Mi hanno preso le impronte digitali
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Ricordo ancora la prima volta che mi hanno preso le impronte digitali. Ero stanco e preoccupato. Quella mattina le occhiaie raggiungevano liveli estremi. L'umore dei presenti in quella stanza era basso, anzi, bassissimo. Aspettavamo in piedi che arrivasse il nostro turno, intimoriti dall'ambiente, stremati dal caldo che ci prosciugava. Il silenzio era rotto solo dal rumore del vecchio ventilatore che cercava di rendere meno afosa la stanza gremita di ragazzi. Non era rivolto verso di noi, ma a volte arrivava qualche folata di aria che rendeva meno insopportabile l'attesa. Eravamo pronti a posizionare le nostre dita per lasciare una macchia indelebile della nostra presenza. Vedevamo la procedura svolgersi in un lampo, ci si avvicinava, si allungava la mano, l'inchiostro veniva spalmato sul pollice e sull'indice e poi le dita venivano manipolate dall'addetto in modo tale da ricreare un perfetto negativo su di un cartoncino sul quale venivano poi appuntati i nostri dati. Per sempre schedati, per sempre idividuabili. Nessuno si lamentava però, sapevamo di doverlo fare. Non eravamo di certo i primi a subire questo trattamento. Oggi sembra una procedura barbara e disumana, ma quel giorno sapevamo di non avere scelta. Dopotutto era pur sempre la visita di leva.
A volte mi chiedo quale problema mi si può presentare per aver depositato le mie impronte digitali. Se andassi in America con la mia ragazza per un viaggio romantico lo farei senza problemi all'aereoporto, ansioso di poter visitare un continente nuovo. Non mi metterei certo a pensare a eventuali proteste. Dopotutto, non commettendo reati che mi può costare? Dita sporche?
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