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  1. #11
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    Predefinito Rif: Il sacerdozio femminile

    Ringrazio i forumisti per i loro contributi al 3d. Spero possa offrire interessanti spunti di riflessione anche ai visitatori del forum.

    Nei prossimi post riporterò i capitoli del libro "Cristo ha Escluso le Donne dal Sacerdozio?" sperando che possa soddisfare curiosità e mantenere viva l'attenzione sul tema del 3d.



    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pagg.; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981.
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  2. #12
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    Predefinito Perché Continuare il Dibattito?

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pagg.; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 1 del libro.

    Recentemente il Papa ha emesso un documento in cui si esclude la possibilità di ammettere le donne al sacerdozio, ed ha af£ermato che la Chiesa non potra mai cambiare atteggiarnento su questo punto, perchè esso fa parte della dottrina cattolica ed è insegnato dalla Sacra Scrittura. Poichè non si può pensare che il Papa sia spinto dal desiderio di discriminare le donne, egli parla evidentemente per un senso del dovere. Cosi stando le cose, che senso ha continuare il dibattito. sul sacerdozio femminile, prolungando in tal modo un: inutile disagio ?

    I teologi del giorno d’oggi non sono mai soddisfatti e continuano a mettere in questione certe cose, senza far molto conto di ciò che dice la Chiesa,. Non è pensabile che il Papa non sia versato in teologia, e certamente non avrebbe fatto un’affermazione del genere se non fosse corroborata da molte prove. Per il bene del popolo di Dio, sarebbe più utile che i teologi fossero pronti a difendere le direttive della Santa Sede, invece di discuterle. A che cosa serve il dibattito teologico, se anzichè edificare la Chiesa sconcerta i fedeli e li rende irrequieti ?

    Un obiezione come quella riportata qui sopra è piuttosto sconcertante: perfino un teologo animato dalle migliori intenzioni (e ce n’è qualcuno!) avra l’impressione che gli si faccia lo sgambetto, perchè: qui non viene messo in questione questo o quell’altro argomento, ma l’attivita stessa del teologo, al quale si dice in pratica che non esiste uno spazio per la ricerca, e che la sua unica funzione è quella di difendere le opinioni espresse dalla Santa Sede. E’ come se si accusasse. un medico di aggravare il male, anzichè curarlo.

    Eppure io penso che tale obiezione debba essere presa sul serio, e proprio per questo sono pronto ad affrontare la questione di fondo che essa sollva.

    E’ vero. che ci sono stati teologi che hanno creato una certa confusione e che parecchie pubblicazioni teologiche hanno fatto più male che bene; i fedeli ne sono giustamente irritati. Poichè un teologo adempie ad una: funzione pubblica nella Chiesa, è giusto che posaa essere chiamato a.dar conto del suo operato.

    I1 punto cruciale sembra questo: i teologi hanno il dovere di mettersi immediatamente in riga, quando Roma pubblica un documento? Più specificamente: esiste uno spazio sufficiente per continuare la discussione sui ministeri femminili, nonostante il documento romano del 27 gennaio 1977 (“Inter Insigniores”)? La risposta a queste domande dipende in larga misura dalla funzione che si attribuiace alla ricerca teologica. Se si parte dal. principio che la teologia ha soltanto la funzione di dare una giustificazione intellettuale alla “linea del-partito”, la risposta è ovvia; se però si ritiene che il suo compito sia quello di cercare la verità, allora le cose cominciano a complicarsi.

    In effetti la teologia è precisamente al servizio della verità; essa e per definizione una riflessione sulla verita rivelata, ed ha il dovere di aderire alla verità in qualsiasi forma si presenti. Il Concilio Vaticano I (1869-70) ha dato un esplicito avallo a questa ricerca della verita, asserendo fiduciosamente che non può esserci.contrasto tra la verità rivelata e quella conosciuta per altre vie. E la ragione è ovvia: poichè Dio è autore di ogni verità, non puo contraddirsi; e in quanto la teologia e fedele alla verità, non puo mancare di essere: fedele a Dio ed alla sua rivelazione. ( 1 )

    La cosa è semplice in teoria, rna in practica porta spesso a conflitti o per meglio dire in practica avviene che si arrive alla verità solo dopo dibattiti teologici molto serrati. I1 magistero dà le direttive in materia di dottrina e di morale, ma se tali direttive non sembrano essere in armonia con la verità così come la vede il teologo, verge un conflitto. I1 teologo sarà obbligato in coscienza; a continuare a cercare la verità, e talvolta .egli può non essere d’accordo e anche esprimere il suo dissenso: ciò fa parte della funzione che il teologo svolge nella Chiesa.
    Un conflitto con il Santo Padra?

    E’ spiacevole che le discussioni teologiche entro la Chiesa possano confondere le idee alla gente o dar l’impressione che ‘la comunità ecclesiale stia perdendo la sua unità di fede, Dopo la pubblicazione di un documento come quello sopra citato sul sacerdozio femminile, ci sarà chi considererà 1a discussione su tale argomento come un conflitto tra il Papa da un lato ed alcuni teologi ‘ribelli’ dall’altro, e potrà perfino interpretaria come una sfida.ed:un rifiuto di sottomettersi al magistero ufficiale. Una pubblicazione come questa potrà addirittura apparirgli come unai ribellione alla supremazia del Santo Padre!

    Ma siccome un interpretazione simile sarebbe de tutto errata, vorrei precisare qual è il mio ruolo come teologo cattolico.

    Il Concilio Vaticano II ha cosi. descritto quello che e un atteggiamento corretto verso l’insegnamento del Papa: “Questo religioso rispetto di volontà e di intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano pontefice, anche quando non parla excathedra; in modo tale cioe che il suo supremo magistero sia con riverenza accettato, e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell’espressione verbale." (Lumen Gentium, 25)

    Da un punto: di vista strettamente legale, si può osservare che il documento riguardante il sacerdozio femminile è una dichiarazione firmata e pubblicata dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva avuto l’approvazione di Paolo VI in un udienza del 15 ottobre l976. Secondo l’interpretazione ecclesiastica comune, dichiarazioni dottrinali del genere da parte di questa Congregazione non impediscono ulteriori dibattiti. In almeno due interpretazioni ufficiali fu affermato che tali documenti "non intendono affatto impedire agli studiosi cattolici di approfondire l’argomento e, dopo avere accuratamente valutato le ragioni di entrambe le parti, di aderire all’opinione contraria... " (27 giugno 1927); e che "tali decisioni non precludono in alcun modo uno studio ulteriore, veramenete scientifico, della questione" (16 gennaio 1948). Ancor prima del Vaticano II, era generalmente ammesso che questa interpretazione doveva estendersi a tutti i documenti dello stesso tipo i quali, per la loro stessa natura, non escludono ulteriori approfondimenti. ( 2).

    Durante il Concilio Vaticano II la questione della liberta della discus sione teologica fu incorporate nelle dichiarazioni conciliari. L’opinione pubblica, che ha come necessario elemento costitutivo la liberta di espressione, svolge una precisa funzione, quella di promuovere il dialogo nella Chiesa. (3) La Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo si riferisce proprio a ta1e opinione teologica quando dice: “Sia riconosciuta ai fedeli, sia ecclesiastici che laici, la giusta libertà di ricercare, di pensare, di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti. ” (Gaudium et Spes, 62). In altre parole, il magistero ordinario non esclude la libertà di espressione. Che ciò sia stato riconosciuto nello stesso Concilio può essere dimostrato dai cambiamenti nella bozza (10 novembre 1962) che conteneva la seguente frase ripresa dall’enciclica Humani Generis: “Se i Sommi Pontefici (nel magistero ordinario) deliberatamente danno un giudizio su una questione fino allora controversa, dovrebbe essere chiaro a tutti che secondo la mente e la volontà dei Papi la questione non più più venire pubblicamente discussa dai tealogi”. Questa frase però è stata eliminata dal testo finale (4), e l’implicazione è ovvia.

    Nella loro lettera pastorale del 22 settembre 1967 i vescovi tedeschi parlarono a lungo del problema posto da dichiarazioni difficili del magistero ordinario. Essi riconoscono che in tale magistero ordinario ‘la Chiesa può essere soggetta all’errore, e di fatto talvolta ha errato", ed affermano che, a certe condizioni, i singoli fedeli possono trovarsi in disaccordo con questo magistero ordinario, e che “in alcune circostanze si dovrebbe spiegare ai fedeli la natura e l’ambito limitato di questi pronunciamenti provvisori (del magistero)”. Le condizioni menzionate dai vescovi tedeschi erano la gravità della materia, le competenza del giudizio ed una prudente applicazione pastorale. (5)

    Dopo essermi indugiato su alcuni degli aspetti legali (forse troppo a lungo, ma ciò era pur necessario), vorrei ora soffermarmi in particolare sullo spirito dell’obbedienza teologica. Quando la Chiesa domanda “un religioso rispetto di volonta e di intelletto” non ci chiede di rinunciare a pensare, ma domanda un servizio ben piu prezioso, e cioè l’onesto sforzo di servire la fede con tutte le nostre energie intellettuali. Parlando dell’obbedienza, il Concilio Vaticano II chiede proprio questo impegno totale: “.. . mettano a disposizione tanto le energie della mente e della volonta, quanto i doni di natura e di grazia, nelltesecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici loro assegnati” (Perfectae Caritatis, 14). Perciò una lealta rettamente intesa verso la verit ma anche verso il magistero richiede una disponibilita all’approfondimento, piuttosto che la pura e semplice prontezza nell’esecuzione. Quella che all’inizio poteva apparire come un’opposizione può dimostrarsi in seguito una cooperazione attiva tra il magistero e i teologi, per una migliore formulazione della dottrina. I teologi svolgono un ruolo importante in quella continua riforma “della quale la Chiesa ha sempre bisogno”, una riforma che riguarda anche eventuali carenze nel modo in cui l’insegnamento della Chiesa e stato formulato (Unitatis Redintegratio, 6). Anzichè parlare di un conflitto tra il magistero ed un’opinione teologica dissenziente, si dovrebbe piuttosto pensarli come elementi di un dialogo vivo, entrambi equalmente necessari per la riforma della Chiesa.

    Il Papa stesso vede in questa luce questa reciproca influenza tra l’autorità del magistero e l’approfondimento teologico. Nell’allocuzione del 1 ottobre 1966 ad un simposio di teologi diceva infatti: I1 magistero ritrae un grande vantaggio da una ricerca teologica fervida ed industriosa e dalla cordiale collaborazione dei teologi... Senza l’ausilio del la teologia I1 magistero sarebbe certamente in grado di preservare e tramandare la fede, ma giungerebbe solo con difficolta a quella alta e piena conoscenza che gli e necessaria per svolgere la sua missione; esso è ben consapevole di non godere di una rivelazione o carisma di ispirazione, ma soltanto dell’assistenza dello Spirito.(6) Un episodio interessante su come la teologia e il magistero si influenzino reciprocamente e riportato da G. Baum:

    “L’ll luglio 1966 Paolo VI si rivolse ad un simposio teologico che si teneva a Roma sul tema del peccato originale. Nel suo discorso il Papa ribadiva che i teologi cattolici devono so stenere che il peccato universale in cui nasce l’uomo è conseguenza della disobbedienza di quel singolo uomo che fu Adamo. Essi devono quindi difendere il principio che tutta l’umanità discende da un solo antenato. Secondo quanto riferì la stampa, i teologi presenti fecero osservare al Santo Padre che il simposio aveva per l’appunto approfondito tale questione, e che i dati attualamente disponibili non consentivano ,di fare affermazioni categoriche sull’esistenza di un unico antenato, Adamo. Quando l’allocuzione del Papa venne pubblicata dall’Osservatore Romano del 15 luglio, il testo aveva subito modifiche significative: invece di parlare di Adamo come persona singola il testo si riferiva semplicemente ad Adamo, 1asciando spazio adn’interpretazione piu ampia di cio che questo nome rappresenta.

    Tale episodio e estremamente significativo, e non ne conosco altri analoghi. Si deve essere grati ai teologi che, da "servi fedeli", fecero il loro dovere, e si deve essere altresi grati al Papa per avere riveduto il suo giudizio, dopo avere fatto pubblicamente una diversa affermazione. C’è qui l’introduzione di un dialogo nell’esercizio del magistero. Caso mai ciò che può preoccupare e l’aspetto incidentale dell’episodio: che cosa sarebbe avvenuto se quei teologi fossero stati pavidi? Al giorno d’oggi le questioni teologiche e dottrinali sono diventate cosi complesse che una persona, da sola, non è più in grado di esaminare tutto il materiale che dovrebbe essere studiato. . . " (7)

    La dichiarazione sul sacerdozio femminile e fondamentalmente, un documento redatto da alcuni teologi che il Papa aveva incaricato di studiare la questione. Paolo VI ha approvato le loro conclusioni e ha ordinato che il documento venisse pubblicato con la sua approvazione; perciò esso merita tutto i1 rispetto dovuto a documenti del genere. Se no nostante ciò io ritengo mio dovere esprirnere il mio disaccordo sugli argomenti biblici e teologici ivi esposti, non e per oppormi al Santo Padre o minimizzarne l’autorità; ma è perchè l’argomento è così importante e ha tali implicazioni pastorali che uno studioso della Sacra Scrittura non può tacere. A me sembra che le conclusioni teologiche del documento siano del tutto inaccettabili, e che quindi nuocciano alla Chiesa; e offro questa mia opinione nello spirito di quella lealta intellettuale sopra citata.
    Una tempesta per un versetto della Bibbia

    Ciò che ho detto finora potra sembrare un’argomentazione astratta e generale. Chi non è familiare con la teologia potrà domandarsi come fun zionino poi in pratica questi principi, per chiarire la cosa vorrei citare due esempi tipici di come la teologia possa essere un procedimento laborioso, che implica lacrime e sofferenza e disaccordo con l’opinione teologica corrente. I1 primo esempio può sembrare banale - infatti riguarda soltanto un versetto della Sacra Scrittura - ma in realtà rappresento un caso tipico di guerra teologica.

    Nel 1897 il Sant’Uffizio decretò che i cattolici erano tenuti a credere che un certo versetto della prima Lettera di San Giovanni (1 Gv 5, 3-5, il cosiddetto “comma ioannaeum”) era parte autentica ed ispirata della Bibbia. I1 decreto, approvato dal Papa, si fondava su un passo del Concilio di Trento in cui si diceva che “tutte le parti della Scrittura, cosi come si trovano nella Volgata, sono canoniche ed ispirate”. I1 versetto in questione si trovava nella Volgata; e poichè una dottrina proposta da un Concilio ecumenico non può essere discussa, il Sant’Uf£izio ne traevala conclusione che anche quel versetto doveva essere autentico ed ispirato. (8)

    I1 decreto venne preso sul serio da molti “leali” cattolici. Per esem pio E. Mangenot sostenne che ogni cattolico aveva il dovere di sottomettersi a questo decreto disciplinare; M, Hetzenauer affermo che il decre to aveva valore dottrinale, che concerneva l’integrità della fede, e che dubitare dell’autenticita del versetto in questione equivaleva a negare chela Chiesa cattolica sia la custode e giudice infallibile della Sacra Scrittura. (9)

    I biblisti ne furono scandalizzati, perchè il versetto in questione non si trovava negli antichi codici greci e mancava anche nelle versioni latine fino a circa il sesto secolo. Non occorreva essere un esperto per capire che il passo in questione era stato aggiunto al testo ispirato più di cinque secoli dopo che San Giovanni aveva scritto la sua lettera. Ciò che Alfred Loisy scrisse nelle sue memorie è tipico della reazione del la maggior parte degli studiosi (10): a dir il vero, questa recentissima decisione sul comma ioannaeum e stata l’errore piu ridicolo che si possa immaginare... In Francia gli studiosi, perfino quelli anticlericali, si sono astenuti dal prendere in giro il Sant’Uffizio, ma in Germania, e ancor più in Inghilterra, la cosa è parsa immensamente divertente... Dopo le cornate del toro (cioè la decisione sull’invalidità delle ordinazioni anglicane), parate con una dotta risposta dagli arcivescovi di Canterbury e di York, questa mossa del Sant’Uffizio ha fornito ai teologi anglicani una splendida occasione per vendicarsi, ed essi non hanno per duto tempo a godere del proprio trionfo". (11)

    Oggi tutti i biblisti sono d’accordo che neanche con uno sforzo di immaginazione si potrebbe ritenere autentico il passo sopra citato. Quando il Concilio di Trento parlava di “tutte le parti che si trovano nella Volgata” non intendeva certo includere anche quelle frasi di cui si poteva dimostrare che erano state aggiunte in epoca successiva.

    I Pontefici hanno espresso il desiderio che alle indicazioni del Sant’Uffizio si dia un assenso mentale e pubblico, ma è ovvio che nessun teologo cattolico degno di questo nome poteva accettare un decreto come quello del 1897. Anzi avrebbe mancato di lealta verso la Chiesa se non si fosse sforzato di far rilevare l’incongruenza della decisione e di far udire la sua protesta. I1 Cardinal Vaughan, che a quell’epoca si trovava a Roma, fu molto amareggiato da quell’incidente e scrisse in Inghilterra parole rassicuranti: “Ho accertato da ottime fonti che il. decreto del Sant’Uffizio sul versetto dei Tre Testimoni al quale Lei si riferisce non intende chiudere la discussione sull’autenticità del testo”.(12) . Era però una ben povera consolazione, alla luce del tono perentorio del decreto stesso. Per molti anni quei biblisti che ebbero il coraggio di pensare con la loro testa e di denunciare l’errore rischiarono la reputazione e il posto. (l3) Solo trent’anni dopo, nel 1927, il: Sant’Uffizio ammise di malagrazia di essersi sbagliato (14), ma non si scusò per l’errore, ne ebbe una parola di lode per quei teologi che, pagando di persona, avevano contribuito a ristabilire la verità (l5).

    I Papi, i vescovi e i concili hanno condotto una battaglia secolare contro le molte forme di eresia che hanno minacciato di deformare la dottrina o di intaccare la fede, e nel complesso hanno fatto un buon lavoro, corne dimostra il modo in cui stata preservata la Chiesa nei venti secoli della sua esistenza; ma nella loro preoccupazione di preservare, proteggere e difendere,. quelli che nella Chiesa hanno una funzione di magistero sono stati spesso tentati di lasciarsi guidare da una teo logia che difendeva lo statu quo, piuttosto che da una ricerca teologica nuova e creativa. D’altra parte la Chiesa, quando si è trovata di fronte a situazioni nuove, è stata aiutata soprattutto dalle intuizioni creative di quelle teologie che erano sensibili alle nuove istanze. Di qui. i conflitti frequenti fra una teologia troppo prudente e conservatrice, sostenuta dall’autorità ecclesiastica, e una teologia audace, dinamica, pro posta da chi si trovava nella prima linea dell’impegno pastorale.
    La teologia della schiavito

    E’ istruttivo studiare lo sviluppo della teologia in una questione come quella della schiavitù. Nell’antichità e nella societa feudale del Medioevo la schiavi tu era un fatto considerato normale e accettato da tutti. Perfino i vescovi e i superiori di monasteri possedevano migliaia di schiavi di entrambi i sessi; che venivano impiegati in attività artigianali o nella coltivazione della terra; in alcuni paesi la Chiesa era la rnaggior latifondista e .proprietaria di schiavi. Con la conquista del Nuovo Mondo, il commercio degli schiavi venne esteso anche a quei paesi. Con la bolla del 1454, la “Romanus Pontifex”, Papa Nicola V die de il suo avallo alla pratica di ridurre in schiavitù le popolazioni dei territori conquistati. Negli Stati Pontifici esistette la schiavitù sino alla fine del XVIII° secolo, e in alcune istituzioni ecclesiastiche perdurò fino al 1864 (16).

    La schiavitù era un fenomeno del suo tempo e dovrebbe essere giudi cata nel suo contesto sociale; ma è istruttivo constatare come la teologia di allora la giustificasse con argomenti tratti dalla Bibbia e dalla Tradizione. I1 desiderio da libertà da parte degli schiavi veniva considerato come una mancanza di umiltà, come una renitenza ad accettareil modo in cui Dio aveva disposto le cose. Si esortavano gli schiavi a non preoccuparsi della propria libertà terrena, ma di pensare piuttosto alla propria vita spirituale. “Noi misuriamo tutte le cose umane non col metro del corpo, ma con quello dello spirito”. Si faceva osservare che Gesù stesso aveva accettato l’istituzione della schiavit, poichè aveva parlato degli schiavi in alcune parabole (ad es. in Lc 12, 42 e 17, 7) e che Paolo aveva comandato agli schiavi di sottomettersi volontariamente ai loro padroni in uno spirito di urnile obbedienza (1 Tim 6, 1,- Ef 6, 6-7 ) ; ecc. ).

    Perfino grandi teologii come Tommaso d’Aquino, Alberto il Grande e Duns Scoto difesero la schiavitù con argomenti teologici. Nel XVII° secolo ci furono moralisti che arrivarono al punto di sostenere che il diritto di possedere schiavi faceva parte della dottrina cattolica: “E’ certamente di fede (de fide) che questo tipo di schiavitù in cui un uomo serve il padrone come schiavo è del tutto legittimo. Cio e provato dalla Bibbia (Lev 25, 39-55; 1 Pt 2, 18; 1 Cor 7, 20-24; Col 3, 11. 22; 1 Tim 6,1 -10. . , ) ed è anche dimostrato dalla ragione, perchè non è irragionevole che come le cose conquistate in una guerra giusta passino sotto il potere e la propriet dei vincitori, così anche i prigionieri fatti in una guerra giusta diventino schiavi di chi li ha catturati... Tutti i teologi sono unanimi su questo punto. ” (17)

    Un teologo coraggioso, il missionario domenicano Bartolomeo De Las Casas, che si era opposto a questa linea di pensiero del suo tempo affermando che “nessuno può essere privato della libertà, e nessuno può essere ridotto in schiavitù” fu deriso e messo a tacere (18). Solo dopo che gli abolizionisti ebbero vinto le più cure battaglie contro la schiavitù anche la teologia comincio a destarsi dal suo torpore e a riesarninare le implicazioni di quell’abbattimento delle barriere che era stato compiuto da Cristo. (19) I1 pieno riconoscimento ecclesiasti co di ciò si ebbe solamente nel Concilio Vaticano II, il quale rivendico l’eguaglianza fondamentale di tutti gli esseri umani e invito tutti a non risparmiare alcuno sforzo per bandire ogni traccia di schiavitù sociale e politica, e per salvaguardare i fondarnentali diritti umani sotto qualsiasi sistema politico (Gaudium et Spes, 29). Potremmo essere tentati di inorgoglirci a sentire un così nobile invito. Che un documento ufficiale contenga una dichiarazione del genere, è certo un fatto positivo; dobbiamo però ammettere che non si tratta poi di una grande conquista, a1 giorno d’oggi... Come Chiesa, non dovremmo piuttosto sentirci orgogliosi di quei rari pensatori e pastori che confutarono la legittimita della schiavitù per ragioni teologiche, quando l’opinione comune laica ed il pensiero ecclesiastico erano invece favorevoli a questa istituzione? Qual’è la rniglior teologia, quella che accetta i fatti e tollera le situazioni esistenti, oppure quella che ha il coraggio di confrontare le opinioni tradizionali con le esigenze obiettive del Vangelo?

    Vi è un rapporto molto stretto tra l’accettazione della schiavitu e la discriminazione contro la donna. Nello stesso passo sopra citato, il Concilio Vaticano II afferma che “ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in regione del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione deve essere superato ed eliminato come contrario al disegno di Dio. In verità ci si deve rammaricare perchè questi dirit ti fondamentali della persona non sono ancora dappertutto garantiti, come quando si negasse alla donna la facoltà di scegliere liberamente il rnarito e di abbracciare il suo stato di vita, oppure di accedere ad un’educazione e cultura pari a quella che si riconosce all’uomo”.

    L’escludere la donna dai ministeri della Chiesa non può mancare di apparire come una chiara forma di discriminazione ecclesiastica. E’ mio parere, condiviso da altri biblisti e teologi, che le ragioni teologiche addotte per giustificare l’esclusione delle donne dal sacerdozio siano fondamentalmente un tentativo di giustificare lo statu quo, e che si basino su un’errata interpretazione del messaggio del Nuovo Testamente. Perciò - anche se ciò potrà sconcertare qualcuno - la discussione deve continuare, finchè la verità venga riconosciuta ed accettata nella sua interezza.

    .1. First Vatican Council, Constitutio de Fide Catholica, ch. 4, in Enchiridion Symbolorum, ed. H. DENZINGER, Freibourg, Herder, 1955 (30 ed.), no. 1795-1800.

    NOTE

    1. First Vatican Council, Constitutio de Fide Catholica, ch. 4, in Enchiridion Symbolorum, ed. H. DENZINGER, Freibourg, Herder, 1955 (30 ed.), no. 1795-1800.

    2. F.A. SULLIVAN, De Ecclesia, vol. I, Rome 1963, pagg. 355- 357.

    3. `Decree on the Means of Social Communication,' no. 8; Vatican Council 11, l.c. pg 286; see also the Pastoral Instruction of 29 January 1971, in which the same idea is elaborated, especially no. 26, pg 303; no. 125, pg 333.

    4. K. RAHNER, `Magisterium' in Sacramental Mundi, ed. K. RAHNER, London 1969, vol. III, pg 357.

    5. K. RAHNER. ib. 8.

    6. Pubblicato in L'Osservatore Romano 2 October 1966.

    7. G. BAUM, `The Magisterium in a Changing Church,' Concilium 1 (1967) no. 3, pagg. 34-42; here pg 42.

    8. `Decretum de Authentia Textus I Jo 5, 7,' Acta Sanctae Sedis 29 (1896-1897) pg 637.

    9. E. MANGENOT, Dictionnaire de la Bible, vol.III, Paris 1898, col. 1197. M. HETZENAUER, Novum Testamentum Greaco-Latinum, Innsbruck 1898, vo1.II, pg. 387. For a classical discussion of the verse, see e.g. SIMONDORADO, Praelectiones ad Usum Scholarum, Novum Testamentum, vol II, Madrid 1952, pagg. 440-442. It is worth recording that the same arguments now generally accepted had already been published by Catholic scholars before the Holy Office issued the Decree. Cf. R. CORNELY, Historica et Critica Introductio in Utriusque Testaments Libros Sacros, vol III, Paris 1886, pagg. 668-681.

    11. A. LOISY, Memoires pour servir à l’Histoire religieuse de notre Temps, vol I, Paris 1930, pg 437.

    12. Letter to Wilfred Ward, published in the Guardian of 9th June 1897.

    13. Degni di nota: A. BLUDEAU who wrote articles in Der Katholik (1902-04) and in Biblische Zeitschrift (in 1903 and 1915); K. KUNSTLE, Das Comma Johanneum auf seine Herkunft untersucht, Freibourg 1905.

    14. `The Decree had been issued to bring to order the audacity of some private scholars who seemed to presume to have the right either to reject the authenticity of the comma joannaeum or at least to call it into doubt. The Decree had not in the least the aim to forbid that Catholic writers should study the question further...' 2 June 1927. Enchiridion Biblicum, Naples 1956, ed. 3, no. 136 (121).

    15. Maggiori informazioni su tutti i retroscena della decisione sono fornite da S. LYONNET in ‘Le verset des Trois temoins celestes en 1 Jean 5, 7 et les decisions du Saint-Office’, Rome 1963 (manuscritto, non pubblicato per quanto ne so).

    16. J. KAHL, `The Church as Slave-owner,' in The Misery of Christianity, Penguin 1971, pagg. 28-33 (traduzione dal tedesco Das Elend des Christentums, Hamburg 1968).

    17. LEANDER, Quaestiones Morales Theologicae, Lyons 1668- 1692, Tome VIII, De Quarto Decalogi Praecepto, Tract. IV, Disp. I, Q. 3. `

    18. BARTHOLOMEW DE LAS CASAS, ‘Discourse against Juan Queredo, Bishop of Darien’, 1519, in L. HANKE, Aristotle and the American Indians, New York 1959, pg 17.

    19. Una buona panoramica di tutta la questione è data per J. F. MAXWELL, `The Development of Catholic Doctrine concerning Slavery,' World Justice 11 (1969-70) pagg. 147-192; 291 324. Egli osserva che ancor nel XVIIIo e XIXo secolo la maggioranza dei moralisti ‘approvati’ continuò ad appoggiare la schiavitù con gli argomenti teologici tradizionali.
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    Predefinito Che Cosa Dice Effettivamente Roma?

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 2 del libro.

    L'atteggiamenton di chiusura assunto dal Vaticano contro il sacerdozio femminile è stato molto pubblizicato e, temo, ampiamente criticato. Eppure non si ha ancora un qudro chiaro di ciò che Roma ha detto effettivamente. Vengono citate alcune frasi qua e là, ma non si riesce a farsi un'idea precisa delle argomentazioni sviluppate nel documento.

    Che il Papa si rifiuti di ammettere le donne al sacerdozio è evidente. Ma per quali motivi assume questo atteggiamento? È vero che egli dice che solo un maschio può rappresentare Gesù? Una simile asserzione ha un fondamento nelle Sacra Scrittura?

    La mia analisi della posizione ufficiale del Vaticano si baserà su due documenti, la cosidetta ‘Dichiarazione sulla questione dell’ammisione delle donne al sacerdozio ministeriale’ [= Inter Insigniores], pubblicata dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede 1l 27 gennaio 1977, e il commento ufficiale al testo, pubblicata dalla medesima Congregazione nella stessa data (20). Per spiegare il contenuto del documento nel modo più semplice possibile, lo riformelerò con mie parole, citandon passi ‘chiave’ dal documento ogniqualvolta sarà possibile. Ecco dunque una traccia di ciò che contiene il documento.

    In tutto il mondo le donne stanno gradualmente assumendo nella società il posto che loro compete di diritto. Anche nella Chiesa le donne stanno assumendó un ruolo piu attivo nelle varie forrne di apostolato. E la Chiesa si rallegra di cio; nei docu.menti vaticani si insiste molto sulla necessità di eliminare ogni discriminazione contro la donna.

    Assieme a questi sviluppi positivi, pere, emerge una tendenza preoccupante, ed è l’aspettativa condivisa da molti - che un giorno anche le donne verranno ammesse al sacerdozio. L’ordinazione di donne nelle chiese protestanti e specialmente in quelle appartenenti alla Comunione Anglicana ha contribuito a rafforzare tali speranze negli ambienti cattolici. Prima che le cose vadano troppo in là, è opportuno chiarire che dottrinalmente non c’e posto per lä donna sacerdote nella Chiesa cattolica. Ciò però non deve essere interpretato come una forma di discriminazione: è semplicemente una de cisione di fatto, nel; piano della salvezza, che i sacerdoti debbano essere scelti tra gli uomini e non tra le donne.

    E’ bensì vero che la Sa cra Scrittura non insegna esplicitamente che il sacerdozio e -risérvato al sesso maschile. Ma allora qual cuno potrà domandarsi da che cosá si può dedurre l’esclusione delle donne dal ministero sacerdotale? La si può dedurre, con certezza pratica, dalla convergenza dei seguenti fatti:

    1. Gesù Cristo ha scelto’ soltanto maschi come apostoli. E:’ ovvio che l’ha fatto con un’intenzione ben precisa, e in tal modo ha stabilito una norma.

    2. La Chiesa ha sempre seguito l’esempio di Cristo; sia nei tempi apostolici che nelle epoche successive sono state ordinate al sacerdozio soltanto persone di sesso maschile.

    3. I1 sacerdote e il segno sacramentale della presenza di Cristo nella celebrazione dell’Eucaristia. Un maschio pue meglio rappresentare Cristo, perche anche Cristo era maschio.

    Tra coloro che seguivano Gesù c’erano molte donne, perciò non sì può dire che Cristo condividesse i pregiudizi sociali dei suoi contemporanei; se avesse voluto avrebbe potuto facilmente introdurre donne tra i Dodici. Se ha scelto soltanto uomini, deve averlo fatto di proposito.

    Gli apostoli hanno continuato questa tradizione: per sostituire Giuda “non fu chiamata Maria, ma Mattia”. Benchè molte donne avessero avuto un ruolo di primo piano nella fondazione di nuòve comunità cristiane, nessuna donna fu mai posta a capo di una comunità come sacerdotessa. Paolo inoltre dice che le donne non devono parlare nelle assemblee (1 Cor 14, 34-35; 1 Tim 2, 12). Questi passi non si riferiscono ad un costurne culturale transitorio, come quello che comanda alla donna di velarsi il capo (Cor 11, 2-16), ma sembrano riferirsi ad un ruolo specifico che nella Chiesa e riservato agli uomini per sempre.

    Se dunque è stato desiderio di Cristo che solo i maschi possano ricevere il sacrarnento dell’ordine, la Chiesa non puo farci nulla; essa non può cambiare la sostanza di un segno sacramentale. Gesù avrebbe potuto scegliere varie sostanze per i sacrarmenti: di fatto, però, ha. scelto l’acqua per il battesimo, il pane e il vino per l’eucaristia. La scelta di di maschi per il sacerdozio dev’essere vista come una scelta altrettanto specifica di un segno sacrarnentale. La Chiesa non puo allontanarsi dalle norme imposte da Cristo.

    I1 Verbo, incarnandosi, ha preso necessariamente una forma specifica; teoricamente evrebbe potuto incarnarsi e vivere in mezzo a noi come donna, e allora la situazione sarebbe stata completamente diversa, ma siccome di fatto Cristo si è incarnato come maschio, è più naturale che nella comunità eucaristica egli sia rappresentato da un maschio. Cio è anche conforme a quel generale simbolismo biblico, se condo il quale Cristo e lo sposo e la comunità e la sposa.

    “Non si deve mai trascurare questo fatto che Cristo è un uomo... nelle azioni che esigono il carattere dell’Ordinazione ed in cui è rappresentato il Cristo stesso, autore dell’Alleanza, sposo e capo della Chiesa, nell’esercizio del suo ministero di salvezza - e cio si verifica nella forma più alta nel caso dell’Lucaristia - il suo ruolo devec es sere sostenuto da un uomo: il che a questi non deriva da alcuna superiorità personale nell,ordine dei valori, ma soltanto da una diversità di fatto sul piano delle funzioni e del servizio. ”

    Le cose che Roma non dice

    Ovviamente il documento vaticano si ispira alle argomentazioni dei teologi della scuola tradizionale però non ripete tutti gli argomenti tradizionali: evidentemente c’e stato un processo di selezione. Può essere interessante fare una breve menzione dei due principali argomenti che il documento non ha ritenuto opportuno riprendere.

    Il primo argomento riguarda l’osservazione che nella Bibbia Dio Padre e sempre descritto con termini maschili (Gen 18, 1-2; Is 6, 1-3; Dan 7, 9). I1 maschio, si diceva in passato, e una migliore immagine della divinità proprio per il suo sesso maschile; percio è natura le che tocchi agli uomini, e non alle donne,parlare ed agire in nome di Dio.

    L’uomo, si diceva, è superiore alla donna ed è il capo della famiglia (Sir 25, 13-24; Ef 5, 21-23; Col 3, 18). E’ stato Dio stesso che ha sottomesso la donna all’uomo nella creazione (Gen 3, 16; Cor 11, 3; Ef 5, 23). Se la donna è subordinata all’uano nella vita familiare di tutti i giorni e negli affari secolari, a maggior ragione deve essergli sottomessa nelle questioni religiose.

    E’ certarnente significativo che un argomento del genere sia stato omesso. Anzi il documento arriva a riconoscere che la teologia del passato nutriva pregiudizi contro la donna. “E’ pur vero che nei loro scritti si può rintracciare l’innegabile influsso di pregiudizi siaforevoli alla donna ... I maestri della Scolastica, nel tentativo di chiarire con la ragione i dati della fede presentano sovente su questo punto argomentazioni che il pensiero moderno difficilmente potrebbe ammettere, o che addirittura rifiuterebbe a buon diritto.”

    Oggi molti studiosi sano persuasi che la scelta di uomini per il sacerdozio, compiuta da Christo, dagli apostoli e dalla Chiesa in passato, non ha alcun significato dottrinale ma riflette unicamente la diversa posizione sociale di cui godevano gli uoimini allorz. I1 documento, pere, nega ripetutamente la validità di questo argomento. “Gesu Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei Dodici. Se ha fatto così, non é stato per conformarsi alle usanze del suo tempo”. E dice ancora: ‘Nessuno ha mai provato - ed e, senza dubbio, impossibile provarlo - che questo atteggiamento (di’ Cristo) si ispiri solamente a motovi socio-culturali. “ E infine: ”Questo condizionamento socio-culturale non avrebbe trattenuto gli Apostoli nell’ambiente greco, dove queste discriminazioni non esistevano".

    Ed è qui che entriamo nel punto cruciale del dibattito. Se vogliamo prendere sul serio il documento romano (e non c’e motivo di non farlo), dobbiamo armmetere che l’esclusione delle donne dal sacerdozio si fonda non su un pregiudizio sessista, ma su un fatto storico (Cristo non ha scelto donne) spiegato come una norma universale (le donne non possono essere sacerdoti). La domanda scottante e proprio questa: è esatta tale interpretazione? La preferenza di Cristo per gli uomini fu una scelta pratica, suggerita dalle aspettative della società del suo tempo, oppure rappresentò proprio una preferenza dottrinale, che stabiliva un principio valido per sempre? I1 sesso maschile dei ministri della Chiesa primitiva fu un aspetto accidentale, derivante dall’organizzazione sociale di allora, oppure fu un elemento preciso del segno sacramentale? Roma ci dice che la scelta di sacerdoti maschi fu fatta intenzionalmente, e che ha un carattere dottrinale, sacramentale e normativo per tutti i secoli.

    NOTA

    20. ‘Dichiarazione sulla questione dell’ammisione delle donne al sacerdozio ministeriale’, Acta Apostolicae Sedis 55 (1963) pagg. 267-268; Briefing 7 (1977) no. 5 and 6.
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    Predefinito Perché gli uomini erano considerati Superiori?

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 3 del libro.

    La legislazione civile riconosce eguali diritti a uomini e donne, e cio va benissimo; in passato sono state commesse ingiustizie contro le donne, ed e bene che la legge vi abbia posto - rimedio. Pere mi sembra che tutto questo parlare di eguaglianza sia un po’ esagerato, perche dopotutto non si puo negare che uomini e donne siano diversi. Fraticamente tutti i grandi pensatori, artisti e capi politici sono stati uomini: non può essere un puro caso. Non si potrebbe ammettere che l’uomo ha un vantaggio innato, che c’ e qualcosa nella sua struttura che gli da qùesto vantaggio sulla donna ? Se sono proprio le qualità innate che fanno sì che gli uomini siano i capi naturali della società, cio potrebbe spiegare come mai Cristo ha preferito gli uomini come sacerdoti. Oppure questo argomento Le pare un po’ stiracchiato?

    No. l’argomento non e stiracchiato, anche se io sono d’accordo sulla conclusione che è iinplicita in una delle frasi sopra citate. Prima di passare a discutere il Vangelo e i motivi per cui Gesù ha scelto uomini, dovremmo chiarire la questione di questo “ruolo di guida” dell’uomo nella società. Su tale argomento sono state compiute molte ricerche, e il quadro che ne emerge è ormai chiaro, nelle suo linee generali. (21 )

    I fattori che hanno plasmato i diversi ruoli dell’uomo e della donna sono in parte genetici, e in parte sociali. L’uomo e la donna sono diversi fisicamente, e cio li predispone a compiti diversi. Però le funzioni di guida e di predominio sembrano essere state determinate per lo più dalle aspettative sociali.. E’ principalmente il “mito sociale”, attraverso il quale una società stabilisce i propri obiettivi e le proprie norme di comportamento, che è determinante per il destino dei due sessi.

    In questo capitolo faro una breve panoramica di cio che le scienze hanno da dirci sui fattori in gioco, perchè credo che sia un’utile preparazione per approfondire ciò che ha da dirci la Bibbia. I lettori che preferiscono affrontare subito l’argomento biblico possono saltario, o leggerlo in seguito, se lo ritengono opportuno.
    Il fondamento genetico dei ruoli sessuali

    Alcuni sono così fanatici circa l’eguaglianza di diritti che vorrebbero minimizzare ad ogni costo la differenza tra i due sessi, come mostra una certa tendenza all’unisex nei vestiti e nella capigliatura. Dubito però che una società con donne più maschili e uomini più femminili sarebbe una società più felice, e moltre .mi sembra un tentativo destinato al fallimento perchè uomini e donne sono effettivamente diver si, sia biologicamente sia psicologicamente. Hanno tratti innati che li predispongono a compiti diversi nella società. E benche non si debbano esagerare tali differenze, esse fanno parte della struttura fisica e mentale della persona. .A1 di là dei pregiudizi imposti dalla. cultura (dei quali parlerò in appresso), c’è effettivamente un nucleo- di differenza costituzionale.

    I1 corpo maschile è molto più adatto alle attività fisiche pesanti; esso e costruito in modo tale che la sua parte centrale e più massiccia e formata dal torace. L’uomo ha spalle larghe e braccia robuste; ha muscoli molto più potenti di quelli della donna, come dimostrano anche i records sportivi; in breve, l’uomo proietta un’immagine di forza. La La donna invece ha un corpo strutturato per la .maternita; il centro dellc sua corporeità e costituito dall’utero. “Una donna è ciò che è a causa dell’utero” (Virchow). I1 suo fisico e più aggraziato, ed ovviamente si e evoluto in tal modo per attrarre il partner con la sue bellezza e proteggere la prole con le sue riserve di energia naturale. Non e irragionevole supporre che le implicazioni fisiche e psicologiche della maternità predispongano la donna a svolgere alcuni ruoli nella società, a preferenza di altri. (22).

    Nè è soltanton una questione di fisico. Uomini e donne, fin dall’inizio, affrontano l’esistenza con disposizioni emotive diverse, come hanno riscontrato gli psicologi effettuando vari “tests”. Ancor prima di- essere influenzati dalla cultura cui appertengono, bambini e bambine mostrano già un atteggiamento diverso verso l’ambiente. In genere i maschi fanno giochi più rudi, sono più aggressivi e inclini alla violenza, più ostinatì. Le femmine invece sono più affettuose e piu docili. Queste risultanze sono state confermate dallo studio di diversi ambienti e culture. Già nei primi tre anni di vita i maschi appaiono più aggressivi, le femmine più inclini ad avere cura degli altri (23).

    Una conferma di cio ci viene dallo studio comparativo del comportamento delle scimmie, e specialmente di quei primati che sono più vicini a noi nella scala evolutiva. Tra i Trag i gorilla ed i babbuini i maschi impongono la propria autorita con l’aggressione: il capo e sempre un maschio, che esige la precedenza su tutti gli altri per quanto riguarda il territorio, il cibo e le feminine (24). Una scoperta interessante e che l’iniezione di ormoni sessuali rnaschili in feti di sesso femminile produce nella giovane- scimmia un comportamento aggressivo, tipícamente maschile (25). Questo tipo di ricerca, condotta anche sui topi, ci induce á pensare che gli ormoni sessuali abbiano un’influenza determinante sui comportamento maschile e femminile. (26}Le diverse predisposizioni di uomini e donne a compiti aggressivi o di cura degli altri sembrano esssere correlati con la diversa attività ormonale, se non proprio derivati da; essa. L’aumento massiccio dell’ormone androgeno nei maschi nell’éta puberale (da 10 a 30 volte il livello precedente un fenomeno che non ha parallelo nelle femmine) può essere messo in relazione con l’aumentata aggressività degli adolescenti.(27)

    Fino a un certo punto le differenze innate possono essere dimostrate anche dall’attuale divisione del lavoro nella società. Praticamente in tutte le societa primitive le attività aggressive vengono svolte dagli uomini: sono loro che vanno a caccia, pescano, lavorano i metalli, fabbricano armi, costruiscono imbarcazioni, e cosi via. Le donne invece di solito macinano il grano, raccolgono frutta e semi, fanno e riparano vestiti, si occupano della casa. E benchè ciò possa essere determinato in parte dalla cultura, il ftto che la medesima divisione del 1avoro si possa riscontrare in 224 società economicamente primitive di ogni parte del mondo dimostra che dev’essere in parte fondata sullá struttura biologica e p sicologica dell’uomo e della donna (28), Questa conclusione e stata confermata recentemente da osservazioni nei kibbutzim israeliani, in cui era stato fatto uno sforzo notevole per assegnare a donne e uomini i medesimi compiti; nonostante ciò c’e stato un graduale ritorno alla divisione tradizionale del lavoro. E questo è vero anche per le nuove generazioni, che hanno sperimentato soltanto eguali opportunita per i due sessi. Anche qui sono gli uomini che lavorano nei settori produttivi, mentre le donne tendono a riversarsi nel settore dei servizi: la cucina, il bucato, l’insegnamento e la cura dei bambini (29).
    Le società ginocentriche

    E’ ovvio che quésta precisposizione ai compiti aggressivi abbia fatto si che fosse l’uomo , e non la donna, il candidato pia probabile alle funzione di capo nella sociata. Tuttavia la transzione dall’aggressività al predominio non è necessaria, e non è avvenuta dovunque. In molte società antiche, che vivevano raccogliendo i frutti della terra, non era l’uomo bensì la donna ad essere considerata il centro della famiglia e della vita tribale; e benchè in seguito il predominio maschile sia diventato la regola, alcune società hanno conservato un’or-ganizzzzione matriarcale fino ai nostri giorni.

    Per l’umanità dei tempi antichi era la femmina, e non il maschio, a simboleggiare la vita e la fertilità. Nel periodo pre-agricolo l’umanità non conosceva la funzione biologica del seme maschile, e la fertilità veniva attribuita alla Madre Terra, da cui si vedeva germogliare la vita in tante forme diverse. Fu certo da questa esperienza fondamentale che scaturi la fede ìn una Dea Madre che, a quanto ci è dato sapere, è la più antica divinità venerata dalla razza umana. La fede in una Dea Madre è documentata dalle mitologie deli’Oceania, Africa, America del Nord e del Sud, dell’antico Medio Oriente e dell Asia (30), ed è confermata dai ritrovamenti paleontologici di molte figurine femminili, probabilmente amuleti che rappresentavano la “magna mater” o dea della fertilita.: Alcune di queste statuette possono essere fatte risalire a 60.000 anni -prima di Cristo (31).

    Tra le 565 societa umane delle quali è stata studiata accuratamente l’organizzazione sociale,il 20% erano matrilineari: in esse cioe l’anpartenenza ad una famiglia veniva determinata attraverso la donna, e non attraverso l’uomo. I1 nome. l’eredita e la discendenza erano assicurati dalla moglie, non clal .marito, 84 di esse erano matrilocali, il che significa che dopo il matrimonio la giovane coppia abitava presso i genitori della sposa, e non dello sporo. Gli antropologi collegano que sta organizzazione sociale con una situazione in cui la principale proprietà e fonte di reddito era costituita dai campi, dai quali le donne raccoglievano frutti, In tali società il centro di gravità per la sopravvivenza è la fertilità, ed e la donna che appare come il perno sociale attorno al quale ruotano la vita ed il lavoro quotidiano. (32)
    Il dominio maschile

    La maggior parte delle società tradizionali che oggi conosciamo mostrano pregiudizi favorevoli al dominio maschile. La supremazia dell’uomo sulla donna nelle nostre societa tradizionali viene generalmente attribuita a fattori economici: poichè le nuove circostanze richiedevano un tipo di guida più energico, l’uomo - favorito dai fattori genetici della forza fisica e dell’aggressività - assunse questo ruolo predominante nell’allevamento del bestiame, nell’agricoltura pesante e nell’urbanizzazione; inoltre questa posizione centrale assegnata al potere maschile si affermò anche nel pensiero religioso.

    A partire dal decimo millennio a. C., molte società umane si insediarono in piccoli centri abitati ed iniziarono un tipo di vita rurale. Tale cambiamento ebbe ripercussioni grandissime. Invece di dipendere da ciò che si poteva raccogliere liberamente dalla terra o procurare con la caccia, la comunità era obbligata ad intraprendere un lavoro continuo e faticoso per la propria sopravvivenza. L’uomo addomestico gli animali per il trasporto di carichi e la coltivazione della terra; inventò utensili con cui tagliare rnateriali e costruire abitazioni durature, fabbricò armi per opporsi alla violenza dei predoni e ‘dei nemici. La sopravvivenza dei centri abitáti dipendeva dálIa forza fisica del lavoratore e dal valore del soldato: in queste nuove forme di società era percio naturale che si affermasse il potere maschile (33).

    Tra le 565 società primitive sopra citate, delle quali fu fatto uno studio, 3?5 erano patrilocali; le giovani coppie, cioè, risiedevano pres so.i genitori dello sposo. Inoltre, in 4 societa su 5, l’appartenenza ad una determinata famiglia, il nome e i diritti di proprieta si trasmettevano attraver so gli úomini. In tutte le più importanti società oggi conosciute nel mondo, l’organizzazione sociale ruota intorno all’uomo, non intorno alla donna (34).

    La nuova organizzazione sociale porte con sè una nuova visione del mondo ed una diversa conçezione di Dio.. Invece di fissare la propria attenzione sulla terrá e sul pótere generativo, l’uomo cominciò a vedere i1 mondo come una grande città creata da un Potere Supremo, Tuttì i miti della crenzione delle religioni antiche che noi conosciamo ci parlano di un dio forte, di sesso maschile, che crea il mondo portando l’ordine nel caos. Si pénsava che questi dei, di sesso maschile, regnassero supremi, che ‘governassero il mondo dal cielo manifestando la propría potenza come guerrieri e supremi artefici. I1 dio Marduk della Mesopotamia e il.Wodan delle tribù germaniche avevano le stesse caratteristiche. Anche la fertilità fu vista in una nuova luce, e il suo simbolò diventò l’animale maschio portatore del seme, e non l’animale f’emminá. Nel Medio Oriente non fu più adorata la vacca come datrice di vita, bensì il toro (35).

    Questa diversa visione si rnanifesto anche in un atteggiamento diverso verso il sesso: nella maggior parte delle società si affermò la poligamia. L’analisi di 200 ‘ società mostra che l’uomo si era appropria to di molti privilègi riguardo al sesso e al matrimonio (36), mentre le’donne venivano suttoposte a severe restrizioni sessuali. I sociologi possono mettere in relazione questo trattamento ineguale dell’numo e della donna’ con il sorgere delle società agricole autocratiche (37).
    I miti sociali

    Quando una società ha accettáto certi valori, col passar del tempo tende a consolidarli sviluppando un “mito” che i giustifichi. Ad es. in India molti sono convinti che le cosiddette caste non facciano altro che contrastsegnare forme più alte o più basse della natura umana. La divisione della società indù in sacerdoti, guerrieri mercanti, contadini e paria viene rafforzata mediante un’analoga divisione di funzioni tra gli dei. La credenza.nella possibilità di una rinascita in forme più alte o più basse di vita a seconda dei meriti, antiche leggende di razze superiori, la preferenza superstiziosa per alcune caratteristiche fisiche come la pelle chiara, confermano. tutte un’accettazione della diseguaglianza. L’intoccabilità, la limitazione del matrimonio nell’ambito della propria casta, l’osservanza di norme.dietetiche particolari a ciascuna casta ed altri costumi religiosi, formano una ragnatela di convinzioni e di pratiche che mantengono le distinzioni tra le varie caste. La somma totale di queste credenze, tradizioni e convinzioni costituisce quel “mito sociale” che rende possibile il sistema castale (48).

    L’accettazione del dominio rnaschile come pietra angolare dell’org nizzpzione sociale fu rafforzata da tutta una serie di espressioni del medesimo mito sociale.

    Anche il mito della superiorità maschile, come quello che consolida il sistema castale, contiene molti elementi da eliminare. Esso sorge da una visione superata della realtà, perpetua un pregiudizio, e propone va lori che ormai non sono più accettabili in una società urbana.

    Non appena i bambini sono in grado di imparare qualcosa., la socità comincia a plasmarne la mente secondo i propri modelli li pensiero. I genitori inculcano le proprie idee attraverso tutto ciò che dicono e fanno. E naturalmente cie influenza anche l’atteggiamento verso l’uomo e la donna nella societa; la mascolinita e la femminilità sono tra le prime categorie che vengono- assimilate dalla mente infantile (39). Uno studio- basato su 110- società attuali indica che fin dal quarto anno di età si fanno pressioni sui bambini perche assimilino quello che sarà il loro futuro ruolo di adulti. Nella maggior parte delle societa (85%) il successo e la fiducia in -se stessi sono valori proposti quasi esclusivamente ai mashi;- le femmine invece vengono educate a compiti di servizio (82%) e al senso di responsabilità verso gli altri (61 %).- I valori così inculcati dalla società diventano parte del mito in base al qua le l’uomo e la donna giudicano se stessi ed il proprio ruolo nella società (40 ).

    In genere i valori rappresentati dal mito sociale si possono riconoscere dal modo in cuí sono espressi dal linguaggio. In molte lingue, ad es., il termine “uomo” indica sia il maschio, sia l’essere umano: in tal modo si fa del maschio il modello della natura umana, mentre la donna è vista corne una- natura umana particolare, diversa, da misurarsi contro quel modello di umanità che sarebbe l’uomo. Questo mito che identifica il maschio con l’essere umano per eccellenza si trova in sanscrito, in ebraico, in latino e in molte altre lingue. Gio che hanno detto apertamente alcuni filosofi occidentali (Aristotele, Tommaso d’Aquino), e cioe che la donna non è altro che un uomo incompleto (41), e in un certo qual modo la cónvinzione fòndamentale di molte culture, anche se non espressa. E benche in realta sia la donna ad essere biologicamente la preservatrice della vita e l’espressione più completa della natura umana, essa viene considerata il “secondo sesso, l’altra” (Simone de Beauvoir).

    Nei nostri paesi il mito sociale ha stabilito un rapporto tra la mascolinità ‘ e fèmminilità e determinate professioni. Si ritiene che matematici, fisici e ingegneri esercitino una professione “maschile”, - e li si vede come gente solida, quadrata, intelligente e degna di fiducia. Romanzieri, poeti, artisti vengono ritenuti “femminili”, e si suppone che siano sexy, sensibili, pieni di immaginazione e di calore umano, interessanti. ‘Questa classificazione sociale ‘delle diverse professioni può essere una ra ione importante che spiega perche alcune professione siano evitate dalle donne.Soltanto un fisico su cinque un chimico su trecento e un ingegnere elettrico su cinquecento e una donna. E qui non e il tipo di attività fisica richiesta o l’effettiva abilità personale che determina la scelta, ma piuttosto le convenzioni sociali. I giovani sono condizionatia credere di non potersi inserire in questo o quel modello perche non e conforme al mito sociale, anche se molti di loro hanno talenti personali che vanno in tutt’altra direzione rispetto a ciò che ci si attende da loro. (42).
    Il mito sociale e la religione

    Una recente ricerca sul comportamento sessuale degli italiani ha rivelato incredibili prergiudizi trä gli uomini. In alcune città il 50% degli uomini adulti ammette di avere commesso adulterio o di avere avuto rapporti con prostitute: ma mentre danno poco peso a cio, considerandoló una’ debolezza, il 75% di loro condanna poi severamente quelle donne che hanno rapporti prematrimoniali o adulterini. Questo atteggiamento incoerente si puo spiegare con un mito sociale alquanto confuso. Infatti nella convinzione popolare esistono due tipi di donne: quelle asessuate (da rispettarè) e quelle depravate (con le quali avere rapporti sessuali).Il marito medio di questo gruppo si aspetta che suà moglie abbia scarso interesse per il sesso (cioe che sia “casta” come una ma donna), e cerca il piacere sessuale con le altre (che considerata corrotte come Eva). Purtroppo questa confusione mentale viene alimentata da testi biblici malamente interpretati e da devozioni popolari poco il_ luminate. Per la donna, poi, questa situazione porta a gravi tensioni psicologiche, perchè essa non può sentirsi una vera donna senza provare allo-stesso tempo un complesso di colpa (43).

    Oggi generalmente si riconosce che la teologia cristiana sul sesso, sulla castita, sul celibato e sul matrimanio e stata inquinata, nel corso dei secoli, dai miti culturali. Per molti scrittori dell’epoca patristica tutto ciò che attiene esclusivamente al corpo (e che percio e irrazionale, secondo il pensiero stoico) è un male. Gregorio il Grande sosteneva che il rapporto sessuale conteneva sempre un elemento di peccato, cioè il piacere provato (44). San Tomaso d’Aquino e gli Scolastici fondarono molta della loro teologia su un mito culturale che spiegava il matrimonio in termini di agricoltura: si pensava infatti che lo sperma maschile contenesse tutto il nascituro (e percio l’onanismo era visto come una specie di aborto), e che il contributo della donna alla procreazioné fosse solo quello di fornire una specie di terreno in cui gettare il seme maschile (45).

    Come si e detto alla fine del capitolo precedente, la questione cruciale nel dibattito sul sacerdozio femminile a proprio quella di stabilire se Cristo abbia scelto soltanto uomini come apostoli tenendo conto dei miti sociali del suo tempo, oppure no. Se furono gli schemi mentali dei suoi contemporanei a rendere praticamente impossibile a Cristo la scelta di donne come capi religiosi della sua Chiesa, allora la scelta pratica da lui compiuta non precluderebbe la possibilita di affidare il sacerdozio anche alle donne in altri tempi, in cui le condizioni sociali sinno profondamente mutate. Se invece la decisione di Cristo fu del tutto indipendente da tali considerazione come sostiene il documento vaticano - e se si deve pensare che egli abbia riservato il sacerdozio a uomini per motivi teologici, allora sì che la sua scelta restrittiva rappresenterebbe una norma vincolante per tutti i secoli. Uno studio spassionato. della Sacra Scrittura, che cerchi di tenersi alla larga dalle spiegazioni piene di pregiudizi che venivano date in passato, dovrebbe aiutarci a dirimere la questione.

    NOTE

    21. La sostanze di questo capitolo è già stata da me pubblicata come una ricerca; cf J. N. M. WIJNGAARDS, `The Ministry of Women and Social Myth,' in Ministries in the Church in India, Ed. D. S. AMALORPAVADASS, New Delhi 1976, pagg. 221-250.

    22. F. J. J. BUYTENDIJK, De Vrouw, Utrecht 1961, pg 81 ff; 162-64.

    23. R. SCHEIFLER, ‘Zur Psychologie der Geschlechter, Spielinleressen des Schulalters’, Z.f. Ang. Psych. 8 (1914), pagg. 124-44; F. HATTWICK, ‘Sex Differences in Behaviour of nursery school children’, Child Development 8 (1937) pagg. 343-55; J. CUMMINGS, ‘The incidence of emotional symptoms in school children’, Brit. Journ. Psych. 14 (1944) 1, pagg. 151-61; N. G. BLURTON-JONES, ‘An Ethological Study of some aspects of social Behaviour of Children in Nursery Schools’, in Primate Ethology, ed. D. MORRIS, London, Weidenfeld Nicholson, 1967.

    24. I. DE VORE, Primate Behaviour, New York:Holt Rinehart & Winston 1965.

    25. W. C. YOUNG, R. W. GOY and C. H. PHOENIX, ‘Hormones and Sexual Behaviour’, Science 13 (1964) 212-218; D. A. HAMBURG and D. T. LURDE, ‘Sex Hormones in the Development of Sex Differences in Human Behaviour’, in The Development of Sex Differences, ed. E. E. MACCOBY, Tavistock, London 1967.

    26. G. W. HARRIS and S. LEVINE, ‘Sexual Differentiation of the Brain and its Experimental Control’, J. Phys. 181 (1965) 379-400.

    27. L. TIGER and R. FOX, The Imperial Animal, St Albans 1974, pg 136.

    28. R. G. D'ANDRADE, ‘Sex Differences and Cultural Institutions’, in The Development of Sex Differences, ed. E. E. MACCOBY, Tavistock London 1967, pagg. 174-204.

    29. M. E. SPIRO, Kibbutz: Venture in Utopia, Harvard Univ. Press 1956; L. TIGER and J. SHEPHER, Women in the Kibbutz, Harcourt Brace Jovanowich 1975.

    30. M. F. ASHLEY-MONTAGUE, ‘Ignorance of physiological paternity in secular knowledge and orthodox belief of the Australian aboriginees’, Oceania 12 (1940-42), pagg. 72-78. M. ELIADE, Traité d'Histoire des Religions, Payot, Paris 1959, pagg. 221-31.

    31. H. KUHN, De Kunst van her Oude Europa, Pictura, Utrecht 1959, pagg. 20-22; 31-33; 50, 58.

    32. R. G. D'ANDRADE, ‘Sex Differences and Cultural Institutions’, ibid. (vide nota 28), pagg. 182-85.

    33. For the urban revolution, see the excellent description in V. GORDON CHILDE, Man Makes Himself, Mentor, New York 1951, pagg. 114-42.

    34. R. G. D'ANDRADE, ‘Sex Differences and Cultural Institutions’, ibid. (vide nota 28), pagg. 174-204.

    35. M. ELIADE, Traité, etc. (vide nota 30), ibid. pagg. 47 ff.

    36. C. S. FORD and F. BEACH, Patterns of Sexual Behaviour, Harper and Row, New York 1951, pagg. 103, 110, 123, etc.

    37. W. N. STEPHENS, The Family in Cross-cultural Perspective, Holt, Rinehart and Winston, 1963, pagg. 256-58.

    38. Una solida lettura di base per le varien implicazioni del termine ‘mito’ usato in questo senso si può trovare in P. MARANDA (Ed), Mythology. Selected Readings, Penguin 1972.

    39. L. KOHLBERG, ‘A Cognitive-Developmental Analysis of Children's Sex-Role Concepts and Attitudes’, in The Development of Sex Differences, ed. E. E. MACCOBY, Tavistock London 1967.

    40. H. BARRY, M. K. BACON and I. I. CHILD, ‘A cross-cultural survey of some sex differences in socialization’, J. abnorm. so. psychol. 55 (1967), 837-853.

    41. È questo il significato di `femina est mas occasionatus,' cioè la femmina sarebbe il resultato di un difetto deel feto; ARISTOTLE, De Generatione Animalium, 113; THOMAS, Summa Theol. I Q 92, art II; ibid. Q 99, art 2 ad 1. 42.

    42. L. HUDSON, Frames of Mind. Ability. Perception and Selfperception in the Arts and Sciences’, Penguin 1970, especially pagg. 32-33; 46-47; 86-90.

    48. G. PARCE, Le Italiane se confessano, Florence 1959. F. SULTANI, Mentalità a comportimento del maschio italiano, Milan 1965.

    44. J. T. NOONAN Jr, ‘Contraception: A History of its Treatment by the Catholic Theologians and Canonists, Havard Univ. Press 1965, pagg. 46-49; 76-81; 150-51.

    45. R. NOWELL, ‘Sex and Marriage’, in On Human Life, ed. P. HARRIS, London, Burns & Oates 1968, pagg. 45-71.
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

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    Predefinito Cristo si è adattato al mito sociale?

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 4 del libro.

    “Gesu Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei Dodici. Se egli ha fatto così, non è stato per conformarsi alle usan ze del suo tempo, poiche l’attegiamento da lui assunto nei confronti delle donne contrasta singolarmente con quello del sUO ambiente e segna una rottura voluta e coraggiosa. E’ così che egli, con grandestupore dei suoi stessi discepoli, conversa pubblicamente con..la Samaritana (Gv 4, 27); non tiene alcun conto dello stato di impurità legale-della emorroissa (Mt 9, 20-22); lascia che una-peccatrice lo avvicini presso Simone, il fariseo ( Lc 7, 37 ff); e, perdonando -la donna adultera,: si preoccupa di mostrare che non si deve essere più-severi verso la colpa di una donna, che verso quella degli uomini (Gv 8, 11). Egli non esita a prendere le distanze rispetto alla legge di Mosè, per affermare l’eguaglianza dei diritti e dei doveri dell’uomo e della donna di fronte al vincolo del matrimonio. (Mc 10, 2- 11; Mt 19, 3-9). Nel suo ministero itinerante Gesù non si fa accompagnare soltanto dai Dodici, ma anche da un gruppo di donne: ”Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni" (Lc 8, 2-3). In contrasto con la, mentalità giudaica che non accordava grande valore alla testimonianza delle donne, come dimostra il diritto ebraico, sono tuttavia delle donne che hanno avuto, per prime, il privilegio di vedere il Cristo risorto, ed e ancora ad esse che Gesu affida l’incarico di recare il primo messaggio pasquale agli stessi Undici, per prepararli a divenire i testimoni ufficiali della Resurrezione... (Mt 28, 7-10; Lc 24, 9-10; Gv 20, 11-18) . Si deve riconoscere che vi e qui un insieme di indizi convergenti, i quali sottolineano il fatto irnportante che Gesù non ha affidato alle donne l’incarico dei Dodici.”

    (citazione dal documento vaticano “Inter Insigniores”}

    Il documento vaticano suddetto ha ben ragione di ännettere grande importanza a questo fatto, e cioe se Gesù si sia uniformato all’atteggiamënto dei suoi contemporanei riguardo alle donne oppure no; come ho detto-prima, è proprio questo il punto cruciale di tutto il dibattito. Se scegliendo soltanto uomini per il gruppo dei Dodici Gesù si adatto alle consuetudini del suo tempo, non abbiamo alcun motivo di pensare che egli sarebbe contrario ad un sacerdozio femminile in circostanze del tutto diverse, Se però effettivamente Gesù infranse il mito sociale del predominio maschile, e nonostante ciò rifiutò deliberatamente di amettere qualche donna tra i Dodici, allora sì che si avrebbe una chiara indicazione che egli intendeva stabilire una norma valida in perpetuo.

    Per procedere con un certo metode nell’esposizione della mia tesi, esaminerò dapprima le argomentazioni del documento vaticano sopra citate e dimostrerò che esse non provano affatto che Cristo abbia infranto le usanze sociali del suo tempo. Poi passerò a dimostrare chi contrario egli si adeguò al mito sociale del predominio maschile:

    * (a) rimase legato all’immagine ebraica del “padre”;
    * (b) non mise in discussione il ruolo ebraico del “marito”;
    * (c) si espresse come se le concezioni ebraiche sul sesso fossero esatte;
    * (d) si adatte al ruole secondario svolto dalle donne nella vita religiosa.

    In altre parole. Gesù non roverciò il sistema sociale che dava agli uomini un ruolo dominante nella società: lo accettò come sistema sociale, per quel che poteva valere, e agì adeguandosi ad esso.
    Esame degli argomenti del documento vaticano

    Il documento afferma che l’attegiamento di Gesù “segno una rottura voluta e coraggiosa” con i pregiudizi esistenti contro le donne nel suo ambiente . Gli esempi addotti, però, non convincono affatto, perchè in ognuno dei casi citati questo allontanarsi di Gesù dal costume ebraico riguardava un giudizio sul peccato e sulla santità, non sulla condizione sociale della donna. Nei quattro casi menzionati in cui Gesù mostrò benevolenza per le donne: la Samaritana, l’emorroissa, la peccatrice che gli lavò i piedi e l’adultera, la novità del comportamento di Cristo consisteva nel suo attegiamento misericordioso verso persone ritenute impure a causa del peccato. Che si trattasse di donne mette ancor piu in risalto la misericordia di Gesù, ma non cambia la natura dell’atto. Sostanzialamente non vi è alcuna differenza tra questi episodi e l’atteggiamento misericordioso rnostrato da Gesù verso uomini peccatori come il paralitico calato dal tetto, Zaccheo, il lebbroso di Cafarnao, il buon ladrone, ecc.

    Furono donne le prime a vedere la tomba vuota. Però, come il docurnento stesso riconosce, non sembra corretto riferirsi ad esse come a “testimoni”: e infatti nella lista ufficiale testimoni che si trova nella Lettera ai Corinti non si fa menzione di alcuna donna (Cor 15, 3-8). Probabilmente il resoconto della tomba vuota ebbe origine da una pratica liturgica in uso vicino a Gerusalemme (46), e solo successivamente questo testo assunse una finalità apologetica. In conformità con la mentalità ebraica, gli apostoli vengono allora chiamati a fungere da testimoni ufficiali (Mt.28,. 1-l0; Gv 20, 1-10). In tutto ciò non si constata nessuna deviazione dal costume ebraico di allora.

    Interessante è poi il testo riuardante il divorzio. I farisei domandano: “è lecito all’uomo ripudiare sua moglie per qualsiasi rnotivo?”. Mentre le scuole rabbiniche erano divise sulla gravità dei motivi per i quali un uomo poteva ripudiare la moglie, Gesù afferma che il matrimonio ideale escluderebbe la possibilità del divorzio. E si osservi che nella domanda, così come gli era. stata posta, era implicitz l’idea della supremazia maschile. Infatti secondo la legge ebraica il ripudio era un diritto unilaterale dell’uorno: il marito poteva mandar via la moglie, mentre questa non potevz abbandonare il marito. Nel vangelo di Matteo Gesù: disapprova il divorzio, ma implicitamente accetta il fatto che esso fosse un privilegio del marito. “Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria mogli, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commete adulterio (.Mt. 19, 9). Poichè il vangelo di Matteo fu scritto in aramaico, probabilimente queste sono proprio le parole usate da Gesu, e ciò mostrerebbe incidentalmente come Gesù si adeguasse alla mentalità degli ebrei che lo ascoltavano, e che vedevano nel marito la figura centrale del matrimonio (v. anche Mt 5, 31-32, dove è ancora il marito ad essere la figura centrale). La formula data nel vangelo di Marco (Mc 10, 11-12), in cui si prevede anche la possibilità che sia la moglia a lasciare il marito, è certarmente un’esplicitazione di ciò che Gesù intendeva dire realmente, fatta a beneficio dei cristiani di Roma cui tale vangelo era primariarmente destinato; infatti la lege romana prevedeva che unz causa di divorzio otesse essere intrapresa sia dall’uomo, sia dalla donna. In altre parole si ha qui un esempio di come Gesù fosse sensibile ai diritti della donna, ma non 1’esempio di una sua rottura con il mito sociale in quanto tale.

    Naturalamente Gesù ebbe effettivamente un nuovo tipo di rapporto con le donne, del quale parlerò più a lungo nei capitoli 8 e 9. Ora però si tratta di vedere se in questo rapporto il comportamento di Gesù abbia segnato “una rottura voluta e coraggiosa” con gli usi sociali del suo tempo. E la risposta non può essere che negativa. E’ vero che in uno o due casi Gesù oltrepassò i limiti che un rabbino ebreo si sarebbe imposto con le donne, ma - come abbiamo visto prima - ciò può essere spiegato come un gesto di compassione, come una dimostrazione del poco conto che Gesù faceva della tradizione rabbinica quando ciò era richiesto dalla misericordia (Mt 9, 12-13). Non si tratta però di una opposizione diretta contro 1a discriminazione in quanto tale; Gesù non si batte per 1’emancipazione delle donne nella maniera in cui egli si schierò dalla parte dei poveri. Egli ebbe frequenti scontri con i farisei a proposito del sabato e di altre osservanze tradizionali, rna non consta che abbia mai avuto dispute con i farisei per porre rirnedio all’oppressione di cui la donna era vittima. La questione dell’emancipazione femminile non venne mai posta, nè poteva esserlo, perchè il clima sociale non era ancora maturo.
    Gesù e 1’ immagine ebraica del “padre”

    Per gli ebrei, l’uomo era il capo indiscusso della famiglia e tutti i rapporti familiari erano incentrati su di lui. La moglie e i figli, specialamente quelli maschi, erano il possedimento piu prezioso dell’uomo.

    "La tua sposa come vite feconda
    nell’intimità della tua casa;
    i tuoi figli come virgulti d’ulivo
    intorno alla tua mensa". (Sal 128, 3)

    Era il padre che aveva l’ autorità as soluta sui figli e noteva decidere il loro fúturo (Gen 43, 1-15; 2 Sam 13, 23-27). I beni della famiglia passavano in eredità ai maschi, non alle feminine. Una figlia poteva ereditare soltanto se non c’erano eredi maschi (Num 27,- 1-11 ; 36’ 1-12). Era il padre che, in quanto unico proprietario dei beni della famiglia, poteva distribuirli tra i fig1i (Dt 21, 15-17). L’autorità paterna e il diverso trattamento riservato ai figli e alle figlie sono bene illustrati dai seguenti consigli:

    “Hai bestiame? Abbine cura;
    se ti è utile, resti in tuo possesso.
    Hai figli ? Ecucali
    e sotomettili fin, dalla giovinezza.
    Hai figlie ? Vigila sui loro corpi
    e non mostrar loro un volto troppo indulgente.
    Accasa una figlia e avrai compiuto un grande affare;
    ma sposala a un uomo assennato". (Sir 7, 22-25)

    All’epoca del Nuovo Testamento la posizione giuridica dell’uomo 'capo della famiglia' rimane invariata. Gesù stesso chiaramente la presuppone e l’accetta come un dato di fatto. Nella parabola del figliol prodigo è il padre che distribuisce i beni tra i figli (Lc 15, 11-32); è il padre che assegna il lavoro al figlio volonteroso e a quello renitente (Mt. 21, 28-31). Gesù chiaramente dà per scontata la funzicnc di autorità che h.a il padre nella società ebraica, quando dice ai farisei: “voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro” (Gv 8l, 44).

    In questo contesto è pure interessante la relazone di Gesù con la case di Davide. Come poteva Gesù essere chiamato ‘figlio di Davide", se Giuseppe non era realmente suo -padre? Non si può forse supporre che sua madre Maria discendesse da quella tribù sacerdotale, cui appartenevano Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1, 5) ? I vangeli danno la risposta, tipicamente ebraica, che sebbene Giuseppe non fosse il padre fisico di Gesù, ne era tuttavia il padre legale, in quanto legittimo consorte di Maria (Mt 1, 13-25). Ciò poteva convincere ,gli ebrei che Gesù era un vero figlio di Davide, ma evidentemente ciò implica un concetto di discendenza familiare che non è più valido ai giorni nostri.

    In tutte le sue parabole, Gesù si adegua all’idea ebraica secondo la quale il centro della famiglia è l’uomo. Il “padrone di casa’ (Lc 22, 11) è sempre un uomo; è un uomo .quello che costruisce la casa (Mt 7, 24-27); è un uomo che difende 1a sua casa contro gli intrusi (Mt 12, 29) e che veglia di notte per acciufare il ladro (M t 24, 43). E‘ l’uomo che amministra le proprietà Mt 25, 14-30), che ha autorità sui servi (Mt 24, 45-51) e che controlla i beni familiari (Mt 13, 52).
    I ruoli del marito e della moglie negli esempi di Gesù

    Nella mentalità ebraica, la moglie, era vista quasi come una delle tante proprietà del marito, che infatti aveva su di lei i diritti di un proprietario, “Una donna virtuosa è una buona sorte, viene assegnata a chi teme il Signore” (Sir.26, 3). “E’ più preziosa delle perle” (Prv 31, 10). Nel Decalogo la moglie viene citata. tra le proprietà del prossimo da rispettare: “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la rnoglie del tuo prossimo, nè il suo schiavo, nè la sua schiava, nè il suo bue, nè il suo asino, nè alcuna cosa che appartenga al tuo prossirno” (Es 20, 17). Non c’è dubbio che un buon rnarito volesse bene a sua moglie, e che i loro rapporti fossero ben più umani di quanto appaia da queste formulazioni legali; e il Cantico dei Cantici ci dà testimonianza di questo aspetto più umano del quadro. Tuttavia i diritti di proprietà del marito sulla moglie costituivano il fondamento giuridice su cui veniva stretto il patto nuziale. Il marito poteva praticarnente sciogliere questo legaine a volontà (Gen 16, 1-6; Dt 24, 1-4). In casi estremi poteva perfino cedere la moglie, come fece il levita che, minacciato dagli abitanti di Gabna, abbandonò la moglie alla loro lussuria. Quando la povera donna morì per le sevizie, gli abitanti di Gabaa furono condannati per l’ingiustizia commessa, rna non ci fu alcun biasimo per il levita che aveva abbandonato la donna in loro balìa (Gdc 19, 1-30).

    Parlendo del rnatrimonio, Gesù dà per scontato il concetto androcentrico che ne avevano gli ebrei, e infatti parla di un re che dà un banchetto di nozze per suo fig1io, senza far nemmeno menzione della regina (Mt. 22, 1-14). Durante la cerimonia di nozze la figura centrale non è la sposa, bensì lo sposo; gli ospiti sono chiamati “amici dello spo so” (Mt 9, 15). Le dieci vergini non attendono la sposa, bensì lo sposo, ed è lui che esclude dalla festa le vergini stolte (M t 25, 1-13). Era del tutto naturale che Gesù dicesse ai suoi ascoltatori: “la sposa esiste solo per lo sposo” (Gv 3, 29). Ricordiamo incidentalmente che Gesù fa l’esempio di un uomo che vende la moglie e i figli come schiavi per pagare i propri debiti (Mt 18, 25), ed elenca la moglie e i figli tra gli altri bend che egli invita i suoi seguaci ad abbandonare per il regno dei cieli (Lc 18, 29). Non è forse evidente da tutto ciò che Gesù accettava i rapporti sociali tra l’uomo e la donna, così come esistevano nel suo tempo ?

    Anche 1’insegnamento degt apostoli non fa che confermare ciò . Se davvero Gesù avesse ripudiato il mito sociale del dominio maschile, perchè mai essi avrebbero continuato a consolidarlo? In realtà anche gli apostoli partono dal presupposto che Sia l’uomo, come padre, marito e padrone di case, colui che detiene l’autorità ultima nella famiglia. Viene detto infatti che i mariti devono trattare le mogli con riguardo (1 Pt 3, 7), che devono amarle, nutrirle e averne cura (Ef 21, 33). La moglie viene presentata come la parse piu debole della coppia; a lei si dice di obbedire il marito, di essere fedele e coscienziosa (1 Pt 3, 1-7). La moglie deve essere sottomessa al marito {Col 3, 18; Ef 5, 22). E benchè in qualche passo si riconosca l’eguale dignità della donna in quanto figlia di Dio (Gal 3, 28), le implicazioni social) di questa dottrina non vennero affatto comprese.
    Gesù e le idee ebraiche sulla biologia

    La concezione ebraica della supremazia maschile veniva rafforzata da un idea errata delle funzioni sessuali. Ora noi sappiamo che il concepirnento è il prodotto dell’unione dello sperma maschile con l’ovulo femminile, ma gli ebrei ignoravano ciò e identificavano lo sperma conn il feto: per loro, “seme” e "prole" erano sinonimi (cf Gal3, 16). La madre svolgeva, sì, una funzione utile mettendo a disposizione l’utero, ma era il padre, in quanto portatore del seme, cioè della prole, che generava 1a vita

    E’ ovvio che Gesù non intese rnai dar lezioni sulla biologia del sesso; e quando egli si riferisce ai ruoli sessuali dell’uomo e della donna nel matrimonio, si esprime in maniera conforme con la cultura ebraica, e non corregge affermazioni di questo tipo fatte da altri.

    Anche nelle parole di Gesù, il ruolo dell’uomo è presentato come quello di generare la prole dando il seme. Gli ebrei affermano di essere progenie di Abramo in quanto nati dal suo seme, e non da fornicazione (Gv 8, 39-41). Gesù accetta l’usanza secondo la quale un uomo doveva sposare la cognata vedova per suscitare prole al fratello, anche se dice che in cielo ciò non avverrà più (Lc 20, 27_36), e descrive il celibato maschile come un “rendersi eunuco”, una maniera un po’ forte di dire che un uomo celibe volontariarmente contiene il suo potere generativo (M.t 19, 10-12). Nel descrivere la nascita di Gesù, gli evangelisti seguono la stessa linea. Gesù è veramente figlio di Dio perchè Maria concepì non da seme umano, ma da un suo surrogato divino “essa concepì di Spirito Santo” (M.t I, 20), “Su di lei stese la sua ombra la potenza dell’Altissimo”(Lc 1, 35). In tal modo la nascita ‘di Gesù è l’esempio perfetto di quella figliolanza divina che Giovanni descrive come “generata non da sangue ne da volere di carne, nè da volere di uomo ma da Dio." (Gv -1, -13 ).

    Il ruolo attribuito alla donna viene, espresso molto bene dall’esclamazione. “beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato’. (Lc11, 27). Gesù accetta questa concezione del ruolo femminile e se ne serve egli stesso, nel descrivere la futura tragedia di Gerusalemme, allorchè si dirà "beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato" (Lc 23, 29). Una donna che non partorisce figli è chiamata sterile: il suo grembo è come terra arida che non può ricevere il seme. Elisabetta era chiamata sterile in questo senso (Lc 1, 7. 25. 36). Parlando della rinascita spirituale, Nicodemo domanda: “come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una secondà volta nel grembo di sua madre e rina scere?" Gesù risponde che nel regno dei cieli l’uomo nasce dall’acqua e dallo Spirito. In termini un po’ crudi, si potrebbe dire che neI “matrimonio del battesimo" lo Spirito Santo è visto come il padre che dà il seme, mentre l’acqua assomiglia al grembo materno (Gv 3, 4-8).

    Gesù presuppone questa concezione ebraica della generazione,. quando descrive la sua passione. La sua morte viene paragonata al chicco di grano che cade nella terra rnorendo nel suo grembo, ma rinascendo con molto frutto. L’angoscia e i dolori del parto saranno dimenticati quando il bambino è venuto alla luce (Gv 16, 21). Tutti questi testi non sono certo pronunciamenti ufficiali e tanto meno insegnamenti ispirati circa le funzioni del sesso; ma dimostrano, al di là di ogni dubbio, che in tali questioni Gesù si adeguava alle concezioni dei suoi contemporanei.
    Le donne e il culto

    Il mito sociale che poneva l’uomo su un piedestallo ebbe conseguenze enormi anche sul modo in cui l’ebrec dell’Antico Testamento concepiva e praticava la sua religione. Uomini e donne non erano certamente eguali nel campo religioso e nell’alleanza con Dio, e alcuni fatti concreti possono aiutarci a capire le implicazioni di una concezione del genere.

    La diseguaglianze cominciava già alla nascita: se nasceva un maschio, la madre veniva considerata ritualmente impura per 40 giorni; se nasceva una femmina, il periodo di impurità legale della madre era di 80 giorni (Lev 12, 1-8). Ogni rnaschio primogenito “ che apriva il grembo della madre” doveva essere riscattato con un sacrificio speciale, mentre una bambina non contava (Es 13, 11-16). Tutti i maschi dovevano essere circoncisi l’ottavo giorno dopo la nascita: era questa la condizione essenziale per appartenere all’alleanza, più o meno equivalente al nostro battesimo per appartenere alla Chiesa. Per le bambine invece non esisteva un rito di iniziazione analogo (Gen 17, 9-14): in pratica ciò equivaleva a dire che Dio aveva. stretto alleanza con gli uomini, i “figli di Israele”, mentre le donne partecipavano all’alleanza solo indirettamente, attraverso il padre o il marito.

    Nell’ambito religioso una donna non poteva agire come persona a pieno titolo, indipendentemente dall’uomo; infatti un voto da lei fatto era valido soltanto se ratificato dal pardre o dal marito (Num 40,2-17) le donne non potevano offrire sacrifici; per loro l’andare al tempio era facoltativo, non obbligatorio (“tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio” Ee 23, 17). Nel tempio di Gerusalemme c’erano dei limiti all’accesso delle donne al santuario centrale: mentre gli uomini potevano acceclere fino alla “corte di Israele”, che si trovava di fronte al recinto sacro dove sorgeva l’altare degli olocausti, le donne dovevano rimanere indietro, nella “corte delle donne”.

    Come le questioni di governo, di guerra, di vita familiare e di affari, anche la religione era un campo in cui gli uomini si incontrava no tra di loro. Jahwé stesso era descritto come maschio. I titoli con cui lo si invocava, cioè re, reggitore, guerriero, giudice, padre, presentavano un’immagine totalmente maschile. I profet, poterono parlare di lui come un marito che sopportava le infedeltà della sua sposa ribelle, Israele (Os 3, 1-5). L’idolatria, l’adorazione di altri dei, venivano paragonate alla :fornicazione e all’adulterio (Ez 16 -43). E benchè anche le donne potessero pregare Iddio e talvolta perfino parlare in suo nome (pensiamo a una profetessa come Debora, in Gdc ;4, 1-9), la religione e la rivelazione erano essenzialmente il terreno di incontro tra un Dio sentito come maschio, ed il suo figlio primogenito, l’israelita maschio. Pensiamo alle parole rivolte da Dio a Giobbe:

    “Cingiti i fianchi da uomo prode.
    Io ti interrogherò e tu mi risponderai" (Gb 3g,3;40, 7)

    In un contesto religioso del genere, è chiaro che un sacerdozio femminile era inconcepibile. La legge mosaica limita il sacerdozio ad Aronne ed ai suoi figli maschi Lev 8, 1—36). Che il sacerdote fosse necessariamente di sesso maschile era così ovvio e scontato per l’ebreo, che in tutto l’Antico Testamento non si spende neppure una parola per precisare che le donne erano escluse. Ogniqualvolta si parala di sacerdoti essi vengono presentati come uomini. L’abisso enorme che esisteva tra i sacerdoti e le donne è espresso nella maniera più chiara nella legislazione indiretta, mirante a salvaguardare la sacralità del sacerdote dalla contaminazione che potrebbe derivargli dalla prossimità delle donne. Un sacerdote doveva sposare una vergine; non gli era lecito sposare una donna profanata dalla prostituzione o dal divorzio (Lev 21, 7-9). E benchè alla: moglie e alle figlie del sacerdote fosse permesso di rnangiare i suoi cibì, tra cui le carni dei sacrifici (Lev 2, 13), alcuni sacritici erano così sacri che soltanto gli uomini potevano mangiarne (Num 18. 8-10). Quando Davide e i suoi compagni ebbero fame e non poterono trovare altro cibo se non i pani sacri dell’offerta, il sacerdote Abimelech, pur rillutante, li diede loro solo dopo essersi accertato che essi hon avessero toccato donne da qualche giorno (1 Sam 21, 4-6). In un ambiente in cui regnava una simile mentalità, era semplicemente impensabile che le donne potessero servire bero fame e non poterono trovare altro cibo se non i pani sacri dell’offerta, il sacerdote Abimelech, pur’rillutante, li diede loro solo dopo essersi accertato che essi hon avessero toccato donne da quàlche giorno (1 Sam 21, 4-6). In.-un ambiente in cui regnava una similé mentalità, era semplicemente impensabile che le donne potessero servire a1l’altare.
    Conclusione: Gesù dovette adattarsi

    Ad tempo di Gesù tutte queste leggi e norme erano ancora invigore, e tutti i capi religiosi ( sacerdoti, scribi farisei, rabbini) erano uomini. Se tale era il clima religioso di allora, è proprio così strano che Gésu abbia scelto i suoi ápostoli soltanto tra gli uomini? In altre parole: l’affidare il ministero alle doime avrebbe richiesto non tanto una ríforma religiosa, quanto una profonda rivoluzione sociale. E quand’anche fosse stata intenzione di Gesù di rovesciare le strutture sociali del suo tempo, è dubbio che avrebbe potuto riuscirvi in un tempo così breve; un mito sociale antico di secoli, profondamente radicato nella vita e nella culturá di un popolo, non può essere estirpato neanche da un Dio fatto uomo solo con una predicazione di tre anni. Gesù comunque non intese mai compiere un’immediata. liberazione sociale, e benchè i suoi insegnamenti e la sua azione contenessero i principi che rendono possibile una vera eguaglianza sociale, Gesù si astenne dall’intraprendere egli stesso atti di rivolta contro l’organizzazione sociale, così come rifiutò sempre di farsi coinvolgere in una lotta politica per l’indipendenza del suo paese. Accettò quindi anche la discriminazione; contro 1e donne come una realtà della società di allora; e nello scegliere solamente uomini per funzioni di leadership nella Chiesa, non fece che adattarsi alle limitazioni sociali imposte dalla mentalità dei suoi contemporanei.

    NOTE

    46. J. DELORME, ‘Résurrection et Tombeau de Jesus’, in Résurrection du Christ et l’Exégèse Moderne, ed. P. DE SURGY et al., Parigi 1969, pagg. 105-51.

    47. H. C. KEE and F. W. YOUNG, The Living World of the New Testament, London 1960, pagg. 111-112.
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

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    Predefinito Che Cosa Dimostra La Sacra Scrittura?

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 5 del libro.

    In dispute dottrinali di ogni tipo, ci sono sernpre studiosi che citano la Bibbia per so stenere la propria opinione; avviene però : che gli avversari citino altri passi, o magari i medesimi ma interprétandoli in maniera ben diversa. Si dice che perfino il diavolo può citare la Bibbia! Del resto in tutti i secoli gli eretici hanno sostenuto che i loro insegnamenti si fondavano su testi biblici. Anche nel dibattito se le donne possano essere ammesse al sacerclozio oppure no, entrambe le parti si richiamano alla Bibbia con egual convinzione. Non vedo a che co sa servano queste citazioni, se il loro significato può` essere facilmente adattato ad opinioni contrastanti. Infatti di che utilità può essere un arbitro il cui verdetto e formulato in maniera tale da non lasciar capire a quale delle parti egli dia ragione? Mi sembra che in questo dibattito non si farà mai nessun progresso, finche le due parti non si accorderanno per accettare l'insegnamento obiettivo della Bibbia come norme.

    Non mi sorprende affatto che molti provino un senso di irritazione per la facilità con cui i biblisti si scontrano a suon di citazioni, e la discussione sul sacerdozio alle donne può apparire come un esempio tipico di ciò. Infatti un gruppo di teologi sostiene che la scelta di uomini cla parte di Gesù fu urla norma assolutz, mentre un altro gruppo sostiene che essa fu dettata soltanto dalla situazione sociale di quel tempo. Chi ha ragione, e chi ha torto? Dovrò addentrarmi in tale que stione, o altrimenti andra perduta la forza delle argomentazioni da me esposte nel Capitolo 4.

    Non è una perdita di tempo il riflettere un po' sulla natura della Bibbia, cioè sul tipo di libro che essa e. Contrarimente all'impressione superficiale di molta gente, e raro che il messaggio ispirato venga espresso in affermazioni semplici e dogmatiche. La parola di Dio si è umanizzata nella sua forma di espressione, per cui non sempre e facile discernere il messaggio divino dalla veste culturàle che esso na assunto; eppure questa distinzione è assolutamente essenziale in teologia. La conclusione che certe parole o fatti siano stati intenzionali, oppure soltanto accidentali come riflesso della cultura di una determinata epoca, e una questione di vita o di morte per il significato teologico da trarne. Quando Gesù si rivolge alla Madonna dicendole: “Che ho a che fare con te, o donna?” (Gv 2, 4) noi dobbiamo scoprire qual'è il vero significato di tali parole, al di là di un modo di esprimersi che e di quel tempo, e che oggi suona duro e scostante.

    Gli autori biblici furono ispirati a trasmetterci un insegnamento su Dio e sui rapporti dell'umanità con Dio. Ma poiche essi parlavano ad un popolo di una certa cultura e di una certa epoca, il loro messaggio si rivestiva necessariamente di quelle espressioni che caratterizzevano il --modo di pensare dei loro contemporanei. Tuttavia il messaggio ispirato, pur essendo fortemente radicato in un modo di pensare che esprime la cultura di una certa società, non deve venir confuso con esso; sarebbe un grave errore credere che il mito sociale, in toto o in qualche sua parte, appartenga al messagio ispirato.

    Un esempio che si presenta spontaneamente alla mente e l'idea del mondo che avevano gli antichi ebrei. Come e noto, in passato si pensava che la terra fosse un disco piatto, sovrastato dal cielo che era la dimora di Dio, mentre nelle acque sottostanti vi era la dimora dei morti. Il sole e la luna appàrivano come lampade che molto ingegno

    samente seguivano una rotta prestabilita attraverso il cielo. Dio appariva come l’artefice supremo e uno specie di “ supermanager”, colui che aveva creato dal nulla tutte le cose e le manteneva in buon ordine con la sua continua provvidenza. Oggi si riconosce che . in quella visione c’era una buona parse di mito sociale, e che i particolari di tale mito non fanno parte del messagio biblico. Che Dio esiste, e che egti è la cause e l’origine di ogni cosa, ecco ciò che la Bibbia vuole insegnarci. Come poi egli abbia creato il mondo, se mediante una creazione istantanea oppure attraverso una graduale evoluzione, non è certo deducibile dal .testo biblico: questi: particolari appartengono al mito sociale, non al contenuto della rivelazione.

    Quando si pose la questione dell’evoluzione, alla Chiesa occorse circa un secolo per riuscire a districare il nucleo di insegnamento ispirato dal mito ebraico della: creazone, e la ragione di ciò fu che i testi biblici, prima., erano sempre stati letti in modo tale da non fare alcuna distinzione tra il messaggio e il mito. Si potrebbe anzi dire che prima che sorgesse questo problema la Chiesa non poteva neppure percepire chiaramente questa distinzione, e la stessa cosa è vera anche per altri aspetii del mito sociale. Per spiegare quanto può essere complicata tale questione tornerò sull’argomento della schiavitù già menzionato nel Capitolo 1.
    Le “prove” bibliche per la schiavitù

    A prima vista, i ‘testi biblici che sembrano legittimare la schiavitù appaiono di un’evidenza schiacciante. La legge ebraica ammetteva ed avallava il diritto di un uomo di possedere un suo simile come schiavo. E’ vero che in alcuni casi la legge dava allo schiavo una certa protezione (Es 21, 2-ll; 21, 26-27; Dt3, 16-17) e che prevedeva anche che lo schiayo di razza ebraica fosse liberato in alcune circostanze (Lev 25, 39- 46; Es 21, 2; Ger 34. 14): tuttavia la legittimità dell’istituto della schiavitù non era messa in questione. Prima di dire ai padroni come trattare i loro schiavi (Sir 33, 24-31) il Siracide fonda la diseguaglianza tra uomini liberi e schiavi su una disposizione di Dio stesso (Sir. 33, 7-15 ).

    Nel carnpo religioso agli schiavi venivano poi riconosciuti alcuni diritti, come concessione: a loro doveva essere consentito di riposare nel settimo giorno, come d’altronde anche al bue e all’asino (Es 20,10; Dt 5, l4); potevano prender parte ai pasti che concludevano l’offerta pacifica (Dt 12,18), alla.celebrazione della Pasqua e alle feste della Pentecoste e dei Tabernacoli (Dt 16, 11-14).

    Il concetto di schiavitù era talmente radicato che veniva usato per esprimere la relazione tra Dio e l’uomo. Jahwé era considerato il padrone universale, il “Signore dei Signori" con diritti di proprietario su tutto e su. tutti (Sal 96 1-18;10, 14-17). Gli esseri umani sono gli schiavi di Dio, e il-loro dovere principale è di servirlo con un’obbedienza totale (Sal 123, 1- 4; Is 5, 2-7; Sir 2, 1-6; 3,17-24; 18,8-18). La schiavitù era considerata una situazione talmente naturale che il Salmista poteva pregare così: “ecco, come gli occhi degli schiavi alla mano dei loro padroni, come gli occhi della schiava alla mano della sue padrona, così nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finchè abbia pietà di noi" (Sal 123, 2).

    Il mito sociale della schiavitù era ancora in vigore e be radicato all’epoca di Cristo; Gesù stesso non lo contradice in alcun testo, anzi introduce nelle sue parabole la figura degli schiavi, e ci esorta ad es. ad essere simili a quegli schiavi che sono fedeli al padrone anche quando egli è lontano da case, e che stanno alzati ad attendere il suo ritorno (Lc 12, 42-48). Sembra accettare l’istituto della schiavitù quando dice: ‘chi di voi, se ha uno schiavo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo. vieni subito e mettiti a tavola ? Non gli dirà piuttosto: preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi finchè io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu ? Si riterrà obbligato verso il suo schiavo, perchè ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo schiavi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 7-10). Cristo semplicemente accettò la schiavitù co me una realtà sociale.

    E lo stesso si può dire della Chiesa antica. Gli apostoli esortarono gli schiavi cristiani ad obbedire ai padroni, non a ribellarsi. “Schiavi, siate soggetti con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti :ma anche a quelli difficili” (1 Pt 2, 18-20). “Voi, schiavi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore” (Col 3, 22-25). “Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo’” (Ef 6, 5-8). (V. anche 1 Tim 6, 1-2; Tit 2, 9-10). Anche la terminologia della shiavitù viene spesso usata nel sirnbolismo religioso: la redenzione viene presentata come una liberazione dalla schiavitù del peccato (Rom 6,6; Gv 8,34; ecc.), i cristiani sono chiamati “schiavi di Cristo” (Gal 4, 5; 3, 13; Rom 1, 1, ecc. ) La stessa incarnazione viene formulate come un assumere, da parte del Figlio, la forma di uno schiavo (Fil 2, 7).

    Ora, da tutti questi testi biblici si potrebbe arguire che l’istituto del la schiavitù faccia parte della dottrina rivelata, e che sia voluto de Dio stesso. “Gli uomini provengono tutti dalla polvere, ma il Signore li ha distinti nella sua grande sapienza, ed ha assegnato loro destini diversi” (Sir 33, 10-11). Si potrebbe dire che nulla im pediva a Cristo di prendere posizione contro la schiavitù e condannarla, e che se egli non lo ha fatto, ciò deve essere: visto come un’intenzione precisa, che sancisce una norma dell’organizzazione sociale. Si potrebbe dire che gli apostoli a loro volta hanno riconosciuto la legittimità di questa distinzione tra padroni e schiavi tra gli stessi cristiani, una distinzione che imponeva a ciascuno ruoli e doveri diversi a seconda della sua condizione giuridica. E infatti questi furono proprio gli argomenti addotti daIla teologia tradizionale, che non vennero messi in questione finchè gli abolizionisti obbligarono la Chiesa a riesaminare la sua dottrina su questo punto.
    Il riconoscimento del mito per quello che è segna l’inizio dell’alba

    E’ sorprendente quanto a lungo sia durata l’opinione ufficiale della Chiesa a proposito della schiavitù, ma anche come abbia fatto presto a guadagnar terreno la nuova intuizione della reale portata del messaggio evangelico. Ancor nel 1866 il Sant’Uffizio emetteva una “Istruzione” che giustificava la schiavitù: dopo avere menzionato che la Santa Sede aveva spesso proibito il commercio dei negri derivante da un ingiusto rapimento, il documento continuava così: “tuttavia la schiavitù in se, considerata nella sua natura essenziale, non è affatto contraria alla legge naturale e divina, e vi possono essere giusti titoli di schiavitù esposti da teologi approvati e da commentatori dei sacri canoni. Non è contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo sia venduto, comperato, scambiato e regalato. .. (48).

    Il Sant’Uffizio asseriva cioè che la schiavitù era avallata dalla Sacra Scrittura (la legge divina). Vent’anni dopo però, nel 1891, papa Leone XIII pubblicò l’enciclica 'Rerum novarum’ in cui si negava che esistessero giustificazioni per la schiavitù. Nel 1918 il nuovo codice di diritto canonico imponeva severe pene ecclesiastiche su chiunque avesse venduto un essere umano come schiavo (can. 2354). Nel 1965 il Concilio Vaticano II afférmava: “Tutto ciò che offende la dignità umana, come . . . le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù...il mercato delle donne e dei giovani... tutte queste cose sono certamente vergognose, e rnentre corrompono la civiltà umana inquinano coloro che così si comportano ancor più che quelli che le subiscono; e offendono al massimo l’onore del Creatore" (Gaudium et Spes, 27).

    Dietro a questo punto di arrivo c’era stata un’imponente evoluzione del pensiero, potentemente stimolata dalle lotte di liberazione sociale. Mentre prima si accettava la schiavitù come un aspetto normàle della vita, si giunse poi a vederla per quello che effettivamente è, cioè una ingiustizia contro esseri umani. Si riconobbe anche che la Sacra Scrittura era stata interpretata in modo errato su questo punto, e che benchè Cristo avesse accettato la schiavitù come un dato di fatto della realtà sociale del suo tempo, ciò non implicava affatto che egli l’avesse avallata come una pratica legittima.

    L’eguaglianza fondamentale di tutti gli esseri umani era implicita nel fatto che la redenzione di Cristo era diretta ad ogni creatura (Mc 16, 15). Per Cristo, 1a redenzione significava la liberazione da ogni forma di schiavitù; e oggi noi riconosciamo che ciò è ben più in armonia con il messaggio evangelico di quanto non lo fosse l’accettazione del l’istituto della schiavitù. E da questo esempio dovremmo trarre la lezione che bisogna andar molto cauti quando gli autori sacri ci parlano attraverso i miti sociali del loro tempo, per non scambiare il mito per una parte integrante della dottrina
    Il ravvedimento dei teologi

    Per tornare all’argomento che ci interessa, cioè quello dell’accesso delle donne ai ministeri, notiamo che oggi è all’opera un processo analogo. E’ vero che parecchi studiosi continuano a ritenere più validi che mai argomenti contro l’ordinazione delle donne ricavati dalla Bibbia (tra questi possimo citare P.Delhaye(1972), P.Chendlerlin (1972) e J. Galot (1973) ) (49); e possiamo altresì dar per certo che i sostenitori dell’opinione tradizionale siano meno inclini degli innovatori a propagandare il proprio punto di vista; tuttavia chiunque abbia un po' di familiarità con l’amiente teologico non può negare che oggi ci sia un movimento a valanga verso una comprensione nuova di cie che la Bibbia effettivamente insegna su questo punto. Teologi di ogni parte del mondo, che studiano il problema l’uno indipendentemente dall’altro, arrivano alla medesima conclusione: e cioè che’ Cristo semplicemente si adattò ai costumi sociali del suo tempo, e non intese imporre una norma che escludesse per sempre tutte le donne dal sacerdozio. L’attribuire queste loro conclusioni ad un “prurito per le novità” oppure ad un “desiderio di seguire l’andazzo generale” è una ingiuria nei confronti di molti studiosi onesti e coscienziosi. Come è già avvenuto molte volte in passato, anche adesso ci troviamo di fronte al fenomeno di una teologia che si riscuote dal torpore e diventa più lucida.

    Perchè Cristo non ha introdotto una donna nel collegio degli apostoli? Nel 1972 così scriveva G. R. Evans, vescovo di Denver e membro del sottocomitato dei vescovi degli Stati Uniti istituito per studiare la questione della donna nella chiesa e nella società:

    “ Bisogna tener conto dei modelli socioculturali del suo tempo. Perchè Cristo non chiamò uno schiavo a far parte del collegio apostolico? Se lo avesse fatto, la Chiesa non avrebbe rifiutato così a lungo di ordinare schiavi. perchè non chiamò un gentile? Se lo avesse fatto, si sarebbe evitato un dibattito molto aspro nella Chiesa primitiva. Un dato di fatto non rappresenta necessariamente un dato di diritto; e non si può trarre conclusioni concernenti il diritto dalla pura e semplice osservazione della situazione di fatto” (50 ).

    Il “non fatto” che Cristo non abbia scelto donne non dovrebbe essere interpretato come una espressione dell’intendimento e della volontà di Cristo.

    “ Se Gesù fosse vissuto in una società in cui la situazione socio culturale dei due sessi fosse stata diversa da quella del suo ambiente, non avrebbe compiuto una scelta diversa ? Una scelta che già cominciava ad apparire nel modo nuovo di rivolgersi alle donne da lui adottato in quella società patriarcale?” (H.M. Legrand, 1977) (51)

    "Il’andar oltre, e chiamare sei uomini e sei donne a far parte dei Dodici avrebbe scandalizzato e indignato i suoi contemporanei a tal punto da distruggere la sue opera fin dall’inizio" (G. O’Collins, 1974) (52).

    “ Ci troviamo semplicemente di fronte ac, un fatto: Gesù ha scelto soltanto uomini come apostoli. Tocca a noi scoprire il perchè. E per parte mia direi che è un’affermazione gratuita l’asserire che è volontà di Dio che che soltanto maschi siano scelti per il ruolo di apostoli o vescovi o sacerdoti, cioè per il ministero della predicazione del vangelo, della celebrazione della liturgia e di guida e governo della comunità, e ciò per tutti i secoli. Direi piuttosto che è molto più convincente presupporre che Gesù abbia scelto solamente uomini come apostoli per la semplice ragione che allora soltanto gli uomini potevano svolgere una funzione di guida, a causa della situazione culturale di quell’epoca’. E’ ovvio però che tale situazione può modificarsi, e possono scomparire le giustificazioni razionali per riservare agli uomini il ministero di leadership” (E. C. Meyer, 1976) (53).

    Il numero degli studi teologici che confermano questa tendenza di pensiero aumenta di anno in anno. Per citare solo qualche esempio negli anni Settanta, menzionerò in ordine cronologico i nomi di: J. L. Acebal, J. J. Begley-Armbruster, R. Gryson, I. Raming, J.M. Ford, R.Metz, F. Klostermann, J.M.Aubert. (54). Yves Congar è esitante. Nel 1970 scriveva: “Non è certo che l’esclusione delle donne sia di legge divina” (55). Nel 1971: “Io direi semplicemente che a mio parere, il divieto di un sacerdozio femminile non è di legge divina. Mia aggiungerei: che cosa ci autorizza a pensare che tale limitazione sia solo di natura socio-cultlrale? Nego che lo si possa affermare concertezza assoluta” (56). ‘I1 Card. J. Daniélou, invece, era molto esplicito nel non vedere alcun ostacolo teologico all’ordinazione delle donne. (57). Karl Rahner, che diresse Haye van der Meer nella sua magistrale tesi per il dottorato fatta su questo tema (e pubblicata nel 1962),: affermava recentemente:

    “Lá prassi della Chiesa Cattolica di non ordinare donne al sacerdozio non ha un carattere teologico vincolante... La prassi attuale non ‘e un dogma. E’ basata semplicemente su una riflessione umana e storica che era valida in passato, in condizioni culturali e sociali che ora stanno mutando rapidamente" (58).

    A questo punto alcuni dei miei lettori possono sospettare che io stia tentando di puntellare le mie argomentazioni facendo ricorso ad altri studiosi. Ma non è questa la ragione per la panoramica di studi, del resto incornpleta, data più sopra - anche se naturalmente essa rappresenta una gradita conferma. Il tema di questo capitolo, riguarda l’argomentazione dalla Bibbia, e la domanda posta era questa: perchè gli studiosi non sono d’accordo tra loro? L’idea implicita essendo che finchè i teologi si schierano su fronti avversi, le ‘prove’bibliche rimangono opinabili. Ed è proprio questo il punto che ora vorrei affrontare.

    E’ del tutto naturale che vi siano dibattiti tra i teologi chissà per quanto tempo ancora, perchè le vecchie idee non vengono abbandonate con facilità. Occorre molto tempo e molti studi perchè una nuova intuizione della Scrittura venga accettata da tutti. Se mi è concesso di far riferimento ancora una volta alla teologia della schiavitù, troviamo che alcuni teologi cattolici continuarono a difendere questa istituzione fino alla metà del XX secolo! (59). Ed è tuttora valido ciò che scrisse A.Cochin nel 1861, nel suo appello perchè si mutasse atteggiamento verso la schiavitù:

    “Inclini come sono a mostrarsi rispettosi della traditione, i teologi sono particolarmente desiderosi di ricollegarsi con continuità al passato, ed appoggiare le proprie dottrine su quelle di coloro che li hanno preceduti; una tendenza che è valida, e anzi indispensabile là dove sono in questione punti di fede, ma che è una tendenze pericolosa quando si tratta di questioni aperte, la cui soluzione può mutare ed è suscettibile di progresso. Riguardo alla schiavitù essi insegnano oggi ciò che era insegnato ieri e l’altroieri, ma che oggi nessun sacerdote o laico crede piü. . . “ (60)

    In altre parole: non e il caso di meravigliarsi, se alcuni teologi continuano a rifiutare le intuizioni delle nuove ricerche. Ciò che dovrebbe decidere la questione è il valore degli argomenti biblici in sè stessi. I1 fatto di un disaccordo sull’interpretazione, nella ricerca e nel dibattito, non invalida di per se le prove che possono essere tratte dalla Bibbia. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di fare una nuova lettura della Bibbia e di porre a noi stessi domande nuove.

    NOTE

    48. Istruzione del Sant'Ufficio, 20 June 1866. Citata in J. F. MAXWELL, ‘The Development of Catholic Doctrine Concerning Slavery’, World Jurist 11 (1969-70) pg 306 ff.

    49. Ph. DELHAYE, `Retrospective and prospective des ministères feminines dans 1'Eglise,' Rev. Theol. de Louvain 3 (1972) pagg. 1972) 55-75; F. P. CHENDERLIN, ‘Women as ordained priests? Should women be allowed to consecrate?’, Hom. and Past. Review 72 (1972) no. 8, pagg. 25-32; ‘Women priests - more thoughts but no second thoughts’, ib. 73 (1973) no. 5, pagg. 13-22; H. M. J. GALOT, La donna e i ministeri nella Chiesa, Assisi 1973.

    50. G. R. EVANS, ‘Ordination of Women’, Hom. and Past. Review 73 (1972), No 1, pagg. 29-32.

    51. H. M. LEGRAND, ‘Views on the Ordination of Women’, Origins, Jan. 6 1977. Reprinted in Briefing 7 (1977), No 6, pagg. 22-35; here pg 27.

    52. G. O'COLLINS, ‘Ordination of Women’, Tablet 288 (1974) pagg. 175-76; 213-15.

    53. E. C. MEYER, ‘Are there theological reasons why the church should not ordain women priests?' Rev. for Religious 34 (1975/76) pagg. 957-67.

    54. J.L.ACEBAL, ‘El laicato femenino: Misiones e ministerios’, in Ciencia Tomista 98 (1971), pagg. 55-71. J. J. BEGLEY-ARMBRUSTER, ‘Women and Office in the Church’, Am. Eccl. Review 165 (1971) pagg. 145-57. R. GRYSON, Le ministère des Femmes dans 1’Église ancienne, Gembloux 1972. I. RAMING, Der Ausschluss der Frau vom priesterlichen Amt, Cologne 1973. J. M. FORD, ‘Biblical Material relevant to the Ordination of Women’, Journal of Ecum. Studies 10 (1973) pagg. 669-94; synopsised in Theology Digest 22 (1974) pagg. 23-28. R. METZ, ‘L’accession des femmes aux ministères ordonnés’, in Effort diaconal, Jan-June (1974) pagg. 21-30. F. KLOSTERMANN, Gemeinde Kirche der Zukunft, Freiburg 1974, especially pagg. 269-70. J. M. AUBERT, La Donna- antirfeminismo e christianesimo,ed. Cittadella, specialmente pagg. 182-210.

    55. Y. CONGAR, ‘Éclaircissements sur la question des ministères’, Maison Dieu 103 (1970), pg 116.

    56. Y. CONGAR nella prefazione a E. GIBSON, Femmes et Ministères dans l’Église, Paris 1971, pg 12.

    57. J. DANIELOU; affirmazioni più recenti citate in Informations Catholiques Internationales No 400 (15 Jan 1972) pg 22; Révue Théologique de Louvain 3 (1972) pg 204; ‘Le ministère des femmes dans l'Eglise ancienne’, Maison Dieu (1961) pagg. 70-96.

    58. K. RAHNER, `Lettera al Pastore Bogdam del Sinodo Lutherano di Baviera’, La Croix, 20 April 1974; cited by LEGRAND o.c. (vedi nota 51) pg 24; H. VAN DER MEER, Sacerdozio della Donna? Saggio di storia della teologia, trad. it Morcelliana 1971.

    59. J. F. MAXWELL, l.c. (vedi nota 48) pagg. 123-124.

    60. A. COCHIN, L’Abolition de l’Esclavage, Paris 1861, vol II, pagg. 442-43; citato da J. F. MAXWELL, l.c. pg 305.
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    Predefinito Forse San Paolo Aggrotterebbele

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione olandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 6 del libro.

    “.. .pratiche disciplinari di scarsa importanza, come 1’obbligo fatto alle donne di portare il velo sul capo (l Cor ll, 2-l6)... non hanno più valore normative. Nondimeno, il divieto fatto da Paolo alle donne di "parlare" nell’assemblea è di natura differente (cf 1 Cor l4, 34-35; 1 Tim .2, l2). E gli esegeti ne precisano il senso così: l’Apostolo non si oppone per nulla al diritto, che riconosce peraltro alle donne, di profetizzare nell’assemblea (cf 1 Cor ll, 5); la proibizione riguarda unicamente la funzione ufficiale di insegnare nell’assemblea cristiana.

    Una tale prescrizione, per San Paolo, è legata al piano divino della creazione (cf 1 Cor ll, 7; Gen 2, 18-24); difficilmente vi si potrebbe vedere l’espressione di un dato culturale. Non bisogna dimenticare, del resto, che noi dobbiamo a San Paolo uno dei testi più vigorosi del Nuovo Te stamento sull’eguaglianza fondamentale dell’uomo e della donna, come figli di Dio nel Cristo (cf Gal 3, 28). Non c’è ragione, perciò, di accusarlo di pregiudizi ostili alle donne. . . "

    (citazione dal documento “Inter Insigniores”)

    A mio avviso, abbiamo qui un esempio classico di come la teologia possa giudicare erroneamente il valore di un testo biblico. Effettivamente Paolo vietò alle donne di parlare o insegnare con autorità durante l’assemblea domenicale; e fece ciò in conformità con i costumi ebraici, Egli poi appoggiò il divieto con una razionalizzazione teologica. Nè la proibizione fatta da Paolo nè la sua razionalizzazione sono più vincolanti per noi oggi, perchè la proibizione era collegata con una usanza transitoria, suscettibile di inodifiche in circostanze diverse, e la razionalizzazione serviva alle necessità del momento e non dava un contributo dottrinario.

    La “razionalizzazione” è il tentativo di giustificare un atteggiamento emotivo median te una spiegazione razionale. Per esempio, molti bianchi provano una diffidenza istintiva verso i negri, e cercano di giustificare questo pregiudizio con una serie di argomenti logici, citando casi in cui i negri si sono dimostrati indegni di fiducia ecc.in realtà però la loro diffidenza ha radici emotive.Quegli attivisti sempre pronti a caricarsi di lavoro per una loro esigenza interna di tenersi occupati tenteranno di dimostrare agli altri ed a sè stessi che questo lavoro viene loro imposto da necessità esterne obiettive. Una donna che per qualche ragione prova un’antipatia per un dato uome, sarà sempre pronta a dare una rnotivazione ‘razionale’ per questa sua antipatia. La razionalizzazione è proprio questo: convincere noi stessi di avere ragioni intellettuali per una posizione da noi in realtà assunta per ragioni emotive.

    Anche nella Sacra Scrittura abbiamo esempi di razionalizzazione, che dovrebbero venir riconosciuti come tali, altrimenti potremmò scambiarli per un insegnamento. L’usanza sociale di considerare sacro il settimo giorno e dedicarlo al riposo esisteva più di rnille anni prima della sua spiegazione razionalizzante: “perchè in sei giorni il Signore creò il cielo e la terra e il mare e tutto ciò che vi è in essi, ma il settimo giorno si riposò; e perciò il Signore benedisse il settimo giorno e lo rese sacro” (Es 20, 11; v. anche Gen 2, 1-3). Il significato letterale delle, parole indurrebbe a credere che la creazione in sei giorni corrisponde, ad un fatto storico, dal quale deiva 1’obbligo dell’osservanza del sabato. Invece è proprio il contrarío. Constatando che l’osservanza del sabato era considerata così importante, l’autore sacro deduce, "medita", che la ragione di ciò debba ricercarsi nel modo in cui Dio ha creato il mondo.
    Un Dio assetato di sangue?

    Oppure possiamo prendere in considerazionei il seguente episodio della vita di Davide. Una grave carestia di tre anni aveva colpito il paese, e un oracolo popolare attribuiva la carestia al mancato compimento di una vendetta di sangue. Saul aveva commesso delle atrocità contro Gabaon, per le quali non era stato permesso ai Gabaoniti di compiere la vendetta. “Il Signore disse: Su Saul e sulla sua casa pesa un fatto di sangue” (2 Sam 21, 1). Come, risarcimento, Davide ordinò che sette discendenti di Saul, benchè innocenti,, fossero consegnati ai Gabaoniti che li impiccarono. E così la carestia cessò. “E dopo Dio si mostrò placato verso il paese” (2 Sam 21, 14).

    Leggendo questo episofio in rnaniera superficiale, si ricava l’impressione che la Bibbia attribuisca a Dio un’temperamento mölto vendicativo. Dio è scontento perchè i Gabaoniti non avevano potuto vendicarsi della famiglia di Saul, e perciò infligge una carestia a tutto il paese, nè toglie questo castigo finchè non siano stati uccisi sette discendenti di Saul. E qui vengono alla mente parecchi interrogativi: se Dio era così indignato, perchè mai lascio passare tanti anni prima di prendere provvedimenti ? E perchè mai avrebbe dovuto infierire contro tutto il paese per la colpa di un solo uomo, che ormai era morto? La vendetta di sangue aveva proprio un valore morale così elevato, da dover essere salvaguardata ad ogni costo? Perchè Dio avrebbe dovuto compiacersi dell’assassinio di sette discendenti innocenti di Saul, se altrove si dice nella Legge: “Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, nè si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato” (Dt 24, 16)?

    Questo testo è evidentemente una razionalizzazione. Ogniqualvolta avveniva una carestia, il popolo l’attribuiva all’ira divina. In questo caso specifico può darsi che gli Israeliti, cercando una causa della carestia, si siano imbattuti in questi Gabaoniti che reclamavano una vendetta di sangue e abbiano immaginato che fosse quella la causa dell’ira divina. Quando poi, dopo l’impiccagione dei sette, cadde la pioggia, ciò venne interpretato come un segno di riconciliazione da parte di Dio. Queste razionalizzazioni sono ben comprensibili ed umane, ma dovremmo guardarci dal cercare in esse un insegnamento su Dio o sulla sua volontà.
    La famosa questione del velo

    Paolo voleva che nelle assemblee cristiane le donne portassero il velo: era questa un’usanza ebraica alla quale avevano fatto obiezione alcune donne di Corinto. Paolo dedica a ciò una lunga argomentazione, esibendo una razionalizzazione teologica dopo l’altra: l’uomo non ha bisogno di portare il velo perchè ha un rapporto piu diretto con Cri- sto; l’uomo è immagine di Dio e riflette la gloria di Dio; l’uomo fu il primo ad essere creato; la donna dipende dall’uomo in tutte queste cose. Paolo stesso, però, si rende ben conto della debolezza di queste argomentazioni “teologiche”, e alla fine scopre le carte quando conclude: “e se qualcuno vuole ancora contestare; questa non è un’usanza nostra, nè l’usanza delle chiese ci Dio” (1 Cor 11, 1-6).

    Paolo è certamente uno dei maggiori teologi clel Nuovo Testamento, ma in questo passoha fatto uno scivolone. Nel desiderio di giustificare la prassi del velo delle donne, si lascia trascinare in speculazioni teologiche che sono tipicamente ebraiche, non cristiane. Alcuni dei suoi argomenti non sono neanche più ben comprensibili, perchè pre suppongono una teologia ebraica che oggi non conosciamo più, Perchè rnai un uomo che profetizzasse con il coerto “mancherebbe di riguardo al proprio capo”, rnentre una donna “mancherebbe di riguardo al proprio capo” se lo facesse senza velo? E perchè rnai la don na dovrebbe portare il velo "a motivo degli angeli" ? Qui san Paolo cammina su ghiaccio molto sottile, e non sarebbe corretto verso di lui, nonchè non corretto teologicamente, prendere sul serio gli argomenti da lui avanzati. Tutto ciò che possiamo dire è che,nela sua razionalizzazione, Paolo dimostra quanto era ancora imbevuto del mito sociale ebraico della supremazia maschile.
    "Le donne tacciano nelle assemblee ..."

    Un altro costume paolino che rientra in questa categoria è che le donne non dovevano parlare nella pubblica assemblea. Benchè Paolo ritenga normale che una donna preghi o profetizzi nell’assemblea (1 Cor 11, 5), le proibisce di “parlare":

    35

    “Come in tutte le: comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano, perchè non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i lore mariti, perchè è sconveniente per una donna parlare in assemblea. ” (1 Cor 14, 34-35).

    “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, nè di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perchè prima è stato formato Adamo, e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione.’(1Tim 2,12-14).

    La teologia scolastica sfruttò al massimo questi testi per dimostrare che la donna non poteva. esercitare alcuna autorità nella Chiesa. Cornelius a Lapide, che scriveva: nel 1616, esprimeva 1’opinione corrente quando diceva che la proibizione alle donne di parlare era “as solute ed universale”. Egli elencava cinque ragioni per talè proibizicne:

    1. Essa deriva dalla nature della. donne e dal comando positivo di Dio contenuto in Genesi 3, 16.
    2. Il silenzio in presenza degli uomini si addice rnaggiormente all’umile condizione lella donna.
    3. L’uomo possiede in più alto grado della donna la ragione, il giudizio e la discrezione.
    4. Parlando, la donna può essere tentata di indurre l’uomo al peccato.
    5. E' meglio che la donna rimanga nell’ignoranza di tutto ciò che non ha bisogno di sapere. Ponendo domande stupide nella chiesa, essa darebbe scandalo agli altri. (61)

    L’esegesi di Cornelio era evidentemente inquinata dai pregiudizi, e nell’ansia di trovare conferma alle sue opinioni personali egli leggeva nel testo più di quanto esso dicesse. Oggi noi giustamente condanniamo un’interpretazione del genere. Ma siamo certi chele argomentazioni del documento vaticano non meritino un giudizio analogo ? Non sarà che il docuinento attribuisce un’importanza eccesiva a questo passo di Paolo, solo perchè è ansioso di trovare un testo che possa. giustificare l’esclusione delle donne dal ministero? Per quale ragione la questione del velo dovrebbe essere meno importante del divieto di parlare nell’assemblea? Dopotutto san Paolo dà molto più spazio all’affare del velo di quanto ne dia a quell’altra usanza che le donne tacessero in pubblico. perchè mai il desiderio di Paolo che le donne partecipassero alle assemblee con il capo velato dovrebbe essere una prescrizione transitoria, mentre il suo rifiutodi lasciarle parlare in pubblico equivarrebbe ad un’esclusione delle donne dal ministero sacerdotale per motivi dottrinali? Una distinzione di così vasta portata può davvero essere dimostrata dalla stessa Bibbia?

    Il commento uffici le al documento vaticano contiene una frase che lascia sospeltare che sia stato l’uso fatto tradizionalmente dalla teologia medioevale a determinare il senso di questo testo paolino. La somiglianza con l’esegesi di Cornelius a Lapide può essere più che accidentale! Tale commento infatti dice che i teologi si sono serviti abbondantemente di questi testi (1 Cor 14, 34-35; 1 Tim 2, 11-14) per spiegare che le donne non possono ricevere nè il potere del magistero ne quello di giurisdizione; e che fu specialmente il testo della prima Lettera a Timoteo a dare a san Tommaso d’Aquino la prove che la donna è in uno stato di sottomissione o servitù, poichè (come spiega il testo) la donna fu create dopo l’uomo e fu la prima responsabile del peccato originale. (62)

    In altre parole: siccome teologi del calibro di san Tommaso d’Aquino e di Cornelius a Lapide hanno interpretato i testi in questo modo, anche noi dobbiamo interpretarli così. Ma come ho detto prima, e come ammette anche il documento vaticano, i teologi del Medioevo avevano forti pregiudizi contro la donna, e spesso traevano conclusioni sbagliate proprio da questi testi. San Tommaso d’Aquino aveva idee così strane sui due sessi che, commentando il cap. 11 della prima Lettera ai Corinti, arrivò a dire che le suore che pronunciano i voti vengono elevate alla dignità maschile! (63). Alla luce di ciò, può essere ritenuto una guide sicura nell’interpretazione di certi pas si biblici ? Oppure, per rovesciare l’argomento: se Tommaso avesse conosciuto i’esegesi rnoderna circa lo stato di sottomissione della donna in 1 Tim. 2, 11-14, non avrebbe modificato il suo atteggiamento a proposito dell’accesso della donna al ministero? La ragione che egli adduce per negare che le donne possano venir ordinate è la seguente: “Non è possibile che il sesso femminile significhi un’eminenza di grado, poichè esso è caratterizzato dallo stato di sottomissione” (64). Nel valutare questi difficili testi biblici è meglio lasciar perdere gli Scolastici, che vissero anch’essi in un sistema sociale dominato dai maschi.
    Un divieto legato al piano divino della creazione?

    Il documento vaticano, proprio in relazione a questo divieto fatto alle donne di parlare nell’assemblea, dice “Una tale prescrizione, per San Paolo, è legata al piano divino della creazione. Difficilimente vi si potrebbe vedere l’espressione di un dato culturale. ” L’enorme peso dottrinale attribuito così a questo versetto può essere dedotto dalla ragione teologica data per la proibizione ? E che cosa si deve pensare del fatto che Paolo cita la medesima ragione per imporre alle donne l’uso del velo? Infatti, per dimostrare che la donna deve velarsi il capo (1 Cor 11, 8-10), e che non deve parlare nell’assernblea (1 Tim 2, 12-13) san Paolo porta la medesima ragione, e cioè che Adamo fu creato prima di Eva. Ma allora non si dovrebbe valutare i due divieti allo stesso modo ?

    Non vi è alcun motivo di dubitare del fatto storico che Paolo non abbia permesso alle donne di insegnare nelle assemblee ecclesili. Molti dei primi cristiani erano ebrei o proseliti, e quindi il permettere alle donne di insegnare non sarebbe stato opportuno, e forse neppure possibile. Anche per questa usanza, come per l’usanza del velo, san Paolo produce una razionalizzazione teologica, che ancor una volta è tipicamente ebraica. Egli si riferisce alla legge rnosaica: "come dice la Legge", ed al racconto della creazione secondo il quale Adamo fu creato prima di Eva. Ma una razionalizzazione del genere non ha alcun valore di insegnamento, e non può avere il peso di una affermazione dottrinale. Che la venuta di Cristo abbia portato all’abolizione della legge mosaica, lo ha riconosciuto più volte san Paolo stesso; chi fosse stato creato prima e chi dopo, era uno degli argomenti preferiti delle discussioni tra i teologi ebrei, il che indusse Paolo, in altri passi, a paragonare Cristo ad Adamo (v, 1 Cor 15, 45-49).

    Quando il documento vaticano dice che per Paolo il divieto in questione era legato al piano divino della creazione, sopravvaluta l’importanza del testo, il quale invece di proclamare questa dottrina di così vasta portata che gli viene attribuita (“la donna non può esercitare autorità nella Chiesa, perchè sarebbe una cosa contraria all’ordine della creazione”), contiene la razionalizzazione di un grande apostolo che, talvolta, non resistevàa alla tentazione di indulgere ai passatempi teologici ai quali era abituato quand’era rabbino.

    NOTE

    61. CORNELIUS A LAPIDE, Commentaria in Scripturam Sacram (Antwerp 1616) Paris 1868, vol 18, pgs 353, 396. Cf

    62. Briefing 7 (1977) No 6, pg 9.

    63. Citato da H. VAN DER MEER, op. cit. (vedi nota 58).

    64. THOMAS AQUINAS, Summa Theologica, III Suppl., Q. 39, art 1.
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

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    Predefinito Le Implicationi del Sacerdozio di Cristo

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione olandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 7 del libro.

    Va benissimo difendere i diritti delle donne, ma una donna prete sarebbe veramente compatibile con il sacerdozio di Cristo ? Dopotutto Cristo era un uomo. Quando il prete celebra la rnessa egli è, per così dire, l’immagine di Cristo nella comunità; si può immaginare una donna all’altare che ci richiami alla mente Cristo nello stesso modo in cui può farlo un uomo ?

    Può darsi che ad alcune donne piaccia immaginarsi mentre svolgono funzioni sacerdotali. L’accesso agli ordini sacri potrebbe rappresentare un progresso per le donne, e rendere la Chiesa più popolare nel mondo d’oggi. Ma possiamo sacrificare il valore di segno del sacerdozio a queste considerazioni umane? Io credo che la Chiesa non dovrebbe scendere a compromessi sul sacerdozio di Cristo, anche se la cosa può spiacere al alcuni.

    Queste considerazioni sono espresse anche nel documentó vaticano, in rnaniera un po’ più formale, e ci obbligano a prendere in considerazione il sacerdozio stesso di Cristo. Ne verrebbe esso danneggiato, se Cristo fosse rappresentato da una donna? E’ l’uomo, in quanto maschio, più adatto per natura ad esercitare la funzione sacerdotale “nella persona di Cristo” ? I1 carattere maschile è un elemento intrinseco del sacerdozio di Cristo? Dice il documento vaticano: “. .. Negli esseri umani la differenza sessuale ha un influsso rilevante, più profondo che non, ad esempio, le differenze etniche; queste non raggiungono la persona umana tanto intimamente quanto la differenza dei sessi”. “... Non si deve mai trascurare questo fatto, che Cristo è un uomo. Pertanto, a meno che non si voglia misconoscere l’importanza di questo simbolismo per l’economia della Rivelazione, bisogna ammettere che... il suo ruolo (e questa il senso originario della parola "persona") dev’essere sostenuto da un uomo."

    E’ mia opinione, ben ponderata, che la Sacra Scrittura non ci permetta di inferire che la differenza di sesso svolga una parte nel sacerdozio di Cristo. Gesù sostituì ad un sacerdozio fondato sulla sacralità uno fondato sulla grazia; sarebbe illogico ammettere implicitamente che le discriminazioni cancellate dal battesimo vengano fatte rivivere nel sacerdozio ministeriale. Se ogni cristiano irradia Cristo attraverso la sua vita, non sembra esistere alcun motivo per cui ogni cristiano non possa essere delegato a rappresentario nell’Eucaristia. Il segno sacramentale del sacerdozio è la personalità umana della persona ordinata, indipendentemente dal fatto che si tratti di un uomo o di una donna. La Sacra Scrittura non insegna esplicitamente che anche le donne possono essere ordinate; ma in base alla stessa natura del sacerdozio di Cristo sembra una deduzione logica che anche le donne potrebbero e dovrebbero aver parte al sacramento dell’ordine.

    Un sacerdozio senza realtà ‘sacre’

    Gesù non fu un riformatore sociale; non volle prender parte ad una rivoluzione sociale. Ma non si può dire lo stesso del modo in cui affrontò le questioni religiose. Paziente e tollerante verso le strutture sociali del suo tempo, si mostrò intollerante delle strutture religiose antiquate e inadeguate: in questo campo non avrebbe potuto essere più energico. Egli abolì completamente il sacerdozio, così come esso veniva inteso nell’Antico Testamento.

    Per comprendere tutte le implicazioni dell’atteggiamento di Gesù in tale questione, dobbiamo tener presente che il sacerdozia vetero-testamentario si fondava su una filosofia che distingueva il sacro dal profano. Alcune realtà di tutti i giorni, come la casa, il bestiame, il cibo, il sonno, gli affari, erano ordinarie, ossia “profane”, e in esse non vi era in realtà una presenza diretta di Dio; altre realtà del mondo, tuttavia, venivano viste come talmente compenetrate dalla presenza di Dio da essere diventate “sacre”. Questa è l’origine il tempi sacri (il sabato e le feste); dei luoghi sacri (principalmente il tempio); degli oggetti sacri (ad es. i recipienti usati per le cerimonie liturgiche); delle persone sacre (sacerdoti) consacrate a Dio. Il sacerdote dell’Antico Testamento era ’separato’ dagli altri uomini, allo stesso modo del sabato, che veniva ritenuto più santo del lunedì, o del tempio, che era un luogo più sacro della piscina di Bethzatha. I1 sacerdote era una specie di manifestazione fisica della presenza divina in un mond profano.

    Invece di istituire nuove realtà sacre in luogo di quelle vecchie, Cristo andò oltre, ed abroge radicalmente la distinzione stessa tra sacro e profano. Ciò può sembrare sconcertante a quei cristiani che hanno tuttora una mentalità vetero-testamentaria, e che immaginano che il Nuovo Testamento non sia altro che una versione aggiornata di quello antico. Essi pensano che le nostre chiese abbiano sostituito il tempio di Gerusalemme, che la nostra domenica sostituisca il sabato, che i nostri arredi sacri siano l’ultima versione di quelli del tempio, e che il sacerdote del Nuovo Testamento sia una versione riveduta e corretta di quello dell’Antico Testamento. Tale equivoco è dovuto in parte agli sviluppi avvenuti nella Chiesa durante la sua storia, in parte ad una condiscendenza verso la necessità molto umana di avere realtà quasi-sacre come le-chiese, come parte di una religione istituita. Fondamentalmente, però, l’agrapparsi a realtà “sacre” rappresenta un regresso ed è contrario all’insegnamento del Nuovo Testamento.

    Prendiamo l’esempio di un “luogo sacro”. Agli ebrei era consentito offrire sacrifici soltanto nel Tempio (Dt 12, 1-14), e anche nell’ambito del Tempio il luogo diventava sempre più santo man mano che ci si avvicinava al centro. Nella camera interna del santuario, chiamata “Santo dei Santi” poteva entrare soltanto il Sommo Sacerdote una sola volta all’anno (Eb 9, 71). Cristo però non riconosce più questi luoghi sacri, perchè egli ha santificato ogni luogo. Nel suo regro si può adorare non solo a Gerusalemme o su un monte sacro, ma dappertutto, purchè lo si faccia “in spirito e verità” (Gv 4, 20-24). ln effetti il suo stesso corpo.era il nuovo tempio, che poteva sostituire quello antico in ogni parte del mondo (Gv 2, 21). Quando Cristo celebrò la prima messa urante l’Ultima Cena, lo fece nella stanza superiore di una casa qualsiasi (Mc 14, 12-16), e per di più il luogo che egli scelse per compiere quell’unico sacrificio offerto per tutto il mondo, che è costituito dalla sua morte, non fu il Tempio, ma una malfamata collina dove avvenivano le esecuzioni capitali (Eb 14, 12). Con la morte di Cristo fu cancellata una volta per sempre la distinzione tra luoghi sacri e luoghi profani. I vangeli registrano il fatto che il velo dei Tempio, che nascondeva alla vista il “Santo dei Santi” si squarciò in due, dall’alto al basso" (Mc 15, 37). I cristiani primitivi lo avevano compreso, e non avevano templi: celebravano la liturgia e l’eucaristia in ogni luogo in cui si riuniva la comunità. E fondamentalmente ciò è vero ancora oggi, anche se dal lV° secolo in poi si è di nuovo insinuata l’usanza di costruire luoghi speciali per la preghiera.

    Lo stesso si può dire per i "giorni sacri". Per gli ebrei, il sabato era il giorno consacrato al Signore, nel quale nan era permesso all’uomo di lavorare per il proprio vantaggio. Gesù ebbe frequenti scontri con i farisei, perchè si rifiutava di sospendere il proprio apostolato di sabato. Sorsero conflitti quando i suoi discepoli colsero spighe di frumento (Mt 12, 1-8), quando Gesù curò l’uomo dalla mano inaridita nella sinagoga (Mc 3,1-6), quando risanò l’idropico (Lc 14,16), e quando ridiede la vista al cieco di Siloe (Gv 9, 1-16), L’affermazione più rivoluzionaria fatta da Gesù a tale proposito fu che “il sabato è fatto “tempo sacro” di qualche tipo, ma perchè risponde ad un’esigenza umana.

    Mentre i sacerdoti dell’Antico Testamento dovevano offrire spesso sacrifici in tempi prestabiliti, Cristo santificò tutto il tempo con un unico sacrificio di valore universale (Eb 9, 25-28). Con la morte di Gesù il sabato e tutti gli altri tempi sacrali perdettero ogni significato (Gal 4,8-11); da allora in poi, ogni giorno e ogni ora possono essere atti alla preghiera e alla celebrazione. La prassi cristiana di celebrare l’Eucaristia nel “primo giorno della settimana”, perchè in tale giorno Cristo era risorto (Gv 20, 1), portò alla prassi di celebrare la messa settimanale alla domenica. Tuttavia, per i cristiani la domenica non era un nuovo “ sabato”. Anche qui è stato per un deplorevole ritorno a concezioni vetero-testamentarie che i cristiani dei secoli successivi, e particolarmente quelli appartenenti alle chiese protestanti, tornarono ad un’osservanza della domenica che seguiva il modella farisaico.

    Dopo avere visto quale è stato l’atteggiamento di Cristo verso i tempi’sacri’ e i luoghi ‘sacri’, non ci sorprenderà di constatare un atteggiamento analogo verso un sacerdozio ‘sacro’. Cristo abolì il sacerdozio come istituzione sacrale; egli stesso non appartenne al sacerdozio levitico, In quanto rappresentativo di tutti gli uomini, abolì quella dignità sacerdotale che era legata alla stirpe, ed istituì un sacerdozio nuovo, fondato sulla “potenza della vita indefettibile” (Eb 7, 16).

    Il concetto vetero-testamentario di sacerdozio era così estraneo a Cristo che egli non applicò mai il termine “ sacerdote” nè a sè nè ai suoi seguaci; solo nella Lettera agli Ebrei il “sacerdozio” di Cristo viene discusso esplicitamente e paragonato a quello levitico (vedi in particolare Eb 5,1-4; 7, 26-28), Crista affidò un compito speciale agli apostoli e ai loro successori, ma non avrebbe mai acconsentito a che questo rninistero venisse interpretato come qualcosa che creava una casta sacrà, com’era avvenuto nei tempi dell’Antico Testamento. I successivi sviluppi nella Chiesa, che favorirono una tale separazione (con vesti “sacre”, dignità clericali e prerogative di stato giuridico) lo avrebbero certamente allarmato e rattristato.
    Un sacerdozio comune

    Cristo esercitò il suo sacerdozio offrendo sè stesso sul Calvario e predicando la buona novella. Per continuare questi due ministeri, ogni discepolo deve portare la croce (M t 7, 24); ciascuno dei suoi seguaci deve rendergli testimonianza fino alla persecuzione e alla morte (Mt 10,16-22). Perciò tutti i cristiani hanno parte nel sacerdozio regale di Cristo (1 Pt 2, 5-9); tutti possono essere chiamati “sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1, 6), “sacerdoti di Dio e del Cristo” (Ap 20, 6). Tutti insieme essi formano"un regno ed un sacerdozio per il nostro Dio" (Ap 5, 10).

    Questo sacerdozio comune viene dato mediante il sacramento del battesimo, ed è da osservare che il battesimo e del tutto identico per ciascuno: non esiste differenza tra quello degli uomini e quello delle donne. San Paolo afferma che il battesimc di Cristo trascende e cancella ogni differenza sociale esistente nell’umanità: “tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poichè quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo nè greco, non c’è più schiavo ne libero; non c’è più uomo nè donna, poichè tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 26-28).

    L’ordinazione al sacerdozio sacramentale è un’estensione di questo fondamentale ministero sacrificale e profetico che è già stato concesso nel battesimo. E benchè il sacerdozio ministeriale aggiunga una nuova funzione ai poteri ricevuti nel battesimo, e sia così sostanzialmente di piu del battesimo, tuttavia e intrinsecamente legato ad esso.

    ‘II sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, perchè l’uno e l’altro, ognuno a propria rnodo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo" (Lumen Gentium, 10)

    Quando il Concilio dice che la partecipazione al sacerdozio di Cristo attraverso il sacramento dell’Ordine è essenzialmente diversa, vuol dire che il battesimo in sè non confèrisce l’incarico di insegnare, governare e offrire il sacrificio in nome di Cristo; ma. non intende dire che per il sacramento dell’Ordine valga una diversa serie di valori dis criminanti.

    Quale che sia il requisito per l’ordinazione al ministero, non può essere una realtà “sacra” che renderebbe una persona intrinsecamente superiore a un’altra. Il Concilio Vaticano II lo dice molto esplicitamente:

    “Uno è quindi il popolo eletto di Dio... commune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo,comune è la grazia dei figli, comune è la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una indivisa carità. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla razza o nazione, alla condizione sociale o al sesso. . . Quantunque alcuni per la volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera eguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo. “ (Lumen Gentium, 3.2).

    Ma se il sesso. non può essere un fattore limitativo come realtà “sacra”, o come residuo della diseguaglianza pre-battesimale, come può svolgere un ruolo a livello del segno sacramentale ?
    Un sacerdozio di carita

    L’argomentazione che Cristo sia meglio rappresentato da un rnaschio perchè egli stesso era maschio non può essere comprovata da alcun testo biblico. L’argomento addotto nel documento vaticano è di natura filosofica; è quello che in teologia viene definito un argomento basato sulla convenienza: per usare le stesse parole del documento, “ sulla profonda convenienza che la riflessione teologica scopre”. La sostanza del l’argomento è in queste parole:

    “I segni sacramentali - dice san Tommaso - rappresentano ciò che significano per una naturale rassomiglianza". Ora, questo criterio di rassomiglianza vale, come per le cose, così anche per le persone: allorchè ad esprimere sacramentalmente il ruolo del Cristo nell’Eucaristia non si avrebbe questa “naturale rassomiglianza" che deve esistere tra il Cristo e il suo ministro, se il ruolo: del Cristo non fosse tenuto da: un uomo: in caso contrario si vedrebbe difficilmente in chi è ministro l’immagine di Cristo. In effetti, il Cristo stesso fu e resta un uomo."

    Tale argomento è fallace, perchè è fallace la filosofia che ess presuppone. Gli scolastici, ai quali il documento si riferisce come fonte dell’argomento, proponevano una filosofia dei due sessi che oggi nessun cristiano si sentirebbe più di difendere. San Bonaventura (che è pure citato nel documento vaticano) sosteneva che soltanto il maschio presenta una vera immagine di Dio (65). E poichè la donna non sarebbe altro che un “maschio incompleto” e quindi "non può significare un’eminenza di grado" (67), san Tommaso traeva la conclusione che essa non può assomigliare a Cristo o essere la sua immagine. Ma è evidente che un ragionamento del genere contraddice la stessa Sacra Scrittura, oltre ad essere contrario ad. una miglior filosofia della dignità umana. La Parola di Dio cita entrambi i sessi quando parla della somiglianza divina: “Dio creò l’essere umano a sua immagine; a i immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò” (Gen 2, 27). E san Paolo afferma che tutti i battezzati, uomini e donne, si sono rivestiti di Cristo (Gal 3, 27). Egli parla di tutti i cristiani quando dice: “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasfomati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3, 18).

    In quanto all’attribuzione simbolica del titolo di Sposo, fatta a Dio nell’Antico Testamento, e a Cristo nel Nuovo, osserviamo che tale simbolismo appartiene fondamentalmente al contesto ebraico; non si può dimostrare che sia qualcosa di essenziale per il sacerdozio di Cristo. Per di più, la Bibbia stessa supera in alcuni casi questo simbolismo maschile, e descrive con tratti femminili la coinpassione divina. La fedeltà eterna di Dio viene paragonata all’amore di una madre, che non dimentica mai i propri figli (Is 49, 15); si parla della tenerezza di Cristo (Eb 5, 2), e di come egli sia simile ad una gallina che vuole raccogliere i suoi pulcini sotto le ali per proteggerli (Mt 23, 37). Perfino Paolo paragona sè stesso ad una madre (1 Tess 2, 7; Gal 4, 19).

    Attribuendo una tale importanza alla mascolinità come caratteristica essenziale del sacerdozio, non si sottovaluta forse il sacerdozio di Cristo? Quali sono gli aspetti che la stessa Sacra Scrittura descrive come preminenti per significare la presenza di Cristo? Se dobbiamo basarci sulle caratteristiche rilevate in Gesù, il sommo sacerdote, troviamo che queste hanno la massima importanza nel suo sacerdozio:

    1. Essere chiamato da Dio (Eb 5, 4);
    2. Avere egli stesso sofferto, ed essere perciò capace di aiutare colo ro che sono tentati ( Eb 5,1 - 2) ;
    3. Essere capace di compatire le debolezze degli altri (Eb 4,14-16);
    4. Saper trattare con rnisericordia gli ignoranti e gli erranti (Eb 5, 1-10).

    Tutto cio è ben diverso dal pretendere che egli sia un discendente (maschio, beninteso!) di Aronne. Qui siamo davvero di fronte ad un nuovo sacerdozio, governato da una propria legge (Eb 7, 11-12) (68).

    Se poi ascoltiamo Cristo stesso, sentiamo che egli afferma essere la carità il segno che egli richiede. Christo dimistro il suo amore dando la vita per i suoi amice (Gv 15, 12-13). E’ questo amore che distinguee il vero pastore dal mercenario (Gv 10, 11-15). E' la disponibilità a servire, e non la capacità di esercitare un potere sugli altri, che rende simili a Cristo (Mt. 20, 24-28). Il Maestro non viene riconosciuto soltanto quando presiede alla mensa, ma anche quando lava i piedi dei discepoli (Gv 13, 12-16). E si osservi che qui non si tratta di un semplice requisito morale, rna di un elemento che ha valore di segno: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Benchè Cristo parli dell’amore come di un comando universale, tuttavia egli si rivolge qui agli apostoli proprio nell’occasione in cui conferisce loro il sacerdozio. La frase “Fate questo in memoria di me” presuppone la carità pastorale come quel segno speciale che identificherà i suoi discepoli. Ed è questo amore che egli richiede da Pietro prima di affidargli l’incarico apostolico (Gv 21, 15-17).

    Questa considerazioni non provano direttamente che anche le donne possono essere chiamate al sacerdozio, ma dimostrano che secondo la stessa Sacra Scrittura valori come la compassione, lo spirito di servizio e la carità hanno un’importanza ben rnaggiore di caratteristiche accidentali come la mascolinità, anche a livello di segno sacrarnentale. Non saremmo forse più vicini allä mente di Cristo, se riconoscessimo che una donna piena dello spirito di carità pastorale di Cristo è una immagine più “conveniente” della sua presenza, di un uomo che mancasse di questa carità ?

    NOTE

    65. BONAVENTURE, Quartum Librum Sententiarum dist. 25, a. 2, qu. 1; Omnia Opera, ed. Quaracchi 1889, vol IV, pagg. 649-55. Cf V. E. HANNON, o.c. (vide nota 61), pg 37.

    66. THOMAS, Summa Theologica. I Q 92, art II; ibid. Q 99, art 2 ad 1. 42.

    67. THOMAS AQUINAS, Summa Theologica, III Suppl., Q. 39, art 1.

    68. J. M. FORD, ‘Biblical Material relevant to the Ordination of Women’, Journal of Ecum. Studies 10 (1973) pagg. 669-94; synopsised in Theology Digest 22 (1974) pg 27.
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

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    Predefinito Una Visione di Cose Future nel Vangelo di Luca

    par John Wijngaards

    Pubblicazione originale Inglese: Did Christ Rule Out Women Priests?, par John Wijngaards, McCrimmons, Great Wakering 1977 (altera editione 1986), 104 pgs; editione Indiana, ATC, Bangalore 1978; editione ollandese, KBS, Brugge 1979; traduzione italiana par E. L. Lanzarini, 1981. Questo è capitolo 1 del libro.

    E’ stato sottolineato che Gesù si adattò all’idea ebraica di quello chè era il ruolo delle donne nella società; e capisco che è importante chiarire questo fatto, per dimostrare che egli non le escluse di proposito dal ministero sacerdotale. Eppure ciò non mi soddisfa del tutto. Come mai Gesù non denunciò le ingiustizie compiute contro la donna nel suo tempo? Forse non provava un senso di comprensione per 1e loro difficoltà, e per il loro compito specifico nella vita? Era così occupato a rivolgersi agli uomini, da non avere un messaggio speciale per le donne?

    Mi rendo conto che non è giusto introdurre nel vangelo le nostre problematiche moderne, però sarebbe incoraggiante saperè che la mia ricerca di quello che e il posto della donna nella società e nella Chiesa e radicata nel vangelo. Mi sarebbe di grande aiuto morale il sapere che Gesù si preoccupava delle donne, e che le sue parole e le sue azioni possono giustificare l’emancipazione femminile. Vorrei sapere se nelle parole o azioni di Cristo non ci sia stato nulla che potesse indicare, ancorchè remotamente, la possibilità di un futuro ministero esercitato da donne? Che cosa può dirci il vangelo su questo punto?

    Il vangelo ha molto da dire, che puo essere d’incoraggiamento per . le donne; quello di Luca, in particolare, si interessa certamente del loro ruolo specifico. Sebbene Cristo si sia rifiutato di intraprendere riforme sociali in questo campo, come d’altronde anche negli altri, molte delle sue. parole e azioni dimostrano che la partecipazione delle donne al ministero non sarebbe contraria alle sue intenzioni.

    Finora ho fondato 1e mie argomentazioni tratte dalla Sacra Scrittura su un’interpretazione piuttosto stretta del testo, e ciò è inevitabilè, dato che stiamo trattando un argomento teologico, che deve poter resistere ad un rigoroso esáme critico. Un’argomentazione dev’essere fondata su prove, e queste devono basarsi su fatti irrefutabili. In questo tipo di discussioni si è limitati la premesse accettate da entrambe le parti, da una logica che possa convincere gli avversari, e da un modo di pensare analitico e restrittivo.

    In questo capitolo, però, vorrei spingermi oltre e guardare al vangelo con occhio più riflessivo, penetrarne l’intimo significato, ascoltare attentamnte ciò? che dice non solo esplicitamente ma anche implicitamente, ed afferrare intuitivamente il senso più profondo del messaggio ispirato.
    Maria di Magdala

    Volgiamoci al vangelo di Luca. e studiamo la storia di Maria di Magdala, che dopo avere condotto una vita deplorevole era stata convertita da Gesù. “Maria, conosciuta come Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni" (Lc 8, 2). Di lei Luca dice che era tra le donne che accompagnavano Gesù nei viaggi apostolici (Lc 8, 1-3); che con altri discepoli essa fu presente alla crocifissione e diede il suo aiuto per la sepoltura (Lc 23, 49. 55-56); che fu tra le prime ad avere l’annuncio della risurrezione la mattina di Pasqua (Lc 24, 1-11).

    Negli Atti degli Apostoli, Luca ricorda quel i che, nelle parole di Pietro, erano i requisiti che doveva avere una persona per entrare a far parte del collegio apostolico: “Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi... uno divenga, insieme a noi, testimone.della sua risurrezione” (At 1, 21-22). Maria di Magdala aveva questi requisiti, come molte altre persone che non facevano parte del gruppo originario dei Dodici. Maria era stata testimone del ministero pubblico di Gesù, della sua passione e risurrezione. Si può obiettare che essa non era presente all’Ultima Cena, ma non consta che fosse presente neppure Mattia, che fu poi chiamato a prendere il posto di Giuda.

    Maria di Magdala non avrebbe potuto prendere il posto di Giuda per le ragioni sociali che abbiamo visto prima, ma non certamente perchè non possedesse i requisiti richiesti dal vangelo. Io credo che specialmente nel vangelo di Luca abbiamo l’intuizione di possibilità future che vanno molto al di là delle limitazioni sociali di quel tempo. Ricordiamo l’episodio della peccatrice che piange ai piedi di Gesù mentre egli si trova in casa del fariseo (Lc 7, 36-50). Può darsi che si sia trattato proprio di Maria Maddalena; secondo Luca, si tratta comunque dello stesso tipo di persona (v. il collegamento con Lc 8, 1-3). Ecco ciò che Gesù dice di lei:

    “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa, e tu non m i hai dato l’acqua per i piedi; lei invece rni ha bagnato i piedi con le lacrime, e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo dì olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profurno i piedi."

    E’come se Gesù parlasse a noi oggi, attraverso i secoli. "Perchè discutete tra voi sul ministero delle donne?" potrebbe dirci. “Che cosa vi fa pensare che io le allontanerei dal santuario o dal mio altare ? Non ho forse sempre insegnato che ciò che conta è la sostanza, e non gli accidenti? Quando ero nella casa di Simone il fariseo, non ho forse lodato la peccatrice per avere esercitato il ministero di lavarmi i piedi? Ciò che contava ai miei occhi non era la sua condizione sociale o giuridica, e neanche i peccati che aveva commessi in passato, ma il suo amore. Dandomi il benvenuto con un bacio, lavandomi i piedi, ungendo meli col profumo, in quel momento fu lei a rendermi servizio più di tutti gli uomini che avevo intorno. Pensate che io respingerei una donna che potrebbe servire nel ministero sacerdotale il mio Corpo Mistico, la Chiesa, allo stesso modo: spezzando il pane, versando l’acqua battesimale, ungendo gli ammalati? Non credete che io sia ben lieto che sia finalmente riconosciuto alla donna quel posto nella societa che le appartiene di diritto? Pensate che non vorrei riconoscere il reale contributo che una donna sacerdote potrebbe dare in questo nuovo mondo in cui vivete oggi ? ”

    A questo punto puo darsi che io abbia perduto ogni credibilità presso i miei lettori, i quali possono chiedersi se sia corretto leggere la Sacra Scrittura in tal modo, se i passi su Maria di Magdala intendano proprio dare una visione di nuovi ministeri, oppure se la mia interpretazione non sia altro che un’illusione. Per dare una risposta adeguata a ciò, dovrò dílungarmi un po’ sulla teologia di Luca. Vorrei dimostrare i seguenti punti:

    * Luca è preoccupato delle esagerate aspettative dei suoi contemporanei riguardo all’Ultimo Giorno. Egli insegna che prima della venuta di Cristo ci sarà il “periodo della Chiesa”.
    * Luc fa osservare che durante questo periodo della Chiesa possiamo aspettarci nuovi sviluppi che, benchè non contenuti esplicitamente nel rnessaggio di Gesù, hanno tuttavia un’origine divina, in quanto derivanti dall’azione dello Spirito Santo nella Chiesa.
    * Luca è convinto che molti di questi nuovi sviluppi siano implicitamente contenuti in ciò che Gesù ha detto o ha fatto. Nello scrivere il suo vangelo, Luca vede nelle parole e nelle azioni di Gesù una visione di cose future.
    * Luca tiene a sottolineare che era cosa naturale che nella Chiesa antica si sviluppassero nuovi ministeri. La notevole attenzione prestata alle donne nel vangelo di Luca fa pensare alla possibilità di una loro futura partecipazione nel ministero.

    Questa sembra una strada un po’ lunga da percorrere, ma ne vale la pena. “Se” Luca insegna - come mostrerò - che noi dobbiamo aspettarci nuovi sviluppi nella Chiesa anche per ciò riguarda il ministero; e “se” Luca stesso, in questo, accenna al ruola delle donne, possiaïno noi ignorarne il messaggio? Sembrerebbe che Luca, ispirato, parli appunto della questione che si presenta a noi oggi. Può esservi nella Chiesa una nuova partecipazione delle donne nel ministero, non esplicitamente prevista nel vangelo ? La risposta di Luca sarebbe categoricamente affermativa.
    Non vi è spazio per la Chiesa?

    Dopo la risurrezione di Gesù occorse qualche ternpo perchè la comunità apostolica capisse che era iniziata una nuova era, l’era della Chiesa.

    Molti dei cristiani primitivi erano convinti che fosse imminente la seconda venuta di Gesu. L’espressione oscura di Gesù “in verità vi dico: vi sono alcuni ,qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1) veniva interpretata come un’indicazione che la fine del mondo sarebbe avvenuta entro pochi anni. Da ciò che Paolo scrisse ai Tessalonicesi nell’anno 51 d. C. sappiamo che egli si aspettava di essere in vita lui stesso, con la maggior parte dei suoi cristiani, quando Cristo sarebbe tornato (1 Tess 4,15), e identica è l’implicazione nella sua Lettera ai (Corinti dell’anno 57 d. C. (1 Cor 15, 51). I cristiani di allora erano così consci di quella salvezza finale che Cristo avrebbe portato nella sua seconda venuta, che san Paolo poteva scrivere ai Romani “la nostra salvezza è più vicina ora, di quando diventammo credenti” (Rom 13, 11).

    Non è difficile comprendere come la tensione di questa attesa del ritorno di Cristo avesse conseguenze negative sulla vita di parecchi cristiani, Alcuni convertiti di Tessalonica avevano addirittura smesso di lavorare, e attendevano in ozio l’ultimo giorno. Paolo li disapprovò (2 Tess 2, 6) e mise in guardia contro quegli oracoli esagerati che predicevano l’imminenza del giorno del Signore (2 Tess 2, 2). Alcuni si sentirono ingannati e delusi quando Cristo non apparve presto, come essi si aspettavano: “Dov’è la promessa della sua venuta?” E san Pietro dovette dare una lunga risposta a tale domanda (2 Pt 3, 3-10).

    I cristiani la cui vita è dominata dalla convinzione che ogni giorno potrebbe portar con sè la fine del mondo, non provano più interesse a costruire questo nostro mondo, Sono gente che passa il tempo guardando il cielo, e dimenticando di avere un compito da svolgere qui, sulla terra. Luca si preoccupò di correggere questo atteggiamento sbagliato; descrivendo la scena dell’Ascensione, riferisce l’osservazione “Uomini di Galilea, perchè state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 11). In altre parole: Gesù verrà la sè, per potenza propria, nel tempo che gli parrà conveniente; non perdete tempo a domandarvi quando e come verrà. Fate piuttosto le opere che Cristo si aspetta da voi.

    Nel suo vangelo, Luca spesso scredita un po’ le preoccupazioni esagerate a proposito della seconda venuta di Cristo. Ogniqualvolta si parla dell’epocqa di questa venuta, Luca ricorda le cose che prima devono-essere compiute. E’ lui che racconta come, all’ingresso di Gesù in Gerusalemme, alcuni pensassero che il regno dei cieli sarebbe venuto subito (Lc 19, ll.). A tale aspettativa Gesù oppose la parabola dei talenti: la fine non verrà subito, mentre si dovranno invece assumere subito le resonsabilità affidateci (Lc l9, 12-27). Anche le persecuzioni e le sommosse, e perfin o la distruzione di Gerusalemme, non significano che la fine verrà presto (Lc 12, 7) Quando gli apostoli domandano quando avverranno gli ultimi eventi, Gesù dà loro una risposta severa, affermando chie non .toccava a loro conoscere le date e i tempi; e che essi dovevano invece dedicare le loro energie a render gli testimonianza sino agli ultimi confini della terra (At l, 6-8). La frase enigmatica di Gesù riguardante la venuta del regno gia durante la prima generazione viene interpretata da Luca alla luce di un’altra frase di Gesù: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: eccolo qui, o eccolo là. Perchè il regno di Dio è in mezzo a voi!’’ (Lc 17, 20-21).
    La Chiesa e lo Spirito

    Cristo ha voluto che, prima della fine dei tempi, vi fosse un’era della Chiesa (69); e Luca la ritenne così importante che dedicò ad essa tutto un libro, gli Atti degli Apostoli. Per Luca era un grave errore identificare la storia cristiana con la vita di Gesù, perchè dopo l’azione redentrice di Gesù. Dio continuava ad agire attraverso lo Spirito. Giustamente gli Atti degli Apostoli sono stati chiaimati il Vangelo dello Spirito Santo, perchè a cominciare dalla promessa dello Spirito Santo fatta da Gesù e descritta nel primo capitolo, e continuando nel secondo con la narrazione della Pentecoste, per tutti gli Atti Luca ci mostra come lo Spirito Santo abbia fatto dei seguaci di Gesù una Chiesa diffusa in tutto il mondo.

    Riconoscendo il ruolo indipendente della Chiesa, Luca attirò l’attenzione su un fatto teologico di enorme importanza, e cioè sul fatto che Gesù non aveva preso decisioni su ogni cosa da farsi nella sua Chiesa. Tra i seguaci di Gesù vi sarebbero stati svìluppi nuovi ed inaspettati, che però hanno pure un’origine divina, perchè sono compiuti dallo Spirito Santo entro la Chiesa. Questi sviluppi devono essere accettati con altrettanta prontezza, come le disposizioni date esplicitamente da Gesù stesso. E’ ovvio che non vi può essere una contraddizione tra ciò che ha detto o fatto Cristo, e le nuove direttive dello Spirito. Nello scrivere il suo vangelo, Luca mostra che le parole e le azioni di Gesù avevano una dimensione più profonda, un dinamismo interiore che avrebbe potuto trovare in seguito espressione in decisioni di vasta portata prese dalla Chiesa del futuro.

    Vorrei fare un esempio. Negli Atti degli Apostoli Luca ci racconta come la Chiesa antica sia pervenuta ad accettare nel proprio seno i non ebrei. In. relazione a ciò, il battesimo di Cornelio rappresentò davvero un nuovo inizio. In precedenza i non ebrei venivano ammessi solo a condizione che prima si convertissero all’ebraismo ed accettassero la circoncisione; Cornelio e i suoi familiari furono i primi romani che poterono diventare cristiani senza farsi prima “ebrei d’imitazione” mediante la circoncisione. E Luca sottolinea che ciò fu opera di Dio stesso. Infatti Cornelio era stato esortato -’a un angelo a mandar a chiamare :Pietro (At 10,1-8), e Pietro era stato ammonito in visione di non considerare impuro ciò che è puro agli occhi di Dio (A.t 10, 1-16). Infine, quando Pietro annuncio il vangelo di Gesù, Pietro e la sua famiglia furono pieni di Spirito Santo (At 10, 17-44). Fu soprattutto questa chiara manifestazione dello Spirito Santo a convincere Pietro che i pagani potevano diventare cristiani senza passare per lo stadio intermedio dio della circoncisione ebraica (At 10, 45-48). Luca ci dice come Pietro abbia dovuto giustificarsi per tale decisione davanti alla Chiesa di Gerusalemme (At 11,1-18), e come ciò abbia portato alla onvocazione del primo Concilio ecclesiastico, che dichiarò formalmente che i non ebrei potevano essére ammessi nella Chiesa senza dover sottostare alla circoncisione o all’osservanza della legge mosaica (At 15, 1-12).

    L’ammissione dei non ebrei senza richiedere da loro la circoncisione fu una decisione di grande portata, che non fu presa da Gesù, bensi dalla Chiesa, e che andò ben. a1 di là di ciò che Gesù aveva detto. In un certo qual modo, era un discostarsi da ciò che che Gesù stesso aveva fatto. E tutto ciò appare chiaro dal dibattito nella Chiesa apostolica, dove la questione venne decisa non riferendosi a norme date da Gesù, da riconoscendo la volontà dello Spirito. Dai vangeli sappiamo che Gesù limitò esplicitamente il suo ministero agli ebrei: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuittosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10, 5). “Non sono stato inviatc che alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15, 24).

    Possiamo star certi che nelle discussioni sulla possibilita di ammettere i non ebrei nella comunità cristiana così com’erano (cioè non circoncisi: cf At 15, 1), non saranno mancati i cristiani di originè ebraica che avranno citato queste parole di Gesù; la loro interpretazione restrittiva delle parole di Gesù avrà certo sottolineato la necessità della conversione all’ebraisino come condizione previa per poter beneficiare della redenzione di Cristo. Fu perciò necessario che i cristiani di allora si staccassero da un’interpretazione troppo letterale delle parole di Gesù, ed imparassero che per comprendere le intenzioni di Cristo non dovremmo limitarci alle sue parole e alle sue azioni, na dovremmo cogliere soprattutto la dimensione profetica nella vita di Gesù, cheva ben al di là deIla sua prassi immediata.

    Se leggiamo il vangelo di Luca in questa luce, vediamo come egli tratti questo valore di visione interiore e dimensione profetica,.Luca riflette sull’atteggiamento di Gesù verso i samaritani, che gli ebrei consideravano un popolo di eretici e di paria, dal punto di vista religioso. Gesù si rifiutò di maledire il villaggio samaritano che non lo accolse (Lc 10, 29-37); del centurione di Cafarnao disse “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7, 9). In questi episodi Luca giustamente intravvede in Gesù un atteggiamento verso i non ebrei che supera la legge mosaica e che abbraccia .una visione di Chiesa in cui samaritani e romani si sentano a casa propria, così come gli ebrei.
    Il ministero e 1o Spirito

    Un altro scopo esplicito di Luca è quello di dare risalto a nuove forme di ministero. Molte cose fanno pensare che la questione della successione “apostolica” non sia stata risolta così facilmente nella Chiesa primitiva. I dodici apostoli, che erano stati scelti da Cristo stesso e da lui personalmenter istruiti, godevano di un tale prestigio e di una tale autorità che sembrava che nessuno potesse sostituirli; eppure ciò era essenziale perchè la Chiesa potesse continuare ad esistere e a diffondersi nel mondo. Per privilegiato che fosse il posto dei dodici nella Chiesa, la loro missione doveva essere continuata da persone non scelte direttamente da Gesù, da convertiti che potevano anche provenire da un ambiente non ebraico.

    Nello scrivere gli Atti degli Apostoli, Luca affronta questo problema di petto. Proprio nel primo capitolo racconta come Mattia fosse stato chiamato a sostituire Giuda: “Mattia fu associato agli undici apostoli” (A.t 1, 26). Le lagnanze dei cristiani di lingua greca di Gerusalemme, che si sentivano trascurati, portò alla designazione di sette diaconi (At 6, l- 6). Sebbene lo scopo originario di questo diaconato fosse un servizio materiale, da ciò che viene detto di due di questi diaconi, Stefano e Filippo, appare chiaro che essi svolgevano la stessa attività degli apostoli nella predicazione del vangelo; non potevano però trasmettere lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani. Ad Antiochia si ebbe uno sviluppo molto importante, quando 1’assemblea cristiana, guidata dallo Spirito, impose le mani su Paolo e Barnaba e li inviò in un viaggio missionario (At 14,1- 3), Lo status ufficiale di Paolo e Barnaba venne poi confermato nel Concilio di Gerusalemme (At 15, 12), e ciò aprì la strada a molti altri, che vennero chiamati al mini stero, come Timoteo di Listra, Tito di Galazia, Apollo di Alessandria, Epafra di Colossi e molti altri.

    In conformità con il suo metodo di leggere una visione di cose future nelle azioni di Gesù, Luca cercò nella vita di Gesù qualcosa che confermasse questi sviluppi nella Chiesa, e lo trovò nel fatto che Gesù aveva inviato altri discepoli, oltre si dodici. Nel suo vangelo, Luca dà grande risalto, a. questo fatto; e dopo aver riferito, in un passo piuttosto breve, come Gesù avesse inviato i dodici (Lc 9,1-6), narra molto piu ampiamente come Gesù avesse inviato anche “altri settantadue”, ai quali vengono date le stesse istruzioni impartite agli apostoli (Lc 10, 1-24). E’ da notare che, secondo il simbolismo ebraico del tempo, mentre il numero dodici rappresenta le dodici tribù di Israele, il numero settantadue indica tutte le nazioni della terra; ed è propria ai settantadue discepoli che Gesù dice “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”. (Lc 10, 16). E’ molto probabile che l’invio di questi ‘altri’ discepoli abbia rappresentato un episodio di relativamente modesta importanza nella vita di Gesù, forse quasi dimenticato e certamente messo in ombra dalla speciale attenzione che Gesù dedicò ai dodici; ma per Luca questo piccolo episodio aveva un valore profetico, in quanto indicava ciò che sarebbe avvenuto neila Chiesa futura. Non era perciò contro l’intenzione di Gesù che all'opera dei dodici subentrasse quella dei settantadue di tutte le nazioni.
    L’attenzione alle donne nel vangelo di Luca

    Tutti e quattro i vangeli affermano che che donne svolsero un ruolo speciale nella vita di Gesù, e ciò è particolarmente vero nel caso del vangelo di Luca, il quale registra episodi non ricordati negli altri vangeli. E’ Luca che parla di Elisabetta (Lc 1, 5-45), della profetessa Anna (Lc 2, 36-38), della vedova di Naim (Lc 7, 11-17), delle donne curva assistevano (!ies~ con~ i loro beni (Lc 8,1-3), della donna curva (Lc 13, 38-42), e delle donne piangenti di Gerusalemme (Lc 23, 27-31). E’ Luca che ci ha tramandato due parabole in cui compaiono corne protagoniste le donne: la massaia che aveva perduto una dramrma (Lc 15, 8-10) e la vedova insistente (Lc 18, 1-8). Le figure femminili menzionate anche negli altri vangeli hanno in Luca un risalto speciale: Maria di Magdala (Lc 7, 36-50), Maria e Marta (Lc 10, 38-42), e la vedova povera che offrì le due rnonete nel Tempio (Lc 21, 1-4). I rapporti di Gesù con le donne costituiscono un tema rnolto esplicito di questo vangelo.

    Come mai Luca prestò tanta attenzione al ruolo svolto dalle donne nella vita di Gesù ? Evidentemente, come in altri casi, egli volle rispondere ad un'esigenza clella Chiesa primitiva. In molte comunità le donne avevano una posizione di rilievo; la conversione di Apollo ad Efeso fu dovuta tanto a Priscilla quanto al di lei marito Aquila (At 18, 18-26), mentre a Corinto fu Cloe zd inviare messaggeri a Paolo per informarlo dei problemi di quella chiesa (1 Cor 1, 11). La comunità di Cencre aveva una diaconessa, “Febe, nostra sorella” (Rom 16, 1-2), ed a Filippi, dove Luca passò molto tempo nell’attività di apostolato, troviamo tre donne di rilievo: Lidia, una ricca commerciante di porpora nella cui casa si radunava la locale comunità (At 16, 14-15); Evodia e Sintiche, delle quali Paolo scrisse che avevano combattuto con lui per il vangelo (Fil 4, 2-3). E’ ovvio che queste donne, e tutte quelle i cui nomi non ci sono stati tramandati, erano molto interessate al loro posto specifico nella comunità cristiana.

    Nel registrare gli episodi della vita di Gesù in cui compaiono anche donne, Luca ha un messaggio molto ricco da darci. Secondo lui, le donne ricevono la grazia di Gesù così come gli uomini; come gli uomini anch’esse devono convertirsi (iMaria Maddalena), ascoltare la parola di Gesù (Maria e Marta), pregare con perseveranza (la vedova insistente), e prender parte alia sua sofferenza e alla croce (Lc 23, 49). Il compito materno della donna, con tutte le gioie e i dolori che lo accompagnano, si riflette in figure come la vedova di Naim, Elisabetta e la Madonna.

    Per le sue parabole, Gesù trae argomento dalle faccende quotidiane delle donne: prender l’acqua dal pozzo, rnacinare il grano, spazzare la çasa, impastare la farina col lievito e preparare il cibo per gli ospltl. Gesù osservò queste attività e le caricò di un profondo significato simbolico. In molti modi i passi di Luca riguardanti le donne ci hanno preservato una ricca messe di spunti di riflessione.

    Fu Luca conscio di un ministero delle donne ? Nel presentarci queste parole e azioni di Gesù, intese fare una riflessione sull’impegno delle donne nell’apostolato? Il suo vangelo contiene una “visione” di come alle donne possa essere affidata una funzione di maggior responsabilità nella comunità cristiana?
    Un futuro ministero delle donne

    E' alla luce di tali domande che alcuni altri passi del vangelo di Luca ci appaiono carichi di un profondo signifìcato. Luca narra come anche le donne abbiano accompagnato Gesù nella sua missione apostolica.

    “ In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna rnoglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che li assistevano con i loro beni" (Lc 8) :1-8).

    Luca capiva bene che, data la condizione sociale della donna a quell’epoca, era impossibile per Gesù chiamar donne a far parte del gruppo degli apostolï. Nella Chiesa primitiva, così come esisteva al tempo di Luca, una collaborazione veramente paritaria nel ministero da parte delle donne era esclusa, per ragioni sociologiche. Ma è certo che Luca, il solo evangelista a tramandarci questo aspetto del ministero di Gesù, riporta questo èpisodio perchè ne vedeva il valore profetico. Il fatto che le donne fossero state così vicine a Gesùinei suoi viaggi apostolici, per Luca implicava certamente la possibilità di una partecipazione feminile molto maggiore nell’era della Chiesa. E se mai la Chiesa chiamasse una donna ad assumere il ministero di un Barnaba o di un Paolo, non sarebbe Luca a meravigliarsene; nel piccolo gruppo di donne che condividevano ciò che possedevano con Gesù e con gli apostoli, egli vedrebbe l’anticipazione di questo sviluppo futuro.

    E che dire di Anna, la profetessa? Anche qui, Luca è il solo evangelista a parlarne. A quanto egli ci dice, Anna era una donna molto avanzata d’età che era vissuta sola, nello stato vedovile, fino agli ottantaquattro anni. Attraverso questo numero, sette volte dodici, essa rappresenta la completezza della fede, l’età adulta del cristiana. Essa è una persona completamente consacrata a Dio. “Non lasciava mai il Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Incontrato Gesù, essa gli rende testimonianza: “parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2, 36-38).

    Perchè Luca ci presenta la figura di Anna, questa donna anziana, totalmente consacrata a Dio, che ha predicato Gesù ? Anche qui, non è forse perchè ha visto in lei un simbolo di cose future? Nella testimonianza di questa donna, Luca vide un compito apostolico da affidarsi alle donne, ma che ancora non poteva realizzarsi nel suo tempo. Ma non è appunto questo il significato dell’ispirazione ? Non era appunto questa la costante preoccupazione di Luca, cioè il far vedere che non tutte le decisioni possibili erano state prese durante la vita terrena rena di Gesù, e che potevano esserci sviluppi nuovi, sotto la guida dello Spirito Santo ?

    E questo ci porta a considerare la parte avuta dalla Madonna nel vangelo di Luca. Non appena Maria udì di essere stata scelta per diventare la madre del “Figlio di Dio”, ebbe subito una missione. Informata dall’angelo Gabriele che Elisabetta aveva concepito (Lc 1, 35-36), Maria partì in missione. Entrando nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta, e “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo, ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo” (Lc, 41).

    Il portare lo Spirito Santo era senza dubbio una prerogative apostolica. Quando il diacono Filippo predicava a Samaria poteva battezzare, ma non conferire lo Spirito; e Pietro e Giovanni dovettero recarsi colà da Gerusalemme per impartire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani (At 8, 14-17). I convertiti di Efeso non ricevettero lo Spirito Santo finchè Paolo non impose su di loro le mani (At 19, 6). Talvolta bastava che un apostolo entrasse in una case e annunciasse la parola del Signore, come quando Pietro entrò in case di Cornelio e predicò Gesù. “Pietro stave ancora dicendo gueste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso.” (At 10,44). Era questo il battesimo dello Spirito Santo di cui erano così consci i cristiani primitivi. Gesù stesso, nell’ascensione, aveva detto: “Attendete che si adempia la promessa del Padre, quella che avete udita da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo” (At 1,4-5). Era questo il segno distintivo dello stesso ministero di Gesù. Nelle parole di Giovanni Battista: “Io vi battezzo con acqua... egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3, 16).
    L’apostolato della Madonna

    Battezzare con lo Spirito Santo era l’opera degli apostoli. La Madonna: fu inviata ad Elisabetta per dare questo battesimo al bambino che doveva nascere da lei. “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi; il bambino ha esultato di gioia nel mio gremmbo” (Lc 1, 44). E così si adempì la profezia fatta a Zaccaria dall’angelo: “tua moglie Elisabetta ti darà un figlio. .. egli sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre” (Lc 1, 15). Anche Maria era incinta e portava Gesù nel suo grembo, ma fu la sua mediazione, la sua venuta, la sue voce, la sua persona che portò questa grazia dello Spirito Santo. La risposta di Elisabetta è un riconoscimento di questa presenza salvifica di Maria: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1, 43). E anche Maria riflette sul suo ruolo, quando dice:

    “Ha guardato l’umiltà della sue serva.
    D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
    Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente,
    e santo è il suo nome" (Lc 1, 48-49).

    La fede cattolica tradizionale si è giustarnente soffermata sulla posizione altissima che Maria occupa come madre di Dio. Ha messo in risalto il ruolo da lei svolto nella redenzione, e la parse che essa ha nel dispensare la grazia. Così facendo, non ha forse riconosciuto in Maria il cuore stesso della funzione sacerdotale? Dice il Concilio Vaticano II:

    “La Beata Vergine, col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentario al Padre nel Tempio, soffrire col Figlio suo morente in croce, cooperò in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo fu per noi madre nell’ordine della grazia (Gaudium et Spes, 61)

    Ci fu mai un sacerdote così vicino al sacrificio di Cristo come Maria? E per quanto riguarda il suo ruolo profetico:

    “La madre di Dio mostrò lieta ai paastori e ai rnagi il Figlio.suo primogenito. .. alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli... ” (Gaudium et Spes, 57-58)

    Infatti, attraverso la sua intercessione carismatica a Cana, Maria fa da mediatrice nel realizzare un simbolo eucaristico: la trasformazione dell’acqua in vino. . .

    So bene che la Madonna non esercitò le funzioni sacerdotali affidate da Gesù agli apostoli: non presiedette alla mensa eucaristica per spezzare il pane, non andò in giro a predicare, battezzare e imporre le mani. Nel clima sociale di allora, funzioni del genere venivano svolte dagli uomini, non dalle donne. Sia Gesù che Maria accettarono questa situazione sociale. Ma proprio per questo, non è ancor più degno di nota che gli evangèlisti, e specialmente Luca, si siano soffermati sul ruolo preminente di Maria e l’abbiano lodata più di ogni uomo ? Luca, con la sua visione delle cose future nella Chiesa, non attirò di proposito l’attenzione su Maria per incoraggiare le donne ? Quando Maria; canta il Magnificat, non lo fa anche in quanto donna e a nome di tutte le donne? Quando parla dei superbi di mente e di cuore, dei potenti sui loro troni, dei ricchi che saranno mandati via a mani vuote, non potremmo trovare nelle sue parole anche un riferimento all’arroganza, alla supremazia e all’autosufficienza maschile? Quando Maria parla del modo meraviglioso in cui Dio innalza gli umili e sazia gli affamati, non pensa anche a1 modo in cui lei, una donna e quindi come tale disprezzata dagli uomini, riceve da Dio una funzione fondamentale? Non c’è qui un’eco del canto di Debora, che predisse a Barak che non lui, ma una donna avrebbe avuto la gloria della vittoria:

    "Sia benedetta fra le donne Giaele, la moglie di Eber il Kenita, benedetta fra le donne della tenda! Acqua egli chiese, latte essa diede, in una coppa da principi offrì latte acido. Una mano essa stese al.picchetto, e la destra a un martello da fabbri, e colpì Sisara, lo percosse alla testa, ne f.racassò, ne trapassò la tempia" (Gdc 5, 24-26)?

    Non è Maria la “donna” della quale fu detto:

    “Io porrò inimicizia tra. te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe” (Gen 3, 15) ?

    Non sarebbe giusto fare di Maria una protagonista nella lotta dei nostri giorni per l’emancipazione femminile. Ma sembra teologicamente fondato dire che la personalità di Maria e il suo ruolo nella redenzione stabilirono una volta per sempre la completa eguaglianza delle donne davanti a Dio, e di conseguenza a buon diritto anche nella Chiesa. A mio avviso, ciò dovrebbe naturalmente includere la capacità di agire in nome di Cristo alla mensa eucaristica o nel confessionale.

    La partecipazione “dall’interno” di Maria al sacerdozio di Cristo in un grado così eminente rappresenta a fortiori un argomento per la capacità della donna di esercitare funzioni sacerdotali esterne. L’interesse mostrato da Luca per il ministero delle donne rende la sua descrizione della petizione della Madonna una fonte biblica di speranza, riflessione e aspettativa di grandi possibilità future.
    Conclusione

    Come ho detto all’inizio di questo capitolo, in queste ultime pagine sono andato al di là dei limiti di una rigorosa argomentazione biblica; tuttavia ritengo che le mie rifles sioni siano fondate sulla Scrittura, e che possano aver afferrato qualche aspetto importante che sarebbe forse andato perduto in un dibattito logico. Talvolta nella Bibbia Dio ci dice di più mediante suggerimenti e cenni che non con dichiarazioni esplicite. Anche la Bibbia ha una sua dimensione profetica, che è inevitabilmente vaga perchè tratta del futuro.

    Ho scritto queste riflessioni per quel che possono valere, ben conscio che esse potranno venir guardate con sufficienza da coloro che non condividono questa visione.

    Vorrei ribadire ancora una volta che il peso delle mie argomentazioni è altrove. Alla domanda se Cristo abbia escluso le donne dal sacerdozio, ho dato una risposta negativa. Il fatto che egli abbia scelto solamente uomini perchè svolgessero l’attività apostolica non fu determinato da una sua preferenza specifica, ma dalle pressioni sociali del suo tempo. In quelle circostanze Cristo non avrebbe potuto designare donne per un compito sacerdotale; ma mai, in nessuna occasione, egli escluse la possibilità di un ministero sacerdotale svolto da donne. Al contrario, il sacerdozio da lui istituito è di natura tale da rappresentare una rottura rispetto a tutti i limiti umani stabiliti in precedenza.

    Se e quando le donne saranno, ammesse agli ordini sacri dipenderà dalla Chiesa. E per quanto mi riguarda, io confido che la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, prenderà presto provvedimenti coraggiosi in questa direzione. La nostra non è un’epoca in cui le discussioni teologiche possano andare a rilento a causa del costo delle pergamene o del passo lento delle cavalcature: una volta divenuta consapevole del problema, la Chiesa dei nostri giorni non avrà bisogno di secoli per valutare la fondatezza del suo atteggiamento e mutare la sua prassi.

    Le donne cristiane che giustamente si sentono offese dai pregiudi della teologia tradizionale non si scoraggino: lo Spirito soffia, e nessuna forza al mondo lo può fermare,

    NOTA

    69. Per un buon studio di base di questo tema di San Luca, vedi H. CONZELMANN, The Theology of Saint Luke, Faber and Faber 1960 (trad. dal tedesco 1953).
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

  10. #20
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    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
    (Sutra di diamante)

 

 
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