OMNIA SUNT COMMUNIA


LEGHISTI SOCIALDEMOCRATICI
Passa dagli autonomismi (Irlanda, Galles e soprattutto Scozia) l'autunno del partito laburista britannico. Quelli che in Italia sono xenofobi ricchi in rivolta contro i poveri, in Gran Bretagna sono socialdemocratici e rappresentano il vero argine contro i conservatori SCOZIA, INDIPENDENTISTI A SINISTRA DEL LABOUR

Marco D'Eramo
INVIATO A LONDRA

Un fantasma incombe sul Regno unito, ed è l'indipendenza scozzese. Fa curioso vedere che una nazione dalla storia tanto diversa dalla nostra - la prima monarchia nazionale, la «madre dei parlamenti», la patria della rivoluzione industriale, la regina dei mari, la più grande potenza coloniale europea, la sede della finanza mondiale - subisca le stesse ambasce dell'Italia (fragile democrazia, recente industrializzazione, ex colonialismo da operetta, nanerottolo finanziario, gigante clericale). All'alba del terzo millennio infatti ambedue rischiano di mandare in frantumi lo stato unitario che da noi ha meno di 150 anni di vita e oltre la Manica ha tre secoli. Perché, a termine, il Regno unito non sarà più tanto unito, anzi si potrà chiamare il Regno diviso: l'unione tra Inghilterra, Scozia, Galles, e Irlanda del Nord è seriamente minacciata: gli accordi di pace in Ulster non potranno non portare a una forma d'indipendenza, mentre la spinta autonomista scozzese spinge anche il Galles a una devolution più pronunciata.
Gli opposti autonomismi
Quel che però lascia a bocca aperta è l'opposto segno politico che ha il separatismo nelle due realtà. Mentre in Italia i leghisti esprimono un'ideologia xenofoba, sono la parte ricca del paese che non vuole più pagare per i poveri del meridione (una sorta di rivolta dei ricchi contro i poveri) e rivendicano semplicemente di tenersi a nord i soldi del nord, l'indipendentismo scozzese ha un segno totalmente opposto. La piattaforma del Partito nazionalista scozzese (Snp) è infatti chiaramente socialdemocratica: propone con decisione il disarmo unilaterale atomico, è in favore di una tassazione fortemente progressiva dei redditi, promette di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri, una istruzione statale gratuita con borse per l'educazione superiore. Nella sua piattaforma c'è anche un aumento di stipendio per gli infermieri. I nazionalisti vogliono persino che la Scozia indipendente esca dalla Nato.
Va ricordato infatti che una grande spinta al nazionalismo scozzese si ebbe proprio negli anni '80, come forma di reazione contro il thatcherismo e il ferreo, prolungato dominio dei conservatori che invece in Scozia sono stati, e sono tuttora, esigua minoranza. In effetti la devolution scozzese fu una delle prime riforme votate dal primo governo Blair nel 1998: e il primo parlamento scozzese dal 1707 a questa parte fu inaugurato nel 1999. A questo parlamento scozzese il parlamento britannico di Westminster ha devoluto alcune sue prerogative legislative nei campi dell'istruzione, della sanità e della giustizia, mentre mantiene tutti i suoi poteri in materia di difesa, politica estera, politica monetaria ed economica. Oggi la composizione del parlamento eletto nel 2007 è la seguente: 47 seggi al Snp, 46 al Labour, 16 ai liberaldemocratici, 17 ai tories, 2 ai verdi. Insomma un parlamento in cui la destra ha il 13% dei seggi e - caso unico in Europa - il centrosinistra una maggioranza schiacciante del 77% (a Edimburgo siede un governo di minoranza del Snp).
Non solo. Come mi faceva osservare John Kempfner, già direttore del New Statesman, «mentre una Padania indipendente sarà più ricca, una Scozia indipendente sarà invece meno ricca perché oggi è pesantemente sovvenzionata dal governo centrale». Infatti chi si oppone all'indipendenza arguisce che solo grazie all'unione con il resto del Regno unito l'economia scozzese se l'è cavata bene negli ultimi anni, con una crescita sostenuta, con tassi di disoccupazione ai minimi storici, con Edimburgo che si è situata come quinta piazza finanziaria d'Europa e con un Prodotto interno lordo (Pil) pro capite che in Scozia è superiore a qualunque altra regione del Regno unito eccezion fatta per la Grande Londra.
Né andrebbe sopravvalutata l'importanza che in questa discussione ha il greggio del Mare del Nord. Quando fu scoperto e messo in sfruttamento negli anni '70 in risposta alla prima crisi petrolifera, subito il Snp lanciò un campagna «È petrolio scozzese!» che ebbe un enorme successo. Ancora oggi si discute sulla ripartizione delle entrate dovute a questo petrolio. Il governo scozzese ha appena pubblicato dati secondo cui la Scozia starebbe sovvenzionando con il suo petrolio il resto del Regno unito. Da questi calcoli emergerebbe che se i proventi petroliferi finissero in maggioranza in Scozia, il governo di Edimburgo non sarebbe più in deficit per 6,7 miliardi di sterline (il 6,4 % del Pil scozzese), ma sarebbe in attivo per 837 milioni di sterline. Il problema con questi calcoli è duplice. Il primo è che il petrolio del Mare del Nord è in esaurimento. Infatti secondo le stime più ottimiste, è già stato sfruttato il 70% delle riserve petrolifere in acque territoriali britanniche, e quindi ne resta solo il 30%. Il secondo è che il meccanismo compensatorio regionale definito alla fine degli anni '70 (detto «la formula di Barnett», dal nome del direttore generale del tesoro britannico nel 1979) consente alla Scozia una spesa in servizi pubblici più alta che nel resto del paese: secondo gli ultimi calcoli (del 2007) l'Inghilterra riceve 7.121 sterline pro capite, il Galles 8.139, la Scozia 8.623; solo l'Irlanda del nord riceve molto di più, 9.385 sterline.
È probabile perciò che in termini economici la Scozia non abbia nulla da guadagnare da un'eventuale indipendenza, ma consideri questa separazione una «battaglia di civiltà». In questo mi ricorda quel che nel 2004 - in piena era bushiana, quando l'ideologia texana era al culmine del suo potere -, mi diceva a Madison (Wisconsin) John Nichols, editorialista di The Nation e autorevole opinionista. «Noi del Wisconsin vogliamo separarci, non vogliamo essere governati da bigotti razzisti, fanatici delle pistole e dei fucili che vogliono una società barbara fatta di repressione e sceriffi, dove nessuno paga le tasse e tutti i servizi sono a pagamento: noi vogliamo pagare più tasse, avere servizi migliori e gratuiti, vogliamo un servizio sanitario nazionale, istruzione gratuita, trasporti pubblici e una limitazione delle armi». Insomma una Lega di sinistra nella regione scandinava degli Stati uniti (Wisconsin, Minnesota e Dakota sono stati popolati in maggioranza da discendenti di emigrati scandinavi).
Ex di sinistra negli anni '60
Questa specularità ha conseguenze inattese. «Negli ultimi tempi sono andato a tenere conferenze o a partecipare a comizi in Scozia», mi dice Tariq Ali nella grande cucina della sua bella magione londinese vicino al cimitero di Highgate, dove è sepolto Karl Marx, «e mi sembrava di vedere facce conosciute nell'uditorio. Poi ho capito: erano militanti di estrema sinistra degli anni '60 che erano diventati attivisti del partito nazionalista scozzese».
Non è altrettanto ottimista la scozzese Allyson Pollock, una delle più energiche e acute sostenitrici della sanità pubblica in Regno unito. Esperienza medica alle spalle, Allyson è stata per anni professoressa di Politica sanitaria e direttrice dell'Unità di Ricerca sui Servizi Sanitari all'University College di Londra, è ora tornata alla sua Edimburgo nella cui università presiede il Centre for International Public Health Policy. L'avevo conosciuta perché abbiamo lo stesso editore inglese (Verso): il suo libro, La privatizzazione della nostra sanità (2004), è un bestseller che continua a vendere anno dopo anno. Ci inseguiamo telefonicamente tra Londra ed Edimburgo. Quando le riferisco l'osservazione di Tariq Ali, mi risponde: «In Scozia le cose fanno sperare un po' meglio che nel resto del paese, ma mi chiedo per quanto. Solo se noi siamo molto vigilanti. I partiti nazionalisti sono coalizioni arcobaleno e al loro interno c'è una forte ala destra, soprattutto ai piani superiori. Penso che alle prossime elezioni i conservatori vinceranno in Inghilterra e in nazionalisti consolideranno la loro maggioranza in Galles e Scozia, ma spostandosi molto a destra. C'è stato un tempo, in passato, in cui la Scozia era tory. Quindi non c'è un gran motivo di ottimismo, ma la recessione potrebbe cambiare le cose. E poi, per quel che ho visto io, gli ex militanti della sinistra sono i peggiori. Sono i più facilmente corruttibili e nello stesso tempo usano la loro vecchia politica, il loro accento proletario e le loro radici operaie per difendersi dalle critiche e come scudo per i compromessi che hanno mercanteggiato. E quando sono al potere sono prepotenti e predatori, terrorizzati all'idea di essere smascherati e che la loro ignoranza reale sia messa allo scoperto. Questo avviene dappertutto e la Scozia non è esente, c'è un sacco di gente così qui».
Quanto manca all'indipendenza
Certo, l'indipendenza scozzese è di là da venire: un referendum è previsto per il 2010, ma non è affatto detto che gli indipendentisti vincano. Allo stato attuale, due terzi del parlamento scozzese sono composti da partiti «unionisti» contrari alla secessione. I sondaggi sono contraddittori, alcuni danno gli indipendentisti in minoranza e in calo, altri li danno in leggerissima maggioranza e in ascesa. Ma il giorno in cui la Scozia diverrà indipendente, sarà un momento di lutto per la sinistra nel resto del paese, come mi dice John Kempfner: «Fino ad adesso il Labour Party è riuscito ad avere la maggioranza grazie ai deputati laburisti eletti in Scozia. Senza di loro, i tories hanno una solida maggioranza in Inghilterra. Se la Scozia si separerà, qui i conservatori governeranno indisturbati per decenni». Anche questa prospettiva contribuisce all'autunno del Labour

www.ilmanifesto.it

ARDITI NON GENDARMI