AUTONOMIA STATUALE E RISTRUTTURAZIONE AMMINISTRATIVA
Che cosa è l'autonomia statuale?
All'art. 1 del nostro statuto si legge: "IL Partito Sardo d'Azione è una libera associazione di tutti coloro i quali vogliono unirsi allo scopo di costituire una forza politica che abbia come meta l'autonomia statuale della Sardegna... ".
Lo spirito che ha dettato questo articolo alberga in uomini che hanno alto il senso della democrazia. Autonomia significa democrazia, la quale non si può solo fermare alla semplice libertà di stampa e di parola; la libertà dei popoli si esprime mediante l'autodecisione a governarsi nel pieno rispetto della personalità di tutti i cittadini-lavoratori; statuale è il contrario di accentramento. E tutti quei partiti che si nascondono dietro il dito della unità nazionale vogliono essere i soli arbitri dell'avvenire del popolo ed i soli detentori del potere.
La Sardegna dunque si deve autogovernare e deve poter decidere autonomamente nei settori vitali per il proprio sviluppo, sempre nel rispetto della costituzione italiana, come pubblica istruzione, demanio, industria e commercio, agricoltura e pastorizia, turismo, servizi sociali.
Ma la vera autonomia va realizzata a partire da quella dei Comuni e quindi da una ristrutturazione e moralizzazione di questi enti. Tale ristrutturazione va attuata in due temi. In primo luogo si deve dare la massima valorizzazione ai Comuni e quindi sostituire con i distretti le province.
Ma prima di inoltrarsi in esposizioni di pura tecnica programmatica, si deve analizzare alla luce di certe ricerche sui redditi in quale posizione ci troviamo nel contesto dell'economia europea e mediterranea. Claudio Napoleoni, docente di economia politica alla Università di Napoli., nella sua opera "IL PENSIERO ECONOMICO DEL ‘900" ritiene che il 70% della popolazione mondiale è sottosviluppato. In che posizione inseriamo la Sardegna che ha un reddito annuo pro capite di circa seicentomila lire? Senz'altro fra i paesi sottosviluppati: infatti il reddito annuo dell'Italia continentale è più alto del nostro e molti economisti discutono se l’Italia sia la prima dei paesi afro-asiatici o l'ultima dei paesi europei; il ruolo che compete alla Sardegna è dunque quello di paese eternamente sottosviluppato. L'economia sarda è condannata a restare stazionaria dal così detto "circolo della povertà".
Vedremo ora di spiegare che cosa intendiamo per tale circolo: La prima causa che determina il basso reddito pro capite è il lavoro poco produttivo, il quale a sua volta è determinato dalla esiguità dei mezzi tecnici atti a potenziarlo sia qualitativamente che quantitativamente. Per poter disporre di validi mezzi tecnici cono indispensabili notevoli capitali, per avere i quali è indispensabile la eccedenza della produzione sul consumo necessario, ma tale eccedenza è esigua proprio perché il reddito pro capite è basso ed ecco che il ciclo si chiude.
Inoltre è da aggiungere che nel nostro caso questa esigua eccedenza è destinata al consumo dei prodotti propinatici con mille astuzie dai centri di potere capitalistici.
Per poter attuare la rottura di tale circolo si deve elevare la produttività e lo si può fare in due modi: uno con uno sviluppo in profondità, cioè tale da richiedere una trasformazione qualitativa nelle strutture della produzione; un altro è uno sviluppo in estensione, il quale richiede il solo aumento del numero occupati con lo stesso reddito alquanto basso e con il conseguente aumento dei fondi naturali.
Riteniamo di dover preferire il primo ed arrivare al secondo per gradi; ma per poter applicare il primo è indispensabile l'applicazione di tecniche moderne, le quali possono essere realizzate solo se si sfruttano i mezzi che la tecnica industriale ci pone a disposizione, l'impiego dei quali richiede valide infrastrutture: quali strade, invasi idrici, elettrificazione etc..
Ecco dove il Comune deve essere messo in grado di intervenire e contribuire alla crescita economica della comunità.
Ma in che modo? Il metodo attuale si ispira a quel tipo di protezione paternalistica, per la quale ottengono maggiori finanziamenti i protetti dal paternalismo e vengono trascurati quei Comuni che all'assessore tizio alle ultime elezioni ha procurato pochi voti.
Ma questa è la peggiore forma di clientelismo, arricchito da favoritismi e da manovre volte soprattutto a perpetuare il potere di quella classe dirigente, che si avvale di questo mezzo di corruzione per poter continuamente creare quegli strumenti di sopraffazione che la rendono padrona. In questo modo i veri problemi restano insoluti perché si è costretti a servire solo interessi di varie cricche e clientele.
Così non esiste più la programmazione. Noi dobbiamo combattere tutto ciò che
è corruzione e lavorare in funzione della programmazione, che è etica sociale ed è soluzione organica e razionale dei problemi economici e sociali. Si deve quindi fare in modo che quanto è destinato ai diversi settori della produzione e dei servizi sociali sia ripartito fra i comuni in proporzione al numero degli abitanti e delle loro reali esigenze, perché essi nell'arco di un quinquennio realizzino quelle infrastrutture a suo tempo programmate, (vi sia cioè una legge simile alla L.R? n° 9 delle opere pubbliche, anche per gli altri settori della economia e delle esigenze sociali).
Riteniamo doveroso che il partito si batta perché si realizzi un simile metodo di finanziamento ai Comuni; in modo che si elimini quella sudditanza di tipo medioevale dianzi citata e si imponga al bilancio un indispensabile equilibrio fra entrate e uscite, si ponga fine alla creazione dei mutui che negli ottomila Comuni d'Italia hanno fortemente contribuito a realizzare quei passivi e causare l'attuale crisi economica; infine si realizzi una indispensabile autonomia degli enti locali.
Ed è alla luce di questi fattori che dobbiamo sensibilizzare al problema gli altri partiti di sinistra e condurre con essi una battaglia in tal senso.
In secondo luogo si dovrebbero abolire le province, sostituirle con i distretti, che sono quelle aree geografiche della Sardegna alle quali storicamente compete il riconoscimento di capoluogo, quali: Carbonia, Iglesias, Ozieri, Olbia., Tempio, Alghero, Macomer, Lanusei, etc.. A questi distretti dovrebbe competere il ruolo di assolvere ai servizi amministrativi, previdenziali. scolastici; ma soprattutto attraverso un consiglio di distretto dovrebbero coordinare i programmi dei diversi comuni della zona, formulando a loro volta programmi organici di sviluppo economico e sociale; attività atte a frenare l'incessante esodo dalle campagne verso la città, che dà luogo al grave fenomeno dell'urbanesimo a discapito delle zone interne e periferiche della Sardegna.
Questi consigli distrettuali devono partire da una visione chiara della zona nella quale operano e per la maggioranza di essi è indispensabile il rilancio della agricoltura e della pastorizia. Per l’intera Sardegna esse sono le strutture portanti dell’economia, mentre industria e turismo costituiscono con l’artigianato valide attività collaterali.
E' indispensabile dunque un grosso passo in avanti per portare l’agricoltura e la pastorizia su posizioni economicamente più valide, si deve operare una scelta che le inserisca su posizioni sociali più avanzate che crei il cittadino lavoratore, inserito in una grande azienda a dimensione industriale.
I distretti studiano le colture più idonee per ogni zona., diano impulso alla costituzione di cooperative, i cui soci vi entrino come azionisti-lavoratori.
La cooperazione per noi deve essere un punto fermo, capace di sradicare l'individualismo e il clientelismo.
All'ente di sviluppo bisogna attribuire mansioni diverse da quello di carrozzone al servizio del partito di maggioranza, deve invece assistere i cooperatori sia all'atto di costituire la società con adeguate analisi di tecnica agraria e commerciale che con la continua consulenza in seguito.
Nei distretti e nei comuni deve attuare una attiva ricerca idrica, costruire invasi e strade interpoderali.
L'industria deve essere quella che trasforma i prodotti della agricoltura e della pastorizia.
Per la pesca si può ripetere il precedente discorso.
Quando parliamo di aziende a dimensioni industriali intendiamo oltre a questo anche che i lavoratori abbiano il normale orario di servizio, le varie assistenze mutualistiche, le pensioni ed il salario garantito per tutti i mesi dell'anno. Solo così i giovani torneranno al lavoro dei campi e del mare quando agricoltura, pastorizia, pesca assumeranno posizioni più civili e, più consone alla personalità dei lavoratori.
La Regione a questo punto con la sua autonomia statuale deve assumere il compito di coordinamento, di stimolo e di aiuto nei diversi settori di autonomia dei Comuni e dei Distretti; tale ruolo si presenta come decisivo solo se i Comuni ed i Distretti sono in grado di preparare piani comprensivi ed articolati, altrimenti, se si continua a riversare sui singoli o sui poteri centrali la responsabilità dello sviluppo, la nostra situazione economica continuerà a regredire.