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    Predefinito Gian Rinaldo Carli: "La Patria degli Italiani" (1765)

    Gian Rinaldo Carli (Capodistria, 11 aprile 1720 – Milano, 22 febbraio 1795): "La Patria degli Italiani" (1765)

    <<[...] In questa bottega s'introdusse ier l'altro un Incognito; [...] e fatti i dovuti offizi di decente civiltà, si pose a sedere chiedendo il caffè. V'era sfortunatamente vicino a lui un giovine Alcibiade [...]. Vano, decidente e ciarliere a tutta prova. Guarda egli con un certo sorriso di superiorità l'Incognito; indi gli chiede s'era egli forestiere. Questi [...] con una certa aria di composta disinvoltura risponde: "No Signore". "E' dunque Milanese?" riprese quegli. "No Signore, non sono Milanese", soggiunse questi. A tale risposta atto di maraviglia fa l'interrogante; e ben con ragione, perché tutti noi colpiti fummo dall'introduzione di questo dialogo [...].

    "Sono Italiano", risponde l'Incognito, "e un Italiano in Italia non è mai forestiere come un Francese non è forestiere in Francia, un Inglese in Inghilterra, un Olandese in Olanda, e così discorrendo". Si sforzò in vano il Milanese di addurre in suo favore l'universale costume d'Italia di chiamare col nome di forestiere chi non è nato e non vive dentro il recinto d'una muraglia; perché l'Incognito interrompendolo con franchezza soggiunse: "Fra i pregiudizi dell'opinione v'è in Italia anche questo; [...] che gli rende inospitali e inimici di lor medesimi, e d'onde per conseguenza ne derivano l'arenamento delle arti, e delle scienze, e impedimenti fortissimi alla gloria nazionale, la quale mal si dilata quando in tante fazioni, o scismi viene divisa la nazione [...]. Da questa rivalità, che dai Guelfi e Ghibellini sino a noi fatalmente discese, ne viene la disunione, e dalla disunione il reciproco disprezzo. Chi è quell'Italiano, che abbia coraggio di apertamente lodare una manifattura, un ritrovato, una scoperta, un libro d'Italia, senza il timore di sentirsi tacciato di cieca parzialità, e di gusto depravato e guasto?".

    A tale interrogazione un altro caffettante, a cui fe' eco Alcibiade, esclamò che la natura degli uomini era tale di non tenere mai in gran pregio le cose proprie. "Se tale è la natura degli uomini" riprese l'Incognito, "noi altri Italiani siamo il doppio almeno più uomini degli altri, perché nessun oltremontano ha per la propria nazione l'indifferenza che noi abbiamo per la nostra" [...].

    Io risposi: "Appare Newton nell'Inghilterra, e lui vivente l'isola è popolata da' suoi discepoli, da' astronomi, da' ottici, e da' calcolatori, e la nazione difende la gloria del suo immortale maestro contro gli emoli suoi. Nasce nella Francia Des Cartes [Cartesio] e dopo sua morte i Francesi pongono in opera ogni sforzo per sostenere le ingegnose e crollanti sue dottrine. Il Cielo fa dono all'Italia del suo Galileo, e Galileo ha ricevuti più elogi forse dagli estranei a quest'ora, che dagli Italiani".

    Fattasi allora comune, in cinque ch'eravamo al caffè, la conversazione, e riconosciuto l'Incognito per uomo colto, di buon senso, e buon patriota, da tutti in vari modi si declamò contro la infelicità a cui da un pregiudizio troppo irragionevole siam condannati di credere che un Italiano non sia concittadino degli altri Italiani, e che l'esser nato in uno piuttosto che in altro di quello spazio "che Appennin parte, il Mar circonda e l'Alpe". confluisca più o meno all'essenza, o alla condizione della persona. Fu allora che rallegratosi un poco l'Incognito cominciò a ragionare in tal guisa: "Dacché convinti i Romani [...] si determinarono per la salvezza della repubblica ad interessare tutta Italia nella loro conservazione, passo passo tutti gl'Italiani ammisero all'amministrazione della repubblica: dal Varo all'Arsa tutti i popoli divennero in un momento Romani. "Ora tutti sono Romani", parlando degli Italiani, dice Strabone. Tutti adunque partecipi degli onori di Roma [...]. Se le nazioni dovessero gareggiar fra di esse per la nobiltà, noi Italiani certamente non la cediamo a nessun'altra nazione d'Europa; [...] l'Italia “rerum domina” si chiamava, come prima dicevasi la sola Roma".

    "In cotesti tempi crediamo noi che [...] un Italiano fosse forestiero in Italia? No certamente; se persino la suprema di tutte le dignità, cioè il consolato, comune sino agli ultimi confini d'Italia si rese. Siamo stati dunque tutti simili in origine; che origine di nazione io chiamo quel momento in cui l'interesse e l'onore la unisce e lega in un corpo solo e in un solo sistema. Vennero i barbari, approfittando della nostra debolezza, ad imporci il giogo di servitù, non rimanendo se non che in Roma un geroglifico della pubblica libertà nella esistenza del Senato romano. Sotto a' Goti pertanto siamo tutti caduti nelle medesime circostanze e alla medesima condizione ridotti. Le guerre insorte fra Goti e Greci, la totale sconfitta di quelli e la sopravenienza` de' Longobardi han fatto che l'Italia in due porzioni rimanesse divisa. La Romagna, il Regno di Napoli e l'Istria sotto i Greci; e tutto il rimanente sotto de' Longobardi. Una tal divisione non alterò la condizione degl'Italiani, se non in quanto che quelli, che sotto a Greci eran rimasti, seguirono a partecipare degli onori dell'Impero trasferito in Costantinopoli, memorie certe ne' documenti essendosi conservate di Romagna, d'Istria e di Napoli [...]. Ma rinnovato l'Impero in Carlo Magno, eccoci di nuovo riuniti tutti in un sistema uniforme. Questo fu lo stato d'Italia per lo spazio di undici secoli; e questo non basta a persuader gl'Italiani d'esser tutti simili fra di loro, e d'esser tutti Italiani" [...].

    Ora ciò posto, qual differenza ritrovar si può mai fra Italiano e Italiano, se uguale è l'origine, se uguale il genio, se ugualissima la condizione? E se non v'è differenza, per qual ragione in Italia tale indolenza, per non dire alienazione, regnar deve fra noi da vilipenderci scambievolmente, e di credere straniero il bene della nazione? [...] Non per questo si dirà mai che un Italiano sia qualche cosa di più o di meno d'un Italiano, se non da quelli a' quali manca la facoltà di penetrare al di là del confine delle apparenze e che pregiano una pancia dorata e inargentata più che un capo ripieno di buoni sensi ed utilmente ragionatore. Alziamoci pertanto un poco e risvegliamoci alla fine per nostro bene”.

    “Il Creatore del tutto nel sistema planetario pare che ci abbia voluto dare un'idea del sistema politico. Nel fuoco dell'elissi sta il Sole. Pianeti, o globi opachi, che ricevono il lume da lui, vi si aggirano intorno [...]. Alcuni di questi globi intorno di sé hanno de' globi più piccoli, che con le medesime leggi si muovono [i satelliti]. Alcuni altri sono soli e isolati. Trasportiamo questo sistema alla nostra nazionale politica. Grandi, o picciole sieno le città, sieno esse in uno, o in altro spazio situate, abbiano esse particolari leggi nelle rivoluzioni sopra i propri assi, siano fedeli al loro natural sovrano ed alle leggi, abbiano più o meno di corpi subalterni: ma benché divise in domìni diversi, e ubbidienti a diversi sovrani, formino una volta per i progressi delle scienze e delle arti un solo sistema; e l'amore di patriotismo, vale a dire del bene universale della nostra nazione, sia il Sole che le illumini e che le attragga. Amiamo il bene dovunque si ritrovi; promoviamolo ed animiamolo ovunque rimane sopito o languente; e lungi dal guardare con l'occhio dell'orgoglio e del disprezzo chiunque che per mezzo delle arti, o delle scienze tenta di rischiarare le tenebre [...], sia nostro principale proposito d'incoraggiarlo e premiarlo. Divenghiamo pertanto tutti di nuovo Italiani, per non cessar d'esser uomini" .

    Detto questo s'alzò improvvisamente l'Incognito, ci salutò graziosamente e partì, lasciando in tutti un ardente desiderio di trattare più a lungo con lui e di godere della verità dei di lui sentimenti.>>

  2. #2
    de-elmettizzato.
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    Predefinito Rif: Gian Rinaldo Carli: "La Patria degli Italiani" (1765)

    Merita d'essere letto dall'inizio alla fine.
    Tremendamente vero, tremendamente attuale.
    Preferisco di no.

 

 

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