Di velluto, ma pur sempre una rivoluzione. Sarebbe ingeneroso sottostimare l'importanza del «pacchetto per lo sviluppo» che esce oggi dal Consiglio dei ministri. È vero che il governo si è perso alla ricerca di passanti danarosi nella foresta di Sherwood: la Robin Hood tax obbedisce alla necessità, per il ministro Tremonti, di dare seguito politicamente al clima e agli scenari che prefigurava nel suo best-seller elettorale. Ma è vero anche che Tremonti e il governo si trovano ad agire in un momento particolare, nel quale nessuno vede la fine della corsa al rialzo del greggio. La tentazione di togliere ai ricchi, contorcendo il vocabolario tradizionale del centrodestra e spiazzando il Pd, viene a saldarsi col bisogno di venire incontro alla domanda popolare: fate qualcosa. È comprensibile si voglia disinnescare un disagio sociale che pare pronto a esplodere in settori tradizionalmente vicini al Pdl (fra i padroncini, per esempio) - nel momento in cui si sa già che altri pezzi di società (a cominciare dagli impiegati pubblici) stanno affilando le armi.

Per carità, le pressioni politiche rappresentano l'eterna giustificazione di qualsiasi interventismo. Ma sarebbe ipocrita negare che vi siano, e pesanti, e illusorio immaginare un esecutivo saldo al punto da resistervi. Certo, se il gettito della Robin Hood tax verrà utilizzato per concedere una fiscalità di favore ad alcune categorie particolarmente esposte al caro carburanti darà sollievo solo a loro. Una riduzione selettiva del prelievo finirà per distorcere il mercato senza produrre benefici diffusi.

In questo frangente, di diverso conio dovrebbero essere le misure volute da Claudio Scajola. Mirando alla liberalizzazione della distribuzione, il ministro può fare bene: ma tenendo presente che liberalizzazione, quando si parla di benzina, fa rima con razionalizzazione. La rete italiana è molto inefficiente e questo causa un sovrapprezzo quantificabile in 3-5 centesimi per litro. In Italia, rispetto ad altri paesi europei, abbiamo troppi punti di rifornimento, con un erogato medio troppo basso, che derivano interamente il loro reddito dai margini sui carburanti. La chiave di volta sta nella rimozioni dei vincoli esistenti al mix merceologico. Cioè, i distributori dovrebbero poter vendere anche i prodotti non oil, creando veri e propri minimarket, come accade altrove, e trasformare i carburanti in beni civetta per attirare i clienti.

Detto questo, il pacchetto è l'espressione migliore della nuova stagione del centrodestra. Un nuovo corso meno incendiario nelle parole d'ordine, ma - se il pacchetto avrà il destino che la marmorea maggioranza berlusconiana potrebbe garantirgli - non necessariamente meno incisivo. I provvedimenti più volte anticipati dai ministri Sacconi e Brunetta dovrebbero esserci, e non si tratta di cure omeopatiche. L'abolizione del divieto di cumulo fra lavoro e pensione può avere importanti effetti di «emersione».

La riduzione della carta nella pubblica amministrazione non fa bene solo alla foresta amazzonica, ma rende possibile l'affinamento di strumenti che di per sé dovrebbero significare un recupero di efficienza e di trasparenza.
Inoltre, è apprezzabile la responsabilizzazione degli enti locali, che pure fanno fuoco e fiamme, messi davanti alla prospettiva di tagli molto duri. Quando Tremonti dice: comportiamoci come fossimo in un condominio, implicitamente chiarisce dove stia la differenza tra gli scampoli di federalismo faticosamente strappati a Roma negli scorsi anni e il «federalismo fiscale» cui si dovrebbe mettere mano in questa legislatura. Un federalismo autentico deve essere responsabilizzante ed evitare la moltiplicazione dei centri di spesa.

Ma fra tutte le novità apprezzabili (inclusa la spintarella populista ai libri di testo su internet, che comunque attiva un mercato) che dovrebbero essere presenti nel pacchetto, di gran lunga la cosa più importante è la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. È così perché si tratta del provvedimento politicamente più difficile (chiedere a Linda Lanzillotta) nonostante sia apparentemente una ricetta condivisa dai partiti maggiori. Le resistenze degli interessi locali, dei loro terminali romani, e del sindacato, sono leggendarie. Va dato atto al Pdl di mettere consapevolmente le mani in un vespaio. Forse sarà questo il banco di prova decisivo per capire se quello di Berlusconi è decisionismo o un tirare a campare ben temperato.

Da Il Riformista, 18 giugno 2008

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