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    Predefinito 19 giugno - SS. Gervasio e Protasio, martiri

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Santi Gervasio e Protasio, Martiri

    19 giugno

    sec. II-III

    A chi visita la basilica milanese di Sant'Ambrogio il nome di Gervaso e Protaso, martiri del II secolo, potrà dire poco. Ma se si scende nella cripta ecco le loro reliquie accanto alla tomba del vescovo. Fu infatti Ambrogio a far scavare davanti alla basilica dei santi Nabore e Felice, a Porta Vercellina. E lì rinvenne i resti dei due martiri vissuti due secoli prima e quasi dimenticati. Dopo la traslazione nella basilica sono diventati "pietre angolari" della diocesi. (Avvenire)

    Etimologia: Gervasio = dalla lancia acuta, dal tedesco

    Emblema: Palma

    Martirologio Romano: A Milano, commemorazione dei santi Gervasio e Protasio, martiri, i cui corpi furono rinvenuti da sant’Ambrogio e in questo giorno solennemente traslati nella nuova basilica da lui costruita.

    Martirologio tradizionale (19 giugno): A Milano i santi Martiri Gervaso e Protaso fratelli, dei quali il primo dal Giudice Astasio fu fatto percuotere con flagelli piombati finché non rese lo spirito; l'altro, percosso con bastoni, fu fatto decapitare. I loro corpi, per divina rivelazione, furono ritrovati dal beato Ambrogio cosparsi di sangue e così incorrotti, come se fossero stati uccisi in quel giorno: nella loro traslazione, un cieco, toccando il feretro, ricuperò la vista, e moltissimi, infestati dai demoni, furono liberati.

    GERVASIO e PROTASIO, santi, martiri a MILANO

    Le notizie piú antiche sui santi Gervasio e Protasio risalgono al 386, anno della invenzione dei loro corpi a Milano ad opera di s. Ambrogio.
    Il 7 giugno 386, nella zona cimiteriale di Porta Vercellina (nell'area compresa tra la basilica di S. Ambrogio, l'Università Cattolica e la caserma Garibaldi), nel sottosuolo antistante la basilica cimiteriale dei SS. Nabore e Felice, s. Ambrogio fece operare uno scavo: vi si trovarono i corpi dei due martiri il cui ricordo era andato praticamente perduto nella Chiesa di Milano: tuttavia i vecchi, ad invenzione avvenuta, affermarono di averne sentito, un tempo, i nomi e di averne letta l'iscrizione sepolcrale. S. Agostino, presente a Milano in quegli anni e Paolino di Milano, segretario e biografo di s. Ambrogio dicono che il santo ebbe una rivelazione (i due scritti sono rispettivamente del 397-401 e del 422); s. Ambrogio, invece, scrivendo alla sorella Marcellina la cronaca di quegli avvenimenti, parla solo di un presentimento.
    La sera del 18 giugno le sacre spoglie furono trasportate nella vicina basilica Fausta per una veglia notturna di preghiere: il giorno seguente, venerdí 19 giugno, esse furono solennemente traslate, con un grandissimo, entusiastico concorso di popolo, nella basilica detta attualmente di S. Ambrogio, che si era appena finito di costruire, per consacrarla con questa deposizione di reliquie. S. Ambrogio dice d'aver predisposto il luogo sotto l'altare della nuova basilica come sua tomba: scoperti i corpi dei due martiri, cedette loro dexteram portionem.
    Da quanto consta dalle fonti sopraindicate, sembra da escludersi in modo assoluto che l'invenzione dei corpi dei martiri Gervasio e Protasio sia stata un espediente di Ambrogio per meglio resistere, attraverso l'entusiasmo delle folle, alla corte in generale ed a Giustina in particolare, che pretendevano la consegna agli ariani di una basilica milanese; parimenti affatto gratuita è l'opinione che i due martiri siano una trasposizione cristiana dei Dioscuri.
    La traslazione delle reliquie dei martiri Gervasio e Protasio fatta da Ambrogio a scopo liturgico, sull'esempio delle traslazioni liturgiche orientali, ebbe un influsso notevole in tutto l'Occidente, segnando una svolta decisiva nella storia del culto dei santi e delle loro reliquie.
    I due santi godettero subito di una notevole popolarità, soprattutto in Occidente: furono particolarmente venerati in Italia, a Ravenna, a Brescia ed a Roma, dove, sotto il pontificato di Innocenzo I (402-417), la matrona Vestina eresse una chiesa dedicata in loro onore, l'attuale S. Vitale in via Nazionale; in Gallia, a Vienne ed a Rouen; in Spagna, a Carmona; in Africa, a Cartagine. L'anniversario della invenzione dei loro corpi ben presto entrò nei piú importanti Calendari e Sacramentari, come il Calendario Cartaginese, il Sacramentario Gregoriano ed il Martirologio Geronimiano che li ricordano tutti, concordemente, il 19 giugno Il Geronimiano, poi, li ricorda anche altre volte: il 20 maggio (sembra per un errore di lettura e di trascrizione); il 28 luglio, giorno dei ss. Nazario e Celso, nei cui Atti si parla anche dei ss. Gervasio e Protasio ed il 30 ottobre (per cause ignote).
    Data la fama dei due santi e la scarsità delle notizie che li concernevano, tra la fine del sec, V e l'inizio del VI, un autore rimasto anonimo, ne compose la passio, inserendola in una lettera falsamente attribuita a s. Ambrogio, nella quale, autore della passio stessa, figura nientemeno che Filippo, il primo grande benefattore della Chiesa di Milano al tempo del vescovo s. Caio (v.), il quale avrebbe sepolto i due santi nella sua casa.
    La passio presenta Gervasio e Protasio come figli gemelli dei ss. Vitale e Valeria. Morti i genitori, i due fratelli vendettero i beni di famiglia, ne distribui rono il ricavato ai poveri e si ritirarono in una casetta ove passarono dieci anni in preghiera e me ditazione. Denunziati come cristiani ad Astasio, di passaggio per Milano diretto alla guerra contro i Marcomanni, non vollero assolutamente sacrificare e perciò furono condannati a morte. Gervasio morí sotto i colpi dei flagelli, Protasio venne invece decapitato.
    La leggenda intorno ai nostri martiri si arricchì di ulteriori precisazioni: la Datiana historia eccle siae Mediolanensis afferma che i due santi furono convertiti al Cristianesimo, assieme ai loro genitori, nobilissimi cittadini di Milano, dal ve scovo s. Caio che avrebbe retto la Chiesa della città dal 63 all'85 e il loro martirio sarebbe avvenuto ai tempi di Nerone (54-68).
    In realtà sembra che il martirio di Gervasio e Protasio si debba attribuire o alla persecuzione di Diocleziano (e perciò all'inizio del sec. IV) o molto piú probabilmente a qualcuna delle persecuzioni della metà del sec. III (di Decio o Valeriano).
    Importante è la ricognizione delle reliquie dei ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio avvenuta poco dopo la metà del sec. scorso, e precisamente negli anni 1864 e 1871. Il 13 gennaio 1864, sotto 1'altare maggiore della basilica di S. Ambrogio, furono trovati due loculi: verso nord (e cioè a destra di chi celebra con la faccia rivolta verso il popolo) il loculo piú grande dei due martiri, a sinistra, quello piú stretto di s. Ambrogio. I corpi erano rimasti in quei due loculi fino all'anno 835, circa, allorché 1'arcivescovo Angelberto II, in occasione del rifacimento totale della cadente basilica del sec. IV e della costruzione dell'altare d'oro del maestro Wolvinio, li riuní in una sola urna di porfido (anch'essa scoperta, ma non aperta nel 1864) che venne disposta in senso trasversale sopra i ,due loculi che furono lasciati vuoti in situ. L'8 agosto 1871, per ordine dell'arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, I'urna di porfido fu scoperchiata. Era per due terzi piena di acqua limpida; sul fondo stavano i tre scheletri che, esaminati diligentemente, risultarono appartenenti ad uomini che misuravano rispettivamente cm. 163 (s. Ambrogio), 180 e 181 (Gervasio e Protasio). Risulterebbe da indagini fatte allora ed in seguito, che una ricognizione dei loro corpi doveva essere avvenuta tra la fine del sec. V e l'inizio del VI.
    Quando nel 1871 si annunciò la scoperta milanese dei corpi dei ss. Gervasio e Protasio, cinque città asseritono di possederli anch'esse e proteste vivacissime presso la cur1a di Milano furono fatte soprattutto dalla città di Alt Breisach sul Reno.
    La festa dei due martiri viene celebrata il 19 giugno anniversario della loro solenne traslazione del 386 nella basilica di S. Ambrogio; il 14 maggio la liturgia ambrosiana ricorda la reposizione dei corpi dei ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio nella nuova, attuale urna preziosa, eseguita nell'anno 1874, dopo la ricognizione del 1871.

    Autore: Antonio Rimoldi

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    Sts. Gervasius and Protasius

    Martyrs of Milan, probably in the second century, patrons of the city of Milan and of haymakers; invoked for the discovery of thieves. Feast, in the Latin Church, 19 June, the day of the translation of the relics; in the Greek Church, 14 Oct., the supposed day of their death. Emblems: scourge, club, sword.

    The Acts (Acta SS., June, IV, 680 and 29) were perhaps compiled from a letter (Ep. liii) to the bishops of Italy, falsely ascribed to St. Ambrose. They are written in a very simple style, but it has been found impossible to establish their age. According to these, Gervasius and Protasius were twins, children of martyrs. Their father Vitalis, a man of consular dignity, suffered martyrdom at Ravenna under Nero(?). The mother Valeria died for her faith at Milan. The sons are said to have been scourged and then beheaded, during the reign of Nero, under the presidency of Anubinus or Astasius, and while Cajus was Bishop of Milan. Some authors place the martyrdom under Diocletian, while others object to this time, because they fail to understand how, in that case, the place of burial, and even the names, could be forgotten by the time of St. Ambrose, as is stated. De Rossi places their death before Diocletian. It probably occurred during the reign of Antoninus (161-168).

    St. Ambrose, in 386, had built a magnificent basilica at Milan. Asked by the people to consecrate it in the same solemn manner as was done in Rome, he promised to do so if he could obtain the necessary relics. In a dream he was shown the place in which such could be found. He ordered excavations to be made in the cemetery church of Sts. Nabor and Felix, outside the city, and there found the relics of Sts. Gervasius and Protasius. He had them removed to the church of St. Fausta, and on the next day into the basilica, which later received the name San Ambrogio Maggiore. Many miracles are related to have occurred, and all greatly rejoiced at the signal favour from heaven, given at the time of the great struggle between St. Ambrose and the Arian Empress Justina. Of the vision, the subsequent discovery of the relics and the accompanying miracles, St. Ambrose wrote to his sister Marcellina. St. Augustine, not yet baptized, witnessed the facts, and relates them in his "Confessions", IX, vii; in "De civ. Dei", XXII, viii; and in "Serm. 286 in natal. Ss. Mm. Gerv. et Prot.", they are also attested by St. Paulinus of Nola, in his life of St. Ambrose. The latter died 397 and, as he had wished, his body was, on Easter Sunday, deposited in his basilica by the side of these martyrs. In 835, Angilbert II, a successor in the See of Milan, placed the relics of the three saints in a porphyry sarcophagus, and here they were again found, January, 1864 (Civiltà Cattolica, 1864, IX, 608, and XII, 345).

    A tradition claims that after the destruction of Milan by Frederick Barbarossa, his chancellor Rainald von Dassel had taken the relics from Milan, and deposited them at Altbreisach in Germany, whence some came to Soissons; the claim is rejected by Milan (Biraghi, "I tre sepoleri", etc. Milan, 1864). Immediately after the finding of the relics by St. Ambrose, the cult of Sts. Gervasius and Protasius was spread in Italy, and churches were built in their honour at Pavia, Nola, etc. In Gaul we find churches dedicated to them, about 400, at Mans, Rouen, and Soissons. At the Louvre there is now a famous picture of the saints by Lesueur (d. 1655), which was formerly in their church at Paris. According to the "Liber Pontificalis", Innocent I (402-417) dedicated a church to them at Rome. Later, the name of St. Vitalis, their father, was added to the title. Very early their names were inserted in the Litany of the Saints. The whole history of these saints has received a great deal of adverse criticism. Some deny their existence, and make them a Christianized version of the Dioscuri of the Romans. Thus Harris, "The Dioscuri in Christian Legend", but see "Analecta Boll." (1904), XXIII, 427.

    Bibliography

    STOKES in Dict. Christ. Biog., s.v.; KRIEG in Kirchenlex., s.v.; BUTLER, Lives of the Saints (19 June).

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909

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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecoste, Paris-Poitiers, 1903, IX ediz., t. III, p. 238-246

    LE XIX JUIN.

    LES SAINTS GERVAIS ET PROTAIS, MARTYRS.


    La simple mémoire consacrée en ce jour aux glorieux frères dont le nom fut autrefois si célèbre dans tout l'Occident, ne doit pas diminuer leur mérite à nos yeux. L'Esprit du Fils de Dieu, chargé de maintenir en l'Epouse cette note divine de la sainteté qui doit, jusqu'aux derniers jours, la faire reconnaître à la fois des anges et des hommes, ne cesse, à chaque génération, de susciter des saints nouveaux qui attirent plus spécialement les hommages des siècles dont leurs vertus sont l'exemple et la gloire. Mais si, dans tous les âges, un juste mouvement de gratitude pour les bienfaits présents du Paraclet conduit l'Eglise à célébrer, d'une façon particulière, ceux de ses enfants qui viennent d'accroître ainsi plus récemment par le spectacle de leur vie l'éclat de sa noble parure, les dernières manifestations de l'Esprit d'amour ne lui font pas oublier pour cela les anciennes. Gervais et Protais ne sont plus honorés par cette fête solennelle, précédée d'une vigile, dont le sacramentaire Gélasien nous a conservé le souvenir; mais la place qu'ils occupaient dans les litanies de l'Eglise romaine, comme représentants de l'armée des martyrs, leur a été maintenue. De préférence à un grand nombre de saints dont la fête est d'un rit supérieur à la leur, c'est vers eux que se tourne l'Eglise dans les plus solennelles de ses supplications: qu'il s'agisse d'obtenir à la terre, en de pieuses processions, l'éloignement des fléaux et les bénédictions de la vie présente; ou que, prosternée, l'assemblée sainte du peuple chrétien uni à ses pontifes implore les grâces d'une consécration abondante pour ses autels ou ses temples, pour les futurs dépositaires du sacerdoce, les vierges ou les rois.

    Les historiens des rites sacrés nous apprennent que l'Introït qui se chante à la Messe de nos deux saints martyrs: Le Seigneur donnera la paix à son peuple, est un monument de la confiance de saint Grégoire le Grand dans leur secourable puissance. Reconnaissant des résultats déjà obtenus, il remettait à leurs soins, par le choix de cette antienne, la pacification complète de l'Italie en butte à l'invasion lombarde et aux revendications de la cour de Byzance.

    Deux siècles auparavant, saint Ambroise avait éprouvé le premier la vertu spéciale de pacification que le Seigneur Christ, en retour de leur mort, semble attacher aux ossements mêmes de ses glorieux témoins. Pour la deuxième fois, l'impératrice Justine et l'arien Auxence dirigeaient contre l'évêque de Milan l'assaut des puissances réunies de la terre et de l'enfer; pour la deuxième fois, sommé d'abandonner une église, Ambroise avait répondu: «Ce n'est pas au prêtre à livrer le temple» (1). Aux soldats envoyés pour prêter main-forte aux envahisseurs du saint lieu, il avait dénoncé l'excommunication s'ils passaient outre; et, sachant qu'ils étaient engagés à Dieu par leur baptême avant de l'être au prince, les soldats avaient fait le cas qu'il convenait d'une consigne sacrilège. A la cour, effrayée de l'indignation universelle et qui le priait maintenant de calmer le peuple soulevé par des mesures odieuses: «Il est en mon pouvoir de ne pas l'exciter, avait-il dit; mais l'apaisement appartient à Dieu». Lors-qu'enfin les troupes ariennes qu'on put rassembler cernèrent la basilique où se trouvait Ambroise, on vit au nom de l'indivisible et pacifique Trinité tout ce peuple s'enfermer dans l'église avec son évêque, et soutenir par la seule force de la divine psalmodie et des hymnes sacrées un siège d'un nouveau genre. Mais le dernier acte de cette guerre de deux ans contre un homme désarmé, l'événement qui acheva la déroute de l'hérésie, fut la découverte des reliques précieuses de Gervais et de Protais, que Milan possédait sans les connaître, et qu'une inspiration du ciel révéla au pontife.

    Ecoutons l'évêque raconter les faits, dans la simplicité si suave de sa grande âme, à sa sœur Marcelline. Consacrée depuis longtemps parle Pontife suprême à l'Epoux des vierges, Marcelline était de ces âmes toutes-puissantes dans leur humilité, que le Seigneur place presque toujours à côté des grands noms de l'histoire de l'Eglise, pour être leur force devant Dieu: coopératrices ignorées des œuvres éclatantes, dont le plus souvent l'intervention de prière et de souffrances ne doit être connue qu'au jour où se révéleront les réalités éternelles. Déjà Ambroise avait tenu sa sœur informée des détails de la première campagne dirigée contre lui: «Puisque dans presque toutes vos lettres, lui disait-il alors, vous vous enquérez avec sollicitude de ce qui touche l'Eglise, voici ce qui se passe. Le lendemain du jour où vous me mandiez l'anxiété que vous donnaient vos songes, le poids des graves inquiétudes fondit sur nous» (2).

    La lettre suivante, au contraire, respire déjà le triomphe et la liberté reconquise.

    «Le frère à sa dame et sœur, plus chère que ses yeux et sa vie. J'ai l'habitude de ne rien laisser ignorer à votre sainteté de ce qui arrive ici en votre absence; sachez donc aussi que nous avons trouvé des saints martyrs. Lorsqu'en effet je m'occupais de dédier la basilique que vous savez, beaucoup se mirent à m'interpeller d'une seule voix, disant: Dédiez-la comme la basilique Romaine. Je répondis: Je le ferai, si je trouve des reliques de martyrs. Et aussitôt m'envahit comme l'ardeur de quelque présage. Qu'ajouterai-je? Le Seigneur a donné sa grâce. Malgré la crainte des clercs eux-mêmes, j'ordonnai de creuser la terre au lieu qui est devant la balustrade des saints Félix et Nabor. Je trouvai les signes voulus: on amena même des possédés auxquels nous devions imposer les mains, et il arriva qu'à la première apparition des saints martyrs, lorsque nous gardions encore le silence, une femme (3) d'entre eux fut saisie et renversée à terre devant le saint tombeau. Nous y trouvâmes deux hommes d'une grandeur étonnante, comme dans les temps anciens, tous les ossements entiers, quantité de sang. Il y eut grand concours de peuple durant ces deux jours. A quoi bon les détails? Les saints corps dans leur intégrité, disposés comme il était convenable, nous les avons transportés sur le soir à la basilique de Fausta; là, veilles toute la nuit, imposition des mains. Le jour suivant, translation à la basilique qu'ils appellent Ambrosienne; pendant le trajet, guérison d'un aveugle» (4).

    Ambroise ensuite rapporte à Marcelline les discours qu'il prononça dans la circonstance. Nous n'en citerons qu'un passage: «Seigneur Jésus, disait le pontife, je vous rends grâces d'avoir suscité près de nous l'esprit des saints martyrs en un temps où votre Eglise réclame de plus grands secours. Que tous connaissent quels défenseurs je désire, qui puissent défendre et n'attaquent pas. Je t'ai acquis ceux-là, peuple saint, utiles à tous, funestes à personne. Ce sont là les gardiens que j'ambitionne, ce sont là mes soldats. A leur sujet, je ne crains point l'envie; je souhaite leur secours à ceux-là même qui me jalousent. Qu'ils viennent donc, et qu'ils voient mes gardes; je ne nie pas m'entourer de telles armes. Comme pour le serviteur d'Elisée, quand l'armée des Syriens assiégeait le prophète, Dieu a ouvert nos yeux. Nous voici, mes frères, déchargés d'une honte qui n'était pas minime: avoir des défenseurs, et n'en rien savoir! ... Voici que d'un sépulcre sans gloire sont tirés de nobles restes, trophées que le ciel voit enfin. Contemplez ce tombeau humide de sang, taches glorieuses, marques du triomphe, ces reliques inviolées en leur lieu, dans le même ordre qu'au premier jour, cette tête séparée des épaules. Les vieillards se rappellent maintenant avoir autrefois entendu nommer ces martyrs, et lu l'inscription de leur tombe. Notre ville avait perdu ses martyrs, elle qui avait ravi ceux des cités étrangères. Quoique cela soit un don de Dieu, cependant je ne puis nier la grâce par laquelle le Seigneur Jésus daigne illustrer les temps de mon épiscopat: ne méritant pas d'être martyr moi-même, je vous ai acquis ces martyrs. Qu'elles viennent maintenant, ces victimes triomphales, prendre place au lieu où le Christ est hostie; mais, sur l'autel celui qui a souffert pour tous, sous l'autel ceux-ci qu'a rachetés sa passion. Je m'étais destiné cette place, car il est digne que le pontife repose où il avait coutume de présenter l'oblation; mais je cède la droite aux victimes sacrées: ce lieu était dû aux martyrs» (5).

    Ambroise devait en effet, dix ans plus tard, venir prendre place à son tour sous l'autel de la basilique Ambrosienne; il occupa le côté de l'Epître, laissant celui de l'Evangile aux deux martyrs. Au ixe siècle, un de ses successeurs, Angilbert, réunit les trois corps vénérés dans un même sarcophage de porphyre, qui fut établi dans le sens de la longueur de l'autel, au-dessus des deux tombes primitives. C'est là qu'après mille ans écoulés, grâce aux travaux nécessités par les réparations de la basilique, ils apparurent de nouveau, le 8 août 1871, non plus dans le sang qui avait au ive siècle révélé les martyrs, mais sous une nappe d'eau profonde et limpide: image touchante de cette eau de la Sagesse (6) qui avait coulé si abondamment des lèvres d'Ambroise, devenu l'hôte principal du saint tombeau. C'est là que, non loin de la tombe de Marcelline devenue elle-même un autel, le pèlerin de nos temps amoindris, l'âme remplie des souvenirs du vieil âge, vénère encore ces restes précieux; car ils demeurent inséparables toujours, dans la châsse de cristal où, placés sous la protection immédiate du Pontife romain (7), ils attendent maintenant la résurrection.

    Il est temps de lire la brève Légende qui se rapporte aux deux martyrs.

    Gervais et Protais étaient fils de Vital et de Valérie; leur père et leur mère souffrirent le martyre pour la foi de Jésus-Christ, le premier à Ravenne, celle-ci à Milan. Eux-mêmes, ayant distribué leur patrimoine aux pauvres et affranchi leurs esclaves, s'attirèrent de ce chef une haine sans mesure de la part des prêtres païens. Ceux-ci donc cherchèrent une occasion de perdre les pieux frères, et crurent la trouver dans le départ en guerre du comte Astasius. Ils ont appris des dieux, persuadent-ils à Astasius, qu'il ne sera vainqueur qu'à la condition de forcer Gervais et Protais a renier le Christ et à sacrifier aux dieux. Les deux frères ne témoignant qu'horreur d'une telle proposition, Astasius fait battre Gervais jusqu'à ce qu'il expire sous les coups; Protais,broyé sous le bâton, est frappé de la hache. Philippe, serviteur du Christ, enleva leurs corps à la dérobée et les ensevelit dans sa maison. Dans la suite, saint Ambroise les ayant découverts par une inspiration de Dieu, prit soin de les placer dans un lieu sacré et illustre. Ils souffrirent à Milan le treize des calendes de juillet.

    Il est court, le récit de vos combats, ô saints martyrs! Mais si les enseignements de votre vie ne sont point parvenus jusqu'à nous dans le détail que nous aurions souhaité, nous pouvons dire avec Ambroise, lorsqu'il vous présentait à son peuple: «Cette éloquence est la meilleure, qui sort du sang; car le sang a une voix retentissante, pénétrant de la terre au ciel» (8). Faites-nous comprendre son fort langage. Les veines des chrétiens doivent être toujours prêtes à rendre leur témoignage au Dieu rédempteur. Nos générations n'auraient-elles plus de sang dans leurs veines appauvries? Guérissez leur incurable affaissement; ce que ne peuvent plus les médecins des âmes, Jésus-Christ le peut toujours.

    Levez-vous donc, ô glorieux frères; enseignez-nous la voie royale du dévouement et de la souffrance. Ce ne peut être en vain que nos yeux misérables ont pu, dans ces temps, vous contempler comme ceux d'Ambroise; si Dieu vous révèle de nouveau à la terre après tant de siècles, il a en cela les mêmes vues qu'autrefois: relever par vous l'homme et la société d'une servilité funeste, chasser l'erreur, sauver l'Eglise qui ne peut périr, mais qu'il aime à délivrer par ses saints. Reconnaissez par de dignes services la protection dont Pierre, malgré sa captivité, couvre vos restes. Que Milan soit digne de vous et d'Ambroise. Visitez encore tant de contrées, proches ou lointaines, qu'enrichit autrefois le sang trouvé dans votre tombe. La France, qui vous fut si dévouée, qui plaça cinq de ses cathédrales sous votre vocable glorieux, attend de vous un secours spécial: ranimez en elle, ô martyrs, la dévotion des anciens jours; dégagez-la des sectes et des traîtres; qu'elle se retrouve bientôt le soldat de Dieu!

    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1. Andr. Ep. xx.

    2. Ep. XX.

    3. Urna du texte latin est pris pour una par les meilleurs interprètes.

    4. Ep. XXII.

    5. Ep. XXII.

    6. Prov. XVIII, 4; XX, 5; Eccli. XV, 3; etc.

    7. Constitutio Pii IX fortiter qui attingit a fine usque ad finem.

    8. Ep. XXII.

  4. #4
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    Giovanni Lomazzi su disegno di Ippolito Marchetti, Urna d'argento con i Corpi dei SS. Ambrogio, Gervasio e Protasio, 1897, Basilica di S. Ambrogio, Cripta, Milano

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    Eustache Le Sueur, I SS. Gervasio e Protasio dinanzi ad Astasio rifiutano di sacrificare a Giove, 1652-53, musée du Louvre, Parigi

    Philippe de Champaigne, Apparizione dei SS. Gervasio e Protasio con S. Paolo a S. Ambrogio, 1658, Musée du Louvre, Parigi

    Philippe de Champaigne, Invenzione delle reliquie dei SS. Gervasio e Protasio ad opera di S. Ambrogio, 1658, Musée du Louvre, Parigi

    Philippe de Champaigne, Traslazione dei corpi dei SS. Gervasio e Protasio, 1661, Musée du Louvre, Parigi

  6. #6
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    Gervasius and Protasius

    Saints Gervasius and Protasius
    (also Saints Gervase and Protase, Gervasis and Prothasis and in French Gervais and Protais) were Christian martyrs, probably of the 2nd century.

    They are the patron saints of Milan and of haymakers and are invoked for the discovery of thieves. Their feast day in the Roman Catholic Church is on June 19, the day marking the translation of their relics. In the Eastern Orthodox Church their feast takes place on October 14 (O.S.)/October 24 (N.S.), the traditional day of their death. In Christian iconography their emblems are the scourge, the club and the sword.

    Legend

    The "Acts"[1] may have been compiled from a letter (Epistle liii) to the bishops of Italy, falsely ascribed to Saint Ambrose. They are written in a very simple style; it has not been possible to establish their age. According to these, Gervasius and Protasius were the twin children of martyrs. Their father Saint Vitalis, a man of consular dignity, suffered martyrdom at Ravenna, possibly under Nero. The mother Saint Valeria died for her faith at Milan. Gervasius and Protasius were imprisoned, and visited in prison by Saint Nazarius.

    The sons are said to have been scourged and then beheaded, during the reign of the Emperor Nero, under the presidency of Anubinus or Astasius, and while Caius was Bishop of Milan. Some authors place the martyrdom under the Emperor Diocletian, but others object to this time, because it is not clear how, in that case, the place of burial, and even the names, could be forgotten by the time of Saint Ambrose, as is stated. It probably occurred during the reign of Emperor Marcus Aurelius (161-180).

    Ambrose and Saints Gervasius and Protasius

    Saint Ambrose, in 386, had built a magnificent Basilica at Milan (the Basilica Sant'Ambrogio). Asked by the people to consecrate it in the same solemn manner as was done in Rome, he promised to do so if he could obtain the necessary relics. In a dream he was shown the place in which such could be found. He ordered excavations to be made in the cemetery Church of Saints Nabor and Felix, outside the city, and there found the relics of Saints Gervasius and Protasius. In a letter, St Ambrose wrote: "I found the fitting signs, and on bringing in some on whom hands were to be laid, the power of the holy martyrs became so manifest, that even whilst I was still silent, one was seized and thrown prostrate at the holy burial-place. We found two men of marvelous stature, such as those of ancient days. All the bones were perfect, and there was much blood."[2]

    St Ambrose had their relics removed to the Basilica of Fausta (now the Church of Saints Vitalis and Agricola[3]), and on the next day into the basilica, accompanied in the texts by many miracles, emblemmatic of divine favor in the context of the great struggle then taking place between St Ambrose and the Arian Empress Justina.[4] Of the vision, the subsequent discovery of the relics and the accompanying miracles, St Ambrose wrote to his sister Marcellina.

    Saint Augustine, not yet baptized, witnessed these facts, and relates them in his "Confessions" (IX, vii), and in "De Civitate Dei" (XXII, viii) as well as in his "Sermon 286 in natal. Ss. Mm. Gerv. et Prot.". They are also attested by Saint Paulinus in his life of Saint Ambrose. The latter died in 397 and by his own wish was buried in his basilica by the side of these martyrs.

    Veneration

    J. Rendel Harris, "The Dioscuri in the Christian Legends" (London 1903) addressed the subject of twin saints in Christian legend, who seem to be connected with the Dioscuri, whose cult was tenacious, to surmise from an oration decrying their veneration by Dio Chrystostom ("Orations" 61.11). The historicity of Gervasius and Protasius was defended in the "Analecta Bollandist." (1904), XXIII, 427.

    Immediately after the discovery of the relics by Saint Ambrose, the cult of Saints Gervasius and Protasius was spread in Italy, and churches were built in their honor at Pavia, Nola and other places. In Gaul (modern-day France), we find churches dedicated to them, about 400, at Mans, Rouen and Soissons. At the Louvre in Paris, there is now a famous picture of the saints by Lesueur (d. 1655), which was formerly in their church at Paris. According to the "Liber Pontificalis," Pope Innocent I (402-417) dedicated a church to them at Rome. Later, the name of St Vitalis, their father, was added to the title of this church (Basilica of San Vitale). Very early on their names were inserted in the Litany of the Saints.

    In 835, Angilbert II, Bishop of Milan, placed the relics of the three saints in a porphyry sarcophagus, where they were found in January 1864.[5]

    A tradition claims that after the destruction of Milan by Frederick Barbarossa, his chancellor Rainald of Dassel had taken the relics from Milan, and deposited them at Breisach in Germany, whence some came to Soissons. The claim is rejected by Milan.[6]

    Nevertheless, they were venerated by farmers in Germany and a German saying amongst harvesters was: "Wenn's regnet auf Gervasius / es vierzig Tage regnen muss" ("When it rains on St Gervasius' Day / forty days of rain will follow").[7] Thus, as with the cults of Saint Swithun, Saint Medard, the Seven Sleepers, and Saint Godelieve, that of Sts Gervasius and Protasius was connected with the weather.

    A famous series of tapestries of the "Life of Gervasius and Protasius," donated to the Cathedral of Antwerp in 1509 is displayed in the cathedral's choir.[8]

    References
    1. "Acta Sanctorum" June, IV, 680 and 29.
    2. Letter of St. Ambrose of Milan on the
    3. Letter of Ambrose of Milan on the
    4. D. H. Williams, "Ambrose of Milan and the End of the Arian-Nicene Conflicts," Oxford: Clarendon Press, 1995 discusses the "inventio" and "depositio" of the relics as thecrowning gesture of Ambrose's triumph over the Arians.
    5. Civiltà Cattolica, 1864, IX, 608, and XII, 345
    6. Biraghi, Civiltà Cattolica, 1864, IX, 608, and XII, 345.
    7. Gervasius - Ökumenisches Heiligenlexikon
    8. Laura Weigert, "Reconstructing Medieval Pictorial Narrative: Louis Joubert's Tapestry Restoration Project" Art Journal 54.2, Conservation and Art History, Summer 1995:67-72.

    Fonte: wikipedia

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    Qui c’è Ambrogio con i suoi amici prediletti

    di Giuseppe Frangi


    «Poiché non merito di essere martire, vi ho procurato questi martiri». Era il 20 giugno dell’anno 386, un sabato. E Ambrogio, vescovo di Milano, dal pulpito della Basilica che familiarmente chiamavano “ambrosiana” («quam appellant ambrosianam», scrive in una lettera alla sorella Marcellina) e che ufficialmente era la Basilica Martyrum, annunciava la consacrazione di quell’altare. Sotto la mensa infatti erano state appena riposte le reliquie dei santi Gervaso e Protaso, ritrovate tre giorni prima, a poche centinaia di metri da lì.
    La situazione non ha nulla di leggendario. Ambrogio, vescovo di Milano dal 374, aveva intrapreso subito la costruzione di grandi Basiliche sulle vie di accesso a Milano, per adattare la sua città adottiva al modello della sua città di origine, Roma. La Basilica Apostolorum era appunto sulla via romana, la Basilica Virginum (l’ultima della serie, oggi San Simpliciano) sulla strada per Como; la Basilica Salvatoris o di San Dionigi presso la porta orientale (oggi non esiste più). E infine, appunto, la Basilica Martyrum presso Porta Vercellina. Ognuna sorgeva su un’area cimiteriale, dove erano sepolte già generazioni di cristiani. Per esempio, a pochi passi dalla Basilica Ambrosiana, c’era il sacello che conservava i resti di san Vittore, dove lo stesso Ambrogio, nel 378, aveva riposto il corpo dell’amatissimo fratello Satiro. Quel sacello è ancora conservato, anche se oggi è un tutt’uno con la Basilica stessa.
    Poco più in là, dove oggi sorge la caserma della Polizia, affacciata sulla piazza, c’era invece la chiesa che custodiva i corpi veneratissimi dei santi Nabore e Felice. Proprio scavando lì davanti, Ambrogio aveva trovato i resti di Gervaso e Protaso. L’episodio lo raccontò per filo e per segno nell’Epistola XXII alla sorella Marcellina, che in quei mesi si era allontanata da Milano. «Avevo appena fatto la dedicazione di una Basilica [la Basilica Martyrum, ndr] quando molti incominciarono a dire: “Ti comporterai come per la dedicazione della Basilica di Porta Romana?” [la Basilica Apostolorum, ndr]. E io risposi: “Sicuramente se troverò le reliquie di martiri” [...]. Il Signore mi concesse la grazia. Infatti anche se il clero dimostrava un certo timore, io feci togliere dei sassi dal terreno che si estende davanti alla cappella dei Santi Nabore e Felice. In quel luogo trovai delle tracce inequivocabili [...]. Incominciarono a emergere dal terreno i santi martiri in modo tale che, mentre eravamo ancora in silenzio, fu possibile portare in superficie l’urna e poté essere deposta sul pavimento. All’interno vi trovammo due uomini di enorme statura [...] le ossa erano intatte [...]. Li profumammo completamente di aromi».
    Ambrogio è preciso nei particolari: appena un mese prima, il 9 maggio di quel 386, aveva infatti posto sotto l’altare maggiore della Basilica di Porta Romana le reliquie dei tre apostoli, Andrea, Giovanni e Tommaso. Oggi quella stessa Basilica, ancora esistente, è meglio nota come di San Nazaro, dal nome del martire che sempre Ambrogio fece seppellire qui nel 395.
    «Piae latebant ostiae», scrive sempre Ambrogio nell’inno dedicato al ritrovamento di Gervaso e Protaso. Ma «latere sanguis non potest qui clamat ad Deum patrem». E l’uso di quel sostantivo “ostiae” spiega l’assimilazione tra i resti di quei corpi e il luogo – l’altare – dove si compie il sacrificio di Cristo. «Egli che è morto per tutti, sta sull’altare; questi, che sono stati riscattati dalla sua passione, staranno sotto l’altare», scrive sempre alla sorella Marcellina.

    Sant’Ambrogio, mosaico, sacello di San Vittore in Ciel d’oro

    La fretta di Ambrogio


    Probabilmente, in quel momento, il cantiere della chiesa non era ancora del tutto concluso. Ambrogio era un uomo spiccio, che non indugiava mai sulle cose. Era forse l’uomo che contava di più, in quello scorcio di storia, nell’intero Impero romano. Aveva avuto rapporti tumultuosi con più di un imperatore, con contenziosi quasi sempre rivolti a suo favore. Ma proprio per questo, come documenta Richard Krautheimer in quel suo straordinario libro che è Tre capitali cristiane, Ambrogio non poteva contare sulle risorse delle casseforti imperiali. Le sue Basiliche, così, dal punto di vista costruttivo appaiono spartane: le fondamenta sono in ciotoli di fiume, con letti di malta alti e rappezzi a spina di pesce. Conclude Krautheimer: «A mio modo di vedere, la tecnica di bassa qualità delle chiese ambrosiane è stata determinata da un sostegno finanziario meno generoso e da una maggiore fretta nell’edificazione. Ambrogio aveva gran premura, e i mezzi a sua disposizione, sebbene ampi, non erano illimitati».
    Tutto il contrario accadeva invece nelle vicende costruttive dell’altra grande Basilica milanese, quella poi dedicata a San Lorenzo, che proprio negli stessi anni, su istigazione dell’imperatrice madre Giustina, era stata costruita vicino al palazzo imperiale, con l’idea di destinarla agli ariani. Ambrogio anche in questo caso si mise di traverso e alla fine la spuntò, avendo il popolo tutto schierato dalla sua. Giovedì 2 aprile del 386, alla notizia che le guardie imperiali avevano tolto l’assedio alla Basilica Porziana (così allora si chiamava San Lorenzo), il vescovo poteva scrivere alla sorella: «Quale fu allora l’allegrezza di tutta la gente, quale il plauso di tutto il popolo, quale la riconoscenza!». Due mesi dopo quello stesso popolo avrebbe seguito con commozione il ritrovamento dei resti di Gervaso e Protaso, come già raccontato. Per Ambrogio era la vittoria sulle pretese dell’Impero e degli ariani.

    Gli amici martiri

    Non resta molto della Basilica di Ambrogio, che era lunga 53 metri e larga 26 e aveva un orientamento leggermente ruotato rispetto a quello attuale. Il vescovo vi venne sepolto da Simpliciano, suo successore, nel 397 (diceva spesso che un sacerdote deve essere sepolto là dove in vita ha celebrato la messa). Pochi mesi dopo l’avrebbe seguito l’adorata sorella Marcellina, più vecchia di lui di dieci anni, per la quale Ambrogio aveva scritto i testi dedicati alla verginità. Una lapide nella cripta ricorda il luogo nel quale, a fine 1700, venne ritrovata, «ad pedem Ambrosii ad latus Satyri fratris». Oggi riposa nella terza cappella della navata di destra, dentro una fredda urna neoclassica. Nella cappella che la precede, tra due grandi tele di Tiepolo, c’è il fratello Satiro. Ambrogio invece è rimasto là dove aveva voluto essere. Per secoli il suo corpo è stato custodito in un grande sarcofago di porfido rosso, che appoggiava su due tombe vuote e che è ancora visibile nella cripta. L’8 agosto del 1871 il sarcofago venne aperto: conteneva le spoglie affiancate dei tre santi. In mezzo Ambrogio, ai lati Gervaso e Protaso. Nella stessa formazione i corpi sono custoditi oggi nell’urna di vetro proprio sotto l’altare: Gervaso e Protaso sono vestiti di una dalmatica rossa e hanno tra le mani la palma del martirio. Ambrogio invece ha un solenne abito pontificale bianco.

    La facciata della Basilica di Sant’Ambrogio

    Il suo ritratto

    Lo vediamo vestito di bianco anche nello straordinario mosaico, di poco successivo alla sua morte, nel sacello di San Vittore. Anche lì è rappresentato tra i due martiri “amici”, mentre sull’altro lato lo fronteggiano altre presenze familiari: Nabore, Felice e Materno. È un ritratto molto verosimile e realista quello realizzato dall’anonimo mosaicista: Ambrogio ha la barba corta che gli incornicia un volto magro, una stempiatura appena accennata, due notevoli orecchie, e soprattutto uno sguardo pensoso e insieme sgranato sulla realtà. I piedi larghi e la tunica bianca, quasi da antico senatore romano, ce lo restituiscono come un uomo concreto, piantato saldamente per terra.
    Ambrogio in abiti civili lo ritroviamo nei rilievi del ciborio che si innalza nel cuore del presbiterio, e quindi proprio in verticale sopra l’urna delle reliquie custodite nella cripta. Questa è opera di fine millennio e sul lato rivolto verso l’abside rappresenta il santo, ancora piantato saldamente a piedi larghi. A dispetto della posa ieratica la scena è un concentrato di eventi: si vedono ai lati Gervaso e Protaso che portano al cospetto di Ambrogio, con gesto protettivo, due personaggi, vestiti con scapolare e cocolla. Quello di sinistra è l’abate Gaudenzio che offre al santo il modellino del ciborio. Il monaco sulla destra invece atteggia le mani tra il senso dell’attesa e l’applauso. In alto, dove il frontone si stringe, curiosamente compare un bambino con aureola: è il Figlio in fattezze umane. Ma secondo un’interpretazione si potrebbe trattare del fanciullo che in mezzo alla folla, in quel 374, aveva lanciato il grido, poi raccolto da tutti i fedeli: «Ambrogio vescovo».

    Il tesoro più prezioso

    L’altare con il ciborio


    Sotto il ciborio c’è il gioiello più splendente della Basilica, e forse uno dei gioielli più straordinari di tutta la storia cristiana. È l’altare d’oro commissionato dall’arcivescovo Angilberto II in epoca carolingia a un maestro che doveva essere certamente celebre, visto lo spazio che ricava per sé stesso nei rilievi: Vuolvinio. Sul retro l’altare ha uno sportello che rivela la funzione per cui era stato pensato: doveva infatti contenere l’urna con i corpi dei tre santi, venendo così totalmente incontro al desiderio di Ambrogio. Una scritta che fa da cornice ai rilievi dichiara chiaramente l’intento di Angilberto II: «Thesauro tamen haec cuncto potiore metallo ossibus interius pollet donata sacratis»; «Ma all’interno ha un tesoro più prezioso di tutti i metalli, poiché ha avuto in dono le sacre ossa». In realtà i corpi restarono custoditi sino al secolo scorso nella grande urna di porfido rosso ancora conservata nella cripta e non si sa per quale motivo l’altare rimase invece vuoto.
    I rilievi sono in lamina a sbalzo: sul fronte le formelle rappresentano la vita di Cristo, ai lati ci sono le glorie della Chiesa milanese, sul retro invece, in lamine d’argento con dorature al mercurio, è raccontata minuziosamente la vita di Ambrogio. È un racconto concitato, dove non mancano i colpi di scena, come nel bellissimo episodio in cui Ambrogio, in fuga da Milano per evitare l’investitura a vescovo, viene praticamente “arpionato” dalla mano di Dio e quasi rischia di cadere dal cavallo imbizzarrito. Una scena che potrebbe avere come didascalia la stupenda sintesi della propria storia che Ambrogio scrisse tra 387 e 390 nel De Paenitentia: «Si dirà: ecco uno che non è stato nutrito nel seno della Chiesa […] preso dai tribunali e tolto dalle vanità di questo secolo, dalla voce del pretore è passato al canto del salmista, non per virtù sua ma per grazia di Cristo sta ora nel sacerdozio […]. Conserva, Signore, il tuo dono, custodiscilo tu che l’hai dato a chi lo fuggiva. Ché io sapevo di essere indegno di essere chiamato vescovo. Per grazia di Dio, però, sono quel che sono, sono l’infimo tra i vescovi, infimo in dignità. Ma poiché anch’io ho sostenuto qualche fatica per la tua Chiesa, tu prenditi cura del frutto; se perduto mi hai chiamato all’episcopato, vescovo non permettere che io mi perda».

    Fonte: 30 Giorni, I tesori più preziosi, Speciale Santuari Lombardi

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    Ambrogio Bergognone, S. Ambrogio in trono tra i SS. Gervasio, Protasio, Marcellina ed altro santo, 1514 circa, Certosa, Pavia

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    Nel calendario ortodosso i Santi Martiri Celso, Protasio, Gervasio e Nazario di Milano sono ricordati al 14/27 ottobre.

 

 

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