L'Islam in Russia nel 2020
Scritto da GRRG lunedì 16 giugno 2008
Il presente testo è un’ampia sintesi dell’articolo Islam in Russia in 2020 a firma di Alexey Malashenko (collaboratore del Carnegie Centre di Mosca), inserito in Between Suicide Bombings and Burning Banlieues: The Multiple Crises of Europe’s Parallel Societies, Working Paper n. 22 (giugno 2006) dell’European Security Forum (Esf). In esso l’autore analizza l’influenza del fattore islamico nel processo socio-politico in Russia. In Russia l’influenza del “fattore islamico” sul processo socio-politico è da tempo un dato acquisito, anche tra la popolazione; ciò suscita non pochi timori, specie in relazione agli episodi di terrorismo legati all’estremismo religioso. Al contempo, le manifestazioni di matrice islamica e i tentativi dei politici e del clero musulmani di fornire un’interpretazione religiosa alle contraddizioni e ai conflitti hanno favorito la lenta ma costante crescita dell’influenza dell’islam nella società e nella politica. (Esempio emblematico è la guerra in Cecenia, presentata come jihad dai separatisti e considerata da alcuni politici russi come “scontro di civiltà”).
Stando al censimento del 2002, in Russia vi sono 14,5 milioni di musulmani; in realtà se si considerano anche gli immigrati si arriva a 19-20 milioni di persone, pari al 12% della popolazione. In Russia non esiste una comunità musulmana consolidata con un epicentro religioso comune. La società islamica del paese consta di due grandi gruppi: il primo si trova nella regione compresa tra il Volga e gli Urali, nella Siberia occidentale e a Mosca, dove vivono tartari e bashkiri; il secondo nei territori del Caucaso del Nord. La principale etnia islamica in Russia è quella tartara (7 milioni di persone), seguita dai bashkiri (circa 1,5 milioni) e, tra i caucasici, dai ceceni (1 milione). Negli ultimi anni si è verificata una migrazione dei musulmani nord-caucasici verso la Russia centrale. Tale fenomeno ha deteriorato i rapporti intra- e inter-etnici tra i musulmani.
La breve storia dell’islam in Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica può essere suddivisa nelle seguenti fasi:
- Inizio del revivalismo religioso, rapido aumento delle moschee, formazione di un sistema di istruzione islamico e maggior incidenza della religione nei comportamenti sociali.
- Politicizzazione dell’islam. A metà degli anni ’90 sono comparsi gruppi politico-religiosi su base nazionale come l’Unione dei musulmani di Russia, il movimento Nur e il partito Refakh, come pure organizzazioni politico-religiose regionali. È in questo periodo che si forma il movimento islamista, scaturito in parte dalla guerra in Cecenia. Islamisti hanno cominciato ad operare in Daghestan, in Kabardino-Balkaria e in Inguscezia, e centri islamisti hanno fatto la loro comparsa anche nei territori abitati dai tartari.
- Drastico calo tra il 2000 e il 2002 della politicizzazione islamica e perdite ingenti tra gli islamisti nord-caucasici durante la seconda campagna in Cecenia.
- Ripresa dell’attività dei radicali islamici a partire dal 2003. Cresce il numero di jamaat (‘gruppi’) nel Caucaso del Nord, e si intensificano le attività degli islamisti della regione del Volga, nonostante fossero considerati quasi del tutto dispersi alla fine degli anni ’90.
L’ideologia radicale di alcuni musulmani in Russia si è dimostrata più radicata di quanto si pensasse. A ciò hanno contribuito vari fattori:
- Un’osservanza più rigida contribuisce a risvegliare l’interesse verso tendenze religiose al di fuori dell’islam tradizionale.
- Formazione tra le giovani generazioni di un clero musulmano di varia natura proveniente dal mondo arabo. I giovani laureatisi nelle università dell’Arabia Saudita, dell’Egitto e della Turchia offrono ai loro compatrioti versioni diverse e più radicali dell’islam (tra cui l’hanbalismo), come pure un islam senza maskhab (‘dottrina’), ossia il salafismo.
- I gruppi locali, soprattutto nel Caucaso del Nord, continuano a promuovere un’organizzazione della società basata sulla sharia e a predicare che la giustizia sociale può essere garantita solo attraverso l’islam.
- L’islam si presenta come l’unica forma di protesta contro l’ingiustizia del potere centrale e locale e contro la sua corruzione.
- I finanziamenti continuano ad arrivare dall’estero.
- L’attività degli estremisti contribuisce a mantenere il clima di scontro tra islam e Occidente.
Nonostante l’eterogeneità dei musulmani russi, sono proprio i radicali a far superare l’isolamento tra tartari e caucasici. L’interpretazione non tradizionale dell’islam diffusa attualmente in tutta la Russia trascende i confini etnico-culturali e consolida le comunità musulmane grazie all’ideologia radicale. Nello stesso tempo, si intensificano i contatti tra gli estremisti russi e quelli dell’Asia centrale; ciò è da ricollegarsi alla comparsa periodica di emissari di Hizb ut-Tahrir al-Islami (Partito islamico di Liberazione) nella regione del Volga e negli Urali del Sud.
Ovviamente, il processo di integrazione basato sull’ideologia radicale è pericoloso poiché, appoggiando tendenze estremiste, fomenta la destabilizzazione. Infatti, le simpatie dei musulmani si rivolgono spesso agli islamisti proprio perché costoro promuovono il miglioramento del loro status sociale e garantiscono giustizia sociale attraverso l’islam: gli islamisti diventano così i paladini dei settori più disagiati della popolazione conquistando popolarità grazie al confronto con le autorità, tanto che nel Caucaso del Nord si ha la percezione che gli islamisti locali siano l’unica forza davvero temibile da parte delle autorità.
Le maggiori chance per l’islamismo si trovano nel Caucaso del Nord. Alla fase di stallo della guerra in Cecenia corrisponde una rinascita dell’attività islamista nell’intera regione: le autorità che dal 1999 combattono militarmente i wahhabiti non sono riuscite a prevenirne l’espansione. Gli islamisti sono quindi divenuti il potere politico di fatto. Il nuovo leader dei separatisti, Abdul-Khalim Sajdullaev, succeduto ad Aslan Maskhadov, punta alla creazione di un “fronte caucasico” del jihad. Non esiste ancora un fronte comune, ma aumenta il coordinamento tra i vari gruppi islamisti nelle repubbliche separatiste.
Si registra inoltre un’evoluzione nella percezione del proprio ruolo da parte degli islamisti: aumenta il numero di coloro che credono di combattere non contro l’amministrazione locale e Mosca bensì di far parte del jihad globale; il che eleva il loro status non solo ai loro occhi ma anche a quelli delle autorità locali e federali, le quali proclamano di combattere non contro volgari criminali ma contro l’“avanguardia” del terrorismo internazionale.
Negli ultimi due anni, i servizi speciali russi hanno decapitato la leadership dei jamaat in Daghestan, Inguscezia e Kabardino-Balkaria, e hanno anche eliminato diversi comandanti in campo ceceni. Tuttavia, si ha la sensazione che le autorità non abbiano raggiunto l’obiettivo principale, ossia bloccare l’adesione dei giovani tra i 18 e i 20 anni all’islamismo. Infatti si è verificato un “ringiovanimento” dell’islamismo, come è avvenuto, ad esempio, nella regione del Volga, dove i seguaci fanno capo a imam giovani e radicali.
Tutto il variegato universo islamico russo vive ancora lo scontro intra-musulmano, tra i tradizionalisti e quanti tentano di educare la popolazione ad un “islam arabo”. Da notare che l’emergere di una tendenza liberale all’“euro-islam” non gode dell’appoggio del clero, ed è ignota ai più rimanendo invece relegata alla cerchia ristretta dell’intellighenzia secolare.
In un certo senso, l’evoluzione in corso nell’islam russo è da ricollegarsi a un divario generazionale: agli imam di 40-50 anni che si sono affermati durante la perestroika si contrappongono giovani ambiziosi, conoscitori dell’arabo, esperti di fiqh e sharia, e dotati di elevate capacità di predicazione.
I seguaci dell’islam tradizionale si preoccupano soprattutto dello stato del processo educativo, dei programmi di istruzione di molte madrasse e istituti e della pletora di libri che divulgano le idee di fondamentalisti islamici tradizionali quali Sayyid Qutb e Yusuf Qaradawi. Questa situazione riguarda non solo la Russia ma tutti gli Stati musulmani dell’area post-sovietica, dove sono state avviate iniziative educative e informative volte ad allontanare i credenti dall’influenza degli islamisti.
Nell’ultimo decennio, i musulmani russi si sono battuti per l’integrazione nell’ummah. In alcuni casi, questa aspirazione collide con la politica ufficiale di Mosca: ad esempio, l’élite politica e clericale musulmana si è opposta alla politica filo-serba del Cremlino, esprimendo al contrario solidarietà ai musulmani in Bosnia e in Kosovo; di contro, gli islamisti hanno appoggiato la posizione del Cremlino nel conflitto sull’intervento in Iraq nel 2002. Di recente, in occasione della guerra delle vignette sul profeta Maometto del 2006, i musulmani russi hanno solidarizzato con i loro correligionari e il primo ministro della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha espulso dal paese la missione umanitaria danese; decisione da cui Mosca ha preso le distanze.
Il principale obiettivo dell’ummah resta ovviamente il conflitto in Medio Oriente. Dopo l’appoggio incondizionato dato alla Palestina dall’Unione Sovietica, i musulmani russi sono rimasti delusi dalla nuova politica di equidistanza adottata da Mosca; per questo è stato accolto con particolare soddisfazione l’invito di Putin ad Hamas ad inviare una delegazione a Mosca dopo la vittoria elettorale. (Tra l’altro Hamas non figura nella lista russa delle organizzazioni terroristiche).
Nel 1998-99 l’Unione dei musulmani di Russia ha compiuto il primo tentativo, infruttuoso, di far entrare la Russia nell’Organizzazione della Conferenza islamica (Oci); nel 2002-03 l’iniziativa è stata patrocinata dal Ministero degli Affari esteri con il beneplacito di Vladimir Putin. Nonostante la Russia non abbia ancora ottenuto lo status di osservatore dell’Oci, il solo fatto che se ne sia discusso dà ai musulmani russi una ragione in più per riconoscersi quale membro a pieno titolo dell’ummah.
Il senso di appartenenza all’islam diviene quindi più forte dell’appartenenza nazionale. In Russia, Stato multiconfessionale, queta contraddizione è accentuata dai complessi rapporti tra le principali religioni. L’uguaglianza di tutte le confessioni sancita dalla Costituzione non sempre viene osservata. La Chiesa ortodossa russa, cui appartiene la maggioranza della popolazione, reclama un ruolo preponderante nella società e nella costruzione dello Stato-nazione. Il capo della Chiesa ortodossa, il patriarca Alessio II, può essere annoverato tra i primi quindici uomini politici del paese, e la Chiesa è presente nell’esercito e nella scuola elementare influenzandone i programmi di istruzione. In certi casi esponenti della Chiesa ortodossa sono riusciti in qualche modo a ostacolare la costruzione di nuove moschee, la registrazione di organizzazioni islamiche e la creazione di centri islamici.
Tutti questi episodi non possono non irritare l’élite musulmana. Dietro alla facciata del dialogo inter-religioso si nascondono aspri conflitti che, di quando in quando, trapelano sui quotidiani e sulle riviste e nei discorsi di alcuni rappresentanti del clero.
Il conflitto più recente è stato quello sui simboli russi: la corona e il globo sormontato dalla croce rappresentanti l’emblema nazionale. Nell’autunno 2005 un’organizzazione tartara ha chiesto la rimozione dei simboli del cristianesimo dall’emblema di Stato. Ne è nata un’accesa disputa sfociata nell’inasprimento dei rapporti tra musulmani e ortodossi.
La Russia, d’altra parte, non ha evitato neanche la guerra sul “velo”. L’Unione delle Donne tartare musulmane ha chiesto che alle donne fosse consentito di essere fotografate con il velo per i documenti ufficiali. Le autorità hanno agito con prudenza accogliendo la richiesta, troncando così sul nascere dibattiti che avrebbero fatto guadagnare alla causa delle donne tartare la simpatia della società civile.
Un altro tentativo di diffondere lo stile di vita islamico è stato la richiesta di legalizzare la poligamia. Si tratta di un tema dibattuto sin dalla metà degli anni ’90. Nel 2005 Kadyorv ha difeso il diritto alla poligamia adducendo ragioni demografiche: il numero di donne in Cecenia è dieci volte superiore a quello degli uomini, quindi la poligamia è l’unico modo per evitare l’estinzione.
Al di là delle singole questioni, il reinserimento di un modello islamico di condotta sociale è una realtà. Anche se all’inizio degli anni ’90 alcuni politici e analisti ritenevano che si trattasse solo di una “moda”, la re-islamizzazione dei musulmani russi si è rivelata più profonda di quanto si pensasse.
Cosa accadrà nel 2020? Il numero dei musulmani salirà a circa 25 milioni di persone. Ora, se si considera che la popolazione russa complessiva diminuirà a 130 milioni, se ne deduce che la percentuale di musulmani sarà del 17%-19%. Contemporaneamente, si verificherà la conversione all’islam, soprattutto di persone provenienti dal Caucaso.
In futuro si registreranno due tendenze: da un lato, si avrà l’infiltrazione dei musulmani, in particolare caucasici, nella società russa; dall’altro, costoro tenderanno a preservare la propria identità etnica, specie nella prima fase. Di qui, l’emergere di una nuova generazione di politici che rappresenteranno gli interessi di vari gruppi su base etnico-confessionale. Potrebbero nascere movimenti semi-religiosi, che non avranno però una natura intrinsecamente separatista.
La Russia e il resto del mondo non si “libereranno” dell’islam radicale, che continuerà ad esistere in varie forme, quali il wahhabismo, l’islamismo e il fondamentalismo. Tale fenomeno assumerà un carattere più spiccato nel Caucaso del Nord, sebbene centri di radicalismo religioso rimarranno anche nella regione del Volga, in virtù delle attività di predicazione di una nuova generazione del clero formatasi nei paesi arabi.
Nei prossimi 15 anni il terrorismo di matrice religiosa continuerà a manifestarsi in Russia e nelle regioni circostanti. Ciò nonostante, le autorità dovranno avviare un dialogo sistematico con gli islamisti moderati. I rapporti etnico-confessionali rimarranno tesi e si verificheranno scontri diretti. E se l’amministrazione a tutti i livelli, i leader delle comunità etniche e le figure religiose di spicco temporeggeranno, tali conflitti saranno più frequenti e violenti fino a diventare “mini-guerre”.
Parallelamente crescerà l’islamofobia, che diventerà parte della coscienza sociale e politica del paese, alimentata non solo da problemi etnico-confessionali ma anche da un reciproco pregiudizio tra Occidente e mondo musulmano. La Russia non diventerà uno Stato musulmano come taluni hanno predetto; nondimeno il “fattore islamico” si farà più visibile nella vita sociale e nelle scelte di svariati gruppi politici.
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