991 per vedere attualizzata la dottrina aurasiana. "Gli Eurasiani considerano che l'islam fondamentalista, con i suo antimaterialismo, il suo rifiuto del sistema bancario, dell'usura internazionale, del sistema dell'economia liberale, è loro alleato. I soli nemici geopolitici dei Russi e dei Musulmani, sono gli Stati Uniti e il loro sistema liberale, cosmopolita, antireligioso, antitradizionale", (25) scrive Alexandre Douguine, teorico neo - eurasiano. Ma considerare dalle nazionalità russe una "quinta colonna" al servizio "dell'imperialismo islamico" la corrente eurasiana promusulmana è ampiamente discreditata e circoscritta ad una minoranza intellettuale islamofila sconnessa dalla natura reale. Non c'è niente di strano in quello che si trova nel Partito della Rinascita Islamica (PRI) dietro gli "eurasiani". Nella più pura tradizione proselita "dell'adesione dei cuori" che ci aveva descritto prima Gueidar Djemal, d'origine azera, vecchio vice presidente del PRI, scrive: "la Russia deve necessariamente riconsiderare la sua missione civilizzatrice e ammettere che esiste una civiltà russa differente dall'Ovest. Bisogna integrare l'Eurasia per formare un blocco indipendente non sottomesso agli americani. Una Russia forte deve necessariamente comporre con un islam rinforzato (…). La sola forza che può oggi opporsi all'universalismo americano, alla concezione di un nuovo ordine mondiale, è l'islam. Questo ha un significato particolare per la Russia nella misura dove pretende seguire la sua propria via. All'infuori dell'islam questa via non esiste (…). Il solo mezzo per la Russia di sottrarsi alla scomparsa geopolitica è di diventare uno Stato islamico!" (26)
    La prima innovazione moderna nel senso dell'islamizzazione della Russia fu l'apertura a Mosca, nel 1992, dell'Istituto di civiltà islamica, fondato da una Accademia nazionale delle culture e valori dell'umanità, presieduta da un Musulmano, Tochpulat Tojjidin. L'Istituzione inaugura il suo ciclo di conferenze internazionali riunendo, a Mosca dal 12 al 15 maggio 1992, degli ambienti Musulmani venuti dalla Russia, dalle Repubbliche della CEI, ma anche dai grandi Stati musulmani d'Africa del Nord, del Medio Oriente e dell'Asia del Sud - Est. I documenti distribuiti e il contenuto dei dibattiti di questa conferenza fecero risaltare nettamente l'idea, particolarmente cara ai Musulmani, secondo cui "la Russia è un paese a vocazione musulmana" (sic).
    Gli obiettivi dell'istituzione sono ambiziosi poiché si tratta, a medio termine, d'edificare dei centri di ricerca e di riflessione sull'islam e la situazione dei paesi musulmani nel mondo. "L'impresa venne sviluppata grazie ad un aiuto venuto senza alcun dubbio dal mondo musulmano esterno, spiega Hélène Carrère d'Encausse, l'Arabia Saudita in sommo grado (per) dotare, nel corso degli anni '80, l'Asia centrale nei luoghi di culto e mezzi scritti (in particolare il Corano) per diffondere l'islam". (27) Particolarmente esplicito, il rapporto della direzione dell'Istituto alla conferenza internazionale del 12 maggio 1992, menziona che "la funzione essenziale dell'Istituto della civiltà islamica è di studiare l'islam come fenomeno culturale spirituale di dimensione mondiale e fondamento universale della vita spirituale dei popoli musulmani". (28)
    L'islamizzazione interna della Russia è la conclusione logica delle tesi eurasiane ed è per questa ragione che sono fortemente combattute dalla maggior parte delle altre correnti geopolitiche russe. Largamente maggioritario, la corrente antimusulmana ha conquistato la quasi totalità dei partiti politici russi.
    Traumatizzata dagli anni '70 dalla coabitazione forzata con i Sovietici turco - musulmani e reagendo all'odio antirusso espresso dalla maggior parte dei Musulmani della CEI, l'opinione russa prende sempre più coscienza del "pericolo islamico". L'élite politica russa ha dovuto effettuare un cambiamento ideologico importante, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, accertando una differenza netta fra le regioni e le repubbliche musulmane e la Russia. Ciò si traduce oggi sia da un discorso antimusulmano similare a quello professato da l'ultra - nazionalista Vladimir Jirinovski, capo del Partito Liberal - democratico, sia dalla retorica degli intellettuali esaltando l'introduzione della Russia nell' Europa occidentale (corrente pro - occidentale). Vladimir Jirinovski fu il primo ad utilizzare la carta antimusulmana e a ottenere, su un tale programma, vicino al 25% dei voti nel corso delle elezioni legislative del dicembre 1993.
    Eltsin e i suoi vicini, come l'opposizione comunista, hanno adottato questo discorso. La corrente antimusulmana si preoccupa non solo dell'attuale movimento di reislamizzazione dell'Asia centrale, cui è largamente fondato sul rigetto "dell'invasore" russo, ma anche della crisi demografica che fa della Russia un campo d'espansione naturale del sovrappiù della popolazione musulmana. In caso d'alleanza - fusione conforme al progetto eurasiano, i Russi rischierebbero di essere rapidamente sottomessi dai Musulmani. La minaccia è tanto più seria che l'evoluzione demografica è in favore del blocco musulmano, come lo sottolinea il demografo Kazakh Makas Tatimov. Si estima in effetti che, dal 1983, la popolazione turco - musulmana è aumentata dal 26 al 27%.
    "Nel vasto spazio eurasiano, scrive il demografo, i Turcofoni sono oggi meno numerosi che gli Slavi, ma la loro crescita demografica è da 8 a 10 volte più rapida. In un prossimo avvenire, i Turchi potrebbero superare gli Slavi che provano oggi a controllare e tenerli sotto la loro tutela. Un popolo da 350 a 400 milioni d'anime non si lasceranno dominare da 250 o 300 milioni di Slavi. La vecchia patria dei popoli turcofoni è situata sul territorio dell'ex URSS. Poco più del 40% di tutta la popolazione turca abita attualmente su queste terre. Purtroppo, il territorio nazionale è diviso da frontiere artificiali come gli Azeri, gli Uzbeki, i Kirghizi, ecc. E' completamente possibile che in futuro il mondo turcofono vada verso un unione culturale e politica. E' il momento giusto per il mondo turco di unirsi e di cooperare". (29) Il censimento del 1989 ci insegna che i Musulmani dell'ex URSS sono nel novero di 54,8 milioni, sia 19,2% della popolazione totale contro il 16% del censimento del 1979. Cifre che leviteranno ancora.
    Così, "la proporzione dei Musulmani cresce regolarmente (…) fra il 1979 e il 1989, l'incremento della popolazione dell'URSS gli è data per metà (49% contro il 42% fra il 1971 e il 1979). Dal 1991, per i soli slavi, il saldo decessi sulle nascite e di varie centinaia di migliaia di persone. Nel 1993, la perdita è di 800.000 persone" (30) scrive Patrick Karam, quello che conferma nel 1999 il demografo francese (INED) Boursier de Carbon, la Russia perde 800.000 anime ogni anno. (31)
    La minaccia demografica musulmana è risentita con una tale intensità dai nazionalisti russi che, alcuni fra loro come Soljenitsyn, non esitano a reclamare l'isolamento della Russia dal mondo musulmano e l'indipendenza delle repubbliche autonome musulmane appartenenti alla federazione russa, tesi che emerge chiaramente nell'opera del celebre oppositore anticomunista, Ricostruire la Russia. In conseguenza, "si consegna a delle riflessioni compiacenti sui (nostri fratelli, i Turchi) di cui l'espansione rampante acquisisce sempre più le nostre città e i nostri villaggi, questa è la prova di un romanticismo inammissibile o di una miopia criminale", dichiara il capo del Partito nazional - repubblicano, il nazionalista Nicolas Lyssenko. "Io sarò il primo a dichiarare la mia amicizia per gli Azeri, i Ceceni, i Turkmeni o gli Uzbeki se il vettore della loro espansione demografica ed economica si ritorce da Nord verso Sud, in Afghanistan, in Turchia, in Pakistan, dove si vorrà, ma soprattutto no al Nord . I Turchi non hanno il loro posto al Nord… e se non capiscono, la risposta dei Russi sarà impietosa… La Turchia s'impiccia sfrontatamente negli affari russi… Bisogna rispondere in maniera d'annientarli politicamente o militarmente". (32)
    L'allusione ai conflitti che oppongono i Russi o i loro fratelli slavi a dei popoli musulmani proturchi al Tadjikistan, in Bosnia, in Cecenia, in Daghestan è chiaro. Vecchio capo supremo del SVR (informazioni estere, ex KGB), Evgueny Primakov, nominato all'inizio del 1996 ministro degli affari esteri, condivide i timori di Nicolas Lyssenko. Per lui e per il SVR, un pericolo islamico esiste alle porte della Russia, minacciandone l'insieme del mondo slavo ed europeo. Questo pericolo consisterebbe nella creazione di uno Stato islamico che ingloberebbe l'Afghanistan, il Tadjikistan e una parte dell'Uzbekistan, questi tre paesi essendo uniti da numerosi legami storici.
    Come lo sottolinea il quotidiano Novaïa Ejednievnaia Gazete, il Tadjikistan è oggi "l'ultimo bastione contro l'offensiva dell'islam politico che minaccia dalla fondamentalizzazione le Repubbliche d'Asia centrale e i 20 milioni di mussulmani viventi in Russia. Il Tadjikistan costituisce la seconda messa alla prova delle relazioni fra la Russia e il mondo mussulmano; se il conflitto si prolunga, potrebbe accreditare l'immagine di una Russia anti - islamica". (33)
    Durante questo periodo, gli Stati Uniti approfittano della minima occasione per dimostrare la loro amicizia ai paesi musulmani. Tutto questo rischia di riportare l'attenzione delle forze radicali islamiste sulla Russia. L'Arabia Saudita ha apertamente chiamato il mondo musulmano a difendere la Cecenia.

    L'ALLEANZA AMERICANO - TURCA: UNA MINACCIA PER L'EUROPA

    Una delle conseguenze le più gravi della politica pro - islamica e proturca, portata dagli Stati Uniti all'indomani della seconda guerra mondiale per contenere la Russia, è che la Turchia è diventata una delle più importanti potenze militari del mondo islamico. E' un legame comune per dire che un governo islamista come quello di Necmettin Erbakan sarà sempre "temperato" da un esercito tradizionalmente kemalista. Ma che cosa ci dimostra che questo esercito resterà indefinitamente impermeabile all'ondata di proselitismo islamista che tocca tutti i strati della popolazione? Cosa ci dimostra che la rassicurante laicità dei militari turchi non è esagerata dagli strateghi turchi e gli alleati d'Ankara per far accettare di buon grado, una cooperazione americano - turca, dunque turco occidentale, qualche sospetto agli occhi delle popolazioni europee? La Turchia è più che mai un elemento essenziale della strategia americana del vicino Oriente.
    Lontano dal prendere la sua utilità dopo il crollo dell'URSS il "gendarme medio - orientale e centro - asiatico dell'OTAN" si è riconvertito in partner impenetrabile in una regione particolarmente instabile e sensibile. Gli Americani pretendono che la cooperazione militare e strategica tra Ankara e Washington s'inserisca in una volontà di stabilizzare e di pacificare la regione, ma il superarmamento della Turchia rischia al contrario di diventare un fattore di destabilizzazione e una minaccia per l'Europa se si tiene conto che la sua potenza permette ad Ankara di portare una politica estera sempre più imperialista, tanto più che il potere "laico" è sempre minacciato dagli Islamismi, i quali restano la prima forza politica del paese (vedere annesso IV: i supporti degli Islamismi in Turchia). Lo si è visto in Bosnia - Herzegovina, dove la Turchia, costituisce, con l'Arabia Saudita e altri volontari arabi, uno dei principali sostegni ai Musulmani antiserbi ed ora nel Kossovo, la Turchia essendo uno dei principali sostegni esterni dell'UCK. Falsamente anti - islamici, l'esercito turco resta oggi, grazie ai suoi 1500 soldati appostati a Zenica, con la presenza dell'esercito americano, un sostegno esterno vitale per l'islamista bosniaco Alija Izetbegovic. Si vede anche nelle Repubbliche musulmane dell'ex URSS, in Albania e sicuramente in Grecia e a Cipro, dove la Turchia è sempre più rivendicatrice e aggressiva a riguardo dei Greci, cosciente della sua superiorità militare di fronte ad Atene. Grazie ad un programma dell'OTAN, d'ispirazione americana battezzata "Cascade", la Turchia è quella che ha ricevuto più armamenti fra il '92 e il '97. La Turchia ha ricevuto anche, fra il '93 e il '94, 1017 carri da combattimento, quasi tanto più che l'insieme del parco dei blindati britannici. E gli ultimi accordi strategici israelo - turchi (1997 - 1998) hanno chiesto di procurare ad Ankara nuove armi sofisticate d'origine americana e israeliana. Gli Stati Uniti gli hanno anche accordato una licenza per la fabbricazione di missili terra - aria portabile Stinger, arma leggera ma temibile, di cui avevano già beneficiato i Moudjahidin afgani e di cui hanno beneficiato i Bosniaci musulmani. "La minaccia sovietica essendo scomparsa, la Grecia e la Turchia sono diventate ognuno il nemico potenziale il più temibile per l'altro", constata Jonathan Steele, giornalista del The Guardian (34). La Turchia non ha rinforzato la sua influenza vicino alle popolazioni musulmane in Albania, in Macedonia, nella Bosnia musulmana, come anche nella Tracia, regione divisa tra la Grecia, la Turchia e la Bulgaria, quest'ultima essendo alle prese con una forte minoranza musulmana suscettibile di ribellione? Non ha recentemente elaborato un programma di formazione militare destinato a riorganizzare l'esercito albanese, una volta gioiello dell'esercito ottomano, riannodando qui con una vecchia tradizione militare ottomana? Da parte sua, Atene, che teme un conflitto con il vicino turco, rafforza le sue linee con i Serbi nell'ex Yugoslavia e con la Russia. Il mondo slavo - balcanico è sempre più minacciato dall'abbraccio dei popoli musulmani dei Balcani, del Caucaso e dell'Asia centrale.
    Circondato da Ovest a Est dai paesi musulmani in preda a delle vive tensioni ed ospitando numerose comunità musulmane insediate da molte generazioni (Europa dell'Ovest), addirittura da secoli (Europa dell'Est), il Vecchio Continente europeo sarebbe in una posizione di vulnerabilità di fronte ad un Blocco islamico. La nozione del Blocco islamico parrebbe non essere che un fantasma fino a qualche anno fa, quando si parlava della Turchia "laica e tollerante" e delle repubbliche musulmane ex - sovietiche falsamente deislamizzate dal comunismo ateo. La storia ci mostra pertanto, particolarmente con gli esempi algerini e iraniani, che l'islamismo radicale non è mai così forte che in quel luogo dove la deislamizzazione e l'acculturazione occidentali sono stati spinti all'estremo. La Turchia ex - kemalista (il kemalismo politico è morto nel 1982 con l'accesso al potere del Partito della Madre Patria) che passa, nel novembre 1995, nelle mani del Partito islamista Refah Partisi di Necmettin Erbakan, che progetta di ricostruire l'Impero ottomano e di reislamizzare l'insieme dei popoli turchi d'Asia centrale. Non dimentichiamo neanche che fu il proamericano Turgut Ozal, capo del partito della Madre Patria e principale difensore dell'OTAN durante la guerra del Golfo, che autorizza per la prima volta i partiti politici islamismi in Turchia mentre, l'uomo pubblico utilizzando l'islam per fini politici, era prima passibile della pena di morte, secondo l'articolo 163 del codice penale turco in vigore sotto il regime kemalista fino al 1982. Il "mostro" che ha partorito gli Stati Uniti per distruggere l'impero sovietico è suscettibile di raffigurare una minaccia reale, tanto per l'Europa occidentale che per i paesi dell'Est e la comunità degli Stati Indipendenti. A dispetto degli attentati antiamericani sopravvenuti tra il '91 e il '98, gli Stati Uniti non sono ancora direttamente minacciati dal "nuovo nemico" islamista che si costituisce progressivamente. Il loro calcolo non è forse ingenuo. Forse considerano l'Europa occidentale e la Russia come dei nemici potenziali che potrebbero contribuire ad indebolire ridestandone, in materia ricorrente, la minaccia islamica? Dividere per regnare…..

    1) In quest'occasione, le bandiere italiane e dell'Unione europea furono bruciate in ogni grande città della Turchia, centinaia di giovani Turchi, particolarmente gli agitatori del partito d'estrema destra "Lupi grigi", saccheggiarono dei quartieri a forte immigrazione kurda a Bruxelles, in Alsazia e in Olanda. I prodotti italiani furono immediatamente boicottati in tutta la Turchia, mentre delle manifestazioni d'odio erano organizzate dagli Islamismi e l'estrema destra turca davanti all'Ambasciata d'Italia ad Ankara e il Consolato italiano a Smirne. Lo Stato turco convoca l'ambasciatore d'Italia Massimiliano Bandini minacciando Roma di "rappresaglie economiche e politiche gravi" in caso della non estradizione d'Oçalan in Turchia… Infine, Ankara avvertiva l'Unione europea che non ne valeva la pena di "risvegliare la collera" della Turchia.
    2) Sergio Romano, Corriere del Ticino, 17 febbraio 1999.
    3) Giorgio Mussa, "Da Bruxelles, ennesimo regalo alla Turchia", in Quaderni geopolitica, Milano, aprile - maggio 1999.
    4) Ibid
    5) Preporod, 15 agosto 1990
    6) Tansu Ciller, intervista al Nouvel Observateur, 28 settembre 1994, p. 28
    7) Ibid
    8) Nel suo studio "La Turchia e l'Europa", J.M. Vernochet descrive le violenti reazioni antifrancesi consecutive all'adozione, dall'Assemblea Nazionale, del progetto di legge sul genocidio armeno, da un iniziativa della Sinistra: " Le reazioni turche a questo voto sono state così improvvise che nell'attesa di un voto finale del Senato il 29 giugno, più di 60 miliardi di contratti vennero aggiornati per non dire annullati", in Questioni strategiche, agosto 1998.
    9) Hélène Carrère d'Encausse, Victorieuse Russie, pp. 292 - 293
    10) Le Monde, 20 ottobre 1994
    11) Sergio Romano, Corriere del Ticino, 17 febbraio 1999.
    12) Carrère d'Encausse, op. cit.
    13) Ibid, pp. 296 - 297
    14) Millyllet, ottobre 1994. Si potrebbe anche citare la creazione nel giugno 1997 del "D8", raccogliendo sotto l'egida della Turchia otto paesi musulmani fra i più importanti (Egitto, Turchia, Pakistan, Bangladesh).
    15) Ibid
    16) Carrère d'Encausse, op. cit. pp. 292 - 295
    17) Muharrem Karsli, Milliyet, in Corriere Internazionale, febbraio 1995, p. 16
    18) Bernard Lewis, Le retour de l'Islam, pp. 458 - 459
    19) Miroljub Zevtic, Il Panturcismo e il suo ruolo nella crisi yugoslava, Tanjug, Belgrado 1994
    20) Politica, 25 febbraio 1992
    21) Miroljub Zevtic, ibid p.5
    22) Il Rapporto del GRIP del gennaio 1997 e il Jane's Defence del 23 aprile 1997, enumerano in dettaglio le violazioni dell'embargo in ex Yugoslavia e il ruolo cruciale della Turchia, dell'Iran, dell'Arabia Saudita e del Pakistan nell'aiuto alle forze musulmane
    23) A. Touradjanzaden, intervista con A. Rachid, "The crescent of islam rises in Tadjikistan", Nation, 25 dicembre 1991
    24) V. Bobrovnikov, Il Daghestan fra la Russia e l'Oriente musulmano, Vestnikevrazii, Le messager de l'Eurasie, N°1, 1995, p.134, Mosca, in I Cosacchi nello spazio russo, Vinceslav Avioutskii, 1996
    25) Les cahiers d'Orient N°41, 1° trimestre 1996
    26) Gueidar Djemal, Nezavisimaya Gazete, 31 gennaio 1992
    27) Ibid
    28) Rapporto d'apertura del presidente dell'Accademia nazionale delle culture e valori dell'umanità, Khodjinov, 1992
    29) Makas Tatimov, Cumhuriyt, Istambul in Corriere Internazionale, 1995
    30) Les cahiers de l'Orient, p. 37
    31) Boursier de Carbon, intervista del 23 marzo 1999.
    32) Citato in Les cahiers de l'Orient, p. 38
    33) Novaia Ejednievnaia Gazeta, in Corriere Internazionale 1995
    34) Jonathan Steele, The Guardian, Londra 1 dicembre 1994
    http://www.alexandredelvalle.it/pubb...php?id_art=181


    carlomartello

  4. #4
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    Capisco che ognuno abbia le sue opinioni e che per le vostre il discorso islamico e quanto vi si collega sia da identificare come radicalmente negativo con tutto quel che ne consegue, però insomma lo si può fare anche senza appoggiarsi a certa propaganda.. suvvia, credere ancora a 'bin Laden'. Quale dei seicento poi, ce n'è uno nuovo ad ogni filmato. Ci manca solo che crediate alla versione ufficiale sull'11 settembre cui ormai non credono più neanche i bambini e siamo alla fiera degli utili idioti, inteso nel senso tecnico degli zeloti di base che anziché legittimare certa propaganda e sapere di starla utilizzando finiscono per crederci essi stessi.. dato che siete così spesso impegnati nell'esibizione narcisistica della vostra amoralità direi che potete benissimo sostenere le posizioni cui vi rifate, improntandovi a temi reali come le migrazioni e quant'altro, senza bisogno di rifarvi alle binladenate da operetta.. nessuno farà saltare l'Occidente a suon di taglierini e di diabolici attentati ideati in fetide grotte (né fonderà stati islamici in Scozia, previo complotto su Messenger).

    Per quanto riguarda l'Islam in Russia, fortunatamente molte cose sono cambiate dal 2000, anno a cui risale lo scritto che hai incollato. L'era Eltsin è finita, Zhirinovsky e compagnia contano un piffero, il quadro politico è radicalmente diverso ed in questi anni, tantopiù dal dopo-11Settembre, la corrente eurasiatista (soprattutto come indirizzo geopolitico/strategico) ha preso sempre più piede, pur nonostante le difficoltà incontrate dalla Russia come la "perdita" dell'Ucraina per mano americana.
    Concordo a grandi linee con quanto detto da Gejdar Dzemal, l'unica cosa che vedo come magari esagerata è che la Russia possa diventare un paese a maggioranza islamica, certo è però che se le posizioni del cristianesimo ortodosso si sono fatte più deboli e vengono erose, questo è da imputare ad eventuali esigenze da esso non più soddisfatte appieno, d'altra parte accade così in ogni scenario pre-rivoluzionario, che si tratti di rivoluzione politica o religiosa. Inutile lamentarsi con chi prende il posto anziché con chi l'ha lasciato vuoto. http://evrazia.info/modules.php?name...ticle&sid=1064

  5. #5
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  6. #6
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  7. #7
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  8. #8
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  9. #9
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  10. #10
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