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    La battaglia perduta: A caccia di ricordi fra buche e trincee
    El Alamein, ultime lettere dal deserto
    Due italiani nel luogo della disfatta del 1942: dalla sabbia emergono scritti e piccoli oggetti quotidiani

    MILANO — Nel deserto di El Alamein, dove nel 1942 si scontrarono i soldati inglesi con quelli italiani e tedeschi, con la pace è tornato il silenzio rotto solo dallo scoppio accidentale di qualche mina, dalle voci dei beduini alla ricerca di rottami e, 60 anni fa, dal lavoro degli operai di Caccia Dominioni che recuperavano i resti dei caduti. Fino a poco tempo fa il governo egiziano ha impedito agli stranieri di andare nell'area della battaglia anche per le scaramucce che impegnano i soldati del Cairo contro i contrabbandieri. Ma Stefano Rossi, 48 anni, ex ufficiale degli alpini paracadutisti e ricercatore storico e Luigi Vittori, 60 anni, studioso di storia della seconda guerra mondiale, hanno convinto il governo a concedere a un piccolo gruppo di italiani il permesso di raggiungere l'antico campo di battaglia.

    Nel corso delle ricognizioni fatte in questi mesi da Rossi e Vittori la sabbia ha restituito una serie di reperti che testimoniano la vita quotidiana dei soldati: la bottiglia di Gordon Gin di un militare di Sua Maestà britannica («Più in là — racconta Rossi — abbiamo trovato le bottiglie molotov dei nostri parà»), le scatole di fiammiferi con la pubblicità dell'aranciata San Pellegrino, le «Finest norwegian Brisling sardines» del menù di un fante della 44ª divisione, le sigarette «tipo esportazione » dei Regi monopoli o le più raffinate «numero 10 sigarette Macedonia», il coperchio di una gavetta con inciso il nome del proprietario: Dianna. M a nell'elenco dell'ex ufficiale degli alpini ci sono anche indumenti, buffetterie, suole e tomaie di scarpe cotte dal sole, occhiali, borracce, fogli di giornale. Il clima secco del deserto li aveva almeno parzialmente salvati: «Commovente il ritrovamento di frammenti di lettere e di piastrini di riconoscimento». Ecco la busta di una lettera indirizzata al soldato Vittorio Caldoguegno del 185˚ reggimento Folgore con tanto di francobolli da 5 e 10 centesimi. C'è il piastrino di Domenico Binello originario di Covone, in provincia di Cuneo, classe 1922.

    «Abbiano fatto ricerche nella speranza di ritrovarlo — racconta Rossi —. Purtroppo è deceduto nel 1986. Stiamo anche cercando chi portava il piastrino con su scritto "Formichella Vincenzo di Luigi e Lombardi Caterina, nato a Montegiordano (Cosenza) nel 1920". Ne abbiamo trovato anche uno tedesco con su stampigliato "162 A, II/Art.Reg. 7", presumibilmente un artigliere paracadutista della brigata Ramke». La lettura dei libri di Paolo Caccia Dominioni, di Raffaele Doronzo e di Renato Migliavacca sugli italiani in Africa Settentrionale, la decifrazione di antiche e nuove mappe e l'uso del Gps hanno fatto ritrovare luoghi entrati nella storia della battaglia di El Alamein: il Passo del Carro, il Passo del Cammello, le alture di Naqb Rala dove combatterono vittoriosi i parà del 186˚ Folgore contro i legionari di France Libre e gli inglesi della 44ª divisione. Ma anche nicchie nel terreno come la buca da dove sparava con la mitragliatrice il parà di Saronno Cesare Lui, classe 1919: «Abbiamo rintracciato e fotografato la sua buca che aveva ancora sul fondo i bossoli della sua Breda».

    C'è il rischio di ritrovare questi reperti in un mercatino? «Chi viene con noi può fotografare liberamente e per l'eventuale asportazione di materiali deve limitarsi a quelli che in Italia possono essere usati per mostre, per essere dati a musei o donati a chi li possedeva in quei giorni tragici o ai loro eredi. Impossibile esportare parti di armi e munizioni. Si avrebbero gravissime conseguenze penali». Luigi Vittori e Stefano Rossi sono scettici sulla possibilità di preservare a fini turistici il campo di battaglia di El Alamein come in Francia la Linea Maginot o da noi i forti delle Alpi. Ci sono rischi altissimi per la presenza di mine e ci sono, là sotto, giacimenti petroliferi che fanno gola. «Più ottimisti di noi — sostiene Rossi — sono i ricercatori dell'Università di Padova: se i loro progetti dovessero trovare realizzazione collaboreremo volentieri».

    Giuseppe Ramazzotti
    25 giugno 2008

  2. #2
    Panzermeyer
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    bravo delmo, molto interessante, mi raccomando se trovi posta

 

 

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